domenica 31 marzo 2013

Onore e gloria all'eroico finanziere scelto Claudio Sacchelli


Il libro intitolato “La guerra di Claudio”, voluto dalla Guardia di Finanza, dedicato alla memoria  dell'eroico finanziere scelto Claudio Sacchelli, morto di stenti nel campo di sterminio nazista di Mauthausen il primo maggio del  1945, onora tutti i finanzieri italiani da sempre sentinelle inflessibili di ogni confine, sia in tempo di pace che in guerra e che da oltre duecentoquarantadue anni di storia hanno scritto col sangue pagine  di fulgido valore. Sui finanzieri la nostra Patria potrà sempre contare anche nell'avvenire . In questo contesto il libro onora altamente le Fiamme Gialle cadute nell'adempimento del proprio dovere . E' quindi un'opera letteraria commovente, tutta da leggere e piena di fotografie , molte delle quali scattate dallo stesso Claudio. Bella da vedere è la foto scattata il giorno del matrimonio di Claudio con Mafalda Testa , celebrato a Fiorenzuola d'Arda il 5 settembre 1943, e molto interessanti anche le due fotografie che ci mostrano i particolari delle camere a gas e dei forni crematori.

Il finanziere scelto Claudio nacque nel comune di Seravezza  il 31.12.1913. Si arruolò  nel Corpo dell'allora Regia Guardia di Finanza all'età  di 19 anni appena compiuti. La domanda di arruolamento  la spedi al Comando del  Circolo di Livorno, sotto la cui giurisdizione ricadeva il Comune di Pietrasanta  dove lui  aveva la  residenza. Fu ammesso nella Regia Guardia di Finnaza  il 25 ottobre 1933, dopo aver superato le visite mediche e le prove di cultura generale. Frequentò il corso  allievi finanzieri a  Roma presso la caserma intitolata al Re Vittorio Emanuele III. Promosso finanziere  per il servizio di prima nomina  fu assegnato alla brigata di frontiera di Bormio (SO) in alta Valtellina un reparto che dipendeva dalla tenenza di Madonna di Tirano , disimpegnò anche il servizio a  Buggiolo, Porlezza, Argegno, Prabello e San Fedele d'Intelvi,  dove in una fotografia si vede Claudio, vicino ad un  suo collega seduti sopra tante bricolle sequestrate   contanenie mnerce di contrabbando.
Il volto di Claudio, visibile in numerosi scatti che lo ritraggono, in particolare nella foto che gli fu fatta quando era allievo finanziere , sembra quella di un angelo. Traspare dal suo squardo l'amore cristiano che l'ha portato a morire in un lager nazista per avere salvato la vita a centinaia e centinaia di perseguitati di origine ebraica , che senza il suo aiuto per espatriare in Svizzera sarebbero stati uccisi nella camere a gas o bruciati vivi nei forni crematori.
Il 18 aprile 2012 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha insignito alla memoria del finanziere scelto Claudio Sacchelli la medaglia d'oro al Valore Civile.

