venerdì 30 dicembre 2011

È BELLA LA PIAZZA CENTRALE DI SERAVEZZA

Recentemente ho rivisto la piazza situata al centro di Seravezza, intitolata alla memoria del grande Giosuè Carducci, che ho visitato insieme a mia moglie e alla mia primogenita Marina in occasione dell'ultima commemorazione dei defunti.
Prima di salire al cimitero, dove sono sepolti i nostri cari, stretti congiunti, amici e tutta la gente che personalmente conobbi sin da bambino, ho voluto rivedere la piazza, in cui avevo messo piede l'ultima volta quando ancora non vi erano state collocate le bellissime statue in bronzo, che insieme al grande monumento ai Caduti della Prima guerra mondiale, e alla bella fontana ricca di pregevoli sculture, l'hanno impreziosita e resa ancor più bella. Questo splendore è dovuto anche agli importanti lavori di restauro, del monumento e della fontana, eseguiti nel corso degli anni dall'Amministrazione comunale.
Mi dispiace soltanto di non aver avuto con me, quel giorno, carta e penna per annotare gli autori delle nuove opere poste ad ornamento della piazza, che avrei avuto il piacere di menzionare in questo mio scritto. Sento il dovere di ringraziare il signor sindaco Ettore Neri e la sua Giunta per quanto ha fatto per rendere ancor più bella la piazza.
Al primo cittadino vorrei far sapere che non dimenticherò mai la sua nobile iniziativa nel chiedere al Presidente della Repubblica la concessione della medaglia d'oro al valor civile, per l'eroismo dimostrato dai seravezzini nelle tragiche vicende vissute durante la Seconda guerra mondiale.
Anch'io scrissi al Capo dello Stato per sottolineare come, a mio avviso, Seravezza meritasse questo alto riconoscimento, anche per onorare i tanti ragazzi seravezzini che tennero comportamenti eroici durante i sette mesi di guerra, rifornendo di munizioni e viveri i soldati americani che combattevano in prima linea contro i tedeschi. Con il cibo in scatola che ricevevano in cambio delle loro dure e pericolose prestazioni, permisero alle loro famiglie di sopravvivere. Per me questi ragazzi furono veri e propri eroi senza medaglia.
Seravezza purtroppo non ha ottenuto la medaglia d'oro, ma mi consola il fatto che altri, come me, a partire dal sindaco Ettore Neri, ritengano che meritasse questa onorificenza.


Ho letto della polemica, delle ultime settimane, sull'inferriata in ferro battuto che un tempo recintava il monumento ai Caduti. Ricordo di averla vista sin dagli anni Trenta, quando, da Figlio della Lupa (e poi da Balilla) ci facevano schierare davanti al monumento, in occasione dell'annuale ricorrenza della vittoria della Prima guerra mondiale, ed altre cerimonie. Era Angelo Angiolo Battelli, proprietario del Caffé Centrale, sito sul retro del monumento, a guidare noi Figli della Lupa ed i Balilla nelle marce di avvicinamento al centro della piazza. Per farci mantenere il passo batteva forte per terra la punta del bastone che stringeva fra le mani. Da Balilla moschettiere arrivai a montare la guardia con il moschetto intorno al monumento.
Quando la recinzione fu tolta ci rimasi un po' male; in un primo momento pensai che il Comune avesse deciso di toglierla per aumentare l'area di parcheggio per le autovetture. Ma non era questo il motivo.
Oggi, a ragion veduta, ritengo che la piazza non abbia bisogno del ripristino della vecchia inferriata, è bella così com'è. Tuttavia è necessario adottare tutti gli accorgimenti del caso per impedire possibili danni al monumento.
Fu proprio lì davanti che il mio cuore di bambino iniziò a battere forte ogni volta che la banda dei Costanti iniziava a suonare l'inno del Piave; fatto che si è sempre ripetuto nel corso della mia già lunga vita ogni qualvolta ho ascoltato, e continuo ancora ad ascoltare, quelle note per me sempre commoventi.

P.S. Il Presidente della Repubblica ha concesso al Comune di Seravezza la medaglia d'argento al Merito civile

lunedì 28 novembre 2011

Al cimitero di Seravezza ho rivisto le persone più care della mia giovinezza

Qualche giorno prima dell'ultima commemorazione dei defunti sono salito al cimitero di Seravezza , dove riposano i resti dei miei genitori e suoceri, di mio cugino Marcello, di alcuni miei zii e dei nonni di mia moglie che ho conosciuto e ai quali ho voluto bene. Si, lassù sono sepolti tutti coloro che conobbi sin dagli anni della mia infanzia. Tutte persone di Seravezza dei miei anni più giovani e belli.
Con mestizia ho sostato davanti alla tomba di Benti Donato e della moglie Antonia Chelli, che abitavano vicino alla mia casa del rione del Ponticello interamente raso al suolo dai tedeschi nella tragica estate del 1944. Ho visto, da una bella fotografia esposta sulla tomba, che in essa era stato sepolto anche il loro genero - e mio caro amico - Mario Tarabella, che fu un bravissimo suonatore di sassofono. e clarinetto e un ottimo cantante. Mario aveva la musica nel sangue. Con una famosa orchestra nazionale si esibì anche all'estero. Fu maestro e direttore della banda dei Costanti di Seravezza.
Proseguendo la mia visita al cimitero, mi sono fermato davanti ad una tomba dove sapevo che riposano i resti dei genitori di un mio amico, Gianfranco Pea. Sono rimasto scioccato nel leggere, sulla lastra di marmo, che vi era sepolto anche lui. Ho sostato davanti alla sua tomba avvertendo un dolore cocente perché forti furono i legami che ci unirono negli anni della nostra fanciullezza.
Gianfranco Pea, insieme a Benti Alberto, Gianfranco Tommasi, Andrea Bandelloni, Matteo Bonci, e Aldo Tessa, furono i miei amici più cari sin dai tempi in cui frequentavamo l'asilo infantile Delatre e successivamente la scuola elementare e poi l'Avviamento al lavoro.Ricordo Gianfranco come un ragazzo molto bravo a scuola. Nel dopoguerra sia io che lui, grazie all'interessamento dei nostri padri ben conosciuti dal titolare dell'impresa e dai suoi dirigenti, per  il lavoro di operai da essi svolto nel passato nell'officina, ubicata alla Centrale, anch'essa rasa al suolo nel 1944, fummo assunti in qualità di apprendisti formisti dalla società Cerpelli che aveva, ripreso l'attività produttiva di pompe, con una officina a Querceta e una fonderia in un capannone ubicato nella vicina località chiamata Madonnina.
Dall' Uccelliera, dove abitavo, raggiungevo il posto di lavoro a piedi. Poche volte ho usato la bicicletta di mio padre. Nelle rare occasioni in cui si pedalava fianco a fianco per tornare la sera a casa, spesso sia io che Gianfranco, facevamo ripetuti scatti, dove lui sempre mi superava. Era un ragazzo fisicamente molto forte..
Ai tempi in cui, dopo l'8 settembre 1943, i repubblichini iniziarono a dare la caccia a Gino Lombardi l'eroico fondatore della prima banda dei partigiani in Versilia, chiamata i Cacciatori delle Apuane, Gianfranco ci raccontò che le milizie fasciste gli avevano bruciato la sua casa di Ruosina. Glielo aveva detto un suo cugino partigiano, di cui non ricordo il nome, che a guerra finita, rimase ucciso, insieme ad un suo compagno in seguito all'esplosione di una mina sotto i loro piedi quanto entrarono nel frutteto di Corvaia, allora esistente accanto al laboratorio dei marmi della ditta Casini e Tessa. Persero la vita, in un attimo, per cercare di mangiare alcune pere. .
La morte segna la fine del cammino terreno dell'uomo. L'anima si distacca dal corpo umano, per volare nella casa del nostro Padre Celeste.
Questa riflessione, ci deve dare conforto all' immenso dolore che avvertiamo quando cessano di vivere le persone più care della nostra vita. Quindi mi chiedo se si può essere felici al cimitero?
Alla luce della mia esperienza credo di sì, sapendo che morire è vivere eternamente, un premio per gli uomini pii e giusti.
Per quanto mi riguarda, constato che dopo tanti anni sono rimasto tra i pochi ancora in vita di quei mitici ragazzi di Seravezza.
Desidero rivolgere un caro saluto a tutti i miei compagni di studio e di giochi che ora sono lassù nel cielo, per vivere in eterno. Ciao amici miei!

giovedì 24 novembre 2011

Mio nipote Tommaso, ciclista, mi fa sognare


Mio nipote Tommaso Fiaschi corre in bicicletta. Nella stagione conclusasi recentemente con la corsa sul mitico Ghisallo, dove ha vinto il Gran premio della montagna e in volata è giunto terzo, è arrivato primo in dieci gare, di cui sette vinte in Toscana, due in Emilia Romagna e una in Trentino (riepilogo gare). Nella classifica nazionale della categoria Esordienti si è classificato al secondo posto, realizzando 87 punti dietro il campione italiano, il veneto Stefano Vettorel, che però ha vinto nove gare, una in meno di Tommaso.
Sulle strade della Valsugana Tommaso ha vinto la gara della Coppa d'oro (nella foto), da solo, senza compagni di squadra, con 160 partecipanti. Il giornalista del Tirreno Roberto Felici ha scritto che questa corsa vale quanto un campionato. L'articolo era intitolato così: “E' super la nona sinfonia di Tommaso Fiaschi”.
La sera del 3 novembre 2011 la trattativa con la “Nuova Abitare Cornici Pedale Certaldese” si è conclusa con il passaggio di Tommaso all'importante G.S. Stabbia Iperfinish che si avvale di esperti direttori e tecnici di grande valore.
La nuova società per la quale mio nipote correrà nel 2012 nella categoria Allievi e in quella Juniores nei due anni successivi, come ha scritto il team manager Massimo Cheli, “è consapevole di avere un ragazzo di valore da fare crescere e tutelare nel modo più assoluto, perché il ciclismo ha bisogno di vittorie oggi, domani... ma anche fra 10 anni e questo insieme al nostro benvenuto è quello che auspichiamo per Tommaso e per la famiglia Fiaschi”.

