lunedì 14 settembre 2015

Il cibo lanciato ai maiali

L'opinione pubblica è rimasta fortemente colpita da alcune immagini provenienti dall'Ungheria, in cui si vedeva un folto gruppo di migranti, ammassati l'uno sull'altro in un centro di raccolta, con le mani protese alla ricerca disperata di un po' di cibo che veniva lanciato loro alla rinfusa. Molti giornali, sdegnati, hanno scritto che quelle persone venivano trattate come gli animali (guarda il video).

Non credo che alla base di quel gesto poco edificante (il lancio di cibo) ci fosse la mancanza di rispetto per la dignità umana. Credo tutto sia dipeso dalla disorganizzazione, o per meglio dire improvvisazione con cui viene gestita una situazione di proporzione enormi.

Quelle immagini, e quel paragone agli animali (qualcuno ha detto maiali), mi hanno fatto venire in mente un triste episodio che ho vissuto sulla mia pelle, risalente alla Seconda guerra mondiale, quando i soldati americani della divisione Buffalo arrivarono a combattere in Versilia (Lucca) per liberare il nostro paese dai nazisti.

Con le case fatte saltare in aria dai tedeschi, chi come me e la mia famiglia era fuggito da Seravezza, rifugiandosi a Capezzano Pianore, Viareggio o nelle zone limitrofe, non essendovi  alcuna forma di assistenza nei confronti degli sfollati, non sapeva proprio come fare a procurarsi il cibo per sopravvivere. Così, davanti alla cucina degli americani, stazionavano donne e bambini con dei recipienti in mano che venivano riempiti con il rancio avanzato ai militari. Anch'io più di una volta mi misi in fila e attesi che qualche soldato, dopo essersi saziato, mi cedesse qualcosa. Il tutto, mescolato, diveniva un impasto disgustoso che soltanto la fame riusciva a farci inghiottire. Un pastone che assomigliava tanto a quello che viene dato ai maiali.

venerdì 11 settembre 2015

Un ricordo del grande Manlio Cancogni


Desidero soffermarmi sul famoso giornalista e scrittore Manlio Cancogni, scomparso il 1° settembre 2015 all'età di 99. Lo faccio partendo dalle parole (che anche oggi considero attuali) che pronunciò il 13 dicembre 1987, quando fu eletto presidente dell'Unione Versiliese, formazione politica che aveva contribuito a far nascere: "La democrazia politica nel suo stato moderno non si esercita direttamente ma per delega. Cioè i partiti sono il tramite tra i cittadini e lo Stato, ma allora ci chiediamo per quale motivo si debba ricorrere a loro anche per la vita locale che è sotto i nostri occhi, E così per i problemi che abbiamo quotidianamente davanti e che conosciamo certamente non meno dei politici, non vediamo per quale motivo si debba sempre ricorrere al sistema delle elezioni per lista di partiti che mandano poi nei consigli comunali i loro rappresentanti e non quelli dei cittadini comuni".

Per l'Unione Versiliese fu eletto nel Consiglio comunale di Seravezza (1990), a fianco di Giorgio Giannelli. Cancogni era stato tra i fondatori di quel movimento apartitico che desiderava impegnarsi per la buona amministrazione del territorio, contro le logiche centralistiche della partitocrazia. Quando nacque l'Unione Versiliese pensai subito alla Repubblica dell'Apua, sognata da uomini eccezionali alla fine dell'800.

Cancogni amò profondamente le montagne dell'alta Versilia, in particolare la Pania, che considerava la più bella che avesse mai visto. E amava ricordare il gelato fatto con la neve raccolta dalle buche sulla Pania e trasportata a Seravezza dentro a un sacco. Anch'io, da bambino, ebbi modo di mangiare quel gelato di neve, venduto per pochi centesimi. Più che il gusto di quel gelato ricordo l'enorme senso di freschezza che provai dopo averlo mangiato.

