mercoledì 29 giugno 2011

Un parlatimi più di paradisi artificiali

Finimola ragà di giocà col foco!
La droga vi avvelena e po' vi uccide.
Ditimi perchè vi bucate?
E' atroce, duvete capillo, quélo che fate.
Col cervello bloccato da false sensazioni,
un riscite a vedé la bellezza de la vita
che tale è se vissuta accanto a le persone
che vi voglino veramente bene:
la mà, il babbo, ' ffratelli, ' nnonni
e na bela giovenetta che po' doventerà
la vostra cara e amata sposa.
Nell'amore e ne la capacità di laborà
troverete la forza per superà, state siguri,
i momenti dificili de la vita.
Forti duvete esse, per strappà a le rocce
le mitiche, guasi inafferrabili stelle alpine,
e lassù, dalle cime dei monti,capirete
di avello sotto il vostro sguardo
il mondo meraviglioso che Dio ha creato
per vò e per tutta l'Umanità.
E un parlatimi più di paradisi artificiali,
non fate i bischeri ragà: un vi rovinate!

Droga: Perché morire?

Cosa si può scrivere sulla droga, su questo tema sempre di scottante attualità, oggetto di un recente provvedimento legislativo per frenarne l'uso, di tramissioni televisive con sequenze crudeli, di dibattiti in seno a comitati ed associazioni e di articoli pubblicati su riviste e giornali, sovente, ahimè riferibili ad agghiaccianti episodi di cronaca nera maturati nel mondo perverso dei traffici illeciti di tale sostanza?
Mentre scrivo tanti pensieri e riflessioni balenano nella mia mente. La tristezza che mi pervade è in certo senso attenuata dalla fiducia che ho nei giovani, il cui senso di coscienza, di maturità di pensiero e di cognizione reale dei fatti,determineranno, un giorno non lontano, la fine di questo grave problema.
E' ai tossico dipententi ed a coloro che finora hanno avuto esperienze iniziali con la droga per una irresponsabile curiosità o per gioco, che dedico questo mio scritto.
Esprimo ciò che sento con molta semplicità come desidera fare un padre quando vede i propri figli esposti ad un cosi grave pericolo.
Sento dire in giro , da tanti anni, che i drogati sono dei giovani deboli, dei viziati e degli
esseri privi privi di coraggio, per il modo in cui sono divenuti schiavi della droga, un veleno che genera uno stato di intossicazione cronica quando ne viene fatto un uso ripetuto, con conseguenze letali e quasi giornaliere, ormai sotto gli occhi di tutti.
Chiaramente occorre una grande forza di volontà per uscire fuori da questo tunnel maledetto, un'energia che può scaturire dal bisogno di dimostrare, innanzi tutto a se stessi, di essere uomini nel vero senso della parola.
E' una prova di carattere che questi giovani, che io definisco anche sfortunati, devono fornire per fare vedere quanto di bello e di grande hanno ancora dentro di sé, facendo, nella circostanza, ricorso all'aiuto del Signore che sicuramente ascolterà le loro preghiere che fanno sempre bene al cuore e confortano l'uomo nei momenti più difficili della loro vita.
Vorrei ricordare a queste creature ch per costruire un mondo migliore, una società senza guerre, in cui ci sia giustizia sociale e non più miseria, c'è bisogno del contributo di tutti, ed in modo particolare della fertile creatività dei giovani, i quali, prima o poi, saranno chiamati ad occupare posti di responsabilità nel governo della collettività.
Sbagliano coloro coloro che nel tenativo di tirarsi indietro, di sottrarsi alle proprie responsabilità, ricorrono alla droga per provare sensazioni nuove, i cosiddetti paradisi artificiali, che recano gravi danni all'organismo fino a condurre ad una morte prematura tra dolori atroci.