lunedì 21 novembre 2011

COME SALTARONO IN ARIA LE CASE DI SERAVEZZA NELLA TRAGICA ESTATE DEL 1944

Se non lo avessi visto coi miei occhi , avrei avuto molte difficoltà a comprendere, come un solo geniere tedesco della Wehrmacht, un giovane uomo, robusto di corporatura e con gli occhi azzurri e biondo di capigliatura, abbia potuto, con l'aiuto di due o tre operai della famosa organizzazione “Todt”, far saltare in aria le case di una parte di Seravezza, dalla Fucina al Ponticello e fino a Riomagno, ubicate a ridosso del monte Canala.
Il geniere, che indossava i gradi di sergente, lo vidi uscire dalla segheria del Salvatori non appena gli operai finirono di collocare, alla base dei muri perimetrali interni dello stabilimento, proiettili di artiglieria, collegati con fili elettrici ad un detonatore che poco dopo fu azionato davanti alla casa dei Combattenti, allora esistente nello stesso punto dove venne ricostruita nel dopoguerra. Molti proiettili di artiglieria li vidi ammucchiati ai margini del piazzale dei blocchi di marmi da segare, che si trovava proprio davanti al molino del Bonci
Il sergente aveva la pistola alla cintura. Per qualche decina di metri camminai al suo fianco, dopo aver udito un suono di una tromba e la voce di un donna che, urlando, avvertiva i presenti che dovevano allontanarsi perché i tedeschi avrebbero iniziato a far saltare in aria la segheria.
Mi sorprese vedere un solo militare tedesco perché ero convinto, quando si sparse la voce che i tedeschi stavano per iniziare la loro azione distruttiva del rione, dove c'era anche la mia casa abbandonata in seguito all'ordine di sfollamento, che di soldati germanici a Seravezza, in quel giorno, ce ne fossero tanti.
Il geniere non mi sembrò un uomo feroce. Ricordo il suo sguardo triste, forse perché il comando che gli era stato impartito lui non lo condivideva. A tutti noi non rivolse neanche una parola.
Le donne e i ragazzi, impauriti, non ebbero la forza per protestare. Anch'io assistetti impotente al compiersi di questo evento distruttivo e inimmaginabile, senza avere il coraggio di rivolgere la mia protesta al solo militare tedesco presente in quel giorno al Ponticello. Fui pavido e questo fatto mi fa ancora oggi arrossire dalla vergogna.
Appresi la notizia che i tedeschi stavano per far saltare in aria la segheria del Ponticello da due donne che salivano il sentiero che conduceva a Giustagnana con due fagotti sulla testa. Io, con altri ragazzi sfollati come me, stavo sotto i castagni vicini alla prime case. Di corsa andai ad avvertire mia madre e subito mi lanciai scalzo ed a spron battuto giù lungo il sentiero che conduceva a Riomagno. Ricordo che mentre correvo sentivo i garetti sfiorare il fondo dei calzoncini.
A Riomagno c'era una grande confusione. Tante donne e ragazzi grandicelli si davano da fare ad andare giù e in sù per trasportare pezzi di mobilio che arredavano le abitazioni. Al Ponticello sentii dei colpi di mazzolo che un uomo stava usando per demolire la porta murata di un fondo, per riprendere la biancheria e quant'altro di più prezioso che aveva riposto nel fondo nascosto, prima di sfollare, anche sotto tanti pali di legno.
Tutte le donne e i ragazzi erano molto impauriti e non ebbero la forza per protestare Anch'io assistetti impotente al compiersi di questo evento distruttivo e inimmaginabile, senza avere il coraggio di rivolgere la mia protesta al sergente tedesco. Sì, provo vergogna nell'aver sopportato quello scempio senza reagire, anche perché per tanti anni avevo cantato la canzone "fischia il sasso, il nome squilla dell'intrepido balilla...". Parlo di Giovanni Battista Perasso, il ragazzo di Portoria che diventò famoso per aver lanciato un sasso contro un ufficiale austriaco, dando inizio alla rivoltà che nel 1746 liberò la sua città, Genova. Per questo suo gesto quel ragazzo assurse a simbolo del patriottismo, e il regime fascista gli dedicò l'Opera Nazionale Balilla.
Sapevo che in uno sgabuzzino mia nonna teneva una pistola, un vecchia Colt a tamburo, con quattro o cinque pallottole, che aveva portato dall'America mio nonno materno Raffaello, che era emigrato, alla fine dell'Ottocento ed all'inizio del Novecento, più di una volta, negli USA. Quando entrai nella vecchia casa pensai subito alla pistola. Mi domandai: "Cosa ci faranno i tedeschi se la troveranno?" Non ci pensai molto. Subito presi l'arma e la buttai nel pozzo nero tirando un sospiro di sollievo. Tante volte ho rivissuto quel momento in cui, per paura e sgomento, sbagliai, perché avrei dovuto usarla quell'arma, a difesa della libertà, vilipesa e oltraggiata dalla Germania nazista.
Nel giorno in cui iniziò la distruzione di una parte di Seravezza non vidi nessuno dei miei vicini di casa.
Dopo l'esplosione delle bombe che rasero al suolo la segheria e fecero sparire, per effetto dello spostamento d'aria, anche la casa del Carducci e dell'Aurora, ubicata sul retro dello stabilimento, vidi passare davanti a me, al Ponticello - dove mi ero fermato per osservare i danni subiti dalla mia casa che al primo piano sembrava l'avessero segata con il filo elicodiale della cava - i coniugi Carducci. Camminavano abbracciati in direzione del centro di Seravezza, avevano il volto rosso e piangevano disperati. Entrambi ripetevano fra i singhiozzi: “Non c'è è più la nostra casina, non c'è più...”, mentre stavano calando le prime ombre della sera.

martedì 25 ottobre 2011

Appuntato della Guardia di finanza Francesco Meattini, medaglia d'oro al valor militare alla memoria

Non ho mai dimenticato quella mattina del mese di luglio 1941 quando si diffuse al Ponticello di Seravezza la notizia (data verosimilmente dallo strillone che vendeva i giornali nelle vie del paese) che in Montenegro dove era nata la nostra regina, un militare della Guardia di finanza che insieme ai suoi commilitoni si difendeva dall'attacco portato alla loro caserma da un gruppo di ribelli, visto che i suoi camerati, che aveva sempre spronato a combattere, erano quasi tutti morti, mentre la caserma bruciava in quanto gli aggressori l'avevano incendiata e con le cartucce ormai esaurite, si mise in tasca delle bombe a mano, alle quali aveva tolto la sicurezza, e dopo aver baciato una foto dei suoi amati familiari, saltò adosso ai suoi assalitori procurando un finimondo nelle loro file.
Questa notizia impressionò gli abitanti del Ponticello che si erano affacciati alle finestre per scambiare con i vicini di casa le loro emozioni. Sentii parlare del grande valore dimostrato da questo uomo che, anziché alzare le mani in segno di resa preferì trasformarsi in un portatore umano di proiettili, si in un kamikaze, che quando questi ordigni esplosero frantumarono anche il suo corpo.
Chi scrive non aveva ancora compiuto 11 anni. Nella mia vità di ragazzo cresciuto al Ponticello vidi soltanto un paio di volte alcuni militari del Corpo mentre parlavano col signor Bonci, l'anziano titolare del molino sito nelle vicinanze della mia casa, per attingere notizie utili per il disbrigo di qualche pratica. Avevano la pistola Glisenti. Mi pare che giunsero al Ponticello in sella alle biciclette in dotazione alla Brigata di Pietrasanta che aveva sotto la propria giurisdizione anche il comune di Seravezza. E proprio in questo glorioso Corpo, ricco di pagine di epico valore, scritte col sangue dei suoi tanti eroi, che mi arruolai nel mese di luglio 1949, insieme ad altri due versiliesi, Primo Giorgi, deceduto qualche anno fa, e Guido Angelini, tuttora residente nelle vicinanze di Querceta. Successivamente anche mio fratello Sergio si arruolò nel Corpo.
Ecco le motivazioni in ordine alle quali all'appuntato Francesco Meattini, nato a Cortona (Arezzo) il 17 settenbre 1901, fu concessa, alla memoria,la medaglia d'oro al valor militare:

“ Capo squadra fucilieri di un distaccamento della R.G.F. aggredito da preponderanti bande ribelli, che avevano circondato la caserma ed incendiati fabbricati vicini, animava la difesa col suo contegno freddo, energico e risoluto. Ferito una prima volta rifiutava ogni soccorso continuando ad incitare i superstiti ed a sparare sugli assalitori. Ferito altre due volte, mentre la caserma era già in fiamme ed i camerati quasi tutti caduti, persisteva tenacemente nell'impari lotta. Esaurite le cartucce, si raccoglieva un attimo per baciare la fotografia dei suoi cari, quindi, prese alcune bombe a mano e toltane la sicurezza se le metteva nelle tasche e da una finestra saltava sugli avversari inferociti dall'asprezza della lotta, seminandovi, col proprio sacrificio , strage e distruzioni. Fulgido esempio di sublime sacrificio.“
( Barane, Montenegro
17 -18 luglio 1941 – XIX )

martedì 11 ottobre 2011

Ta pum, ta pum

Due colpi di fucile, sparati da un soldato tedesco uccidono al Cambianco di Seravezza Carminuccio, un corvaiotto che viveva in condizioni disperate.

Durante la tragica estate del 1944 ero spesso in giro nei campi della piana versiliese alla ricerca di qualcosa da mangiare in consideraziopne del fatto che gli sfollati anziché raggiungere Sala Baganza si erano rifugiati sui monti intorno a Seravezza, e quindi erano stati tutti abbandonati al loro tragico destino.E' incredibile come si sia potuto sopravvivere tra la fame e i patimenti di ogni genere.(non avevamo proprio niente con cui nutrirci, tutti i giorni non si sapeva cosa fare.)
Stavano maturamdo i fichi, quando un giorno percorrendo il tratto della via dove ora c'è la Stazione dei Carabinieri di Seravezza udii due distinti colpi “Ta pum, ta pum” sparati da un fucile in dotazione alle truppe germaniche.che stavano nei pressi del Cambianco, tra la Rocca e la Mezzaluna vecchia Perché i tedeschi avevano sparato quei due colpi? Lo seppi qualche giorno dopo quando fui informato che proprio al Cambianco era stato ucciso dai tedeschi Carminuccio un anziano abitante di Corvaia che aveva deciso di non lasciare la vecchia casa dove abitava piuttosto che obbedire anche lui all'ordine di sfollamento imposto dal Comando tedesco.
Chi era Carminuccio. Era un uomo molto anziano con la barba bianca e lunga sul viso, vestiva vecchi abiti, insomma mi pare che vivesse in condizioni di estrema indigenza. Da giovame, per ragioni di lavoro era emigrato in sud America, dove aveva sposato una donna messicana. Mi pare, secondo quanto sentii dire, che la portò in Corvaia, quando rientrò definitivamente dal Messico. Ricordo di averlo visto qualche anno prima uscire dalla sua vecchia casa mentre urlava nel centro di Corvaia, contro alcuni ragazzi che lo avevano beffeggiato. Non so se sua moglie messicana fosse ancora vivente nell'estate 1944.
Quel giorno che fu ucciso affamato come era, salì faticosamente al Cambianco per riempiersi la pancia di fichi. Ma la morte era in agguato, non so se i due colpi di fucile gli furono sparati quando si stava avvicinando agli alberi oppure era già salito su uno di essi. Il barbaro e criminale soldato tedesco, un uomo senza cuore, deve aver preso la mira e, senza riflettere su quello che stava facendo, sparò e uccise quel poveretto che già stava morendo di fame.

sabato 17 settembre 2011

L' oro alla Patria

Splendente era la vera nuziale che portava al dito mia madre fino al giorno in cui il regime organizzò una mobilitazione nazionale, che sotto lo slogan “ date oro alla Patria” indusse gli italiani a donare allo Stato i propri oggetti preziosi, comprese le fedi nuziali. Era il 18 dicembre 1935 quando si svolse la “Giornata della fede”. Una delle tante iniziative promosse dal governo fascista per rispondere alle sanzioni economiche varate dalla società delle Nazioni contro l'Italia, perché il nostro Paese aveva dichiarato guerra all'Etiopia.
Ricordo quella mattina in cui mia madre uscì di casa e tornò, tutta emozionata, senza più l'anello d'oro ma con un cerchietto di acciaio. “Ha fatto il suo dovere! L'ha donato alla Patria”, come lessi sul pezzetto di carta che le fu dato. In tutto il Paese furono raccolte milioni di fedi nuziali e un quantitativo complessivo d'oro pari a 37 tonnellate.
Eravamo ancora impegnati nella guerra in Africa, che si concluse nel 1936, con la conquista dell'Impero, quando iniziò la guerra di Spagna, combattuta dal generale Franco, il Caudillo. Nel giro di pochi anni dichiarammo guerra alla Francia e all' Inghilterra , schierandoci nel conflitto a fianco della Germania di Hitler che ci portò sofferenze fame e distruzioni.E sempre in nome della Patria a scuola ci dissero: “Portate un po' di lana dei materassi. E' necessaria per fare i calzettoni per i nostri soldati in Russia, altrimenti rimarranno con gli arti congelati”. Sempre in nome della Patria ci tolsero le inferriate e si presero le pentole di rame per fabbricare armi. Subimmo borbardamenti e distruzioni e ci furono tante vittime innocenti. Lungo è l'elenco dei soldati, marinai e aviatori italiani che non fecero più ritorno nelle loro case in quanto uccisi in combattimento. La mia casa del Ponticello di Seravezza nella tragica estate del 1944 fu fatta saltare in aria dai tedeschi insieme a molte case sia del capoluogo seravezzino che di altre località della Versilia, che divenne l'estremo limite della Linea Gotica. Corvaia e Ripa furono conpletamente rase al suolo. Negli ultimi giorni del tragico conflitto, a Dongo, riapparvero moltissimi anelli nuziali che le spose italiane avevano donato alla Patria. Ma quale Patria?