Nel libro c'è la storia della nobile,  bella e antica terra di Versilia, come si vede dalle   fotografie riprodotte in cartolina. E si accenna anche all'emigrazione, che vide milioni e milioni di italiani partire per il nuovo Continente alla fine del 1800 e nei primi decenni del 1900, alla ricerca di migliori condizioni di vita. In America trovarono la “porta d'oro” aperta. Erano liberi di scegliere. Tra loro c'era anche Garibaldo Sacchelli, il padre di Claudio, che emigrò in America nel 1914, lasciando in Patria la moglie con il piccolo figlio.  In America Garibaldo  Sacchelli iniziò ad esplicare la sua professione  di lucidatore di marmi  La madre col piccolo  Claudio rimasero a casa dei nonni materni che abitavano a Cerreta S. Nicola del comune di Seravezza sino a quando , per volere  di Garibaldo, finalmente ritornato in Patria per abbracciare il primogenito,  andarono ad abitare nella casa paterna dei nonni  Agostino  e  Lucia ubicata al Cerro  Grosso. Sui monti di Cerreta S.Nicola e del Cerro Grosso dove Claudio e la sua mamma tornarono dopo qualche anno trascorso in America dove Garibando vi aveva fatto ritorno da solo, . spinti dal padre che  inviò alla moglie i pochi risparmi,  Assunta Bonini, col piccolo Claudio e la cognata  Santina Sacchelli di anni 21. si recarono in treno a Napoli per imbarcarsi sul vapore "Patria" che arrivò a New York. il 23.dicembre 1919. Da li raggiunsero il Vermount a circca 400 km. da Proctor dove li attendevano una modesta abitazione. dove vissero pochi mesi .per trasferirsi a S.Francisco in California, forse attratti  dal clima mite rispetto  a quello del Vermount dove  nacque il loro secondogenito Agostino Evidio.
Intanto Assunta Bonini che aveva nel suo cuore lo struggente ricordo della sua terra natale,  approfittò  del pretesto delle nozze di suo  cognato Angiolo, fratello di Garibaldo che doveva  sposate  la signorina Giulia Bascherini, apparentata con la stessa per ritornare nella sua terra nativa per la quale sentiva sempre una forte nostalgia. .  
Ritornata in Versilia con il figlioletto, questi   crebbe cullato dall'affetto dei nonni, mentre la mamma non esito ad affronatre duri lavori spingendosi fino sulle cave per  portare financo l'acqua da bere ai cavatori,.
Garibado  non fece più ritorno in Italia, a seguito anche al fatto che  molte compagnie di navigazione   subirono la perdita di navi per i ripetuti affondamente  ad opera della flotta corsara tedesca quindi non poté  imbarcarsi per fare ritorno in Patria entro il 24 maggio 1915.
Nello sfogliare le pagine del libro appaiono davanti ai miei occhi le immagini di tanti luoghi dove Claudio si fece fotografare quando era giovane finanziere. Osservandole mi sono rivisto in quelle località dove anch'io prestai servizio, in primis a Roma, dove Claudio frequentò il corso allievi finanzieri nell'anno 1933 presso la caserma intitolata a Vittorio Emanuele III, che nel dopoguerra, fu chiamata Caserma Piave, nella quale, sedici anni dopo Claudio anch'io frequentai nel 1949/50 il  corso di allievo finanziere. Traspare dallo sguardo di Claudio e dal suo volto, dolce e mite, l'amore cristiano che l'ha portato a morire in un   lager nazista per avere salvato la vita a tante creature innocenti.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

Nel libro ho rivisto Porlezza e Buggiolo. In queste ultime località come in altre località del confine italo - svizzero, fui impiegato come marconista. A causa delle avarie che talvolta si verificavano a Buggiolo quando al gruppo elettrogeno, e/o anche all'apparato ricetrasmittente nei periodi in cui gli apparecchi venivano riparati al laboratorio esistente al comando della legione di Como, il comandante della brigata, brigadiere Lai, era solito impiegarmi nell'esecuzione dei servizi per la repressione del contrabbando.
 A passo Foscagno (2.250 m), sede del distaccamento della brigata di Semogo, conobbi don Alessandro Parenti, parroco di Trepalle , che era la più alta parrocchia d'Europa, dove si rifugiavano molti militari sbandati dopo l'otto settembre 1943.

Ricordo che la brigata di Buggiolo aveva due distaccamenti, uno chiamato S.Lucio e l'altro Garzirola. Durante un servizio anticontrabbando prestato poco sotto il distaccamento di S. Lucio, vidi una croce di marmo posta dove un fulmine aveva ucciso, in anni remoti, due giovanissimi finanzieri che erano li appostati mentre espletavano un servizio anticontrabbando. A pochi metri di distanza dalla caserma del distaccamento di Garzirola vidi diverse croci di marmo bianco collocate lungo il poggio del monte, a ricordo dei finanzieri morti a causa della tormenta, mentre ritornavano al distaccamento al termine di servizi anticontrabbando. Erano arrivati vicinissimi a salvarsi, gli rimanevano soltanto pochi metri da percorrere, per arrivare ad aprire l'uscio della caserma ma non ce la facevano più a muovere i passi. Lì, la morte crudele li stese, sull'alta coltre di neve senza vita.