Perché morire? Non ci pensate ragazzi al dolore che procurate ai vostri genitori che vi hanno dato la vita e fatto crescere con amore, sognando per voi, quando eravate piccini e vi stringevano fra le braccia, orizzonti meravigliosi, mentre ora sono soli coi loro sogni infranti? Non ci pensate al dolore che procurate ai vostri fratelli e sorelle, ai vostri cari nonni ed a tutti quelli che vi vogliono bene? Non riflettete sulla perdita di ogni residuo di dignità senza la quale c'è chi è indotto, con riferimento a quegli elementi che non hanno denaro sufficiente per acquistare la droga, a commettere scippi, furti ed anche delitti più gravi, tutti reati che conducono al carcere? Perché rinunciare allo splendido sorriso di una donna che vi può accompagnare tutta la vita e ad avere una famiglia e dei figli?
Io non riesco neppure ad immaginare quali siano gli effetti che derivano dall'uso della droga. Valutate ciò che ogni giorno accade nel mondo, anziché parlare di paradisi artificiali, sarebbe più appropriato definirli inferni. E che inferni!
L'uso della droga non può essere giustificato neppure da coloro che non riescono ad inserirsi, per molteplici motivi, in questa società, anche se dobbiamo riconoscere che chi non trova un lavoro vive davvero un autentico dramma che coinvolge tutti i suoi familiari.
Anche i giovani del passato hanno avuto gli stessi problemi occupazionali. Difficoltà enormi
furono avvertiti dalla mia generazione a causa della guerra tremenda che devastò in modo particolare la Versilia.
Con le macerie ancora fumanti e con la scarsità del cibo che continuava a persistere anche dopo la fine della guerra, avevamo altri problemi a cui pensare. Sentii parlare di droga per la prima volta dopo l'immediato dopoguerra, quando udii alcuni giovanotti discutere fra loro verosimilmente di fantasiose avventure amorose.
Noi ragazzi di ieri siamo stati defraudati anche della spensierata fanciullezza che deriva ai bimbi dal fatto di crescere, di studiare e di formare il loro carattere in un paese in pace con tutti i popoli e non impegnato in una guerra tremenda di cui siamo stati vittime innocenti.
Dalla fine di tanto immame conflitto si vive in pace e ciò è veramente importante e bello. Così i ragazzi di oggi solo dalla lettura dei libri di storia e da ciò che di grave purtroppo sta accadendo in altre parti del mondo, conoscono gli orrori della guerra.
Noi abbiamo sofferto lunghi periodi di fame e visto aerei sganciare sopra le nostre teste micidiali bombe. In noi non è ancora spenta l'eco delle esplosioni terrificanti dei colpi di mortaio cadutici addosso come chicchi di grandine: nei nostri occhi ci sono tuttora impresse le immagini delle persone dilaniate ed uccise dalle bombe e moriremo senza dimenticare l'attimo in cui, nel 1944, i tedeschi fecero saltare in aria le nostre case.
Ora è vero, ci sono tante tematiche sul tappeto che derivano dalle radicali mutazioni avvenute in questi ultimi decenni nei costumi e nei modi di vita della nostra società. Anche se si avvertono molte difficoltà sicuramente tutto andrà per il meglio. Bisogna essere ottimisti e mai disperarsi.
Spero proprio , sinceramente, che quanto prima la droga rimanga un ricordo lontano per tanti giovani, in modo che sul volto di ciascuno di essi riaffiori un luminoso sorriso a significazione di una ritrovata gioia di vivere.
Ai genitori, sempre in pena, il difficile compito di di aiutarli il più amorevolmente possibile, affinché superino nel migliore dei modi questo momento grave della loro esistenza.


Questo mio articolo è stato pubblicato su il Dialogo, mensile cattolico Versiliese, diretto dal suo fondatore don Florio Giannini, nel mese di settembre 1990.
La pubblicazione sul mio blog è scaturita dalla considerazione che l'argomento in questione è tuttora , dolorosamente, attuale.





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sabato 18 giugno 2011

PACE UNIVERSALE

Epressione di una amore infinito fra tutti gli uomini della terra

Quando ritorno a percorrere le strade di Seravezza, un fatto che , ahimè, avviene sempre più raramente, sono poche le persone di mia conoscenza che mi capita d'incontrare; a volte mi pare di essere un “ forastièro”, sì un uomo proveniente da un paese lontano.

