mercoledì 13 dicembre 2023

L’oro alla Patria, tra propaganda, miseria e consenso




Ricordo quella mattina del 18 dicembre 1935, una settimana prima di Natale, in cui mia madre uscì di casa e tornò, tutta emozionata, senza più la fede d'oro ma con un cerchietto di ferro al dito. “Ha fatto il suo dovere! L'ha donato alla Patria”, lessi sulla ricevuta che le fu rilasciata. Avevo solo cinque anni ma sapevo leggere avendolo imparato frequentando l’asilo infantile Delatre di Seravezza.

Mia mamma donò la sua fede nuziale, il solo oggetto d’oro che possedeva, come fecero moltissimi italiani aderendo alla mobilitazione nazionale promossa dal governo fascista per rispondere alle sanzioni varate dalla Società delle Nazioni contro l'Italia, perché il nostro Paese aveva attaccato e invaso l'Etiopia. Erano gli “anni del consenso”, come più tardi li definì lo storico Renzo De Felice. L’Italia era tutt’uno col suo capo, Benito Mussolini. Rinunciare a qualcosa di così intimo e caro come una fede nuziale era un sacrificio, certo, ma al contempo un gesto di amore verso la propria Patria. Questo almeno era il pensiero indotto dalla propaganda fascista.

La “Giornata della fede” fu un successo. In tutta l’Italia furono raccolti milioni di fedi nuziali e un quantitativo complessivo d'oro pari 33.622 chili e 93.473 di argento. Solo a Roma furono raccolti più di 250.000 anelli, a Milano circa 180.000.

Illustri personalità del tempo aderirono all’iniziativa donando i loro oggetti preziosi. La regina Elena del Montenegro donò la propria fede e quella del marito, re Vittorio Emanuele III, il sovrano successivamente aggiunse dei lingotti d’oro; il principe Umberto donò il Collare dell’Annunziata; Rachele Mussolini, moglie del Duce, la propria fede nuziale; Luigi Pirandello donò la medaglia del premio Nobel; Guglielmo Marconi (la fede e la medaglia da senatore); Luigi Albertini e Benedetto Croce la medaglia da senatore; Gabriele D’Annunzio consegnò una spada d’oro, sette medaglie d’oro e la Military Cross ricevuta dal re d’Inghilterra.

La cerimonia principale si svolse, a Roma, all’Altare della Patria. Con queste parole Mussolini sintetizzò il senso della giornata: “Oggi l’Italia è fascista e il cuore di tutti gli italiani batte all’unisono col vostro, e tutta la nazione è pronta a qualunque sacrificio per il trionfo della pace e della civiltà romana e cristiana”.

È bene ricordare quale fosse il sentimento degli italiani rispetto alla conquista di “un posto al sole” annunciata da Mussolini. Il fascismo era riuscito a rinvigorire lo spirito nazionalista e l’idea di conquistare un territorio in Africa, così come avevano fatto altri paesi europei, era considerata non solo giusta ma necessaria. In più la propaganda usava il tasto della civilizzazione. L’Italia, in pratica, non andava solo a conquistare una terra ma anche a portare la civiltà e la libertà. Persino la Chiesa era a favore. Queste le parole pronunciate dal cardinale di Milano Ildefonso Schuster durante un’omelia: “Pace e protezione all’esercito valoroso che in ubbidienza e intrepido al comando della Patria, a prezzo di sangue apre le porte di Etiopia alla fede cattolica e alla civiltà romana”.

Come ha scritto la storica tedesca Petra Terhoeven nel libro “Oro alla Patria. Donne, guerra e propaganda nella giornata della Fede fascista” (ed. Il Mulino, 2006), l’iniziativa “Oro alla Patria” ebbe risultati notevoli, anche se non paragonabili ai costi di una guerra. Ma la raccolta dei beni preziosi fu soprattutto un grande evento di propaganda e di mobilitazione di tutto il popolo italiano, a partire dalle spose, coinvolte in prima persona nel sacrificio per la Patria.

La guerra in Africa si concluse nel 1936 con la conquista dell'Impero. Nel giro di pochi anni dichiarammo guerra alla Francia, all'Inghilterra, e poi alla Russia, schierandoci nel secondo conflitto mondiale a fianco della Germania di Hitler, scelta che ci portò sofferenze, fame e distruzioni. In nome della Patria a scuola ci dissero: “Portate un po' di lana dei materassi. È necessaria per fare i calzettoni per i nostri soldati in Russia, altrimenti rimarranno con gli arti congelati”. Ancora in nome della Patria ci tolsero le inferriate e si presero le pentole di rame per fabbricare armi. Subimmo bombardamenti e immani distruzioni e ci furono moltissime vittime innocenti. Lungo è l'elenco dei soldati, marinai e aviatori italiani che non fecero più ritorno nelle loro case in quanto uccisi in combattimento. 

La mia casa del Ponticello di Seravezza (Lucca) nella tragica estate del 1944 fu fatta saltare in aria dai tedeschi, insieme a molte case sia del capoluogo seravezzino che di altre località della Versilia, che divenne l'estremo limite della Linea Gotica. Le antiche frazioni di Corvaia e Ripa furono completamente rase al suolo. 

Negli ultimi giorni del tragico conflitto, a Dongo, i partigiani trovarono ai gerarchi fascisti in fuga con Mussolini due brocche piene di fedi nuziali che le spose italiane avevano donato alla Patria. Ma quale Patria?