Sempre dal succitato libro di Giorgio Giannelli ho rilevato che l'11.1.1936 furono consegnati alla Federazione provinciale fascista di Lucca due quintali e mezzo fra oro e argento raccolti nei quattro comuni della Versilia, Quindi, in media, furono offerti da oltre 47.500 abitanti più di un grammo d'oro per abitante, del valore di oltre mezzo milione di lire dell'epoca.

martedì 6 settembre 2011

1943: Inizia la Resistenza in Versilia

Come ho avuto modo di raccontare in altre occasioni, Alfieri Tessa, valoroso partigiano seravezzino mi ha donato, tempo addietro , alcuni suoi preziosi appunti riguardanti, i tempi da lui vissuti durante la seconda guerra mondiale. Tra questi suoi scritti vi è anche quello riferibile alla Resistenza che iniziò in Versilia dopo l'8 settembre 1943, il giorno dell'armistizio e della momentanea illusione che la guerra fosse finita.
Nobile e commovente è il pensiero che ha espresso nel ricordare l'inizio della Resistenza che io amo subito riportare qui di seguito: ”All'inizio della Resistenza mi unisco a Gino Lombardi. L'armistizio era stato firmato e reso pubblico, le direttive già impartite, restava da onorare l'impegno sottoscritto davanti ai rappresentanti degli eserciti che ci avevano sconfitti, il non farlo avrebbe fatto apparire l'Italia oltre che sconfitta anche inadempiente cosa ancora più grave di fronte a tutte le nazioni del mondo. Purtroppo chi doveva rispettare negli alti livelli dello Stato si era come volatizzato, tradimento o pusillanimità'? Cosi all'iniziativa attesa mancò un
vera guida, e tutto fini nel caos.”
Con l'esercito allo sbando, come anch'io vidi, i tedeschi reagirono violentemete contro i nostri soldati che catturarono e inviarono su carri bestiame nei campi di prigionia in Germania e/o nella Polonia da essi occupata.
A Cefalonia ed a Corfù dove iniziò la resistenza armata contro i tedeschi costoro uccisero migliaia di soldati italiani che avevano liberamente deciso di combattere contro i tedeschi piuttoto che cedere ad essi le armi.
Il Tessa ha altresì continuato ad enunciare le seguenti motivazioni in ordine alla nascita della Resistenza: “ Ma il dovere di resistere riguardava tutti i cittadini italiani. I milkitari che riuscirono ad arrivare a casa si contattarono subito, e presero le iniziative necessarie, soprattutto per onorare i morti di quei giorni per mano tedesca, e offrire la propria solidarietà ai commilitoni portati prigionieri nei loro campi di lavoro o sterminio.
Nel comune di Seravezza, primo in Versilia, si organizzarono gli uomini della Resistenza, creando un presidio armato fissato a “La Porta”, in territorio dello stazzemese. In quei giorni sui giornali dovevamo leggere.
La Nazione del 30 novembre 1943 – prima pagina -
Il Capo di Stato Maggiore dell' Esercito ha emanato la seguente ordinanza.^^^ Dispongo che tutti gli allievi ufficiali di complemento (universitari, diplomati, e laureati) appartenenti ai disciolti battaglioni di istruzione si presentino entro il 5 dicembre 1943 ai rispettivi Comandi militari regionali o provinciali e ai distretti militari.^^^
Egli accenna all'azione “ del 6 dicembre 1943 per appropriarsi del ciclostile in dotazione al comune di Seravezza compiuta sia da lui che dall'altro ex allievo ufficiale Oscar dal Porto di Querceta coadiuvati dai patrioti. Piero Consani di Pisa, Luigi Mulargia, già marinaio della Sardegna, tutti sotto il comando del s.tenente Gino Lombardi di Ruosina. Essi alle ore 18 riuscirono ad entrare nel palazzo Mediceo, sede comunale, dove sottrassero il ciclostile per stampare manifestini utili a controbattere la pressante propaganda fascista. Tale azione irritò il prefetto Piazzesi e il maresciallo comandante i carabinieri di Forte dei Marmi, tutti umiliati per non avere scoperto ii nomi degli autori.
Conclude così la sua narrazione dell'inizio della Resistenza in Versilia: “ Dopo il quasi totale fallimento di risposta alle chiamate, ecco la Prefettura di Lucca con il manifesto:
Decreto in data 18 febbraio 1944 -XXII E.F., concernente la posizione dei disertori e renitenti.
Art.I° -Gli iscritti di leva arruolati ed i militari in congedo, che, durantre lo stato di guerra e senza giutificato motivo, non si presenteranno alle armi nei tre giorni successivi a quello prefisso, saranno considerati disertori di fronte al nemico, ai sensi dell'art. 144 C.P. M.G. e puniti con la morte mediante fucilazione nel petto. Il Capo della Provincia Piazzesi.

Dalla lettura di queste righe di Alfieri Tessa emerge la drammatica situazione vissuta dagli italiani durante gli anni dell'ultima guerra e, in particolare, nel periodo della Resistenza.

lunedì 29 agosto 2011

Ricordo del dottor Renato Bastianelli

Il 24 luglio scorso a Viareggio, dove risiedeva, si è spento Renato Bastianelli, famoso medico tisiologo e specialista nella cura di altre malattie dell'apparato respiratorio.
Figlio del veronese Guido Bastianelli e della seravezzina Angela Falconi, era nato a Seravezza nel 1917. Studiò all'Università di Pisa dove si laureò nel 1942. Tra i suoi primi invarichi ci fu quello di medico condotto ad Arni. Esercitò anche nell'ospedale Campana di Seravezza,
Nel 1943 frequentò a Firenze il corso allievi ufficiali presso la Regia Aeronautica - Servizio Sanitario -, al termine del quale fu nominato Sottotenente medico. Ricordo di averlo visto in quel tempo, in divisa militare, vicino alla casa di sua zia Augusta Falconi, nell'antico rione seravezzino della Fucina.
L'otto settembre 1943, il giorno dell'armistizio, si trovava in licenza a Ripa, dove attendeva di conoscere il reparto cui sarebbe stato assegnato. Non rispose alla chiamata alle armi del ministro della guerra della Repubblica di Salò, maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani.
Quando i tedeschi nell'estate del 1944 imposero lo sfollamento alla popolazine di Seravezza e dintorni, il dottor Bastianelli, con i genitori ed altri suoi stretti parenti, si rifugiò nel palazzo della ditta Henraux sito in località la Polla, sul monte Altissimo,dove sfollarono anche Alberto Carducci col figlio Mazzini e Ilio Roni.
Renato Bastianelli, che ben conosceva i doveri che ogni medico ha nei confronti di persone abbisognevoli di cure mediche, insiti nel giuramento di Ippocrate, affrontò in quel tempo seri pericoli al fine di compiere il proprio dovere. Un giorno Amos Paoli (giovane partigiano trucidato dai tedeschi, medaglia d'oro al Valor militare) che aveva frequentato da bambino l'asilo Delâtre di Seravezza insieme a Renato Bastianelli, gli comunicò che sulla Tacca Bianca vi erano dei partigiani feriti che avevano bisogno di essere curati. Il Bastianelli salì sulla funicolare della Polla insieme al partigiano Sergio Breschi. I tedeschi che li videro spararono contro di loro.
“Quell'ascesa non finiva mai – raccontò a Giorgio Giannelli, che ha riportato la testimonianza nel volume “La Germania è veramente vostra amica” -. Occhi chiusi e valigetta in mano arrivammo sul posto. Curai quattro partigiani feriti, uno dei quali, Sante Bracchi, versava in gravi condizioni. In seguito li feci ricoverare in un'unica stanzetta del Campana, complici tuo zio, il dottor Giuseppe Giannelli,e suor Modestina”.
Quando a luglio fu chiuso l'ospedale di Seravezza Bastianelli intervenne altre volte per prestare cure mediche ad alcuni italiani aggregati alle truppe tedesche. A metà ottobre del 1944 decise di superare il fronte. Passò dalla villa Moresco, sopra Valventosa, per prendere la bicicletta che lì aveva lasciato quando aveva visitato una persona malata. Salito in sella scese velocemente superando indenne le cannonate sparate dagli americani intorno alla Rocca di Corvaia. Qualcuna esplose anche a Vallecchia.
Raggiunta Pietrasanta gli americani lo fermarono e lo fecero incolonnare nella piazza Littorio, ora sede comunale, per portarlo in un campo di concentramento. Fu salvato da Gualtiero Jacopetti, aggregato al Comando americano come ufficiale interprete. Jacopetti, poi diventato giornalista e regista cinematografico, era legato da vincoli di amicizia con Renato sin da quando entrambi frequentavano l'Università. Oltre a liberarlo gli fece avere uno speciale lasciapassare che gli permise di raggiungere Camaiore, dove si era rifugiata anche la famiglia di Maura, la sua fidanzata.
A Camaiore ebbe modo di incontrare il dottor Rossi, direttore del sanatorio di Carignano che, viste le sue specializzazioni, lo assunse come medico nel nosocomio da lui diretto, dove Renato rimase fino a tutto il 1944.
Nel 1946 fu richiamato alle armi. Gli proposero il posto di ufficiale medico presso la base aerea di Pisa, che lui però non accettò. Fu quindi assegnato alla base degli idrovolanti ancora esistente sul lago di Bracciano, dove era tenuto in rimessaggio l'apparecchio che fu utilizzato soltanto da Benito Mussolini.
Nel 1947 Bastianelli sposò la sua fidanzata, una splendida fanciulla di appena venti anni, nata a Ripa. Da questa unione nacquero due figli. Renata e Angelo che allietarono la casa dei loro genitori.

Il dottor Bastianelli fu sposo e padre esemplare. Finché ha avuto le forze necessarie ha continuato ad esercitare con passione e per tanti anni, la libera professione. Ricordo che visitò anche mia moglie Angela, figlia della sua cugina Bruna, e anche il mio ultimo figlio quando era bambino, senza mai farsi pagare. Quando ci incontravamo parlavamo sempre di Versilia Oggi, il nostro periodico che amava leggere e del quale era un fedele abbonato. Egli fu legato da vincoli affettuosi coi cugini Bruno e Bruna Guerrini, il primo caduto nei dintorni di Tobruk nel 1941 durante il corso di una cruenta battaglia combattuta contro i neozelandesi, mentre la Bruna morì nel 1984.
Ogni anno, in occasione della commemorazione dei Defunti, saliva al cimitero di Seravezza, dove nel 1929 era stato sepolto suo nonno materno, Antonio Falconi che in vita fu un dirigente del personale delle cave della società Henraux, come seppi da sua figlia Marta che aveva sposato l'impresario Giulio Casini, e anche la sua nonna materna Antonia Viti,deceduta il giorno della ricorrenza del Santo Natale dell'anno 1941. In quei giorni non mancava mai di andare a salutare i suoi zii Augusta Falconi e Antonio Guerrini che, nella loro casa, quando lui prestava servizio all'ospedale Campana, vi aveva sempre trovato una calorosa ospitalità. Non solo ci dormiva ma vi consumava anche dei piatti prelibati, sempre ricordati da Renato, che gli preparava sua zia.
Per l'amore e la passione con cui curò una moltitudine di persone ammalate, credo che il nostro Padre Celeste lo abbia accolto nel suo Regno, dove riposano in eterno le anime degli uomini pii e giusti, così come lo è stato Renato Bastianelli durante il suo lungo cammino terreno.

venerdì 12 agosto 2011

I NOSTRI PAPERONI



Ecco cosa scrissi su Versilia Oggi del mese di gennaio 2004, sui nostri Paperoni, un tema molto attuale e discusso per diminuire i costi della politica.


I NOSTRI PAPERONI

Non mi pare, ma non mi vorrei sbagliare, che nessuno dei nostri giornali, comprese le varie Tv, abbia mai analizzato il costo della politica italiana che ha raggiunto livelli elevati e non più sopportabili se posti a confronto, tanto per fare un esempio, con il reddito medio delle categorie dei lavoratori che faticano ad arrivare alla fine di ogni mese.
Fortunatamente esiste Versilia Oggi, il periodico mensile che da quasi quarant'anni non si stanca di evidenziare le storture della politica che, come ha scritto Giorgio Giannelli, dovrebbe essere esercitata solo da uomini animati “dalla passione, dallo spirito di sacrificio e di apostolato”. Un concetto che a me fa piacere ripetere,
E' chiaro che chi svolge un'attività politica, sia che occupi incarichi tecnici anche i più alti, debba essere ben retribuito, ma anche qui occorre porre dei limiti. Ogni uomo che svolge funzioni pubbliche deve sentirsi gratificato per il bene che esso compie nell'interesse dei propri concittadini. Retribuire chi svolge questi importanti incarichi con compensi da “Paperone” è però un fatto che genera degli squilibri che, a lungo andare, non possono essere sopportati dalle categorie più deboli, tenuto conto dell'ingente debito pubblico e delle spese enormi occorrenti per governare. Un dipendente pubblico di qualsiasi categoria e livello, una volta eletto deputato o senatore, non deve pertanto continuare a riscuotere anche lo stipendio fino a quel momento percepito. Gli dovrebbero bastare i già congrui emolumenti percepiti da parlamentare. E' dall'esercizo di una politica equilibrata, senza odi di parte, tesa ad evitare lo sperpero di denaro pubblico, che si possono veramente migliorare le condizioni di vita di tutti e non solo di coloro che stanno nelle stanze dei bottoni.
Ancor prima della Lega Nord e delle picconate di Cossiga, venne fondata l'Unione Versiliese, un movimento politico libertario e antipartitocratico volto alla realizzazione di un sogno che poteva dare tanti frutti ai versiliesi. Durò soltanto pochi anni. Quando nacque l' Unione Versiliese pensai all'altro fantastico sogno, quello della Repubblica
dell' Apua che ebbero, nel recente passato, altri indimenticati personaggi della nostra terra.
Eletti nelle liste dell'Unione Versiliese se ben ricordo. Cancogni e Giannelli, rifiutarono il “gettone” che spettava loro per legge. Cancogni si dimise per motivi di famiglia. E Giannelli che si candidò alla carica di sindaco di Forte dei Marmi, com'è stato premiato? Fu clamorosamente bocciato, soltanto cinquantacinque fortemarmini gli diedero la fiducia.
Gli resta il suo lavoro di giornalista e scrittore. Da sempre sta sull'albero a cantare, come dice lui, scrive ciò che pensa e questo è un fatto che lo onora. Come Giuseppe Vezzoni e Alvaro Avenante e pochi altri, ha il coraggio di dire delle verità che in troppi non vorrebbero sentire.

