L'ultima disgrazia sulla cava di Colonnata (Carrara) mi ha fatto tornare alla mente l'angoscia che provavo quando andavo a scuola, più di ottant’anni fa, mentre udivo i forti
boati causati dalle mine che i cavatori facevano esplodere
sui monti intorno a Seravezza. Chi gestiva le cave non informava la popolazione sulle esplosioni. Così, ad ogni schianto, la paura era forte. In particolare udivamo i boati provenienti dalle cave del Monte Costa, che si trovavano proprio davanti ai due
plessi scolastici che in quegli anni della
mia fanciullezza frequentai.
Mio
padre, quando ero bambino, lavorava su una cava del Trambiserra.
Chissà se si trattava della stessa cava dalla quale furono
estratte le colonne di marmo da applicare sulla facciata della chiesa
di San Lorenzo di Firenze, che fu disegnata da
Michelangelo ma mai realizzata.
Sì, tremavo quando udivo quei boati, perché pensavo ai gravi rischi che
correvano i cavatori, sapendo che molti uomini avevano perso la vita
rimanendo schiacciati sotto i blocchi di marmo estratti dalle
montagne.
Se
ben ricordo, verso la fine del 1939 (o all’inizio del 1940) tre
uomini morirono sul monte Costa, schiacciati sotto un blocco di marmo
appena staccato dopo la varata. Fra i cavatori morti c’era
anche il babbo di un mio compagno d’asilo e dopo di scuola, di
cui ricordo soltanto il cognome, si chiamava Donati. Avevo
conosciuto tutto il suo nucleo familiare, quando la titolare del
telefono pubblico di Seravezza mi chiese, un tardo pomeriggio, di
portare al signor Donati, abitante al Loghetto, il testo di
una chiamata telefonica a
lui indirizzata.
Era l’ora di cena. Entrato in casa vidi la tavola con al
centro, su una tovaglia bianca, una polenta ancora fumante da
tagliare, proprio mentre questa famiglia stava per iniziare a
mangiare. Negli anni 90 del secolo scorso, il grande invalido del
lavoro Marino Lorenzoni, abitante vicino al Borgo dei
terrinchesi accanto all’abitazione del mio babbo, mi fece leggere
un libretto che anni prima aveva fatto stampare il parroco di Arni, dove il Lorenzoni era nato. Rimasi impressionato nel leggere i tanti
nomi degli arnini e delle località vicine, morti in seguito alla
disgrazie accadute mentre espletavano il loro duro lavoro sulle cave
dell’alta Versilia.
Il
lavoro è vita e credo che chi dirige qualsiasi attività lavorativa dovrebbe fare il possibile per evitare che non
avvenissero più disgrazie mortali causate da disattenzioni, che fanno sprofondare nel dolore i familiari
delle vittime e feriscono l’intera umanità.