lunedì 25 aprile 2016

Basta disgrazie sulle cave

L'ultima disgrazia sulla cava di Colonnata (Carrara) mi ha fatto tornare alla mente l'angoscia che provavo quando andavo a scuola, più di ottant’anni fa, mentre udivo i forti boati causati dalle mine che i cavatori facevano esplodere sui monti intorno a Seravezza. Chi gestiva le cave non informava la popolazione sulle esplosioni. Così, ad ogni schianto, la paura era forte. In particolare udivamo i boati provenienti dalle cave del Monte Costa, che si trovavano proprio davanti ai due plessi scolastici che in quegli anni della mia fanciullezza frequentai.

Mio padre, quando ero bambino, lavorava su una cava del Trambiserra. Chissà se si trattava della stessa cava dalla quale furono estratte le colonne di marmo da applicare sulla facciata della chiesa di San Lorenzo di Firenze, che fu disegnata da Michelangelo ma mai realizzata.

Sì, tremavo quando udivo quei boati, perché pensavo ai gravi rischi che correvano i cavatori, sapendo che molti uomini avevano perso la vita rimanendo schiacciati sotto i blocchi di marmo estratti dalle montagne.

Se ben ricordo, verso la fine del 1939 (o all’inizio del 1940) tre uomini morirono sul monte Costa, schiacciati sotto un blocco di marmo appena staccato dopo la varata. Fra i cavatori morti c’era anche il babbo di un mio compagno d’asilo e dopo di scuola, di cui ricordo soltanto il cognome, si chiamava Donati. Avevo conosciuto tutto il suo nucleo familiare, quando la titolare del telefono pubblico di Seravezza mi chiese, un tardo pomeriggio, di portare al signor Donati, abitante al Loghetto, il testo di una chiamata telefonica a lui indirizzata. 

Era l’ora di cena. Entrato in casa vidi la tavola con al centro, su una tovaglia bianca, una polenta ancora fumante da tagliare, proprio mentre questa famiglia stava per iniziare a mangiare. Negli anni 90 del secolo scorso, il grande invalido del lavoro Marino Lorenzoni, abitante vicino al Borgo dei terrinchesi accanto all’abitazione del mio babbo, mi fece leggere un libretto che anni prima aveva fatto stampare il parroco di Arni, dove il Lorenzoni era nato. Rimasi impressionato nel leggere i tanti nomi degli arnini e delle località vicine, morti in seguito alla disgrazie accadute mentre espletavano il loro duro lavoro sulle cave dell’alta Versilia.

Il lavoro è vita e credo che chi dirige qualsiasi attività lavorativa dovrebbe fare il possibile per evitare che non avvenissero più disgrazie mortali causate da disattenzioni, che fanno sprofondare nel dolore i familiari delle vittime e feriscono l’intera umanità.

giovedì 7 aprile 2016

Riflessioni sull'amore

Si parla tanto di questo sentimento che dovrebbe unire ed affratellare tutti i popoli della terra, senza più divisioni ideologiche, steccati, muri, frontiere e lotte di classe.
Ciò che invece sta accadendo a Beirut, in Iraq, in Iran  ed in altre nazioni  di questo piccolo mondo, ci farebbe dubitare della sua esistenza, almeno a quei livelli, se non fossimo, nel contempo, testimoni di esempi luminosi di amore che ogni giorno delicate creature, come suor Teresa di Calcutta , tanto per citarne una, manifestano nei confronti di masse di persone ammalate o afflitte dalla fame
Altri esempi della specie ci vengono forniti da coloro che lottano a difesa dei diritti dell’uomo, primo fra i tanti, quello relativo alla libertà, senza la quale non ci può essere nemmeno l’amore.
Quindi l’amore esiste sin dal giorno in cui l’uomo è stato creato.
E’ realtà di sempre e  non un sogno irreale.
L’uomo, generato da un atto di amore, è il simbolo e l’emblema di questo sentimento, comune peraltro a  tutti gli altri essere viventi.
Cristo, morto inchiodato sulla croce, rappresenta per coloro che credono nei valori genuini e  più autentici, che la vita non è solo terrena ma eterna, la più alta  manifestazione di amore nei confronti di tutto il genere umano.
Nel giorno in cui si festeggia San Valentino, per antica tradizione il  santo patrono degli innamorati, cessando, per, un momento, ma solo per un attimo, di pensare alla guerra, ai nostri fratelli palestinesi che assediati nei loro campi profughi a Beirut, sono costretti,  per sopravvivere, a nutrirsi  con la carne delle persone uccise durante i sanguinosi scontri , voglio ricordare quanto è sublime l’amore che unisce una coppia.
Stare insieme, avere rispetto, l’uno verso l’altra e viceversa, avere figli, ricevere e donare carezze e baci, sono frutti che solo l’amore può darci.
Ma l’amore non ha limiti. Esso si manifesta in tutti i campi della nostra vita.
E’ amore lavorare; seminare la terra, far crescere le piante; impedire che i fiumi i laghi ed i mari siano inquinati  dai rifiuti di ogni genere. E’ una dimostrazione di amore anche questa odierna cerimonia  che ci consente di esprimere le nostre gioie, le ansie e le angosce del nostro tempo inquieto.
Ma amore non significa dover subire passivamente le violenze  e i soprusi degli uomini ingiusti.
Amore significa  anche impugnare la spada, così come fece l’Arcangelo Gabriele per sconfiggere il demonio che, annidandosi dentro l’uomo, è riuscito ad assopire la sua coscienza.


P. S. Questo è il mio primo articolo che fu pubblicato su "Il Dialogo" (aprile 1987), mensile cattolico versiliese diretto e fondato dal compianto don Florio Giannini, che ha già raggiunto da alcuni anni la Casa del nostro Padre Celeste.
Visto che il tema trattato in questo articolo mi sembra ancora oggi attuale, ho voluto ripubblicarlo sul mio blog, per onorare la memoria di Don Florio.