giovedì 21 giugno 2012

Ricordo di Benito Lorenzi









Che bella sorpresa fu per me vedere, anni addietro, pubblicata sul periodico mensile cattolico versiliese Il Dialogo, diretto dal compianto don Florio Giannini, parroco della chiesa di S. Antonio del Tonfano, del quale fui collaboratore, la foto del grande calciatore Benito Lorenzi, un fuoriclasse che, nell’immediato dopoguerra, infiammò d’entusiasmo il mio cuore di giovanissimo tifoso. Questo calciatore   era chiamato Veleno" e da sempre amava trascorrere  le vacanze estive a Marina di Pietrasanta. 

Ricordo ancora bene quando dall’Empoli passò all’Inter del presidente Rinaldo Masseroni: fu proprio da allora che divenni tifoso nerazzurro. Fu Giuseppe Meazza a volerlo all'Internazionale. Un toscano, un mio corregionale che giocava a Milano… quanta fierezza sentivo dentro di me in quell’anno lontano.

Ho molti ricordi di Lorenzi. I due scudetti vinti nelle stagioni 1952/53 e 1953/54 col mitico allenatore Foni che fu anche campione del mondo, ai tempi in cui la nostra nazionale era allenata da Pozzi (vincitore di due campionati mondiali 1934 e 1938). Giocò a fianco di Amadei, Wilkes, Skoglund (detto Nacka), Nyers, Ghezzi e tanti altri inimitabili campioni. Con Amadei portò la nostra nazionale a grandi successi. Dopo la sciagura di Superga, nella quale perì tutta la squadra del grande Torino, lui non volle più salire su un aeroplano, per andare a giocare sui tanti campi di calcio dislocati in Italia e in varie parti del mondo, tant’è che, incluso nel team della nazionale che doveva disputare oltre Oceano il campionato mondiale, raggiunse i suoi compagni a bordo di una nave, che impiegò molto tempo per arrivare a destinazione. Durante il viaggio Lorenzi si allenava tutti i giorni sul ponte della nave, come vidi da una pellicola della Settimana Incon proiettata in una sala cinematografica. Ricordo ancora il film girato con lui protagonista, un capolavoro del suo genere. Dopo l’Inter passò a giocare con l’Alessandria.

Durante un incontro disputato sotto la pioggia, Lorenzi si fece male ad una caviglia. Il giornalista scrisse che lui, dopo aver messo alcuni pugni di terra bagnata sotto il calzettone, riprese a giocare con molto vigore. Era proprio un grande “Veleno”, un uomo che con il suo virtuosismo, la sua creatività e forza contribuì ad elevare ai più alti livelli il gioco del pallone, il più bello del mondo.

Ecco come vidi qualche anno fa l'antica Pieve di S. Martino alla Cappella


Un cedimento del terreno dell’area sulla quale sorge la chiesa di San Martino alla Cappella, ha provocato fenditure sul pavimento, nel soffitto e sopra la porta di ingresso – lato Azzano – ed anche nella sacrestia dell’antico sacro edificio. Ho constatato personalmente questi gravi segnali di cedimento della struttura, la mattina del 3 ottobre scorso quando sono salito lassù alla Cappella, insieme a mio figlio, per esaminare i registri di matrimonio , di circa duecento anni fa., conservati negli atti in archivio, essendo interessato ad alcune ricerche sul mio albero genealogico. Il parroco don Hermes Luppi, aperta la porta ci ha fatto visitare l’intero edificio, ridotto in cattive condizioni, a partire dagli scantinati umidi a cui si accede da un passaggio, senza una completa scala, tanto da apparire un breve sentiero tracciato su un terriccio e difficile da percorrere. Se penso che lo scantinato è adibito a legnaia, immagino anche le fatiche di don Hermes quando, soprattutto nei mesi invernali, deve andare sù e giù per prendere la legna., per riscaldarsi al fuoco di una stufa. Inoltre vi sono alcune travi del soffitto puntellati con tubolari di ferro. Esiste quindi un reale pericolo di crollo della chiesa. Dopo aver visto le fenditure, una delle quali apertasi sul lato destro dell’altare maggiore, che ad occhio, mi è sembrata larga una decina di millimetri, manifesto al sacerdote la mia viva preoccupazione.

