martedì 14 giugno 2011

La mia vita a Seravezza quando ero chierichetto
Ricordo del cappellano don Giuseppe Bertini, il sacerdote torturato e fucilato
dalle SS decorato, alla memoria, della medaglia d'oro al valor militare
Avevo poco più di dieci anni quando, d'un colpo , mi venne il desiderio di andare a servire la Santa Messa che a Seravezza veniva celebrata la mattina presto, mentre “fora” (1)era ancora buio. Se non sbaglio mi pare proprio che la prima Santa Messa iniziasse alle ore cinque. Quindi pensandoci bene, non fui mosso dalla ricerca di un qualcosa di nuovo per passare le giornate, bensì dalla spinta che ricevette il mio cuore attratto dalla figura del Cristo Redentore che sentii maggiormente dopo aver letto un libro sulla vita del fondatore dei Salesiani, don Giovanni Bosco, il santo che dedicò, nel 1800, la sua esistenza terrena alla cura della gioventù più povera, tant'è che i suoi principi educativi ebbero una grande diffusione in tutte le parrocchie italiane.
Negli anni della mia fanciullezza gli abitanti di Seravezza partecipavano numerosi alle funzioni religiose, non ho mai dimenticato quel giorno di festa in cui vidi il duomo dei santissimi San Lorenzo e Barbara e le strade gremite di fedeli arrivati anche dai vicini paesi montani per assistere alla prima Santa Messa celebrata da un giovane seravezzino, mi pare che fosse don Bonci, ordinato sacerdote.
Ricordo quando d'inverno mi alzavo dal letto tutto infreddolito e con le mani “gronchie” (2), mentre raggiungevo la chiesa dei Santissimi Lorenzo e Barbara, della quale era parroco monsignor Angelo Riccomini che si avvaleva della collaborazione del giovane cappellano don Giuseppe Bertini, nato a Barbaricina, una località alla periferia di Pisa.
Più di una volta,nella stagione invernale, mi sembrava di attraversare un paesaggio lunare col ghiaccio a forma di candele, formatosi dopo la caduta della pioggia sotto le gronde delle case, oppure dopo lo scioglimento della neve che aveva ricoperto i tetti.