E' al cimitero, dove riposano i resti dei miei genitori e di altri stretti parenti e cari amici e conoscenti che la mia memoria si accende al ricordo nitido della moltitudine di gente che conobbi fin da quando ero bambino.

La visione delle loro tombe marmoree, di loculi, di cumuli di terra che mani amorose hanno trasformato in aiuole fiorite, di molte luci sempre accese, e di infiniti vasi colmi di fiori, oltre che a commuovermi, mi induce anche a riflettere sulla nostra breve esistenza terrena.

Una riflessione che mi fa comunque pensare ad una vita di valori se vissuta senza guerre fra i popoli del mondo in un clima di pace universale, intesa come espressione di un amore infinito fra tutti li uomini, secondo il disegno di Colui che ci ha creato.

venerdì 17 giugno 2011

Iddio il nostro Padre Celeste

Devo a Don Florio Giannini, che è stato direttore del periodico mensile cattolico Il Dialogo, da lui fondato a Ruosina di Seravezza nel 1979, il cui ultimo numero, se non erro, è uscito a gennaio del 2007, se negli anni in cui sono stato un suo fedele abbonato e modesto collaboratore, ho approfondito le mie conoscenze sia sulle verità del cristianesimo che in campo filosofico. E' dal prezioso libretto edito dalla sua prestigiosa casa editrice Il Dialogo, che lui mi donò, se ho potuto leggere tante toccanti e struggenti preghiere che il famoso filosofo, pensatore, teologo e protestante danese Sorem Aabye Kierkegaard, rivolse, nell'Ottocento, al nostro Dio onniscente, creatore del mondo.
Il pensiero filosofico di Kierkegaard, considerato il padre dell'esistenzialismo, si concentra nell'analisi dell'esistenza umana, secondo i comportamenti umani originali e propri di ciascun uomo, dai quali emergono chiaramente i rapporti con la società, il mondo e Dio.
Da questo rapporto si delineano soltanto le possibilità che le creature umane hanno per vivere cristianamente, quindi al meglio, la loro esistenza se osservano le tavole della legge che Dio diede a Mosè sul monte Sinai, e non le necessità, che, comunque, l'uomo ha sempre durante la sua vita terrena.
Conseguentemente balzano fuori le varie problematiche della realtà umana che ogni uomo deve affrontare tutti i giorni della sua esistenza terrena, sovente anche col cuore in preda all' angoscia, allorchè si rende conto dei molti dubbi che avverte nel proprio io cosciente in ordine appunto alla limitatezza del suo agire.
Kierkegaard nacque a Copenaghen il 3 maggio 1812 ed ivi morì l'11 novembre 1855.
Egli fu in continua polemica con quelle filosofie accademiche che, a suo parere, non erano di nessuna utilità pratica. Cresciuto in un ambiente di esasperata religiosità, in sostanza, il suo pensiero filosofico s'impernia sulla dimensione soggettiva dell'uomo volto alla ricerca della verità. In polemica con l' hegelismo stabilì i temi primari dell'esistenzialismo contrapponendo alla filosofia oggettiva di Hegel la filosofia soggettiva del singolo e alla dialettica della ragione le argomentazione della dialettica esistenziale che comportano la libertà e la scelta delle decisioni che l'uomo deve prendere nel corso della suavita. Dalla libertà è possibile che l'uomo arrivi a peccare, da qui si arriva all'angoscia che soltanto la fede può risolvere e superare. Il suo dialogo con Dio , di una esaltante spiritualità, fanno risplendere la figura del nostro Padre misericordioso e invisibile , ma percettibile per i suoi segnali divini che attraggono tutte le anime degli uomini buoni e giusti destinate a raggiungerlo, lassù, nel Paradiso.
Nella sua preghiera;”” Cristo cammina sulle acque” il filosofo Kierkegaard, tra l'altro, dice al Signore: “Sì Padre, tanto spesso noi abbiamo provato che il mondo non ci può dare la pace. Ma tu facci sentire che sentiamo la verità della promessa che la Tua Pace il mondo intero non ce la può togliere”.
Concludo anch'io con una brevissima preghiera alla Kierkegaard. “ Signore fammi ritrovare la via del bene e dell'amore che in questo mondo sconvolto continuamente dalla guerre, da molte ingiustizie e da tanta miseria, a me spesso pare di avere smarrito. Ti esorto mio Dio, fa che la Pace duri in eterno fra tutti i popoli del mondo.