Ma è proprio don Hermes a tranquillizzarmi, quando mi dice che queste fenditure sono costantemente monitorate con tanti sensori, applicati anche sul prato della chiesa. Sarà cosi, però il pericolo è evidente. E l’evento catastrofico potrebbe verificarsi da un momento all’altro, con alti rischi per la vita dello stesso sacerdote, se nella zona si scatenerà un imprevedibile nubifragio. Occorre intervenire subito perché la chiesa di San Martino alla Cappella , patrimonio cristiano di tutti i versiliesi, non venga spazzata via da una frana. La chiesa costruita dai nostri antenati, tutta in marmo, prima dell’anno 1000, e rimaneggiata nel secolo XIII, aveva un porticato ionico, attribuito a Michelangelo, (anche se non esistono documenti probatori) che fu quasi interamente distrutto dagli eventi bellici del 1944, che sconvolsero anche la Versilia. C’è bisogno di urgenti lavori di consolidamento del terreno della Cappella e di messa in sicurezza dell’edificio sacro. Ma non ci sono soldi e neppure si sa da che parte incominciare. In atto è stato aperto un cantiere per il rifacimento del porticato, ad opera , se ben ho capito, della Sovrintendenza delle Belle Arti di Lucca. Per i lavori di restauro della chiesa con la legge 270/97 per il Giubileo del 2000 furono stanziati 500 milioni di lire. In quel tempo era Ministro per i Beni e le Attività Culturali l’onorevole Melandri. Detti fondi nel tempo sarebbero stati ridotti a 250 milioni. Ora non c’è un euro a disposizione. Prima che avvenga l’irreparabile, lancio un appello alla Autorità competenti civili e religiose affinché siano eseguiti urgentemente quei lavori necessari a garantire la stabilità e la sicurezza di questa antica chiesa, famosa anche per il “rosone” che spicca sulla facciata, chiamato “l’occhio di Michelangelo”, attribuito al sommo artista fiorentino, anche se, come per il porticato, non esiste alcuna prova documentata, tanto da far pensare che l’abbia scolpito Donato Benti.

Mi permetto di chiamare a raccolta anche i cristiani della Versilia e dell’intera Toscana, che dovrebbero contribuire a questo intervento, con il versamento volontario di denaro secondo le disponibilità economiche che ciascuno ha, per mettere in sicurezza la chiesa e rendere la vita più tranquilla e confortevole al sacerdote chiamato a celebrare la Santa Messa domenicale ed i funerali in altre 5 o 6 chiese ubicate sui nostri monti ed all’assistenza spirituale dei fedeli che non hanno un proprio parroco. Fa una vita molto dura don Hermes, che esercita instancabilmente l’alto magistero sacerdotale, grazie alla fede cristiana che anima il suo nobile cuore. Quindi mi appello alla fede cristiana, ma anche alla coscienza laica perché come diceva Benedetto Croce “non possiamo non dirci cristiani” e la chiesa della Cappella fa parte, ormai da secoli, del patrimonio religioso storico e culturale della Versilia. Qualora persista questa grave noncuranza , bisognerebbe far intervenire l’UNESCO l ‘organizzazione delle Nazioni Unite che tra i suoi compiti istituzionali, ha anche quello di conservare il patrimonio storico culturale di ogni nazione del mondo. Prima di fare ritorno a casa don Hermes ha voluto offrirci un aperitivo, dopodichè tutti e tre, dalla terrazza antistante la chiesa abbiamo posato gli sguardi sul paesaggio bellissimo che avevamo davanti, anche se il cielo era pieno di nuvole cariche di pioggia.. Amo pensare che da lassù abbiano ammirato questo stupendo panorama anche i familiari ed i testimoni e gli amici che assistettero, il 20 giugno 1816, al felice matrimonio di Domenico Sacchelli da Strettoia, appartenente alla Curia di Querceta, unitosi in matrimonio con Marianna Tarabella da Azzano. Da questa unione nacque, nel 1827, Luigi, il mio trisnonno.