La descrizione delle modalità con le quali venivano espletati i servizi per la repressione del contrabbando, mi ha fatto tornare alla mente quella volta in cui la mia pattuglia si appostò dietro alcune rocce dell'alpe Riccola, località vicina al confine al territorio posto sotto la giurisdizione della brigata di Dasio Valsolda, dove nei pressi si congiungevano alcuni sentieri che scendevano a valle. Udimmo il rumore di passi veloci prodotti dalla corsa di un uomo che scendeva a valle. C'era un buio assoluto, senza la luna: non si potevano muovere i piedi su quel terreno pieno di rocce e di sassi. Comunque eravamo rimasti lì col fiato sospeso, pronti certamente all' attacco se fosse passato il gruppo dei contrabbandieri, perché non solo la neve cadente, come dice la nostra bella canzone, ma neanche il terreno accidentato,  avrebbe fermato il nostro passo. Guardai il quadrante dell'orologio che segnava le ore 18,30. Pensavamo che quell'uomo agisse da staffetta per vedere se lungo il sentiero vi fossero dei finanzieri appostati. Attendavamo che dopo di lui, arrivasse il grosso degli spalloni, con le sigarette e quant'altro di contrabbando, ma non passò più nesssuno.
A Buggiolo prestò servizio anche Guido Angelini, versiliese come me, insieme al quale nel 1949 frequentai a Roma il corso allievi finanzieri.  Con noi c'era anche un altro versiliese, Primo Giorgi, scomparso qualche anno fa.

Sento il dovere di ringraziare gli autori di questo bellissimo libro, il generale di Corpo d'Armata in congedo Luciano Luciani, che è anche presidente del museo Storico e del Comitato di Studi Storici della Guardia di Finanza, e il il capitano Gerardo Severino, direttore del Museo Storico e capo di due Sezioni dell'Ufficio Storico della Guardia di Finanza. La lettura del loro libro spronerà ancora di più i finanzieri in servizio e, quelli che verranno dalle generazioni future, ad espletare nel migliore dei modi i servizi che eseguiranno a beneficio della nostra collettività nazionale e per la imperitura gloria del nostro Corpo.
Renato Sacchelli

sabato 23 marzo 2013

Un uomo solo senza casa e senza affetti

In una fredda sera invernale, sibila il vento, mentre nel cielo si addensano nuvole scure. Forse nella notte pioverà. Un uomo dal passo stanco si avvicina alla chiesa del paese. Stringe nella sua mano un sacchetto di plastica, dove tiene tutto ciò che possiede. Uno straccio di asciugamano ed altri pochi cencetti: è un barbone, senza casa, né un letto, è solo e senza affetti. Arrivato sulla porta della canonica della chiesa, preme il tasto del campanello. Al parroco che gli apre l'uscio il poveretto chiede implorante: “Padre, mi aiuti, non so dove andare a dormire, mi faccia entrare, la prego, soltanto per questa notte”.
Che deve fare il sacerdote? Lo sa bene che non ha una struttura idonea per dare alloggio ai senza casa, ai barboni, agli extracomunitari e a tutti quelli che hanno bisogno di assistenza per sopravvivere. "Io sono un povero prete e so che non posso chiudergli la porta in faccia Nelle mie omelie parlo sempre di amore fra gli uomini, accoglienza, carità..... In nome del Cristo Redentore non possso dirgli di no, altrimenti che prete sarei?”. Così, d'istinto, apre la porta e lo fa entrare, mettendogli subito a disposizione un angolo del palcoscenico del teatrino parrocchiale, dove colloca una rete con sopra un materasso e due coperte.. 