martedì 14 giugno 2011

La mia vita a Seravezza quando ero chierichetto
Ricordo del cappellano don Giuseppe Bertini, il sacerdote torturato e fucilato
dalle SS decorato, alla memoria, della medaglia d'oro al valor militare
Avevo poco più di dieci anni quando, d'un colpo , mi venne il desiderio di andare a servire la Santa Messa che a Seravezza veniva celebrata la mattina presto, mentre “fora” (1)era ancora buio. Se non sbaglio mi pare proprio che la prima Santa Messa iniziasse alle ore cinque. Quindi pensandoci bene, non fui mosso dalla ricerca di un qualcosa di nuovo per passare le giornate, bensì dalla spinta che ricevette il mio cuore attratto dalla figura del Cristo Redentore che sentii maggiormente dopo aver letto un libro sulla vita del fondatore dei Salesiani, don Giovanni Bosco, il santo che dedicò, nel 1800, la sua esistenza terrena alla cura della gioventù più povera, tant'è che i suoi principi educativi ebbero una grande diffusione in tutte le parrocchie italiane.
Negli anni della mia fanciullezza gli abitanti di Seravezza partecipavano numerosi alle funzioni religiose, non ho mai dimenticato quel giorno di festa in cui vidi il duomo dei santissimi San Lorenzo e Barbara e le strade gremite di fedeli arrivati anche dai vicini paesi montani per assistere alla prima Santa Messa celebrata da un giovane seravezzino, mi pare che fosse don Bonci, ordinato sacerdote.
Ricordo quando d'inverno mi alzavo dal letto tutto infreddolito e con le mani “gronchie” (2), mentre raggiungevo la chiesa dei Santissimi Lorenzo e Barbara, della quale era parroco monsignor Angelo Riccomini che si avvaleva della collaborazione del giovane cappellano don Giuseppe Bertini, nato a Barbaricina, una località alla periferia di Pisa.
Più di una volta,nella stagione invernale, mi sembrava di attraversare un paesaggio lunare col ghiaccio a forma di candele, formatosi dopo la caduta della pioggia sotto le gronde delle case, oppure dopo lo scioglimento della neve che aveva ricoperto i tetti.