venerdì 8 giugno 2012

Francesca e Matteo


Mio padre fin da quando ero bambino mi ha sempre detto: “Matteo devi studiare, non ti voglio vedere con le mani sciupate come le mie, visto il lavoro che faccio in una fonderia, è importante lo studio per avere migliori prospettive di vita”. Anche il babbo di Niccolino Barsanti (nome di battesimo di padre Eugenio Barsanti) esortò suo figlio a studiare perché anche lui non gli voleva vedere le mani piene di calli come le sue a causa dal lavoro che faceva in un laboratorio di marmi di Pietrasanta, e sì che il piccolo voleva lavorare per aiutare a tirare avanti la famiglia. Niccolino ascoltò la voce del padre tanto da divenire insegnante di filosofia, matematica e fisica. Inoltre nel 1854 realizzò insieme all'ingegnere fiorentino Felice Matteucci il motore a scoppio che rivoluzionò il settore dei trasporti mondiali. “Sai Matteo, credo che sia molto interessante insegnare ai ragazzi, essere maestro e/o professore è il massimo per un uomo, per questo ti consiglierei di fare l'insegnante perché ad un certo punto, ti potresti considerare il babbo di tutti i tuoi studenti. Che ne pensi? E paradossale quanto ho detto? A me non sembra. Pensaci Matteo?”. Cosicché Matteo,dopo le superiori, si iscrisse all'università di Pisa, dove entro i termini stabiliti si laureò con il massimo dei voti, più la lode ed il diritto a pubblicare la sua tesi proprio in matematica e fisica, quest'ultima applicata al funzionamento di motori senza più l'uso della benzina, ma con nuove fonti energetiche alternative.
Visto il suo curriculum universitario davvero eccezionale un giorno il suo docente di fisica gli disse. “Matteo, il lavoro non ti mancherà mai, vedrai che subito di chiameranno alla Ferrari dove uomini come te preparati sono molto richiesti. In alternativa potresti dedicarti, se lo vorrai, anche all'insegnamento universitario. Intanto prenditi una vacanza, vai al mare che ti farà bene al fisico, ti vedo sempre con una faccia pallida.”
“Ho pensato anch'io di trascorrere una quindicina di giorni al mare”, gli rispose Matteo.

In casa di Matteo il suo successo negli studi fu molto festeggiato. Il babbo gli regalò una utilitaria che Matteo assolutamente non voleva. “ Babbo perché hai speso tanti soldi, Ringrazio tanto anche la mamma per tutto quanto avete fatto per me, del regalo però non c'era bisogno. “ Ma che dici Matteo, ti sei dimenticato che hai avuto borse di studio meritate e quindi noi siamo stati ben felici di aver fatto per te, che sei il nostro unico figlio, quello che abbiamo ritenuto opportuno fare. Vai al mare a prenderti un pò di tintarella e divertiti”.
” Grazie babbo, sei troppo buono, ma non dovevi sacrificarti. Grazie anche alla mamma... uno di questi giorni inizierò ad andare qualche giorno al mare”, gli confermò Matteo.