Nel 1997 dedicò un racconto all'alta Versilia, “Caro Tonino”, indirizzato ad una suo carissimo amico. Parlò della terribile alluvione che nel 1996 si era abbattuta sui monti di Stazzema, procurando morti e devastazioni. Alla luce delle profonde parole di amore per la Versilia che espresse nel suo scritto, il Comune di Stazzema volle conferirgli la cittadinanza onoraria. Cancogni sognava sempre i bei monti della Versilia, e lo dimostrava spesso nei suoi scritti. L'opera Pia Mazzucchi gli consegnò le chiavi del paese di Pruno per dimostragli quanto gli fosse riconoscente.

Cancogni era nato a Bologna il 16 luglio 1916, ma i suoi genitori erano entrambi versiliesi: Maria Pistolesi e Giuseppe. Si erano trasferiti in Emilia per un breve periodo durante la Prima guerra mondiale. Dopo qualche mese dalla nascita di Manlio la famiglia fece ritorno in Toscana. Manlio crebbe poi a Roma, dove si formò a scuola. Conseguita la maturità classica si iscrisse all'Università La Sapienza. Fu durante gli studi universitari che iniziò il servizio militare nel Corpo degli Alpini a Bassano del Grappa (1936), ma non ottenne l'idoneità fisica perché, ammalatosi, era stato ricoverato in ospedale.

Si laureò in Legge nel 1938 e successivamente in Filosofia. A Roma conobbe Carlo Cassola (scrittore e saggista) con il quale strinse un legame che durò fino alla morte di questo suo carissimo amico. Conobbe anche altre importanti personalità del mondo della cultura: Carlo Levi, pittore e scrittore; i poeti Mario Luzi ed Eugenio Montale; lo scrittore e critico letterario Luigi Silori, combattente nella campagna di Grecia e poi sul fronte albanese.

Dopo la liberazione si stabilì a Firenze, dove iniziò l'attività giornalistica scrivendo su "La Nazione del Popolo". In seguito fu chiamato a Milano per collaborare con quotidiani e riviste nazionali. Molto importante la sua inchiesta sulla corruzione a Roma, pubblicata sull'Espresso l'11/12/1955 con il titolo a tutta pagina: “Capitale corrotta-Nazione Infetta”.

Firma sagace, oltre al giornalismo si dedicò con successo anche alla letteratura, scrivendo oltre sessanta opere, che gli valsero diversi premi (Bagutta nel 1966, Strega nel 1973, Viareggio nel 1985, Grinzane Cavour nel 1987, Pen club Italia nel 2010). Si dedicò anche alla sceneggiatura di Giuseppe Verdi (per la Rai).

Incontrai Cancogni per la prima volta quando, al Palazzo Mediceo di Seravezza, Giorgio Giannelli presentò il bellissimo libro scritto da Giulio Salvatori, intitolato “Oltre la Siepe di Bussilo, - un paese nei racconti (edizioni Versilia Oggi 1986). In quell'occasione Giannelli aveva seduti accanto a sé due pilastri della cultura, Cancogni e Salvatori.

Nel periodo in cui ebbi modo di collaborare col il periodico “Il Dialogo”, fondato e diretto dall'indimenticabile don Florio Giannini, chiamai al telefono Cancogni (il cui numero mi aveva dato proprio Giannini, che ben conosceva lo scrittore) per chiedergli alcuni consigli sulla carriera giornalistica che mio figlio desiderava intraprendere. Cancogni fu molto cortese e mi raccontò che, rispetto ai suoi tempi, le cose nel giornalismo erano molto cambiate. Si riferiva al fatto che, un tempo, a decidere le assunzioni era solo il direttore di una testata. Oggi non più. E per questo, per inserirsi oggi nella professione, non bastava più saper scrivere bene e mettersi in mostra. Nel farmi questo onesto discorso, improntato a un sano realismo, mi parve molto amareggiato.

Mi ha profondamente addolorato la scomparsa di Cancogni, anche se è avvenuta a un'età ragguardevole, 99 anni. Mi è di conforto pensare che questo grande figlio della Versilia possa aver raggiunto la casa del nostro Padre celeste.