giovedì 28 luglio 2011

LUCCIOLE: UNA VISIONE MAGICA

LUCCIOLE: UNA VISIONE MAGICA

Ero un bambino di pochi anni quando, sul calar di una sera degli anni trenta,vidi per la prima volta, un'infinità di lucciole abbassarsi sulle vie di Seravezza. Credevo che facessero i soldini sotto il bicchiere. Ritardai a rincasare disubbidendo a mia madre rimasta in casa insieme al mio fratello, ( il mio babbo era andato a fare le strade dell'impero appena conquistato insieme ad altri dieci cavatori di Seravezza) la quale dalla finestra della nostra casa, aldilà del fiume. mi chiamava in continuazione:” Renato, vieni subito a casa....”
Senza darle ascolto continuai a correre con le manine tese in alto, pronto ad afferrare quelle lucciche che sembravano essere stelle vaganti arrivate a sfiorare la terra.
La seguente filastrocca, è il frutto di quella suggestiva visione mai dimenticata: Lucciole / Cicchinino / che ci fa lì fora al buio? / Va a ddormi! / Oh! mà, guarda là / Un le vedi? / Eno lucciole / paiono stelle / eno tante e son lucenti / fan centesimi e ventini / corro e volo dietro a lloro / e mi sembra d' avè le ali / un ho sonno / salto e sogno / nel mi mondo / di cicchino incantato.

mercoledì 27 luglio 2011

Il criminale nazista Walter Reder. Anche sul suo conto appaiono gravi responsabilità sulla strage di S.Anna di Stazzema

Nel passato ho sempre pensato che Walter Reder maggiore delle S.S. che nel 1951 fu assolto per insufficienza di prove dalla seguente accusa: “ Senza giustificato motivo, per cause non estranee alla guerra, con ordini dati ai propri dipendenti, determinava la morte di 560 persone, che non prendevano parte alle operazioni militari, in prevalenza vecchi, donne e bambini inermi, che furono trucidati selvaggiamente e senza discriminazione, venendo in particolare 150 di essi ammassati sul piazzale della chiesa e in massa falciati a raffiche di mitraglia e con lanciafiamme, nel territorio di S.Anna d Stazzema (Lucca) il 12.8.1944”;
avesse la sua parte di responsabilità nell'orrendo crimine quale comandante di un reparto speciale, impegnato in primis nella lotta contro i partigiani operanti sui monti della Versilia, molto vicina alla linea del fronte di Pisa.
In questo contesto, dopo aver letto i preziosi appunti del valoroso partigiano che è stato il seravezzino Alfieri Tessa, traggo anch'io il convincimento che egli abbia effettivamente operato perché fosse compiuta a S.Anna di Stazzema l'orribile strage.
Il 24 maggio 1944 Reder raggiunse in Italia il 16 Btg, corazzato. Superata dagli alleati la resistenza dei tedeschi opposta a Cecina – S. Vincenzo, il 25 luglio, sempre del 1944, Reder arrivò col suo reparto sull'Arno e a Pisa l' 8.8.1944 gli fu ordinato di lasciare il fronte. Il 9 agosto si trova a Pietrasanta. A pagina 16 degli atti del 1951, rigo 13, si legge. “Compare al Baccatoio, frequentava di certo villa Barsanti. Comandava un reparto ritirato dal fronte ed adibito a funzioni di sicurezza sul retro del fronte di appartenenza...” Nei giorni 11 e 12 agosto 1944 le sue truppe arrivano nella zona fra Carrara e la sua Marina. A Isola di Carrara fissò il suo primo posto di comando. Infine coi suoi piccoli reparti, l'11 agosto arrivò anche a Ruosìna, dovè stabilì il suo secondo posto di comando. E con la 4^ Compagnia pose un presidio anche a Seravezza, forse nella villa Pilli, notoriamente, in quel tempo, occupata dalle SS, come ebbe modo di vedere anche l'autore di questo scritto che tante volte passò davanti al suo cancello.
La giornalista Laura Griffo, scrisse un articolo pubblicato sulla La Nazione il 6.1.1985, che aveva redatto dopo una intervista a lei concessa dalla figlia della signora Sofia Viti Marchi la quale le parlò dei giorni trascorsi da Reder a Ruosina quando fu ospite nella casa della madre. Fra le altre cose la Griffo ha scritto. “ Eppure il maggiore delle SS Walter Reder, ventinovenne, comandante del 16° Btg. della sedicesima divisione Reichefukrer Rocce Unit, quei morti ammazzati sventrati bruciati dai suoi soldati, li ha per lo meno visti da molto vicino, come ha certo guardato levarsi nel cielo terso dell'estate , il fumo grasso e grigio dei corpi che bruciavano in un rogo di centinaia di creature. Parlando ancora di Reder ritengo opportuno trascrivere, qui di seguito, quanto ha dettagliatamente scritto Alfieri Tessa: “Considerato che fra i suoi compiti immediati, poteva esserci pure quello di proteggere le compagnie del 35°, e tutta l'operazione di sterminio, da un'eventuale attacco a sorpresa di forze partigiane durante le varie fasi dell'operazione stabilite in precedenza. Da ciò, tutto considerato , ecco la precauzione di salire sul monte attraverso i sentieri imboscati, ben nascosti, ed in compagnia di reparti della R.S.I., posti al comando di ufficiali repubblichini, che gli facevano da guida e protezione conoscendo i percorsi per averli già fatti. Se tutto fosse andato bene, una volta arrivati in alto su quella montagna, in tutta tranquillità avrebbe potuto osservare l'attuazione del programma di sterminio, che lui, responsabile nelle sue FUNZIONI DI SICUREZZA, aveva affidato al II° Btg. del 35° Reggimento comandato dal capitano Anton Galler, fuggito, finita la guerra, in Spagna dove poi scomparve.
E proprio per la sicurezza da assicurare ai tedeschi in arrivo nelle zone teatro delle operazioni belliche che non bisogna dimenticare quanto dichiarò Reder in relazione agli interventi contro le popolazioni di Bardine di S.Terenzo e di Valla ecc., e cioè di essersi avvalso di quel compito di sicurezza, motivo per cui soltanto uccidendo e intimorendo poteva riuscire ad ottenere appunto la sicurezza richiesta. Per i 150 massacrati sulla piazza della chiesa di S.Anna, l'ordine di ucciderli, secondo la testimonianza del caporale delle SS. Adolf Beckert, arrivò dopo una febbrile consultazione tramite la ricetrasmittente intercorsa tra l'ufficiale sul posto e un suo non identificato interlocutore, che Alfieri Tessa presume che potesse essere Reder , il quale dalla sommità della Foce di Compito, osservò e diresse l'operazione, via radio , in base alle funzioni di sicurezza a lui affidate.
Ringrazio ancora Alfieri Tessa che amo definire “il mio capitano” per gli interessanti suoi appunti che mi ha dato, nei quali ha parlato della lotta partigiana che fu combattuta in Versilia.
Renato SacchelliA

martedì 19 luglio 2011

sabato 16 luglio 2011

VISITA ALLA CAPPELLA ALLA SEDE DEL GRUPPO DEGLI ALPINI DI SERAVEZZA. E PER FORTUNA CHE C''E GENTE COME PRIMO.

Che bella sorpresa fu per me constatare che nella antica Pieve di San Martino alla
Cappella, abbia la propria sede il Gruppo degli ex alpini di Seravezza.
Questa piacevole notizia l'ho avuta quando nell'estate del 2003 sono salito lassù per ascoltare la Santa Messa celebrata in suffragio delle anime degli ex militari defunti della Guardia di finanza che furono iscritti alle gemellate Sezioni ANFI di Seravezza e di Massa, tra le quali quelle del presidente della sezione Massese, tenente Gastone Maccabruni, nonché della signora Giuliana Oriente, consorte di Renzo Maggi, presidente della Sezione versiliese, scomparsa recentemente
dopo una lunga e dolorosa malattia.
Terminata la funzione religiosa, Primo Giorgi, che prestò servizio militare di leva nel Corpo degli alpini durante l'ultima guerra e, dal 1949 per lunghi anni anche in quello della Guardia di finanza, ha invitato tutte le persone presenti nella chiesa a un rinfresco da lui allestito e offerto insieme ad altri “ veci alpin” a conferma della generosità che è proprio di questi uomini, permeati da alti valori umani, primo fra tutti quello della fratellanza.
C'è amore per la gente nel cuore di questi uomini che, negli anni più verdi della loro vita, portarono sul cappello “ La lunga penna nera”, e da sempre sono impegnati nelle opere del sociale a favore della collettività nazionale. E' un Corpo quello degli alpini ( fondato il 15 ottobre 1872 su proposta del capitano G.D. Perrucchetti) che è amato da tutti gli italiani, com' è visibile dai loro festosi e grandiosi raduni nazionali in cui vengono sempre accolti dalla popolazione con applausi scroscianti.
Primo Giorgi (l'uomo dai due cappelli alpini), anni addietro andò in Russia per costruire un asilo per i bambini di Rossosch, insieme ad altri ex alpini reduci della seconda guerra mondiale combattuta in quella terra nella quale morirono uccisi o scomparirono nella gelida steppa ricoperta dalla neve ghiacciata 120 mila soldati italiani, tra i quali anche mio zio paterno Guido Sacchelli, anche lui alpino.
Gli alpini nelle guerre combattute, si sono sempre altamente distinti, scrivendo col sangue pagine di epico valore. Furono essi a bloccare sul Piave, sul Grappa e sul Montello, durante la prima guerra mondiale del 1915-1918.
In Russia, il 25 gennaio 1943, gli alpini al comando del generale Luigi Reverberi, comandante della divisione Tridentina, sferrarono un attacco contro tre divisioni russe attestatesi nel villaggio di Nikolajewka un varco e sfuggire all'accerchiamento da parte dei sovietici che avevano sfondato il fronte lungo il Don. La cruenta battaglia costrinse i russi ad abbandonare le loro posizioni, e fu questa una grande vittoria degli alpini che riuscirono ad aprire la strada verso il ritorno a casa di 14 mila penne nere superstiti, anche se infiniti furono gli alpini che morirono, tant'è che Nikolajewka da allora fu considerata la loro tomba. Quando radio Mosca, l' 8 febbraio 1943, annunciò la loro vittoria sulle forze dell'Asse, la voce dello speaker cambiò tono nel momento in cui disse: “Solo il Corpo alpino italiano deve ritenersi imbattuto in terra di Russia”. Dopo questa breve parentesi ritorno a parlare della Cappella. Appena sono entrato nella sede degli alpini, col tetto rifatto e con il locale ristrutturato rimesso completamente a nuovo, anche con l'impiego di marmi pregiati, e con una mansarda adibita a cucina munita di tutto quanto per il suo funzionamento, Primo e gli altri suoi ex commilitoni, con evidente soddisfazione, mi hanno fornito informazioni in merito al locale ottenuto in comodato per 99 anni dal comune di Seravezza, al quale l'avevano richiesto sin dal 1992. “ Era un rudere quando l'abbiamo avuto. Tutto è stato pagato per i lavori fatti” precisano con molta fierezza. E ancora mi dicono: “ In questo locale, secoli fa, vi era la sede del comune della Cappella, del quale facevano parte i paesini montani di Azzano, Fabbiano, Mimazzana, Giustagnana , Basati, Cerreta San Nicola e Cerreta Sant'Antonio, Ruosina e Malbacco. Nel passato fu anche utilizzato come aula scolastica per i bambini della comunità montana.” E' vero. Anch'io la vidi in occasione di una gita effettuata dagli scolari della scuola elementare di Seravezza verso la fine degli anni 30.Alla Cappella c'è stato anche Michelangelo interessato sia all'utilizzazione del prezioso marmo bardiglio che veniva estratto dalla cava sottostante, sia per l'estrazione di colonne di marmo dalle cave del Trambiserra da impiegare nella costruzione della facciata del duomo di San Lorenzo da lui disegnata e modellata su incarico di Papa Leone x, un 'opera che non fu mai iniziata. Qui il sommo artista transitava e sostava quando scopri la cava del marmo statuario sul Monte Altissimo.” Pare ancora di sentire, alla Cappella, aleggiare lo spirito di Michelangelo, al quale la tradizione attribuisce, non scientificamente provata, il Porticato ionico con i capitelli a campanaccio, distrutto dagli eventi bellici del 1944/45 ( i cui resti sono ancora visibili), e il rosone che spicca sulla facciata della chiesa , noto ormai come “l'occhio di Michelangelo”, anche se l'avrà fatto il Benti. La sede è piena di gagliardetti, una gavetta troneggia su una mensola. Al centro della parete è murata una madonnina, scolpita in marmo bianco con due bambini tenuti nelle mani, che reca incisa l'iscrizione: ” COMPIUTA MDCXLII1”. C'è anche un quadro del pittore versiliese Gian Paolo Giovannetti, un aquilone che è l'emblema del Corpo degli alpini, in volo sulle cime dei monti. Sempre alla stessa parete è affisso un quadro recante la fotografia del maresciallo degli alpini Galliano Tarabella nato ad Azzano e morto in Russia, nonchè la motivazione della concessione al predetto della medaglia di argento al valore militare per il suo comportamento tenuto durante la battaglia combattuta nella zona di Popowka sul fronte russo il 20 gennaio 1943. Penzola dalla cornicetta, una catenina alla quale è stata attaccata appunto questa medaglia di argento, concessa all'eroico alpino versiliese, al nome del quale i componenti del Gruppo di Seravezza hanno voluto intitolare la loro sede.
E' stata anche una ulteriore sorpresa vedere affissa alla parete la fotografia dell'equipaggio americano che il 9 agosto 1945 effettuò sulla città di Nagasaki il secondo bombardamento nucleare della storia che causò 40 mila morti, 40 mila feriti e la distruzione di un terzo degli edifici della cittadina giapponese. Giorgi mi indica un pilota. “ Questo è un italo americano, in quanto figlio di una coppia di emigrati in America da Corsanico, La foto sono riuscito ad averla da uno che abita là” Quando mi affaccio alla finestra rimango straordinariamente incantato dall'eccezionale paesaggio sottostante, nel quale il mio sguardo arriva fino alla pianura e si perde nel nostro mare di Versilia, davvero le emozioni non finiscono mai. Immagino che da quella finestra anche il grande Michelangelo avrà avuto nel 1518 le mie stesse sensazioni. Prima di allontanarmi dalla Cappella, dove ho sentito il dovere di salire per ascoltare la Santa Messa celebrata a suffragio dell'anima di tanti cari amici e colleghi defunti, nonché della cara Giuliana, sempre festosa in mezzo a noi ex finanzieri durante i nostri rituali incontri (ricordo di avere cantato insieme a lei anche “ O sole mio”, durante la festa indetta ìn occasione della ricorrenza del 226° anniversario della fondazione del Corpo) sono ritornato all'interno dell'antica e bella chiesa tutta costruita in marmo bianco per osservare attentamente l'opera ritenuta edificata dai nostri antenati prima dell'anno 1000. Mentre stavo per uscire sono rimasto improvvisamente scioccato quando ho notato una nicchia vuota, con sopra affisso un cartello recante la scritta, a caratteri in stampatello “ RUBATO”. Non avevo ancora acquistato il prezioso Almanacco Versiliese di Giorgio Giannelli, cosicché ho telefonato al parroco della Cappella, il quale mi ha informato che il furto commesso nell'anno 2000, riguardava una pregevole tela del 1750, raffigurante
“ Una disputa sull'eucarestia” di autore ignoto. E' per questo grave fatto che concludo questo mio articolo invitando gli scellerati ladri sacrileghi, nel caso in cui mi leggessero, di restituire alla chiesa di San Martino alla Cappella il suo quadro; hanno il dovere di farlo per rimettere a posto, innanzi tutto, la loro coscienza, e per ritrovare la via del bene, l'unica che apporta all'uomo gioia e amore.