In chiesa veniva anche un giovanotto di Seravezza che lavorava nel laboratorio dei marmi della ditta Casini & Tessa, che allora c 'era a Corvaia. Egli serviva la Santa Messa e faceva anche un pò da sacrestano. Ad un certo punto non lo vidi più, seppi che era andato a studiare nel seminario pisano di Santa Caterina per divenire sacerdote. La Santa Messa veniva celebrata in latino. Fu il cappellano don Giuseppe Bertini ad insegnarmi le risposte che i chierichetti erano tenuti a dare al celebrante durante la funzione religiosa. Non era facile. Avevo delle difficoltà che superai grazie alla tanta pazienza che dimostrava di avere il giovane cappellano. Nel recitare il “suscipia te Domini...” c'era una frase che non riuscivo a pronunciare bene, così dovetti ripeterla più di una volta; alla fine la imparai alla perfezione. Durante la benedizione delle case del Montorno, dell' Uccelliera e della Canala, il cappellano veniva accompagnato da due chierichetti, uno dei quali portava un cesto per le uova fresche donate dalle parrocchiane che tenevano alcune galline. Oltre alle uova venivano raccolti gli oboli offerti alla chiesa dagli abitanti delle case benedette. Quando i chierichetti, a giro fatto, ritornavano in canonica consegnavano subito il cesto delle uova alla mamma del parroco : un fatto questo che le procurava un visibile piacere , come si poteva rilevare dal sorriso che le illuminava il volto. Un giorno anch'io accarezzai l'idea di “farmi prete”, come allora si diceva. Lo accennai ad alcuni miei cugini nessuno dei quali mi incoraggiò a realizzare questo mio nascente desiderio. Ricordo che essi espressero parere contrario, Così il mio sogno svanì sul nascere, verosimilmente perché non fu sorretto da una vocazio9ne forte e decisa. Qualche volta, nella mia vita di uomo adulto, mi sono domandato che prete sarei stato se fossi divenuto sacerdote. Sempre mi sono risposto che avrei aperto la mia mensa ai poveri, attraverso i quali Gesù si manifesta a noi. Durante il periodo in cui ero chierichetto servii la Santa Messa anche all' anziano don Binelli, cugino di mia madre, che nel passato fu impiegato, con mansioni di alta responsabilità, presso la filiale di un istituto bancario di Seravezza. Una mattina, dopo la celebrazione della Santa Messa, don Binelli che abitava in Torcicoda e che certamente doveva conoscere i bisogni della mia famiglia, mi mise in mano una moneta da mezza lira. Ricordo che mi disse: “Mettila in tasca... non ci rumare e dalla alla tua mamma! “ A Seravezza c'erano tanti chierichetti, ma io ricordo soltanto Matteo Bonci che era mio vicino di casa e Mario Tarabella che era la più bella voce del coro della chiesa. Spesso noi chierichetti si litigava quando si doveva indossare il riccetto che veniva tenuto in canonica alla rinfusa. Qualche volta si arrivava, in modo vergognoso, a qualche scazzottata fra noi.. quando , forse anche a torto,  qualcuno  riteneva che il suo riccetto era stato indossato da un altro chierichetto. Don Giuseppe Bertini era estremamente affettuoso con tutti noi ragazzi, non ricordo di essere mai stato rimproverato. Egli era amato e rispettato da tutti i seravezzini, come ebbe il piacere di constatare anche Giovanni,il suo fratello più piccolo, che un giorno venne a trovarlo a Seravezza. Fu in quell'occasione che egli constatò, mentre entrambi fecero un giro lungo le strade del paese, che tutte le persone che incontravano rivolgevano il saluto al proprio fratello con grande deferenza. Con questo suo fratello più piccolo, divenuto anche lui sacerdote e poi parroco della tenuta Presidenziale di San Rossore nonché cappellano della locale Cappella Palatina, parlai durante un pranzo sociale che si svolse circa trent'anni fa presso la locale Brigata della Guardia di Finanza quando fu festeggiata una ricorrenza annuale della fondazione del Corpo. Fu don Giovanni Bertini, fratello di don Giuseppe, il nostro ospite d'onore. “Sono stato chierichetto di don Giuseppe quand' era cappellano a Seravezza. Era molto bravo, non l'ho mai dimenticato”. Cosi gli dissi quando ci mettemmo a dialogare; ricordo che si commosse. Capii che i due fratelli si volevano molto bene, tant'è che l'esempio di vita di quello più grande indusse il più piccolo ad entrare in seminario e divenire anche lui sacerdote. Nel settembre 1943 don Giuseppe Bertini assunse l'incarico di parroco della frazione di Molina di Quosa del comune di S.Giuliano Terme. Erano tempi durissimi per tutta la popolazione. La fame si faceva sentire forte, forte. Don Giuseppe non se ne stette con le man in mano. Organizzò la raccolta di viveri da distribuire ai parrocchiani, fra i quali anche i partigiani che operavano nella zona. Il suo alto magistero sacerdotale gli fece aprire la porte della sua canonica a tutti i fedeli bisognosi, senza alcuna distinzione. Fu di esempio e di sprone agli abitanti del paese che vedevano in lui un faro di luce, come mi raccontò un giovane universitario, che studiava insieme a mio figlio, che sapeva tante cose su don Giuseppe Bertini per averle sentite dire dai genitori e nonni. Anche un mio collega mi ha raccontato che suo padre, nel 1944 , più di una volta attraversò con una barca a remi, insieme a don Giuseppe, il fiume Serchio per raggiungere un vicino molino dove sempre riuscivano a procacciarsi un po' di farina di grano e di granturco di cui avevano bisogno i suoi parrocchiani per sopravvivere. Catturato dalle S.S. nel settembre del 1944 e rinchiuso nel forte Malaspina di Massa insieme ad altri sacerdoti, fu trattato in modo brutale e violento. Nel libro ” La strage degli Innocenti” di Giorgio Giannelli, è riportata la frase rivolta sia a don Giuseppe Bertini che ad altri sacerdoti arrestati e trucidati in quel tempo: “ Voi preti siete un branco di mascalzoni, di farabutti e di spie. Pregate Iddio, piagnucolate e poi nelle vostre chiese e nei vostri conventi si trovano armi, mitragliatrici e viveri per i ribelli”. Ecco cosa gli dissero dopo che lui aveva confermato di essere il parroco di Molina di Quosa. A don Giuseppe fu chiesto di fornire i nomi dei partigiani. Fu torturato a sangue,ma dalla sua bocca uscirono soltanto parole di perdono per i suoi aguzzini.
Il 19 settembre 1944 fu fucilato insieme a 34 altri uomini, tra i quali alcuni ex gerarchi del passato regime del ventennio fascista,odiati ormai dalle S.S. che non avevano più rispetto per nessuno. Quel giorno fu ucciso anche il chierico Renzo Tognetti, nativo del Crociale e prossimo ad essere nominato sacerdote. Il Tognetti fu catturato la mattina del 12 agosto 1944, lo stesso giorno in cui fu commessa l'orribile strage di Sant'Anna di Stazzema, nella canonica della chiesa di Valdicastello, insieme al parroco don Libero Raglianti, anch'esso ucciso il 29 agosto 1944 a Filettole, dopo essere stato ristretto e torturato nelle case pie di Lucca e Nozzano, trasformate in carceri dalle crudeli S.S..Per il suo eroico comportamento don Giuseppe Bertini è stato insignito, alla memoria, della medaglia d' oro al valor militare.