Nel suo paese di Seravezza Matteo era molto ammirato da tante ragazze. Molte di loro si sarebbero fatte dare, con molto piacere, lezioni di matematica visto che era considerato un genio. In giornata Matteo raggiunse Pietrasanta per visitare la mostra di scultura allestita nel centro cittadino. La piazza centrale davanti al Duomo era piena di opere  moderne di scultori famosi nel mondo. Il suo occhio fu attratto da una bella ragazza che ammirava una scultura di donna col bambino in braccio. Anche Matteo si fermò per ammirare la statua. “ Sembra una Madonna!”, esclamò a voce alta. “Anch'io ho avuto questa impressione” le disse lei. “Constato con piacere che nel campo della scultura abbiamo attenzioni identiche. E questo mi sembra una bellissima cosa”, precisò Matteo. Scusi signorina le posso chiedere di dov' è?”. “Sono di Valdicastello, ma lavoro a Milano”. “ Matteo le chiede ancora: " Che fa di bello nella città della Madonnina?”. "Lavoro in un atelier dove di creano abiti di alta moda per le signore, sono una stilista. E' una passione che ho coltivato sin da quando ero una bambina che  si divertiva a confezionare gli abitini per le mie tante bambole”. “Che bella stilista ho conosciuto oggi. Il suo è un lavoro creativo, gli abiti, a mio parere,  pongono in risalto le belle fattezze di chi li indossa, specie in campo femminile”. “S'intende di moda come mi pare di capire, mi fa piacere rilevarlo” le rispose compiaciuta la giovane donna. "Sono belle ed emozionanti le sfilate , io dal vero non le ho mai viste. Soltanto alla televisione le ho guardate. Senta posso offrirle una bibita o un gelato, scelga lei? Prima avevo fretta, ma ora mi è passata. Vorrei continuare a parlare con lei”. “Anche a me piace ascoltarla., mi può dire dove abita e che attività svolge?” “ Abito a Seravezza dove sono nato. Nell'ultima sessione mi sono laureato all'università di Pisa in matematica e fisica, ho buone prospettive per il lavoro, ancora dovrò comunque decidere cosa fare se insegnare o andare a lavorare in una grande fabbrica automobilistica, Sono stato fortunato, le materie che ho studiato sono riuscito a capirle molto bene. Non sono un secchione. Leggo e fortunatamente mi ricordo tutto perché ho un'ottima memoria. Scusi mi sono messo a parlare , come se la conoscessi da sempre, spero che non le dispiaccia.”

“Certo che che mi fa piacere – rispose la ragazza - perché non posso dirle ciò che penso in questo momento, ma se vuol saperlo, le dico che per me non è ancora scoccata la scintilla, chissà però... che non scocchi proprio adesso”. In quel momento la giovane abbassò timidamente il volto. “Anche per me non è mai scoccata questa scintilla”sussurrò Matteo. “ Siamo ancora tutte e due in attesa dello scocco. Sento che mi sto emozionando, ma che mi succede?Tutto d' un colpo mi è parso di conoscerla da sempre, con lei mi trovo bene a parlare, ci comprendiamo. Avverto una sensazione nuova che riscalda il mio cuore. Andiamo al bar devo bere qualcosa di fresco, lei può prendere ciò che vuole. Mi dica come si chiama? “ Francesca “ e lei?“. “Matteo. Mi pare che facciamo una bella coppia, adesso beviamo qualcosa e poi se è d'accordo mi farebbe piacere fare due passi lungo la spiaggia del mare della Versilia che frequentò anche Gabriele d'Annunzio insieme alla Duse alla fine dell'Ottocento.” “Accetto il suo invito perché lei, e la prego di capirmi, è un bel giovane che attendevo di conoscere da tempo, finalmente questo momento è arrivato. Non mi giudichi male, ci andiamo con la mia macchina” le disse Francesca. Dopo pochi minutii due giovani camminavano stringendosi le mai lungo la battigia del mare con il sole che stava tramontando dietro l'orizzonte. I loro volti esprimevano un'intensa felicità. E quando il sole scomparì Francesca e Matteo incominciarono a baciarsi furiosamente. Fra loro era nato un grande amore.