P. S. - Convinto del fatto che questo mio articolo, che fu pubblicato sul numero di agosto del 2003 di Versilia Oggi, narra fatti da me ritenuti interessanti, ho deciso di inserirlo nel mio blog in onore della memoria di Primo Giorgi scomparso qualche anno fa e di tutti gli alpini d'Italia, tra i quali fece parte anche mio padre (classe 1906) e i suoi fratelli, Pietro classe 1908, Lorenzo classe 1915 e  Guido (classe 1919) che fu  dichiarato disperso in Russia.

mercoledì 13 luglio 2011

Le voci del Cuore: Amore, Carità e Perdono.

La storia degli uomini fin dai tempi remoti ci narra di spaventose guerre mondiali e di sanguinose lotte fratricide, nelle quali, complessivamente, sono stati uccisi milioni e milioni di esseri umani e procurato una schiera infinita di feriti, tantissimi resi inabili ad ogni proficuo lavoro. Non bastavano le guerre, anche delitti efferati sono sempre stati perpetrati da una criminalità organizzata. E ancora, l'uso non terapeutico della droga ha avvelenato e ucciso un numero infinito di uomini. Infine, secolari squilibri socio economici, in ordine ai quali nel “pianeta terra” una moltitudine di gente, specie in Africa, tuttora soffre la fame fino a morirne, e la difficile situazione in cui si trovano quotidianamente portatori di gravissimi handicap, sono problematiche che non ci possono lasciare indifferenti, ma inducono a riflettere su quanto deve fare l'uomo quale figlio di Dio e generato da un atto di amore, per la costruzione di un mondo migliore, in cui regni la prosperità e la pace universale fra tutti i popoli della Terra.
Dico subito che spetta alla politica che deve essere svolta da uomini animati dalla passione, dallo spirito di sacrificio e da apostolato. E' chiaro che coloro che svolgono un'attività politica anche ai più alti incarichi per il governo della collettività nazionale, debba essere ben retribuito, ma anche qui occorre porre dei limiti. Ogni uomo che svolge funzioni pubbliche deve sentirsi gratificato per il bene che esso compie nell'interesse dei suoi amministrati che lo hanno delegato a rappresentarlo nei vari organi istituzionali. Retribuire chi svolge questi importanti incarichi con compensi da
“ Paperone” è però un fatto che genera degli squilibri che non possono essere sopportati dalla larga massa di lavoratori e/o tanti pensionati che stentano ad arrivare alla fine del mese con i magri salari e le modeste pensioni che percepiscono.
Un ruolo importante, direi decisivo, per l'edificazione di un mondo senza più ingiustizie e quindi dal volto più umano, spetta a coloro che sono chiamati dalla voce di Dio a svolgere una costante opera di evangelizzazione ovunque palpiti il cuore degli uomini.
Occorre ritrovare lo spirito di fratellanza e si debbono abbattere tutti gli steccati che fin dai tempi più antichi hanno causato sanguinose guerre e immani rovine.
La predicazione del Vangelo sarà tanto più efficace se verrà accompagnata da testimonianze di carità. Solo così i valori che scaturiscono dalla “Fede Cristiana”, appariranno in tutta la loro grandezza universale. Dio ci vuole caritatevoli e pronti ad aiutare il prossimo.
Egli attraverso il Vangelo della carità, ci fa sentire la sua presenza e parla al nostro cuore.
Il cristiano deve pertanto agire di conseguenza, quale soggetto attivo di iniziative tese a vivificare l'amore che mai dovrebbe venire meno tra gli uomini. Chi crede in lui deve tenere presente che il Signore non attende i suoi figli solo in chiesa, ma li aspetta in quei luoghi dove la gente che soffre ha bisogno di assistenza sia morale che materiale.
Per svolgere questa feconda opera di bene. È auspicabile che molte persone facciano parte dei gruppi della Caritas e/o di altre benemerite associazioni di volontariato, in quanto strumenti di dialogo e di amore a dimostrazione di un concreto spirito di solidarietà umana.
Inoltre questa opera gratificante ed educativa, sicuramente allieterà il cuore di coloro che, nel nome del Signore, si adopereranno in un modo o nell'altro , per lenire le sofferenze quotidiane dei propri fratelli più sfortunati.
Mi preme sottolineare che gli insegnamenti cristiani, sopra accennati, li ho approfonditi grazie alle lezioni di catechesi per adulti, cui ho assistito nella mia parrocchia di Casciavola, svolte dal parroco don Nino Guidi, nativo di Pruno, località dell'alta Versilia, da me considerato un grande sacerdote.

venerdì 1 luglio 2011

Aborto: una tragedia mondiale del nostro tempo

“ Vita anche per me
pellegrino nella tua carne
lo senti tu
la mia paura
è stata un onda di morte
sfuggita da chissà dove
forse da un angolo disperato
della tua anima.
Mamma fammi nascere
per la vita che mi hai dato
per la mia coscienza
per mio Padre Iddio.
Mamma non respingermi nel buio.
Chi mi proteggerà da te?
Aspetta solo un po'
e mi vedrai sorridere
e succhierò da te la vita
e ti coprirò di baci...”

Ecco, questa è una parte della lunga e struggente canzone piena di amore che dovrebbe essere in testa alla classifica della “hit parade” per l'anelito alla vita che esprime e che ha fatto vibrare le corde della mia sensibilità di uomo messa anche duramente di fronte “ai cinquanta milioni di bambini che ogni anno nel mondo vengono uccisi dall'aborto”,come si legge sulla pietra che fa da sfondo al monumento ai “ bimbi mai nati “, inaugurato nel cimitero dell'Aquila il 28 dicembre 1991.
Questa opera monumentale che sembra essere uscita da un mondo di fantasmi, costituita dalla statua della Madonna senza volto con in braccio alcuni bambini, anch'essi senza viso, davanti al quale sono stati sepolti i resti di aborti praticati presso la Usl dell' Aquila nell'ultimo biennio, deve far riflettere la coscienza degli uomini su questa tragedia che sconvolge e mina la crescita ed il sano sviluppo di ogni nazione civile. E' in questo unitario contesto cristiano delle cose terrene che si colloca il monumento, motivo per cui non condivido la dichiarazione, riportata dalla stampa quotidiana, della senatrice Elena Marinucci, sottosegretario alla sanità, la quale, in proposito, ha affermato che si tratta “di uno squallido ed illegittimo tentativo si ottenere l'apprezzamento della parte più retriva della società italiana, che è anche largamente minoritaria secondo i risultati del referendum della legge che ha liberato le donne dall'aborto clandestino”
Gli uomini di buona volontà di cui il, mondo è ricco anche se gli episodi di violenza che ogni giorno vengono commessi un po' da tutte le parti potrebbero indurci a pensare il contrario, sono grati, senatrice Marinucci, al “Movimento per la vita- Armata Bianca” per il coraggio dimostrato in un momento così pieno di contraddizioni, nell'erigere un monumento che vuole ricordare a tutti la sacralità della vita nelle dimensioni più elevate.
Il monumento è stato inaugurato e benedetto dal vescovo Mario Peressin alla presenza di alcune centinaia di persone tra le quali il presidente del Movimento on. Giorgio Casini, del sindaco della città abruzzese e del registra Franco Zeffirelli, che ha motivato la sua partecipazione alla cerimonia con “la necessità di dare una testimonianza da cristiano per la tragedia forse più grave del nostro tempo: l'assassinio dell'incarnato”.
Tanti anni fa , durante la mia permanenza nel meridione, ebbi l'occasione di conoscere alcune famiglie non ricche, direi abbastanza bisognose, con dieci ed amche quindici figli a carico.


Da allora spesso ho pensato alla felicità immensa ed indescrivibile che i genitori della numerosa prole hanno provato nel vedere crescere intorno ad essi, sia pure con fatica e fra tante difficoltà, le loro creaturefrutto di un amore sicuramente mai offuscato, neppure dal pensiero, dall'interruzione delle varie maternità con intervent abortivi.
Madri cor4aggio o incoscienti? No! Queste donne interpretavano semplicemente la filosofia di vita popolare di quei posti, in base alla quale i figli sono ”doni di Dio” ovvero so'pezzi core”.
Io credo che la legge che disciplina attualmente l'aborto debba essere modificata, nel senso che alle pratiche del genere debbono ricorrere le gestanti nel caso in cui siano affette da patologie che possono determinare, se la gravidanza viene comunque portata avanti, gravi conseguenze alla salute della donna che del nascituro.
Sono altresì convinto, tanto per fare alcuni esempi rimanendo nell'ambito della nostra nazione, che se scomparirà il fenomeno della disoccupazione giovanile ed anche quello della droga velenosa, se il governo affronterà in modo definitivo, e sarebbe ora, il problema dell'edilizia pubblica residenziale per soddisfare le esigenze di chi ha bisogno di una casa, con il pagamento di un canone proporzionato alle entrate della famiglia, se miglioreranno le condizioni generali di vita della collettività, in particolare quelle delle categorie più bisognose e se le ragazzi madri saranno affettuosamente ed economicamente assistite, qualora fossero sprovviste di redditi propri, evitando così il loro abbandono alla cupa disperazione, rari saranno i casi di aborto dei quali la donna è comunque vittima.
Sì perché nel suo cuore rimangono i segni di una profonda lacerazione che col trascorrere del tempo genererà anche un angoscioso rimorso per l'assenza, nella solitudine della sua vecchiaia, di quei figli che se non li avesse respinti, le farebbero vedere la bellezza della sua vita di madre, anche nell' età più avanzata, in virtù dell'amore filiale.


In considerazione del fatto che il tema di questo mio articolo, pubblicato su “ il Dialogo “ del mese di gennaio 1992, è ancora estremamente attuale, ho ritenuto opportuno riportarlo sul mio blog

mercoledì 29 giugno 2011

Un parlatimi più di paradisi artificiali

Finimola ragà di giocà col foco!
La droga vi avvelena e po' vi uccide.
Ditimi perchè vi bucate?
E' atroce, duvete capillo, quélo che fate.
Col cervello bloccato da false sensazioni,
un riscite a vedé la bellezza de la vita
che tale è se vissuta accanto a le persone
che vi voglino veramente bene:
la mà, il babbo, ' ffratelli, ' nnonni
e na bela giovenetta che po' doventerà
la vostra cara e amata sposa.
Nell'amore e ne la capacità di laborà
troverete la forza per superà, state siguri,
i momenti dificili de la vita.
Forti duvete esse, per strappà a le rocce
le mitiche, guasi inafferrabili stelle alpine,
e lassù, dalle cime dei monti,capirete
di avello sotto il vostro sguardo
il mondo meraviglioso che Dio ha creato
per vò e per tutta l'Umanità.
E un parlatimi più di paradisi artificiali,
non fate i bischeri ragà: un vi rovinate!