1)Fora. (Voce del vocabolario versiliese) - Fuori;
2)Gronchie, “ “ “ - Dita delle mani intirizzite dal freddo.

martedì 7 giugno 2011

Notizie de visu sullo scultore John Fischer

Ecco le notizie de visu e anche apprese ad Azzano il giorno della inaugurazione del monumento dedicato alla Madonna del Cavatore, riguardanti John Fischer, scultore californiano:
Johon Fischer è un bell'uomo che nel 2005 aveva 54 anni.
E' venuto in Versilia nel 1985, facendovi ritorno nel 1987.
Da allora non se n'è più andato.
In Versilia era molto conosciuto per le sue opere, tra cui l'altare della chiesa di Vaiana.
Ha dipinto anche " La Lira", il drappo che ogni anno viene dato in premio ai vincitori del Palio dei Micci di Querceta.
Fece presente dopo l'inaugurazione del monumento che sarebbe ritornato negli Stati Uniti dove gli erano state commissionate grosse sculture.
Avrebbe fatto ritorno in Versilia per acquistare il marmo su cui lavorare.
Fischer ha lasciato nella nostra terra il frutto della sua scultura che, come ho visto dal monumento dedicato ad Azzano alla Madonna del Cavatore,con sotto di essa due cavatori, uno dei quali pare che si arrampichi su una tecchia, è veramente pregevole.
Per il suo talento di grande scultore e per l'amore che nutrì per la nostra terra, dove ha vissuto tanti anni, avrebbe meritato la nomina a cittadino onorario della Versilia storica.

