sabato 6 dicembre 2014

Don Quintino Sicuro, servo di Dio



Conservo ricordi commoventi rimasti scolpiti nel mio cuore il 31 agosto 1997, quando partecipai alla gita sociale a Balze (FO), organizzata dalla Sezione Anfi di Seravezza ( Versilia storica) per visitare i luoghi dove visse gli ultimi anni della sua vita don Quintino Sicuro, il servo di Dio , il quale, dal 1939 al 1947 prestò servizio nel Corpo della Guardia di finanza.

Folta fu la partecipazione dei soci versiliesi a questa gita, accompagnati dalle rispettive consorti con il testa il loro presidente cav. ufficiale Renzo Maggi. Della sezione pisana, oltre a chi scrive c'era anche il presidente Marco Mugnaini, e il vice presidente Antonio Ruggiero seguiti dalle proprie spose.

All'arrivo del pullman nella zona fummo accolti dal maresciallo capo in congedo Duilio Farneti, iscritto alla sezione ANFI di Forlì che fu compagno d'arme di Sicuro, insieme al quale frequentò a Roma  il 19 corso Allievi Sottufficiali (1° luglio 1945 / febbraio1946).

Rimasi commosso quando appresi la vita santa che in quel luogo aveva vissuto don Quintino. Durante la S. Messa, celebrata dal parroco di Balze, lessi la preghiera della Guardia di finanza. Guido Angelini, socio della Sezione di Seravezza, al termine della messa mi si avvicinò per sapere se stessi male, avendo notato il mio volto pallido, ma lo tranquillizzai dicendogli che il pallore che aveva visto sul mio viso era dovuto alla forte emozione che mi pervase mentre elevavo a Dio la nostra struggente preghiera.

Che bello incontrare a questo pellegrinaggio Guido Angelini e Primo Giorgi (quest'ultimo purtroppo deceduto qualche anno fa), entrambi miei compagni del corso allievi finanzieri frequentato a Roma dal 15.7.1949 al 15.1.1950.

Terminata la santa Messa fu deposta una corona di alloro sulla tomba dove riposano i resti di don Quintino, che lui stesso aveva scavato, quando era ancora in vita, nella roccia arenaria a pochi metri di distanza dalla facciata della chiesa.

Il Farneti ha raccontato, come se fosse una favola, la vita vissuta nell'eremo di Sant'Alberico da don Quintino in quanto “grande perché umile, ricca perché povera, servo di Dio perché seppe vedere in ogni bisognoso il volto reclino del Cristo”.

Il Farneti, scrittore e poeta dialettale di grande spessore, fu per noi una guida eccezionale avendo vissuto intorno al massiccio del monte Fumaiolo (1.408 m) gli anni della sua fanciullezza (dai 7 ai 13 anni) accanto al fratello don Silvio nel periodo in cui questi fu parroco di Balze, località conosciuta perché sull' altura chiamata il Sasso dell' Apparizione, il 17 luglio 1494 a due infelici e innocenti pastorelle apparve la Madonna che restituì ad una la voce e l'udito ed all'altra la luce ai suoi occhi spenti. Su quel luogo rimasero le impronte dei piedi della Madonna.

Dopo questo evento, i pochi pastori del luogo iniziarono a costruire le loro casupole vicino al roccia del prodigio, fino a formare, col passare del tempo, una borgata i cui abitanti diedero origine al culto che è arrivato ai nostri giorni e continuerà a perdurare anche nel futuro.

A perpetuo ricordo di questo miracolo e delle solenni feste centenarie celebrate nel luglio 1894, il popolo di Balze nel 1900 volle eternare sul marmo per i posteri questo prodigioso miracolo. Fu anche istituita una festa commemorativa, quella del 17 luglio. così ogni anno , nella settecentesca arcipretale di Balze, sotto il quadro antico in terra cotta invetriata , attribuito ai fratelli Della Robbia, raffigurante il fatto miracoloso, la popolazione festeggia la sua Madonna chiamata Madonna delle Grazie.

Sicuramente in quei luoghi dai profondi silenzi Quintino parlò con Dio. Nel sentire vicino a sé la sua presenza gli fortificò l'esistenza. Camminò tanto a piedi scalzi, spesso sanguinanti, sia d'inverno che d'estate e su quelle alture impervie visse in estrema povertà. Dalla sua bocca non uscirono lamenti ma soltanto preghiere volte a glorificarne il nome del nostro Creatore..