Droga: Perché morire?

Cosa si può scrivere sulla droga, su questo tema sempre di scottante attualità, oggetto di un recente provvedimento legislativo per frenarne l'uso, di tramissioni televisive con sequenze crudeli, di dibattiti in seno a comitati ed associazioni e di articoli pubblicati su riviste e giornali, sovente, ahimè riferibili ad agghiaccianti episodi di cronaca nera maturati nel mondo perverso dei traffici illeciti di tale sostanza?
Mentre scrivo tanti pensieri e riflessioni balenano nella mia mente. La tristezza che mi pervade è in certo senso attenuata dalla fiducia che ho nei giovani, il cui senso di coscienza, di maturità di pensiero e di cognizione reale dei fatti,determineranno, un giorno non lontano, la fine di questo grave problema.
E' ai tossico dipententi ed a coloro che finora hanno avuto esperienze iniziali con la droga per una irresponsabile curiosità o per gioco, che dedico questo mio scritto.
Esprimo ciò che sento con molta semplicità come desidera fare un padre quando vede i propri figli esposti ad un cosi grave pericolo.
Sento dire in giro , da tanti anni, che i drogati sono dei giovani deboli, dei viziati e degli
esseri privi privi di coraggio, per il modo in cui sono divenuti schiavi della droga, un veleno che genera uno stato di intossicazione cronica quando ne viene fatto un uso ripetuto, con conseguenze letali e quasi giornaliere, ormai sotto gli occhi di tutti.
Chiaramente occorre una grande forza di volontà per uscire fuori da questo tunnel maledetto, un'energia che può scaturire dal bisogno di dimostrare, innanzi tutto a se stessi, di essere uomini nel vero senso della parola.
E' una prova di carattere che questi giovani, che io definisco anche sfortunati, devono fornire per fare vedere quanto di bello e di grande hanno ancora dentro di sé, facendo, nella circostanza, ricorso all'aiuto del Signore che sicuramente ascolterà le loro preghiere che fanno sempre bene al cuore e confortano l'uomo nei momenti più difficili della loro vita.
Vorrei ricordare a queste creature ch per costruire un mondo migliore, una società senza guerre, in cui ci sia giustizia sociale e non più miseria, c'è bisogno del contributo di tutti, ed in modo particolare della fertile creatività dei giovani, i quali, prima o poi, saranno chiamati ad occupare posti di responsabilità nel governo della collettività.
Sbagliano coloro coloro che nel tenativo di tirarsi indietro, di sottrarsi alle proprie responsabilità, ricorrono alla droga per provare sensazioni nuove, i cosiddetti paradisi artificiali, che recano gravi danni all'organismo fino a condurre ad una morte prematura tra dolori atroci.
Perché morire? Non ci pensate ragazzi al dolore che procurate ai vostri genitori che vi hanno dato la vita e fatto crescere con amore, sognando per voi, quando eravate piccini e vi stringevano fra le braccia, orizzonti meravigliosi, mentre ora sono soli coi loro sogni infranti? Non ci pensate al dolore che procurate ai vostri fratelli e sorelle, ai vostri cari nonni ed a tutti quelli che vi vogliono bene? Non riflettete sulla perdita di ogni residuo di dignità senza la quale c'è chi è indotto, con riferimento a quegli elementi che non hanno denaro sufficiente per acquistare la droga, a commettere scippi, furti ed anche delitti più gravi, tutti reati che conducono al carcere? Perché rinunciare allo splendido sorriso di una donna che vi può accompagnare tutta la vita e ad avere una famiglia e dei figli?
Io non riesco neppure ad immaginare quali siano gli effetti che derivano dall'uso della droga. Valutate ciò che ogni giorno accade nel mondo, anziché parlare di paradisi artificiali, sarebbe più appropriato definirli inferni. E che inferni!
L'uso della droga non può essere giustificato neppure da coloro che non riescono ad inserirsi, per molteplici motivi, in questa società, anche se dobbiamo riconoscere che chi non trova un lavoro vive davvero un autentico dramma che coinvolge tutti i suoi familiari.
Anche i giovani del passato hanno avuto gli stessi problemi occupazionali. Difficoltà enormi
furono avvertiti dalla mia generazione a causa della guerra tremenda che devastò in modo particolare la Versilia.
Con le macerie ancora fumanti e con la scarsità del cibo che continuava a persistere anche dopo la fine della guerra, avevamo altri problemi a cui pensare. Sentii parlare di droga per la prima volta dopo l'immediato dopoguerra, quando udii alcuni giovanotti discutere fra loro verosimilmente di fantasiose avventure amorose.
Noi ragazzi di ieri siamo stati defraudati anche della spensierata fanciullezza che deriva ai bimbi dal fatto di crescere, di studiare e di formare il loro carattere in un paese in pace con tutti i popoli e non impegnato in una guerra tremenda di cui siamo stati vittime innocenti.
Dalla fine di tanto immame conflitto si vive in pace e ciò è veramente importante e bello. Così i ragazzi di oggi solo dalla lettura dei libri di storia e da ciò che di grave purtroppo sta accadendo in altre parti del mondo, conoscono gli orrori della guerra.
Noi abbiamo sofferto lunghi periodi di fame e visto aerei sganciare sopra le nostre teste micidiali bombe. In noi non è ancora spenta l'eco delle esplosioni terrificanti dei colpi di mortaio cadutici addosso come chicchi di grandine: nei nostri occhi ci sono tuttora impresse le immagini delle persone dilaniate ed uccise dalle bombe e moriremo senza dimenticare l'attimo in cui, nel 1944, i tedeschi fecero saltare in aria le nostre case.
Ora è vero, ci sono tante tematiche sul tappeto che derivano dalle radicali mutazioni avvenute in questi ultimi decenni nei costumi e nei modi di vita della nostra società. Anche se si avvertono molte difficoltà sicuramente tutto andrà per il meglio. Bisogna essere ottimisti e mai disperarsi.
Spero proprio , sinceramente, che quanto prima la droga rimanga un ricordo lontano per tanti giovani, in modo che sul volto di ciascuno di essi riaffiori un luminoso sorriso a significazione di una ritrovata gioia di vivere.
Ai genitori, sempre in pena, il difficile compito di di aiutarli il più amorevolmente possibile, affinché superino nel migliore dei modi questo momento grave della loro esistenza.


Questo mio articolo è stato pubblicato su il Dialogo, mensile cattolico Versiliese, diretto dal suo fondatore don Florio Giannini, nel mese di settembre 1990.
La pubblicazione sul mio blog è scaturita dalla considerazione che l'argomento in questione è tuttora , dolorosamente, attuale.





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sabato 18 giugno 2011

PACE UNIVERSALE

Epressione di una amore infinito fra tutti gli uomini della terra

Quando ritorno a percorrere le strade di Seravezza, un fatto che , ahimè, avviene sempre più raramente, sono poche le persone di mia conoscenza che mi capita d'incontrare; a volte mi pare di essere un “ forastièro”, sì un uomo proveniente da un paese lontano.

E' al cimitero, dove riposano i resti dei miei genitori e di altri stretti parenti e cari amici e conoscenti che la mia memoria si accende al ricordo nitido della moltitudine di gente che conobbi fin da quando ero bambino.

La visione delle loro tombe marmoree, di loculi, di cumuli di terra che mani amorose hanno trasformato in aiuole fiorite, di molte luci sempre accese, e di infiniti vasi colmi di fiori, oltre che a commuovermi, mi induce anche a riflettere sulla nostra breve esistenza terrena.

Una riflessione che mi fa comunque pensare ad una vita di valori se vissuta senza guerre fra i popoli del mondo in un clima di pace universale, intesa come espressione di un amore infinito fra tutti li uomini, secondo il disegno di Colui che ci ha creato.

venerdì 17 giugno 2011

Iddio il nostro Padre Celeste

Devo a Don Florio Giannini, che è stato direttore del periodico mensile cattolico Il Dialogo, da lui fondato a Ruosina di Seravezza nel 1979, il cui ultimo numero, se non erro, è uscito a gennaio del 2007, se negli anni in cui sono stato un suo fedele abbonato e modesto collaboratore, ho approfondito le mie conoscenze sia sulle verità del cristianesimo che in campo filosofico. E' dal prezioso libretto edito dalla sua prestigiosa casa editrice Il Dialogo, che lui mi donò, se ho potuto leggere tante toccanti e struggenti preghiere che il famoso filosofo, pensatore, teologo e protestante danese Sorem Aabye Kierkegaard, rivolse, nell'Ottocento, al nostro Dio onniscente, creatore del mondo.
Il pensiero filosofico di Kierkegaard, considerato il padre dell'esistenzialismo, si concentra nell'analisi dell'esistenza umana, secondo i comportamenti umani originali e propri di ciascun uomo, dai quali emergono chiaramente i rapporti con la società, il mondo e Dio.
Da questo rapporto si delineano soltanto le possibilità che le creature umane hanno per vivere cristianamente, quindi al meglio, la loro esistenza se osservano le tavole della legge che Dio diede a Mosè sul monte Sinai, e non le necessità, che, comunque, l'uomo ha sempre durante la sua vita terrena.
Conseguentemente balzano fuori le varie problematiche della realtà umana che ogni uomo deve affrontare tutti i giorni della sua esistenza terrena, sovente anche col cuore in preda all' angoscia, allorchè si rende conto dei molti dubbi che avverte nel proprio io cosciente in ordine appunto alla limitatezza del suo agire.
Kierkegaard nacque a Copenaghen il 3 maggio 1812 ed ivi morì l'11 novembre 1855.
Egli fu in continua polemica con quelle filosofie accademiche che, a suo parere, non erano di nessuna utilità pratica. Cresciuto in un ambiente di esasperata religiosità, in sostanza, il suo pensiero filosofico s'impernia sulla dimensione soggettiva dell'uomo volto alla ricerca della verità. In polemica con l' hegelismo stabilì i temi primari dell'esistenzialismo contrapponendo alla filosofia oggettiva di Hegel la filosofia soggettiva del singolo e alla dialettica della ragione le argomentazione della dialettica esistenziale che comportano la libertà e la scelta delle decisioni che l'uomo deve prendere nel corso della suavita. Dalla libertà è possibile che l'uomo arrivi a peccare, da qui si arriva all'angoscia che soltanto la fede può risolvere e superare. Il suo dialogo con Dio , di una esaltante spiritualità, fanno risplendere la figura del nostro Padre misericordioso e invisibile , ma percettibile per i suoi segnali divini che attraggono tutte le anime degli uomini buoni e giusti destinate a raggiungerlo, lassù, nel Paradiso.
Nella sua preghiera;”” Cristo cammina sulle acque” il filosofo Kierkegaard, tra l'altro, dice al Signore: “Sì Padre, tanto spesso noi abbiamo provato che il mondo non ci può dare la pace. Ma tu facci sentire che sentiamo la verità della promessa che la Tua Pace il mondo intero non ce la può togliere”.
Concludo anch'io con una brevissima preghiera alla Kierkegaard. “ Signore fammi ritrovare la via del bene e dell'amore che in questo mondo sconvolto continuamente dalla guerre, da molte ingiustizie e da tanta miseria, a me spesso pare di avere smarrito. Ti esorto mio Dio, fa che la Pace duri in eterno fra tutti i popoli del mondo.

martedì 14 giugno 2011

La mia vita a Seravezza quando ero chierichetto
Ricordo del cappellano don Giuseppe Bertini, il sacerdote torturato e fucilato
dalle SS decorato, alla memoria, della medaglia d'oro al valor militare
Avevo poco più di dieci anni quando, d'un colpo , mi venne il desiderio di andare a servire la Santa Messa che a Seravezza veniva celebrata la mattina presto, mentre “fora” (1)era ancora buio. Se non sbaglio mi pare proprio che la prima Santa Messa iniziasse alle ore cinque. Quindi pensandoci bene, non fui mosso dalla ricerca di un qualcosa di nuovo per passare le giornate, bensì dalla spinta che ricevette il mio cuore attratto dalla figura del Cristo Redentore che sentii maggiormente dopo aver letto un libro sulla vita del fondatore dei Salesiani, don Giovanni Bosco, il santo che dedicò, nel 1800, la sua esistenza terrena alla cura della gioventù più povera, tant'è che i suoi principi educativi ebbero una grande diffusione in tutte le parrocchie italiane.
Negli anni della mia fanciullezza gli abitanti di Seravezza partecipavano numerosi alle funzioni religiose, non ho mai dimenticato quel giorno di festa in cui vidi il duomo dei santissimi San Lorenzo e Barbara e le strade gremite di fedeli arrivati anche dai vicini paesi montani per assistere alla prima Santa Messa celebrata da un giovane seravezzino, mi pare che fosse don Bonci, ordinato sacerdote.
Ricordo quando d'inverno mi alzavo dal letto tutto infreddolito e con le mani “gronchie” (2), mentre raggiungevo la chiesa dei Santissimi Lorenzo e Barbara, della quale era parroco monsignor Angelo Riccomini che si avvaleva della collaborazione del giovane cappellano don Giuseppe Bertini, nato a Barbaricina, una località alla periferia di Pisa.
Più di una volta,nella stagione invernale, mi sembrava di attraversare un paesaggio lunare col ghiaccio a forma di candele, formatosi dopo la caduta della pioggia sotto le gronde delle case, oppure dopo lo scioglimento della neve che aveva ricoperto i tetti.

