lunedì 29 maggio 2017

Giro d'Italia, quell'amore che non passa mai

Si è appena conclusa la 100^ edizione del Giro d'Italia, con la vittoria dell'olandese Tom Dumoulin davanti al colombiano Nairo Quintana e al nostro grandissimo Vincenzo Nibali. E' stata proprio una bella ed entusiasmante corsa quella scattata ad Alghero il 4 maggio e conclusasi il 28 maggio a Milano.

Nei miei ricordi riaffiorano le gesta di moltissimi campioni. Il primo giro che vidi passare davanti ai miei occhi fu quello disputato nell'immediato dopoguerra. Eravamo nel 1946 e l'Italia era ancora piena di macerie. Attesi il passaggio dei corridori nella parte finale della prima tappa Genova-Montecatini. Li vedi salire il Monte Quiesa, vicino al valico per Lucca, a poca distanza dalla curva dove c’è una edicola con una madonnina scolpita in marmo. In quel periodo la mia famiglia abitava a Compignano, nella zona più alta del Monte Quiesa, in una casa di proprietà del commendatore Giovanni Luisini. Proprio lì vicino era stato trucidato Amos Paoli, medaglia d'oro al valor militare, che avevo conosciuto quando frequentava la scuola elementare e tutti i giorni passava sotto le finestre ,con le crucce sotto le ascelle,  della casa in cui abitavo nel rione Ponticello. Eravamo miracolosamente scampati ai tragici eventi dell'estate del 1944, prima con lo sfollamento sul Monte Pelliccino, poi a Giustagnana e infine a Capezzano Pianore, dove rimanemmo fino allo sfondamento del fronte (linea Gotica).

Finita la guerra mio padre fu riassunto al lavoro dall’ingegner Cerpelli, per recuperare materiali e macchinari della sua officina, ubicata alla Centrale, accanto al deposito della tranvia dell’Alta Versilia fatto saltare in aria come molti altri edifici. Mio padre accettò l’offerta dell'ingegnere di occupare una grossa stanza adibita a deposito, situata al piano terra, con annesso capannone con il tetto sfondato dalle cannonate tedesche, ubicato a Pietrasanta in via dei Piastroni, motivo per cui la mia mamma doveva cuocere il cibo su un fornello traballante, alimentato dal fuoco degli stecchi che raccoglieva qua e là, tenendo l’ombrello aperto quando pioveva. Terminato il recupero dei beni mobili rimasti per sette mesi sotto le macerie, mio padre ebbe il problema di trovare una nuova sistemazione, e quindi un giorno si recò a Compignano per parlare con suo fratello Pietro, che era sfollato lassù e lì era rimasto, con la sua famiglia.   avendo ottenuto dal fattore di occuparsi, a mezzadria, di un oliveto e di una grossa vigna.

Quando fu di ritorno non ci disse subito che aveva deciso di subentrare al fratello nella conduzione del podere da lui coltivato, visto che questi intendeva tornare al Pelliccino per far ricostruire la casa distrutta dalla cannonate degli americani. Si capì che aveva preso questa decisione non potendo continuare a sopportare la difficile vita che tutta la nostra famiglia conduceva.

Dallo sfollamento iniziato l'11 luglio 1944 si viveva come randagi: in casa non avemmo la forza di dire niente in contrario alla decisione di nostro padre. Neppure io dissi nulla, che avevo ripreso a frequentare l’avviamento professionale al lavoro  di Seravezza, riaperto prima della fine dell’anno scolastico 1944/1945. Così dovetti interrompere gli studi senza poter ottenere il diploma, anche se successivamente seppi di essere stato ammesso a sostenere gli esami finali.

Appena la casa sul Pelliccino fu ricostruita tornammo a Seravezza, stabilendoci in località Uccelliera  nella casa di proprietà del nuovo datore di lavoro che gestiva una cava sul monte Costa dove lavorò per un po di tempo il mio genitore, Nella casa dell'Uccelliera avevamo anche la conduzione a mezzadria  del piccolo oliveto e di due vignette il tutto concesso a mezzadria a mio padre, dal suo  datore di lavoro. Al centro dell'oliveto avevamo anche una piccola stalla per il ricovero di alcune pecore.

Ma torniamo al Giro d'Italia. Quella volta che, con grande emozione, per la prima volta lo vidi passare il primo a scattare sui pedali fu Adolfo Leoni, seguito a ruota da un collega di cui non ricordo il nome. La tappa, che terminò a Montecatini Terme, fu vinta proprio da Leoni.

L'anno seguente (o forse due) da Querceta vidi passare un altro Giro di Italia. Restando sempre un grande appassionato della bici, negli anni successivi ho sempre seguito con interesse e curiosità le notizie riguardanti la bella corsa rosa, compresa la centesima edizione appena conclusa.

Ho sempre vivo nel cuore il ricordo dei grandi Giri conquistati da campioni del calibro di Gino Bartali e Fausto Coppi, Ma i nomi che mi fa piacere ricordare sono davvero tanti. Molti non li ho mai visti dal vivo, ma ho letto le loro gesta sui giornali oppure ho sentito le cronache alla radio o, più tardi, in tv. Così, i loro nomi, si sono sedimentati nella mia memoria e, certamente, anche in quella di milioni di persone che, come me, amano le corse in bici. Ne cito solo alcuni, in ordine sparso: Alfredo Binda, Learco Guerra, Fiorenzo Magni, Felice Gimondi, Gastone Nencini e l'indimenticato Marco Pantani. Molti di loro dominarono non solo al Giro ma anche al Tour de France, riempiendoci di gioia.

Le imprese in bicicletta mi hanno sempre emozionato e reso felice. Mi sento di ringraziare tutti questi grandi campioni con affetto, perché mi hanno regalato tante bellissime e indimenticabili sensazioni, come solo lo sport sa fare.

Mio nipote Tommaso Fiaschi ama correre in bicicletta da quando era molto piccolo. Fa parte di una importante squadra Under23. Credo nelle sue capacità e voglio pensare che possa riuscire a infiammare il mio cuore con le sue prossime e travolgenti vittorie come riusci a fare alcuni anni fa quando vinse con una formidabile volata il trofeo Buffoni a Torano di Massa. Forza Tommaso! Il tuo nonno Renato.