Quando abbracciò la vita religiosa, il maggiore e unico desiderio che ebbe Quintino fu quello che "tutti gli uomini della terra conoscano Dio e che gli diano gloria in modo da raggiungere il fine per cui sono stati creati: " La salvezza della propria anima”. Si pensava all'anima degli uomini, pii e giusti; la cui vita non si spegnerà con la morte, ma continuerà a vivere in eterno nella casa del Dio nostro.============================

Ultimo di cinque figli, Quintino nacque a Melissano (LE) il 29 maggio 1920 da Maria Potenza a da Cosimo Sicuro.. Da ragazzo esprime il desiderio di farsi frate, ma il superiore del convento di S.Simone di Sannicola non lo ammette in quanto il ragazzo non superò l'esame di ammissione alla III media, stabilito dalla legge del tempo, in quanto distolto dagli studi preparatori per l'aiuto costante che dava a suo padre nei lavori agricoli. Dopodiché scelse di frequentare la scuola tecnico industriale di Gallipoli. Nel 1939 si arruola nell'allora Regia Guardia di finanza. Frequentò il corso allievi finanzieri al termine del quale fu nominato finanziere del contingente di terra, ed avviato alla brigata di frontiera di Chiavenna (SO).

Durante la seconda guerra mondiale fu mobilitato e destinato al fronte greco albanese. Arrivato a Tirana fu inquadrato nel 1° Battaglione che a fianco della divisione Julia, del IV Reggimento dei Bersaglieri e reparti di Camicie Nere, partecipò, per breve tempo, nella squadra degli Arditi, alle cruenti battaglie sul monte Tumori,contro un nemico bene e armato e molto combattivo. La gelida temperatura dei Balcani procurò a non pochi soldati italiani, che calzavano scarpe rotte e deformate il congelamento degli arti inferiori con conseguente cancrena, Dopo un breve spostamento a Tre Bisti sul fronte jugoslavo e successivi movimenti per raggiungere le città della Grecia di Gianina e Patrasso, il finanziere Quintino fu assegnato alla compagnia di stanza a Cefalonia, dove, miracolosamente riuscì a sfuggire al massacro che fu commesso dalle truppe tedesche contro i soldati italiani che si erano rifiutati di consegnare le armi dopo la firma dell'armistizio con gli anglo - americani dell'8 settembre 1943, armi che impugnarono eroicamente contro i soldati germanici a difesa dell'onore italiano.Dopo diversi giorni di lotta, durante la quale i tedeschi impiegarono una cinquantina di aerei Stukas, specializzati in combattimenti in picchiata , le forze italiane furono costrette ad arrendersi. A Cefalonia dove iniziò la resistenza italiana alla Germania di Hitler, caddero in combattimento e furono fucilati barbaramente dai tedeschi complessivamente 2500 militari italiani ufficiali, sottufficiali e soldati. ( Dato pubblicato sulla rivista Famiglia cristiana del 30.3.2005). Il primo ad essere fucilato fu il generale Gandin comandante della divisione Aqui.

Duilio Farrneti nel suo bel libro intitolato L'eremita di Sant'Alberico – mio compagno d'arme - , dedicato alla memoria di Don Quintino Sicuro , il Servo di Dio, riporta la testimonianza di Antonietta Cazzato i cui genitori erano legati da una forte amicizia con quelli di Quintino, il quale, prima di abbandonare la carriera di militare della Guardia di finanza raccontò che durante l'ultima guerra , quando lui ed alcuni altri militari furono presi prigionieri dai tedeschi e rinchiusi in un capanno buio serrato con un catenaccio, convinti che sarebbero stati fucilati, iniziarono a pregare. A notte fonda videro aprirsi la porta e comparire dinanzi a loro una donna vestita di nero e pallida in volto, che disse ai prigionieri di uscire fuori. cosa che fecero senza farselo ripetere. Cosi scapparono e si salvarono.

In quella donna Quintino riconobbe la Madonna e per questa apparizione manifestò la sua riconoscenza alla madre di Gesù Cristo Redentore, facendo il voto di consacrarle la sua vita.

Durante la guerra di liberazione il finanziere Quintino, dal suo foglio matricolare risulta essere stato partigiano nelle squadre di Azione Patriottica (SAP) dal 1° novembre 1943 al 16 maggio 1945. In questo ruolo si distinse per la grande umanità che sempre manifestò nei confronti delle persone che, a vario titolo, ebbero contatti con lui. Non risulta che mai sia stato coinvolto in fatti di sangue.

Dopo la sua nomina a sottobrigadiere del contingente di terra, fu decorato della croce al merito di guerra. Nel mese di maggio 1946 fu trasferito alla brigata di frontiera del Brennero. Nel novembre 1947 fu assegnato al Nucleo p.t. di Trento. I componenti dei reparti cui prestò servizio apprezzarono il suo carattere di uomo buono e giusto. Fu a Trento che compilò un p. v. di accertamento nei confronti di un padre di famiglia che non aveva il denaro per pagare il tributo evaso e le pena pecuniaria. Sarà lo stesso sotto brigadiere Sicuro a versare all'Erario quanto indicato nel processo verbale da lui redatto , attingendo la somma necessaria dalle sue modeste retribuzioni mensili.