E' una scena reale, cruda, che si svolge fra un uomo solo e un prete. Sopra di loro il Creatore del Cielo e della Terra, Iddio dell'Universo. Il sacerdote sale nella cucina della parrocchia, riscalda un tazza di latte e la porta al barbone con due fette di pane inburrato e zuccherato. "Per stanotte riposa tranquillo - gli dice con affetto - ma domani vedi di trovare un'altra sistemazione. Questa parrocchia non è in grado di offrire questo tipo di accoglienza ai bisognosi”. Un nodo gli serra la gola, non riesce più a parlare, riesce soltanto ad augurargli la buonanotte.

domenica 17 marzo 2013

Le donne del Ponticello


Così come non ho mai dimenticato gli uomini del Ponticello di Seravezza, che conobbi da quando mossi i primi passi nelle vie del rione, nella mia memoria di bimbo degli anni 30 e dei primi anni 40 rimasero impresse anche le immagini delle compagne che condividevano con loro l' asprezza di una vita spesso sofferta.
Donne stupende quotidiamaente impegnate nei lavori di casa e per allevare i figli. La femminilità che emergeva, infondeva le energie per guadagnare, sulla cava e in altri faticosi posti di lavoro, il pane quotidiano. C'erano anche alcune donne incredibilmente forti che, a poche ore di distanza dalla nascita dell'ultimo bambino , andavano già a lavare i panni nelle acque del fiume anche durante la stagione invernale.
Nei cuori delle donne del Ponticello batteva forte la fede. Un elevato fervore le animava , specie quando la processione del Corpus Domini attraversava le vie del paese. In quelle occasioni erigevano in cima al Riccietto , dove il tratto finale del canale ricoperto scarica le su acque nell'alveo del fiume Serra, un grande altare pieno di fiori e grossi vasi di piante sempre verdi, che veniva adornato con le preziose coperte ricamate messe a disposizione per renderlo più bello.

Le strade venivano ricoperte da ramoscelli di mirto e di timo, raccolti sul monte da alcuni volenterosi, e da artistici tappeti fatti coi petali di rose, dai colori molteplici. Negli anni della mia infanzia la partecipazione del popolo di Seravezza alle funzioni religiose era totale; le chiese di riempivan o di fedeli, sia per ascoltare la S. Messa che pe partecipare al Vespro ed a tutte le altre funzioni religiose, specie negli anni della guerra dove si sentiva maggiormente il bisogno di pregare perché il conflitto finisse e tutti gli uomini tornassero sani e salvi. A guerra inoltrata, furono portati in processione per le vie del paese, i resti di S.Discolio, il soldato romano martirizzato invocato dai fedeli di Seravezza perché facesse il miracolo di far finire la guerra. La processione ritardò a muoversi perché si attendeva l'arrivo del giovane Vinicio Salvatori ( divenuto successivamente governatore della venerabile Misericordia di Seravezza ) che prestava servizio militare. 

