All’inizio degli anni 40 iniziai a frequentare la parrocchia
di Seravezza, facente parte della Diocesi di Pisa, nella cui canonica si
riunivano festosi molti ragazzi. Ricordo
che c‘erano tanti chierichetti che
dedicavano il loro tempo libero ad assistere
i sacerdoti quando celebravano le Sante Messe e le altre funzioni
religiose che erano i Vespri cantati,
le Processioni, i Battesimi, la scopertura del quadro della Madonna del Soccorso, i
Matrimoni ed i Funerali dei nostri parrocchiani defunti.
Siccome vidi che fra
noi ragazzi c’era amore, rispetto e
gioia di vivere, decisi anch’io di divenire un chierichetto iniziando, prima di
ogni altra cosa, a servire la Santa Messa che allora si celebrava in latino.
In quel tempo ero già grandicello,
forse frequentavo la terza o quarta
classe elementare. Ricordo che nel giorno della festa delle Palme sin da quando
ero più piccolo di età, noi bambini andavamo in chiesa portando ognuno di noi i
palmizi dentro i quali c’era una
piccolissima figura del neonato bambino Gesù,
formato da un impasto zuccherino secco,
che, terminata la festa, lo
succhiavamo, provando anche un certa
emozione facendolo disciogliere nella
nostra bocca. Quindi pensandoci bene ,
non fui mosso dalla ricerca di un qualcosa di nuovo per passare le giornate, ma
perché sentivo di essere attratto dalla fede nel Cristo Redentore, che era
stato inchiodato sulla Croce per salvare l’Umanità dal peccato originale. Durante
la sua vita terrena Gesù compì miracoli
incredibili, quali furono la moltiplicazione dei pani, far risuscitare Lazzaro
, infine salì in cielo dopo la sua morte inchiodato sulla Croce per vivere
accanto al suo ed anche nostro Padre celeste. Sentii da piccolo che Gesù aveva conquistato
il mio cuore, perché lui predicava amore, carità e perdono, il suo emblema è
rappresentato dalla Croce.
L’attrazione verso la nostra chiesa aumentò quando sentii
parlare di don Giovanni Bosco, il santo
e apostolo della carità
cristiana, nato in contrada Becchis c. di Castelnuovo d’Asti il 16. 8.1815, deceduto a Torino il 31.1.1888.
Si dedicò alla cura dei fanciulli poveri o abbandonati per dare ad essi una
educazione ed un mestiere. Per realizzare tutti i suoi ottimi progetti
anche a livello mondiale fondò nel 1859 la
Congregazione dei Salesiani, per l’educazione e l’istruzione della
gioventù più bisognosa e delle figlie di Maria Ausiliatrice per le ragazze abbandonate, tant’è che i suoi
principi educativi ebbero una grande diffusione nelle parrocchie italiane, in tutta l’ Europa e nel Sud America. Fu beatificato il 19 marzo
1929 e proclamato Santo il 1° aprile
1934 da Pio XI.
Ricordo quando d‘inverno mi alzavo molto presto dal letto
tutto infreddolito e con le mani che mi duolevano perché intirizzite dal
freddo (un malessere chiamato in
dialetto versiliese “gronchio”) , mentre raggiungevo, con gli zoccoletti ai piedi protetti dai calzettoni di lana di pecora che
mi faceva la mia mamma, il Duomo di Seravezza intitolato ai Santissimi Lorenzo
e Barbara il cui parroco era monsignor
Angelo Riccomini coadiuvato dal Cappellano Don Giuseppe Bertini, nato a Barbaricina zona
periferica di Pisa, trucidato dalle SS tedesche nel 1944, medaglia d’oro al valor militare, di cui ne ha già parlato su Vita Nova
del 28.5.2017 Antonio F. Gimignano.
Più di una volta anziché attraversare le strade di un paese
ancora non completamente illuminate dalle luci del giorno, mi pareva di
percorrere un paesaggio lunare col ghiaccio a forma di candele formatesi sotto le gronde dei tetti a seguito
dello sgocciolio delle ultime gocce della pioggia caduta sulle case di Seravezza, oppure dallo scioglimento della
neve la cui coltre aveva imbiancato Seravezza.
Ricordo di avere
servito la Santa Messa anche all’ anziano sacerdote Don Binelli che era un
cugino della mia mamma, che spesso
vedevo uscire all’ora del pranzo insieme a tutti gli altri impiegati della filiale del Monte dei Paschi di Siena di Seravezza ,
tanto da farmi immaginare che fosse
anche lui un impiegato di questa nostra antica banca Toscana. Sicuramente Don
Binelli doveva conoscere i bisogni della mia famiglia,
col babbo cavatore che quando si scatenava il bruttissimo tempo (forte pioggia
e caduta della neve) non poteva
raggiungere la cava e quindi in casa non avendo altre entrate di denaro all’infuori di quelle derivanti
dal lavoro di mio padre, eravamo nell’impossibilità di pagare la spesa
che ogni giorno si doveva fare per sopravvivere. Meno male che c’erano i
bottegai che segnavano a loro credito le vendite dei generi alimentari, dando, la possibilità ai cavatori di saldare i debiti
quando venivano pagati per il loro
lavoro. La sopravvivenza di molte
famiglie si deve quindi a questa benemerita categoria di commercianti.
Una mattina don Binelli, dopo avergli servito la Santa Messa si avvicinò
a me mettendo nelle mie mani mezza lira, dicendomi:
“Mettila in tasca e non ci
rumare. Non la devi spendere, devi darla
alla tua mamma. “ Appena arrivai a casa diedi, con molta gioia, quella mezza lira alla mia cara mamma.
I recenti gravissimi episodi che vedono coinvolti la
cosiddette baby gang mi hanno fatto
ripensare agli anni in cui anch’io
ero un piccolo fanciullo che però
voleva crescere e vivere nella fede in santa pace con tutti i miei coetanei e
non nel disordine e nella violenza.
Renato
Sacchelli