In chiesa veniva anche un giovanotto di Seravezza che lavorava nel laboratorio dei marmi della ditta Casini & Tessa, che allora c 'era a Corvaia. Egli serviva la Santa Messa e faceva anche un pò da sacrestano. Ad un certo punto non lo vidi più, seppi che era andato a studiare nel seminario pisano di Santa Caterina per divenire sacerdote. La Santa Messa veniva celebrata in latino. Fu il cappellano don Giuseppe Bertini ad insegnarmi le risposte che i chierichetti erano tenuti a dare al celebrante durante la funzione religiosa. Non era facile. Avevo delle difficoltà che superai grazie alla tanta pazienza che dimostrava di avere il giovane cappellano. Nel recitare il “suscipia te Domini...” c'era una frase che non riuscivo a pronunciare bene, così dovetti ripeterla più di una volta; alla fine la imparai alla perfezione. Durante la benedizione delle case del Montorno, dell' Uccelliera e della Canala, il cappellano veniva accompagnato da due chierichetti, uno dei quali portava un cesto per le uova fresche donate dalle parrocchiane che tenevano alcune galline. Oltre alle uova venivano raccolti gli oboli offerti alla chiesa dagli abitanti delle case benedette. Quando i chierichetti, a giro fatto, ritornavano in canonica consegnavano subito il cesto delle uova alla mamma del parroco : un fatto questo che le procurava un visibile piacere , come si poteva rilevare dal sorriso che le illuminava il volto. Un giorno anch'io accarezzai l'idea di “farmi prete”, come allora si diceva. Lo accennai ad alcuni miei cugini nessuno dei quali mi incoraggiò a realizzare questo mio nascente desiderio. Ricordo che essi espressero parere contrario, Così il mio sogno svanì sul nascere, verosimilmente perché non fu sorretto da una vocazio9ne forte e decisa. Qualche volta, nella mia vita di uomo adulto, mi sono domandato che prete sarei stato se fossi divenuto sacerdote. Sempre mi sono risposto che avrei aperto la mia mensa ai poveri, attraverso i quali Gesù si manifesta a noi. Durante il periodo in cui ero chierichetto servii la Santa Messa anche all' anziano don Binelli, cugino di mia madre, che nel passato fu impiegato, con mansioni di alta responsabilità, presso la filiale di un istituto bancario di Seravezza. Una mattina, dopo la celebrazione della Santa Messa, don Binelli che abitava in Torcicoda e che certamente doveva conoscere i bisogni della mia famiglia, mi mise in mano una moneta da mezza lira. Ricordo che mi disse: “Mettila in tasca... non ci rumare e dalla alla tua mamma! “ A Seravezza c'erano tanti chierichetti, ma io ricordo soltanto Matteo Bonci che era mio vicino di casa e Mario Tarabella che era la più bella voce del coro della chiesa. Spesso noi chierichetti si litigava quando si doveva indossare il riccetto che veniva tenuto in canonica alla rinfusa. Qualche volta si arrivava, in modo vergognoso, a qualche scazzottata fra noi.. quando , forse anche a torto,  qualcuno  riteneva che il suo riccetto era stato indossato da un altro chierichetto. Don Giuseppe Bertini era estremamente affettuoso con tutti noi ragazzi, non ricordo di essere mai stato rimproverato. Egli era amato e rispettato da tutti i seravezzini, come ebbe il piacere di constatare anche Giovanni,il suo fratello più piccolo, che un giorno venne a trovarlo a Seravezza. Fu in quell'occasione che egli constatò, mentre entrambi fecero un giro lungo le strade del paese, che tutte le persone che incontravano rivolgevano il saluto al proprio fratello con grande deferenza. Con questo suo fratello più piccolo, divenuto anche lui sacerdote e poi parroco della tenuta Presidenziale di San Rossore nonché cappellano della locale Cappella Palatina, parlai durante un pranzo sociale che si svolse circa trent'anni fa presso la locale Brigata della Guardia di Finanza quando fu festeggiata una ricorrenza annuale della fondazione del Corpo. Fu don Giovanni Bertini, fratello di don Giuseppe, il nostro ospite d'onore. “Sono stato chierichetto di don Giuseppe quand' era cappellano a Seravezza. Era molto bravo, non l'ho mai dimenticato”. Cosi gli dissi quando ci mettemmo a dialogare; ricordo che si commosse. Capii che i due fratelli si volevano molto bene, tant'è che l'esempio di vita di quello più grande indusse il più piccolo ad entrare in seminario e divenire anche lui sacerdote. Nel settembre 1943 don Giuseppe Bertini assunse l'incarico di parroco della frazione di Molina di Quosa del comune di S.Giuliano Terme. Erano tempi durissimi per tutta la popolazione. La fame si faceva sentire forte, forte. Don Giuseppe non se ne stette con le man in mano. Organizzò la raccolta di viveri da distribuire ai parrocchiani, fra i quali anche i partigiani che operavano nella zona. Il suo alto magistero sacerdotale gli fece aprire la porte della sua canonica a tutti i fedeli bisognosi, senza alcuna distinzione. Fu di esempio e di sprone agli abitanti del paese che vedevano in lui un faro di luce, come mi raccontò un giovane universitario, che studiava insieme a mio figlio, che sapeva tante cose su don Giuseppe Bertini per averle sentite dire dai genitori e nonni. Anche un mio collega mi ha raccontato che suo padre, nel 1944 , più di una volta attraversò con una barca a remi, insieme a don Giuseppe, il fiume Serchio per raggiungere un vicino molino dove sempre riuscivano a procacciarsi un po' di farina di grano e di granturco di cui avevano bisogno i suoi parrocchiani per sopravvivere. Catturato dalle S.S. nel settembre del 1944 e rinchiuso nel forte Malaspina di Massa insieme ad altri sacerdoti, fu trattato in modo brutale e violento. Nel libro ” La strage degli Innocenti” di Giorgio Giannelli, è riportata la frase rivolta sia a don Giuseppe Bertini che ad altri sacerdoti arrestati e trucidati in quel tempo: “ Voi preti siete un branco di mascalzoni, di farabutti e di spie. Pregate Iddio, piagnucolate e poi nelle vostre chiese e nei vostri conventi si trovano armi, mitragliatrici e viveri per i ribelli”. Ecco cosa gli dissero dopo che lui aveva confermato di essere il parroco di Molina di Quosa. A don Giuseppe fu chiesto di fornire i nomi dei partigiani. Fu torturato a sangue,ma dalla sua bocca uscirono soltanto parole di perdono per i suoi aguzzini.
Il 19 settembre 1944 fu fucilato insieme a 34 altri uomini, tra i quali alcuni ex gerarchi del passato regime del ventennio fascista,odiati ormai dalle S.S. che non avevano più rispetto per nessuno. Quel giorno fu ucciso anche il chierico Renzo Tognetti, nativo del Crociale e prossimo ad essere nominato sacerdote. Il Tognetti fu catturato la mattina del 12 agosto 1944, lo stesso giorno in cui fu commessa l'orribile strage di Sant'Anna di Stazzema, nella canonica della chiesa di Valdicastello, insieme al parroco don Libero Raglianti, anch'esso ucciso il 29 agosto 1944 a Filettole, dopo essere stato ristretto e torturato nelle case pie di Lucca e Nozzano, trasformate in carceri dalle crudeli S.S..Per il suo eroico comportamento don Giuseppe Bertini è stato insignito, alla memoria, della medaglia d' oro al valor militare.

1)Fora. (Voce del vocabolario versiliese) - Fuori;
2)Gronchie, “ “ “ - Dita delle mani intirizzite dal freddo.

martedì 7 giugno 2011

Notizie de visu sullo scultore John Fischer

Ecco le notizie de visu e anche apprese ad Azzano il giorno della inaugurazione del monumento dedicato alla Madonna del Cavatore, riguardanti John Fischer, scultore californiano:
Johon Fischer è un bell'uomo che nel 2005 aveva 54 anni.
E' venuto in Versilia nel 1985, facendovi ritorno nel 1987.
Da allora non se n'è più andato.
In Versilia era molto conosciuto per le sue opere, tra cui l'altare della chiesa di Vaiana.
Ha dipinto anche " La Lira", il drappo che ogni anno viene dato in premio ai vincitori del Palio dei Micci di Querceta.
Fece presente dopo l'inaugurazione del monumento che sarebbe ritornato negli Stati Uniti dove gli erano state commissionate grosse sculture.
Avrebbe fatto ritorno in Versilia per acquistare il marmo su cui lavorare.
Fischer ha lasciato nella nostra terra il frutto della sua scultura che, come ho visto dal monumento dedicato ad Azzano alla Madonna del Cavatore,con sotto di essa due cavatori, uno dei quali pare che si arrampichi su una tecchia, è veramente pregevole.
Per il suo talento di grande scultore e per l'amore che nutrì per la nostra terra, dove ha vissuto tanti anni, avrebbe meritato la nomina a cittadino onorario della Versilia storica.

Azzano culla della Madonna del cavatore

Il pomeriggio del 6 agosto 2005 ad Azzano fu inaugurato il monumento in marmo bianco dedicato alla Madonna del Cavatore. L'opera venne collocata su un terreno di proprietà di Primo Giorgi, un luogo che lui si augurava che fosse trasformato in un laboratorio all'aperto per giovani di ambo i sessi olandesi , francesi, tedeschi, americani e di altre nazioni, e dove aleggia sicuramente lo spirito di Michelangelo , ricordato appunto da Giorgi sulla piccola lapide murata sul muro di basamento del monumento, scolpito dallo scultore di San Francisco (California) John Fisher, sulla quale si legge: “ E sosta fece / sull'ameno colle / onde ne trasse / i bianchi marmi – 1518 1521 “.
Il monumento fu benedetto da don Hermes il parroco della Cappella.Diverse furono le ragioni che indussero Giorgi ad acquistare questo monumento in marmo bianco, del peso di 7/8 tonnellate.
In primis si deve alla devozione che da sempre nutriva per la Madonna del Cavatore , la cui medaglia che era solito portare attaccata ad una catenina allacciata al collo, impedì nel 1947 che un colpo partito da un'arma che stava maneggiando, di penetrare nel suo corpo, tanto da salvargli la vita, come un giorno mi raccontò. Questo monumento l'ha voluto anche per onorare i suoi avi, il babbo che fu cavatore ed anche il nonno Adamo che morì sulla cava ed il giovane figlio perito in seguito ad un tragico incidente stradale ed infine tutti i cavatori , e sono tanti, che sono periti in seguito alle disgrazie, sempre accadute nel tempo. Anche i miei antenati , Pietro, il mio bisnonno ( classe 1848) e mio padre Orlando ( classe 1906) lavorarono sulle cave di Seravezza durante gli anni della loro giovinezza.
Il figlio di Giorgi amava molto i luoghi montani dei suoi avi e nutriva l'ambizione di poter un giorno trasformare quel terreno, sul quale sono cresciuti frondosi castagni ed altri grossi alberi, e dove sorge una casetta munita di tutti i servizi, in una scuola all'aperto per apprendisti scultori.
Su un tratto di questa proprietà scorre la via intitolata “Martiri del Lavoro” che da Azzano conduce al monte Altissimo, il monte di Michelangelo.
Nell'anno 2000, Primo costruì nella sua proprietà una Cappella per onorare la memoria del suo babbo Adamo. Dopo la morte di suo figlio in questa cappella Giorgi ha fatto murare una lapide per onorare anche il figlio prematuramente scomparso. Alla cerimonia di inaugurazione del monumento assistettero diversi artisti stranieri che ogni anno raggiungono questa località montana per dedicarsi alla scultura, ed una folta schiera di amici di Primo, uomo di fede cristiana che da giovane prestò servizio militare nel Corpo degli Alpini e nel dopoguerra si arruolò nel Corpo della Guardia di Finanza , tant' è chi scrive era solito definirlo l'uomo dai due cappelli: alpino e da finanziere. Certo di fargli cosa gradita, anni fa gli donai un piccolo quadro da me dipinto con questi due cappelli alpini,Subito dopo l'armistizio dell' 8 settembre 1943 fu imprigionato dai tedeschi e rinchiuso in un lager in Polonia. Frequentai con lui nel 1949 il corso allievi finanzieri presso la caserma Piave di Roma. Con noi c'era anche il versiliese Angelini Guido e Ermanno Dalle Luche residente a Camaiore. Con la morte di Primo e di Ermanno siamo rimasti ancora in vita in due: io e l'amico Guido. Giorgi Primo amava cantare spesso le struggenti canzone degli alpini che ancora ricordava. Lui più anziano di qualche anno riusciva sempre a far mantenere alto il morale dei più giovani allievi.“ L'arte – come disse nel suo discorso don Hermes prima di benedire l'opera – per le cose belle che esprime affratella gli esseri umani di qualsiasi colore ed etnia, inducendoli a volersi bene fra loro. Questo fu il messaggio che da Azzano, Giorgi lanciò agli uomini di buona volontà. Tentò di esprimere compiutamente questo concetto con le proprie parole, ma la forte emozione gli serrò la gola, fino a che il caloroso applauso dei presenti gli diede la forza per concludere la sua breve prolusione. Non dimenticò don Giovanni Dini che a guerra finita succedette alla Cappella a don Luigi Vitè. Fu don Dini ad istituire la bella festa della Madonna del Cavatore. Il 2 settembre 1946 da Azzano partì la processione durante la quale fu portata fino alla Polla la bella formella reffigurante questa Madonna scolpita dal grande scultore Leone Tommasi e da lì, con la teleferica, arrivò sulla cava della Tacca Bianca dove fu murata. Quando nel 1979,tale cava divenne deserta ed inaccessibile, la formella venne tolta per essere collocata in località La Polla, dove tuttora si trova.Dopo la benedizione del monumento e le note del silenzio uscite dalla tromba di Giorgio Martini musicante della fanfara degli alpini di Seravezza, alcune scultricI straniere iniziarono a cantare l'Ave Maria, al coro si unirono anche tante voci dei presenti. Al termine della bella cerimonia Giorgi Primo offrì un ottimo e abbondante rinfresco.