In chiesa veniva anche un giovanotto di Seravezza che lavorava nel laboratorio dei marmi della ditta Casini & Tessa, che allora c 'era a Corvaia. Egli serviva la Santa Messa e faceva anche un pò da sacrestano. Ad un certo punto non lo vidi più, seppi che era andato a studiare nel seminario pisano di Santa Caterina per divenire sacerdote. La Santa Messa veniva celebrata in latino. Fu il cappellano don Giuseppe Bertini ad insegnarmi le risposte che i chierichetti erano tenuti a dare al celebrante durante la funzione religiosa. Non era facile. Avevo delle difficoltà che superai grazie alla tanta pazienza che dimostrava di avere il giovane cappellano. Nel recitare il “suscipia te Domini...” c'era una frase che non riuscivo a pronunciare bene, così dovetti ripeterla più di una volta; alla fine la imparai alla perfezione. Durante la benedizione delle case del Montorno, dell' Uccelliera e della Canala, il cappellano veniva accompagnato da due chierichetti, uno dei quali portava un cesto per le uova fresche donate dalle parrocchiane che tenevano alcune galline. Oltre alle uova venivano raccolti gli oboli offerti alla chiesa dagli abitanti delle case benedette. Quando i chierichetti, a giro fatto, ritornavano in canonica consegnavano subito il cesto delle uova alla mamma del parroco : un fatto questo che le procurava un visibile piacere , come si poteva rilevare dal sorriso che le illuminava il volto. Un giorno anch'io accarezzai l'idea di “farmi prete”, come allora si diceva. Lo accennai ad alcuni miei cugini nessuno dei quali mi incoraggiò a realizzare questo mio nascente desiderio. Ricordo che essi espressero parere contrario, Così il mio sogno svanì sul nascere, verosimilmente perché non fu sorretto da una vocazio9ne forte e decisa. Qualche volta, nella mia vita di uomo adulto, mi sono domandato che prete sarei stato se fossi divenuto sacerdote. Sempre mi sono risposto che avrei aperto la mia mensa ai poveri, attraverso i quali Gesù si manifesta a noi. Durante il periodo in cui ero chierichetto servii la Santa Messa anche all' anziano don Binelli, cugino di mia madre, che nel passato fu impiegato, con mansioni di alta responsabilità, presso la filiale di un istituto bancario di Seravezza. Una mattina, dopo la celebrazione della Santa Messa, don Binelli che abitava in Torcicoda e che certamente doveva conoscere i bisogni della mia famiglia, mi mise in mano una moneta da mezza lira. Ricordo che mi disse: “Mettila in tasca... non ci rumare e dalla alla tua mamma! “ A Seravezza c'erano tanti chierichetti, ma io ricordo soltanto Matteo Bonci che era mio vicino di casa e Mario Tarabella che era la più bella voce del coro della chiesa. Spesso noi chierichetti si litigava quando si doveva indossare il riccetto che veniva tenuto in canonica alla rinfusa. Qualche volta si arrivava, in modo vergognoso, a qualche scazzottata fra noi.. quando , forse anche a torto,  qualcuno  riteneva che il suo riccetto era stato indossato da un altro chierichetto. Don Giuseppe Bertini era estremamente affettuoso con tutti noi ragazzi, non ricordo di essere mai stato rimproverato. Egli era amato e rispettato da tutti i seravezzini, come ebbe il piacere di constatare anche Giovanni,il suo fratello più piccolo, che un giorno venne a trovarlo a Seravezza. Fu in quell'occasione che egli constatò, mentre entrambi fecero un giro lungo le strade del paese, che tutte le persone che incontravano rivolgevano il saluto al proprio fratello con grande deferenza. Con questo suo fratello più piccolo, divenuto anche lui sacerdote e poi parroco della tenuta Presidenziale di San Rossore nonché cappellano della locale Cappella Palatina, parlai durante un pranzo sociale che si svolse circa trent'anni fa presso la locale Brigata della Guardia di Finanza quando fu festeggiata una ricorrenza annuale della fondazione del Corpo. Fu don Giovanni Bertini, fratello di don Giuseppe, il nostro ospite d'onore. “Sono stato chierichetto di don Giuseppe quand' era cappellano a Seravezza. Era molto bravo, non l'ho mai dimenticato”. Cosi gli dissi quando ci mettemmo a dialogare; ricordo che si commosse. Capii che i due fratelli si volevano molto bene, tant'è che l'esempio di vita di quello più grande indusse il più piccolo ad entrare in seminario e divenire anche lui sacerdote. Nel settembre 1943 don Giuseppe Bertini assunse l'incarico di parroco della frazione di Molina di Quosa del comune di S.Giuliano Terme. Erano tempi durissimi per tutta la popolazione. La fame si faceva sentire forte, forte. Don Giuseppe non se ne stette con le man in mano. Organizzò la raccolta di viveri da distribuire ai parrocchiani, fra i quali anche i partigiani che operavano nella zona. Il suo alto magistero sacerdotale gli fece aprire la porte della sua canonica a tutti i fedeli bisognosi, senza alcuna distinzione. Fu di esempio e di sprone agli abitanti del paese che vedevano in lui un faro di luce, come mi raccontò un giovane universitario, che studiava insieme a mio figlio, che sapeva tante cose su don Giuseppe Bertini per averle sentite dire dai genitori e nonni. Anche un mio collega mi ha raccontato che suo padre, nel 1944 , più di una volta attraversò con una barca a remi, insieme a don Giuseppe, il fiume Serchio per raggiungere un vicino molino dove sempre riuscivano a procacciarsi un po' di farina di grano e di granturco di cui avevano bisogno i suoi parrocchiani per sopravvivere. Catturato dalle S.S. nel settembre del 1944 e rinchiuso nel forte Malaspina di Massa insieme ad altri sacerdoti, fu trattato in modo brutale e violento. Nel libro ” La strage degli Innocenti” di Giorgio Giannelli, è riportata la frase rivolta sia a don Giuseppe Bertini che ad altri sacerdoti arrestati e trucidati in quel tempo: “ Voi preti siete un branco di mascalzoni, di farabutti e di spie. Pregate Iddio, piagnucolate e poi nelle vostre chiese e nei vostri conventi si trovano armi, mitragliatrici e viveri per i ribelli”. Ecco cosa gli dissero dopo che lui aveva confermato di essere il parroco di Molina di Quosa. A don Giuseppe fu chiesto di fornire i nomi dei partigiani. Fu torturato a sangue,ma dalla sua bocca uscirono soltanto parole di perdono per i suoi aguzzini.
Il 19 settembre 1944 fu fucilato insieme a 34 altri uomini, tra i quali alcuni ex gerarchi del passato regime del ventennio fascista,odiati ormai dalle S.S. che non avevano più rispetto per nessuno. Quel giorno fu ucciso anche il chierico Renzo Tognetti, nativo del Crociale e prossimo ad essere nominato sacerdote. Il Tognetti fu catturato la mattina del 12 agosto 1944, lo stesso giorno in cui fu commessa l'orribile strage di Sant'Anna di Stazzema, nella canonica della chiesa di Valdicastello, insieme al parroco don Libero Raglianti, anch'esso ucciso il 29 agosto 1944 a Filettole, dopo essere stato ristretto e torturato nelle case pie di Lucca e Nozzano, trasformate in carceri dalle crudeli S.S..Per il suo eroico comportamento don Giuseppe Bertini è stato insignito, alla memoria, della medaglia d' oro al valor militare.

1)Fora. (Voce del vocabolario versiliese) - Fuori;
2)Gronchie, “ “ “ - Dita delle mani intirizzite dal freddo.

2 commenti:

massimo ha detto...

sempre interessanti i tuoi ricordi, grazie Massimo Tarabella

Anonimo ha detto...

Don Giovanni l'ho conosciuto al tempo del militare....nel 1980.....
per me è stato come avere un fratello più grande che mi ha aiutato nel
percorso della mia vita.....se avevi bisognno Lui c'era sempre.....