Azzano culla della Madonna del cavatore

Il pomeriggio del 6 agosto 2005 ad Azzano fu inaugurato il monumento in marmo bianco dedicato alla Madonna del Cavatore. L'opera venne collocata su un terreno di proprietà di Primo Giorgi, un luogo che lui si augurava che fosse trasformato in un laboratorio all'aperto per giovani di ambo i sessi olandesi , francesi, tedeschi, americani e di altre nazioni, e dove aleggia sicuramente lo spirito di Michelangelo , ricordato appunto da Giorgi sulla piccola lapide murata sul muro di basamento del monumento, scolpito dallo scultore di San Francisco (California) John Fisher, sulla quale si legge: “ E sosta fece / sull'ameno colle / onde ne trasse / i bianchi marmi – 1518 1521 “.
Il monumento fu benedetto da don Hermes il parroco della Cappella.Diverse furono le ragioni che indussero Giorgi ad acquistare questo monumento in marmo bianco, del peso di 7/8 tonnellate.
In primis si deve alla devozione che da sempre nutriva per la Madonna del Cavatore , la cui medaglia che era solito portare attaccata ad una catenina allacciata al collo, impedì nel 1947 che un colpo partito da un'arma che stava maneggiando, di penetrare nel suo corpo, tanto da salvargli la vita, come un giorno mi raccontò. Questo monumento l'ha voluto anche per onorare i suoi avi, il babbo che fu cavatore ed anche il nonno Adamo che morì sulla cava ed il giovane figlio perito in seguito ad un tragico incidente stradale ed infine tutti i cavatori , e sono tanti, che sono periti in seguito alle disgrazie, sempre accadute nel tempo. Anche i miei antenati , Pietro, il mio bisnonno ( classe 1848) e mio padre Orlando ( classe 1906) lavorarono sulle cave di Seravezza durante gli anni della loro giovinezza.
Il figlio di Giorgi amava molto i luoghi montani dei suoi avi e nutriva l'ambizione di poter un giorno trasformare quel terreno, sul quale sono cresciuti frondosi castagni ed altri grossi alberi, e dove sorge una casetta munita di tutti i servizi, in una scuola all'aperto per apprendisti scultori.
Su un tratto di questa proprietà scorre la via intitolata “Martiri del Lavoro” che da Azzano conduce al monte Altissimo, il monte di Michelangelo.
Nell'anno 2000, Primo costruì nella sua proprietà una Cappella per onorare la memoria del suo babbo Adamo. Dopo la morte di suo figlio in questa cappella Giorgi ha fatto murare una lapide per onorare anche il figlio prematuramente scomparso. Alla cerimonia di inaugurazione del monumento assistettero diversi artisti stranieri che ogni anno raggiungono questa località montana per dedicarsi alla scultura, ed una folta schiera di amici di Primo, uomo di fede cristiana che da giovane prestò servizio militare nel Corpo degli Alpini e nel dopoguerra si arruolò nel Corpo della Guardia di Finanza , tant' è chi scrive era solito definirlo l'uomo dai due cappelli: alpino e da finanziere. Certo di fargli cosa gradita, anni fa gli donai un piccolo quadro da me dipinto con questi due cappelli alpini,Subito dopo l'armistizio dell' 8 settembre 1943 fu imprigionato dai tedeschi e rinchiuso in un lager in Polonia. Frequentai con lui nel 1949 il corso allievi finanzieri presso la caserma Piave di Roma. Con noi c'era anche il versiliese Angelini Guido e Ermanno Dalle Luche residente a Camaiore. Con la morte di Primo e di Ermanno siamo rimasti ancora in vita in due: io e l'amico Guido. Giorgi Primo amava cantare spesso le struggenti canzone degli alpini che ancora ricordava. Lui più anziano di qualche anno riusciva sempre a far mantenere alto il morale dei più giovani allievi.“ L'arte – come disse nel suo discorso don Hermes prima di benedire l'opera – per le cose belle che esprime affratella gli esseri umani di qualsiasi colore ed etnia, inducendoli a volersi bene fra loro. Questo fu il messaggio che da Azzano, Giorgi lanciò agli uomini di buona volontà. Tentò di esprimere compiutamente questo concetto con le proprie parole, ma la forte emozione gli serrò la gola, fino a che il caloroso applauso dei presenti gli diede la forza per concludere la sua breve prolusione. Non dimenticò don Giovanni Dini che a guerra finita succedette alla Cappella a don Luigi Vitè. Fu don Dini ad istituire la bella festa della Madonna del Cavatore. Il 2 settembre 1946 da Azzano partì la processione durante la quale fu portata fino alla Polla la bella formella reffigurante questa Madonna scolpita dal grande scultore Leone Tommasi e da lì, con la teleferica, arrivò sulla cava della Tacca Bianca dove fu murata. Quando nel 1979,tale cava divenne deserta ed inaccessibile, la formella venne tolta per essere collocata in località La Polla, dove tuttora si trova.Dopo la benedizione del monumento e le note del silenzio uscite dalla tromba di Giorgio Martini musicante della fanfara degli alpini di Seravezza, alcune scultricI straniere iniziarono a cantare l'Ave Maria, al coro si unirono anche tante voci dei presenti. Al termine della bella cerimonia Giorgi Primo offrì un ottimo e abbondante rinfresco.