Racconto scritto da Nello Staccherai

domenica 3 giugno 2012

Valentina e Pietro - Sul loro mare scoccò la scintilla dell'amore

Valentina, figlia terzogenita di una famiglia di pescatori di Forte dei Marmi, amava il mare. Il suo babbo era un bravo pescatore e lavorava coi due giovani figli: avevano un piccolo pescareccio che attraccava al porto di Viareggio dove arrivavano a bordo di una Fiat 500. Valentina aiutava la madre con le faccende domestiche e a vendere il pesce fresco, pescato nella piazza centrale del Forte e, quando, nel tempo libero, sulla marina, sentiva che tirava un po' di vento, ne approfittava per fare un pò di surf, senza mai allontanarsi troppo dalla spiaggia. Era una ragazza molto ben fatta, aveva i capelli lunghi e biondi: il costume che indossava dava ancor più risalto alle forme fisiche del suo corpo, davvero straordinarie. I suoi occhi avevano il colore del mare.Si era bellissima, Per il suo amore per il mare molti ragazzi che la conoscevano la chiamavano Sirenetta.

 Pietro era un giovanotto di ventiquattro anni e lavorava sulla cava. Il suo bisnonno e il trisnonno, sin dal 1800 avevano lavorato sulle cave di bardiglio della Cappella e su quelle del Trambiserra. Era alto, e ben modellato e con un fisico muscoloso, la sua pelle era tinta dal sole. Aveva un bel viso tondo e gli occhi neri, come neri erano i suoi capelli riccioli. Aveva un bella bocca con denti splendenti. Da alcuni anni nella stagione estiva trascorreva una quindicina di giorni al mare, che raggiungeva dall'alta Versilia a bordo di una potente moto di 500 cc di cilindrata. Affittava una cabina, un ombrellone ed una sdraio.Conosceva di vista la ragazza col surf chiamata Valentina , mai aveva parlato con lei.Un uomo con un fisico così era ammirato da molte frequentatrici del bagno, qualcuna lo fissava coi suoi occhi accesi che esprimevano quanto pensavano di quel bel giovanotto.Ma Pietro era timido da morì. Prima di arrivare al suo ombrellone salutava tutti i bagnanti che incontrava, lungo la fila e poi si metteva a leggere un libro o il giornale . Dopo iniziava a correre in sù e giù sulla battigia per una ventina di minuti. Si sedeva nuovamente sulla sdraio e ci restava fino alle undici, quando iniziava a fare il bagno tuffandosi fra le onde del mare. Si allontanava dalla spiaggia fino a cento - duecento metri: Nuotava molto bene in stile libero, ma era bravissimo anche a fare il morticino. Più di una volta mentre si era in acqua gli passava vicino, ad una certa distanza, la ragazza che praticava lo sport col surf..Un giorno, mentre faceva il bagno, la vide sulla cresta di un onda anomala: era la prima volta che ne vedeva una così grande. Con due forte bracciate tento di allontarsi dal punto dove aveva immaginato che si sarebbe verificato l'impatto con la ragazza L'onda travolse Valentina e la staccò dal surf.. Finì sommerso anche Pietro come riapparve a galla scrutò la superficie per vedere dove la corrente aveva trascinato la ragazza. Appena la vide tirò un grosso sospiro di sollievo e subito, nuotando vigorosamente, la raggiunse,.Pietro si avvicinò a lei e sentì il dovere di dirle:“ Signorina, non abbia timore, la voglio solo aiutare. Come si sente? Stia tranquilla il peggio è passato”Lei non gli rispose, si abbandonò alle braccia dell'uomo che le aveva protese delicatamente verso di lei. Intanto dalla riva il bagnino che aveva visto dal suo posto di osservazione la scena, a bordo di un pattino raggiunse i due giovani per portarli a riva, cosa che fece senza nessuna difficoltà Quell'attimo fu comunque festeggiato dai bagnanti che erano rimasti sulla spiaggia con scroscianti applausi. Non ci fu bisogno di ricorrere alll'assistenza medica perchè entrambi avevano subito soltanto un forte spavento, ma si erano subito ripresi.. Sulla spiaggia Pietro trovo l'ardire per dire alla ragazza: “Mi dispiace averla conosciuta in questo non piacevole frangente. Comunque spero di rivederla e scambiare con lei qualche parola.Intanto posso offrirle qualcosa da bere, scelga lei?.”Valentina le rispose. “ Non mi sento di bere nulla. Anche a me farà piacere rivederla, intanto la ringrazio per l'aiuto che mi ha dato, arrivederci. Non mi deve ringraziare, arrivederci, rispose Pietro. Dopo essersi salutati entrambi si allontanarono ognuno per la sua via.