Il Salvatori con indosso la divisa di ufficiale, arrivò quando la processione si era già mossa e stava transitando sotto la casa dei combattenti. Egli subito si mise in mezzo al gruppo di noi chierichetti per farci camminare con ordine, sotto l'occhio compiacito del parroco monsignor Angelo Riccomini. Mi limiterò a menzionare (oltre alla mia nonna Marianna, a mia madre Jolanda detta Raffaella, alla zia Armida ed alla cugina Alda) le donne che che vedevo più spesso, a cominciare dalla dolce e bella signora Antonia Benti, madre di due figli Alberto e Marcella; Giuseppa Gori con tre figli: Maria, Lina e Lorenzo, la cui progenita fu mia madrina di battesimo; Germana Tabarrani e la sua giovane figlia “Angiò” che mi cucì il vestito quando celebrai la prima comunione; Emma Giannotti con i figli Valeria e Gigi, la cui casa era attaccata alla mia; la buona Emma Bandelloni, moglie di Fortino ( di cui ho già parlato nell'articolo dedicato agli uomini del Ponticello) con le sue tre belle ragazze: Foschina, Lubiana e Ilva, e due maschi Pietrino e Armandino; la brava maestra Bonci, insegnante di “lavoro” delle classi femminili elementari e mamma di due ragazze Jone e Nives; Ines Lorenzi , il cui secondogenito, appena chiamato alle armi morì subito dopo l'armistizio dell' 8 settembre 1943; la forte e bella signora Jole Maggi, madre di numerosa prole; Annetta Binelli, più conociuta come l'Annetta di Amatio, e la sua anziana mamma , nella cui abitazione mia madre che era loro parente e amica andava spesso a trovarle ( l'Annetta , ogni volta ogni volta che mia madre mi portava con sé, mi offriva sempre una fetta di pane imburrato e zuccherato); la signora Emma Verona e la figlia Clementina, La Emmetta, come noi chiamavamo per la sua piccola statura, diede anche a me alcune ripetizioni di matematica e sua figlia Clementina mi truccò da piccolo Pierrot in occasione di uno dei tanti carnevali che in quell'epoca di svolgevano per le via di Seravezza; l 'anziana signora Erina e sua figlia “Marì”, due donne dolcissime che avevano nei miei confronti atteggiamenti affettuosi e buone parole. La famiglia Tabarrani aveva anche un'altra figliola sposata con un uomo di Ripa ed un figliolo, Fernando, giocatore molto bravo della squadra di calcio di Seravezza, che fece parte del contingente degli alpini in Russia, da dove purtroppo non fece più ritorno, cosa che accadde anche a mio zio paterno Guido, pure lui alpino. 

Dare alla luce un figlio , allevarlo e vederlo poi partite per la guerra senza fare più ritorno a casa, macerò dal dolore i cuori delle mamme ponticellesi Germana e Ines Lorenzi e di tutte le madri che persero in guerra i loro cari figli. Mi fa piacere ricordare la laboriosità della signora Beppa Gori che nei giorni del mercato metteva nelle piazze un banchetto per la vendita di zoccoli, attività cui pose temine quando mise su un negozietto di tali articoli in via dell'Annunziata. Anche la signora Germana Tabarrani si dava molto da fare: specializzata insieme a una sua parente nel fare i materassi di lana e di vegetale alla gente, riusciva così, con quanto raggranellava, ad arrontondare il salario del marito Beppe. Da piccolo tantissime volte mi sono fermato , col naso schiacciato sul vetro, ad ammirare i diversi oggettini e giocattoli che le figlie della signora Emma Bandelloni tenevano esposti nella fantastica vetrina che avevano messo in fondo alle scale della loro abitazione. E fu proprio nella cucina della Jole Maggi che in tempo di guerra, mi recai una volta per ricavare , utilizzando il macinino del caffè, alcuni cucchiai di farina dalle poche spighe di grano raccolte insieme a suo figlio Piero, nei campi della piana dopo la mietitura. 

Qualche volta , mentre noi ragazzi ponticellesi giravamo nelle vie del rione battute da raffiche di vento, si univa a noi la giovane Lubiana Bandelloni che munita di forbici e di pezzi di carta , ci ritagliava minuscole ruote che, messe poi sul selciato stradale, giravano in continuazione spinte appunto dal vento. Noi bimbi le volevamo bene per l'affettuosità che ci dimostrava e per le cose belle che faceva con le sue mani “magiche”. Mi fa piacere ricordare che fu il fratello dell'Annetta di Amatio, Raffaello Binelli, a mettere in salvo alcune preziose tele che ora è possibile ammirare nella ricostruita chiesa della Misericordia, ma che allora adornavano la chiesa della Santissima Annunziata ricca di marmi lavorati , fatta saltare in aria dai tedeschi nell'estate del 1944.
Renato Sacchelli

Articolo pubblicato su Versilia Oggi del mese di agosto 2002