domenica 5 giugno 2011

Medaglia d'argento al valore civile alla città di Seravezza

Inizio questo mio articolo con una serie di ringraziamenti. In primis, ringrazio il signor Sindaco di Seravezza se ieri 2 giugno 2011, in occasione del 65° anniversario della fondazione della Repubblica Italiana è stata appuntata a Lucca, in forma solenne, sul gonfalone seravezzino la medaglia d'argento al valore civile per i meriti riconosciuti dal signor Presidente della Repubblica, onorevole Giorgio Napolitano, alla popolazione di Seravezza e dintorni durante la seconda guerra mondiale che nella fase finale,per sette mesi, fu aspramente combattuta anche nella nostra terra.
Ringrazio il signor Presidente della Repubblica per avere accolto l'iniziativa del Sindaco di Seravezza, il quale, in verità aveva chiesto la concessione della medaglia d'oro al valore civile. Ringrazio la Cronaca Libera che divulgò a suo tempo la notizie riguardante la richiesta del Sindaco seravezzino, fatto questo che mi diede lo spunto per scrivere sul numero 2 del 2010. di Versilia Oggi l'articolo: “Seravezza merita la medaglia d'oro”.

Negli anni 9O pensai a determinati fatti dolorosissimi e alla distruzione di tante case fatte saltare in aria dai tedeschi nell'estate del 1944, senza che nessun riconoscimento di merito fosse stato riconosciuto ai seravezzini Di questo ne parlai con persone che frequentavano il salone della Misericordia di Seravezza. dove allora venivano tenute importanti conferenze.
Una gentile signora che stava seduta a poca distanza da me, con molto riguardo, mi ricordò che la medaglia d'oro concessa al Comune di Stazzema di fatto era stata concessa all'intera Versilia.
I lettori della Cronaca Libera sanno cosa ho scritto recentemente al signor Presidente della Repubblica, per sottolineare l' importanza della richiesta del Sindaco Neri; non è necessario quindi che ora ne riparli.
Il pensiero profondo avuto dal sindaco Neri mi induce a ritenere che quello che anch'io ebbi verso la fine del secolo scorso era fondato su elementi di estrema importanza.
Penso che questa medaglia d'argento abbia onorato i sopravvissuti alla tragica guerra vissuta dai seravezzini ed anche la memoria di coloro che sono purtroppo scomparsi.
Concludo rivolgendo un commosso pensiero al mio amico, fin dall'infanzia che fu Alberto Benti anche lui scomparso in questi ultimi anni, che, come ho già scritto in altri miei articoli, fu davvero un eroe senza medaglia, insieme ad altri ragazzi di Seravezza.

3.6.2011