 L'indomani mattima Pietro arrivato all'inizio del pontile, appena toltosi il casco si trovò davanti Valentina che col surf fra le mani stava dirigendosi sull'arenile. Pietro appena la vide senti dentro di sé una piacevole sensazione che lo portò ad esclamare: “Che gioiosa sorpresa rivederla“. Anch'io sono contenta, le rispose subito la ragazza, la quale aggiunse:. Le voglio dire che ieri ho raccontato ai miei familiari quanto mi è era successo. Sono rimasti sorpresi e soddisfatti che in quel brutto istante ho avuto la fortuna di conoscere un ragazzo forte, buono e profondamente educato. Ecco quanto hanno hanno saputo dirmi. Le fa piacere?” . “Non esageri Valentina. Così dovevo comportarmi, visto quanto mi hanno insegnato i miei genitori sin da quando ero piccolo. “ Mi può dire come si chiama e che lavoro fa? Le chiese Valentina.”Mi chiamo Pietro e faccio il cavatore come i miei antenati. a me noti fin dall'inizio del 1800.Anche mio padre, ora in pensione, ha lavorato una vita sulla cava. Sa il lavoro del cavatore è faticoso e anche pericoloso, ma a me piace. Stiamo sotto il sole per tante ore al giorno Mi garba lavorare all'aperto Rinchiuso in una fabbrica non ci saprei stare. Se vuol vedere la cava dove lavoro me lo dica, sarei felice... se lei mi dicesse di si. Sarei disposto a portarcela anche in una delle prossime domeniche, in sella alla mia moto. Ci pensi prima di darmi una risposta?

Parlando con quella bella ragazza non avvertiva più alcun senso di timidezza. Per la prima volta, si sentiva forte e sicuro. Era una sensazione nuova avvertita soltanto dopo aver conosciuto quella giovane donna rimasta anche lei dolcemente turbata dalle parole pronunciate da quel bel giovanotto, il quale trovò la forza per dirle ancora . “Vorrei invitarla alla Capannina per trascorrere con lei un pomeriggio domenicale, poi, per concludere la giornata, andremo in pizzeria, sempre che le faccia piacere, per mangiare insieme una quattro stagioni. Mi dica di si,. Valentina le rispose: ”Pietro lei non mi ha chiesto come mi chiamo forse perchè già lo conosce il mio nome ch'è Valentina. Sì alla Capannina ci verrò volentieri, ma mangiare insieme una pizza non posso farlo. I miei genitori non me lo consentirebbero.Non le sembra che abbiano ragione?

Capisco mormorò Pietro,  Entrambi capirono che grazie alla grande onda del mare della Versilia, tra loro era scoccata la scintilla dell'amore.