domenica 5 giugno 2011

Medaglia d'argento al valore civile alla città di Seravezza

Inizio questo mio articolo con una serie di ringraziamenti. In primis, ringrazio il signor Sindaco di Seravezza se ieri 2 giugno 2011, in occasione del 65° anniversario della fondazione della Repubblica Italiana è stata appuntata a Lucca, in forma solenne, sul gonfalone seravezzino la medaglia d'argento al valore civile per i meriti riconosciuti dal signor Presidente della Repubblica, onorevole Giorgio Napolitano, alla popolazione di Seravezza e dintorni durante la seconda guerra mondiale che nella fase finale,per sette mesi, fu aspramente combattuta anche nella nostra terra.
Ringrazio il signor Presidente della Repubblica per avere accolto l'iniziativa del Sindaco di Seravezza, il quale, in verità aveva chiesto la concessione della medaglia d'oro al valore civile. Ringrazio la Cronaca Libera che divulgò a suo tempo la notizie riguardante la richiesta del Sindaco seravezzino, fatto questo che mi diede lo spunto per scrivere sul numero 2 del 2010. di Versilia Oggi l'articolo: “Seravezza merita la medaglia d'oro”.

Negli anni 9O pensai a determinati fatti dolorosissimi e alla distruzione di tante case fatte saltare in aria dai tedeschi nell'estate del 1944, senza che nessun riconoscimento di merito fosse stato riconosciuto ai seravezzini Di questo ne parlai con persone che frequentavano il salone della Misericordia di Seravezza. dove allora venivano tenute importanti conferenze.
Una gentile signora che stava seduta a poca distanza da me, con molto riguardo, mi ricordò che la medaglia d'oro concessa al Comune di Stazzema di fatto era stata concessa all'intera Versilia.
I lettori della Cronaca Libera sanno cosa ho scritto recentemente al signor Presidente della Repubblica, per sottolineare l' importanza della richiesta del Sindaco Neri; non è necessario quindi che ora ne riparli.
Il pensiero profondo avuto dal sindaco Neri mi induce a ritenere che quello che anch'io ebbi verso la fine del secolo scorso era fondato su elementi di estrema importanza.
Penso che questa medaglia d'argento abbia onorato i sopravvissuti alla tragica guerra vissuta dai seravezzini ed anche la memoria di coloro che sono purtroppo scomparsi.
Concludo rivolgendo un commosso pensiero al mio amico, fin dall'infanzia che fu Alberto Benti anche lui scomparso in questi ultimi anni, che, come ho già scritto in altri miei articoli, fu davvero un eroe senza medaglia, insieme ad altri ragazzi di Seravezza.

3.6.2011

giovedì 26 maggio 2011

Il cane soprannominato Dayan

Il 10 agosto 1985, nel giorno della festa di San Lorenzo, morì “ringhiando” il piccolo cane randagio che per anni aveva percorso le vie di Seravezza. Per conoscere le esatte cause della sua morte, visto che era un cane a cui mi ero affezionato per le ragioni che spiegherò più avanti, mi recai a Pietrasanta per parlare con il veterinario che lo aveva visitato. Seppi così che era stato massacrato a colpi di bastone. Ricordo che il veterinario, raccontandomi che aveva inviato la testa dell'animale a Pisa per sapere se l'animale fosse o meno affetto da rabbia, mi fece capire di aver sofferto non poco nel vedere davanti ai suoi occhi un cane ucciso con così tanta violenza.
Aggiungo, per fare chiarezza, che a Seravezza si era sparsa la voce che il cane avesse devastato il piccolo orto che un uomo coltivava sull'argine del fiume Versilia, vicino al ponticello pedonale vicino alla caserma dei carabinieri. Non voglio aggiungere altro, mi fa solo piacere parlare di quel cane, così come l'avevo conosciuto, un animale sensibile e affettuoso.

Sul muso, intorno all'occhio sinistro, aveva una macchia nera a forma di cerchio, e per tale motivo quando apparve la prima volta a Seravezza, malconcio per le botte che gli erano state inferte (fatto raccontatomi da un uomo che lo aveva visto così malridotto), qualcuno gli affibbiò il nome “Dayan” a ricordo, senza alcuna irriverenza, del mitico generale israeliano che aveva una benda nera sull'occhio. Altre persone, invece, lo battezzarono “Boby”, nome sicuramente più scontato ma forse più appropriato per un cane.

Molte persone avevano tentato di tenerlo con sé, dandogli da mangiare e accudendolo. Lui però, anche se capace di esternare sentimenti di amore e gratitudine nei riguardi di tutti coloro che per anni provvedevano a lui, preferì sempre vivere da randagio ma libero. Docile e innocuo apparteneva a tutti. Divenne così il "cane di Seravezza".

Per giorni e giorni attendeva il ritorno a casa dall'ospedale di persone che gli volevano bene. E lui contraccambiava l'amore ricevuto. Arrivò perfino a rendere omaggio a persone defunte, come fece quando morì mia suocera Bruna Guerrini. Ricordo che entrò nella camera ardente della chiesa dell'Annunziata di Seravezza, dove rimase accucciato per lungo tempo ai piedi del marito della cara defunta e degli altri suoi stretti familiari, che stavano intorno al feretro.

Nelle sue lunghe stagioni dell'amore si rivelò più ardimentoso di “Romeo”: si rese protagonista di spettacolari cadute nel fiume, dopo spericolati balzi spiccati dal muro per raggiungere invano la sua “Giulietta”, chiusa sul terrazzino di una casa costruita ai margini dell'alveo. Sospiri di sollievo furono tirati da coloro che lo rividero rialzarzi miracolosamente, illeso, pronto a ripetere altri balzi sfortunati.

Negli ultimi tempi della sua vita il suo pelo aveva perso la lucentezza di un tempo. Gli era rimasto un solo dente incisivo, oltre ai molari, coi quali riusciva ancora a frantumare parzialmente gli ossi che riceveva in abbondanza. E fu proprio sul terreno dove probabilmente aveva nascosto i suoi preziosi ossi che fu ucciso.

Anche se randagio e non di razza è stato un grande cane. La sua morte procurò a molte persone un enorme dispiacere. Mio suocero Giuseppe Pucci, che spesso amava accarezzarlo e portalo in giro con sé, soffrì non poco quando gli dissero il cane era stato ammazzato. Ricordo che per la forte commozione gli si riempirono gli occhi di lacrime.

lunedì 23 maggio 2011

Erminio Cidonio – Portò ai valori più alti della sua storia la società Henraux

Già nel 1985 parlai su Versilia Oggi del grande dirigente di impresa che fu Erminio Cidonio, uomo lungimirante e con una visione moderna del mondo del lavoro, peraltro anche attaccato ai valori dell'arte in particolare del marmo.
Egli arrivò in Versilia il 2 maggio 1957 per assumere direttamente la guida della Henraux, come gli avevano chiesto i suoi fratelli, molto interessati alla succitata società.
Come il fondatore che fu nel 1821 Jean Baptiste Alexander Henraux, già luogotenente di Napoleone, inviato dalla Francia in Italia per acquistare i marmi occorrenti per abbellire i palazzi dell'imperatore, anche Erminio Cidonio mai si era occupato di marmo prima di assumere l'amministrazione della società versiliese. Nella sua nuova attività profuse tesori di energie,tanto da calarsi nella medesima veste di J.A.B. Henraux.per la realizzazione del sogno risalente al 1821, che fu anche il suo , cioè di portare questa società a divenire nel mondo la più importante società marmifera. Di ciò ne fece ragione della sua vita.
Questo uomo che rese ancora più famosa la nostra Versilia dal 1957 al 1966 era nato a Rocca di Mezzo (Aquila) nel 1905. Ai piedi del monte Sirente, dov'è sepolto dal 1972 aveva trascorso gli anni della sua infanzia ed adoloscenza, fino a divenirne sindaco nell'immediato dopoguerra,
Assunta la guida della società versiliese provvide a ristrutturare tutti gli impianti dovunque installati, motivo per cui essa che fino allora aveva operato con criteri prettamente artigianali, passò ad una produzione industrializzata di più alto livello.
E' a lui che si deve l'audace via che scavata sulla ripida parete sud del Monte Altissimo, che conduce alle cave della Vincarella e della Tacca Bianca, sulle quali aleggia da secoli lo spirito di Michelangelo. Avvertita la necessità di disporre, nel prosieguo dell'attività dell'azienda, di personale preparato e in grado di svolgere il proprio lavoro nel migliore dei modi, creò corsi di addestramento per marmisti assicurando a tutti i frequentatori un posto di lavoro nella società.Ci sarebbe ancora bisogno di uomini come lui per assicurare in questo momento di grave crisi, tanto lavoro ai nostri giovani.
Attraverso la rivista internazionale “Marmo” da lui stesso voluta, come strumento di comunicazione mondiale, la società Henraux, con scritti e illustrazioni fotografiche di illustri autori, portò ulteriormente all'attenzione di architetti, ingegneri, scultori, costruttori e designers, il valore del marmo e l'importanza dello stesso in ogni comparto delle costruzioni edilizie e nell'arte, secondo le tecniche di lavorazione dell'epoca.
Sempre al fine di valorizzare il marmo nel settore della scultura, Erminio Cidonio organizzò, sotto la sapiente direzione di Giuseppe Marchiori,seminari sperimentali frequentati da giovani e selezionati scultori. Oltre alle spese di soggiorno e la messa a loro disposizione di attrezzature e materiali di cui avevano bisogno, a totale carico della società, i giovani artisti potettero avvalersi anche della collaborazione dei “maestri” della società.

A conclusione della fase iniziale della sua azione dirigenziale, Cidonio ebbe l'idea di realizzare a Querceta sull'ampio piazzale della società , il museo all'aperto della scultura contemporanea, ottenendo l'immediata adesione dei più famosi artisti di tutto il mondo. E fu così che su quel fantastico palcoscenico , a partire dal 1957 sfilarono i più celebri scultori da Henry Moore a Giacomo Manzù, da Marino Marini a Giò Pomodoro, oltre ad altri artisti italiani e stranieri, architetti e critici d'arte, scrittori e designers, tutti di fama internazionale.
In considerazione dell'attività eccezionale svolta in Versilia da questo uomo, tesa nella sostanza a propagandare e diffondere in tutto il mondo il nostro splendido marmo, oltre che a fare risaltare agli occhi di tutti la bravura delle nostre maestranze, ritengo che per onorare la sua memoria che proprio la via da lui aperta sull'Altissimo fosse intitolata a Erminio Cidonio, perchè lassù , su quella cima, sulla quale in giorni lontani volteggiarono le aquile, sono certo che oltre allo spirito di Michelangelo vi aleggi anche quello di J.B.A. Henraux e dello stesso Erminio Cidonio, poiché durante la loro esistenza terrena essi legarono indissolubilmente i loro nomi alla nostra meravigliosa Versilia. Questa mia proposta, la lanciai anche attraverso le colonne di Versilia Oggi ventisei anni fa, senza ottenere il risultato sperato.