Racconto scritto da Nello Staccherai

sabato 2 giugno 2012

Stella e Alessandro - Due giovani fortemarmini

Due giovani, una ragazza e un ragazzo di Forte dei Marmi, si conoscevano fin da quando erano piccolissim, ma le loro vite si riunirono quando avevano 27 anni. Lui si chiamava Alessandro e dai suoi amici veniva chiamato Alex. Il nome di lei era Stella, lo stesso della mamma del suo babbo che aveva voluto anche dare alla sua unica figlia per onorare la memoria della propria madre. Negli ultimi anni si erano un po' persi di vista, quando Alex, dopo aver ottenuto la licenza liceale, si iscrisse all'Università di Pisa dove, nei termini stabiliti, si laureò in giurisprudenza in quanto era intenzionato a svolgere la carriera di magistrato, perché credeva fortemente nella giustizia, con la G maiuscol. Da ragazzo era rimasto profondamente scosso ed addolorato dall'uccisione o gambizzazione di alcuni magistrati e successivamente di altri trucidati da parte di organizzazioni malavitose. Lei non se la sentì di proseguire gli studi universitari, motivo per cui essendo in possesso del diploma in ragioneria, grazie alle conoscenze del suo babbo che era un fraterno amico di un consulente tributario, fu assunta come impiegata nello studio di questo professionista. Aveva fatto anche un pensierino per dedicarsi anche all'attività del mondo bancario, in particolare nel settore del cambio valute, sapendo che note banche avevano propri studi anche a New York. Sognava di mettere i piedi in America per poter anche studiare alla Columbia University di New York dove per oltre 50 anni, dal 1904 al 1950, aveva insegnato anche il grande seravezzino Dino Bigongiari.
I genitori di Alessandro erano molto orgogliosi di questo loro figlio che in ogni anno aveva ottenuto sempre borse di studio ed all'esame finale aveva conseguito la laurea con 110 e lode. Questo suo costante impegno in studi senza, senza mai dedicarsi sia pure a brevi avventure femminili, destavano molte preoccupazioni nei genitori di Alessandro che avrebbero tanto desiderato che si fidanzasse con una brava e bella ragazza. Ogni tanto il babbo ricordava al figlio un antico proverbio versiliese che recitava così “Donne e buoi dei paesi tuoi”. Non dimenticarlo! “Il figlio era solito rispondergli,: “Ora devo prepararmi per vincere il concorso per entrare nel ruolo dei magistrati, poi avrò anche il tempo da dedicare al mio cuore. Stai tranquillo babbo”.
Stella sognava anche lei di incontrare il suo principe azzurro, per porre fine alla sua solitudine sentimentale della quale tuttavia non soffriva. Era sempre tranquilla e serena. Un pomeriggio domenicale raggiunse la discoteca di Forte dei Marmi per trascorrere qualche ora in allegra compagnia. Stava sorseggiando una bibita analcolica quando si accorse che un giovane , si un bel ragazzo, aveva posato i suoi occhi su di lei. Sì non finiva mai di guardarla. Anche lei si pose ad osservarlo fino a quando improvvisamente esclamò;, “Ma noi ci conosciamo! Tu sei Alex, qualche anno far eravamo compagni di classe, eravamo amici. Ti ricordi me?”- Dopo un attimo di sbalordimento Alex disse: “Ma guarda chi ho incontrato oggi. Sei Stella, come sei cresciuta .Ti sei fatta proprio una bella ragazza. E' molta la gioia che provo nel rivederti, posso sedermi accanto a te'”. “ Che dici, siedi, c'è tanto posto, accomodati”. Più che a danzare i due giovani amarono raccontarsi i loro sogni. Erano felici mentre ascoltavano quanto ognuno di essi diceva. Ad un tratto Alex invitò Stella a scendere in pista. “Facciamo un ballo?” La ragazza accettò con piacere l'invito. La musica era assordante. Iniziarono con un tango argentino, poi l'orchestra iniziò a suonare le note della lambada , di origine sudamericana molto in voga, Stella prima di muovere i passi molto caratteristici che portano la coppia a sentirsi molto vicini l'uno all'altra, disse ad Alex: Non sono brava, scusami se ti pesto i piedi”. Il giovane le rispose. “Ma che stai dicendo?Non ti preoccupare. Anch'io non sono bravo, mi arrangio. Stai tranquilla, balliamo” Intanto Alex, mentre ballava ebbe la sensazione di scuotere il fisico della ragazza che col volto sorridente e felice si stringeva a lui. “Stella non ridere e non pensare male di me per quello che ti voglio dire. Poco fa mentre ti avevo fra le mie braccia, mi è parso, per un attimo, di essere io a suonare la lambada con le corde della tua chitarra. Per questo desidererei rivederti presto, sempre che tu abbia lo stesso desiderio. “ Si anche a me farà piacere rivederti”, rispose Stella. Appena usciti dalla discoteca fecero due passi insieme sul vicino arenile. Nella penombra della sera le loro bocche si unirono per scambiarsi un lungo e tenero bacio.
Racconto scritto da Nello Staccherai