Sentendo prorompente la voce di Dio che lo chiamava, entrò in una profonda crisi spirituale che ridestò in lui il desiderio che ebbe fin dall'infanzia di farsi sacerdote. Congedatosi dal Corpo iniziò a peregrinare alla ricerca di luoghi più confacenti alla sua vita contemplativa. Bussò a monasteri, conventi e congregazioni religiose dove fu accolto, ma inspiegabilmente si allontanerà da queste consuete forme di vita,quindi finirà per scegliere una vita eremitica.religiosa, forse Quintino era intenzionato a condurre più austera di quella claustrale

Nell'autunno del 1947, fu frate francescano a Treia di Macerata Marche; dal 1949 al 54 fu eremita a Montegallo di Ascoli Piceno e dal 1954- 55 fu ancora eremita a Sant'Alberico di Balze Verghereto. Quando transitò un giorno nelle vie di Macerata vide la targa ovale della Guardia di finanza affissa sopra la porta di accesso di un edificio. Il ricordo degli anni trascorsi nel Corpo gli fa sentire il possente richiamo ad entrare in quello stabile. Appena si diffuse la notizia che l'uomo entrato nella caserma era un ex sottobrigadiere che aveva prestato 8 anni di servizio nel Corpo si generò un gran subbuglio. Tutti i militari presenti gli si avvicinarono sorpresi e felici, facendogli molte domande. I più gli chiedevano perché avesse deciso di cambiare vita , uno volle sapere come facesse a vivere. Il suo volto a questo punto si illuminò d'immenso. La sua risposta fu la stessa che Matteo il Santo Patrono della Guardia di Finanza pose nel suo vangelo: “ gli uccelli dell' aria non seminano, non mietono né raccolgono in granai, eppure il Signore provvede ugualmente a loro”.

Tutti i militari compresero di essere davanti all'uomo di Dio e che non era il caso di porgergli domande indiscrete.  Con gioia lo invitarono a consumare un pasto al ristorante durante il quale ci fu chi decise ,con una sola occhiata di raccogliere all'istante una colletta per il festeggiato, ma che lui, con un dolce sorriso, disse loro che non poteva accettare perché nel suo abito non aveva più tasche per il denaro.

Con indosso abiti dismessi e con la barba lunga riprese il suo lungo peregrinare che lo portò a raggiungere l' eremo di S.Alberico , sorto nell'anno Mille dove cantarono le laudi al Signore frati benedettini camaldolesi, e poi lo stesso santo taumaturgo Alberico, che ha dato il suo nome a quel luogo e infine altri fraticelli e laici mendicanti.

Inizialmente Quintino visse a Sant'Alberico come eremita-custode, fino a quando con la nomina a sacerdote, divenne il titolare. La sua dura esistenza vissuta in quel luogo solitario, colpì profondamente gli abitanti di Balze e delle località vicine al massiccio del Fumaiolo che lo conobbero e lo giudicarono subito un santo uomo.

Un bambino della borgata Capanne nel vedere passare davanti all'uscio della sua abitazione l'umile figura di Quintino gridò: “Mamma, ho visto passare Gesù”. Il bimbo aveva visto giusto dal momento che Gesù ama nascondersi in ogni povero della terra.

L' affluenza all'eremo di tanti fedeli che abitavano in località molto distanti, lo spronò ad iniziare i lavori di ristrutturazione dell'intero immobile fatiscente, con porte e finestre rotte, l'acqua che pioveva dentro e il camino della cucina che non tirava più fuori il fumo prodotto dalla legna che bruciava.

I lavori iniziarono con la ricostruzione della chiesa e la ristrutturazione dell'appartamento occupato dal titolare dell'eremo, ubicato al piano superiore. L'intero immobile viene innalzato di un piano. Quintino aiutò i tanti giovani muratori che si erano offerti di lavorare senza ricevere alcun compenso. Lui li aveva avvertiti che poteva offrire loro soltanto un piatto di spaghetti. Anche Quintino esegue i lavori più pesanti: impastava il calcestruzzo, e portava la calcina, a secchi, sulle spalle. Pagava i materiali che gli occorrevano con gli oboli che i fedeli sempre generosi gli davano, il denaro in più che gli rimaneva lo donava ai poveri

In quel territorio, ricco di cento fontane l'eremo di Sant'Alberico , interamente ristrutturato con l'aiuto della Provvidenza, che sempre l'ha assistito, diventa oasi di spiritualità.

Nel 1955/61 fu seminarista a villa Grazia di Firenze dove venivano preparati ad essere nominati sacerdoti coloro che avevano avuto vocazioni tardive , successivamente frequentò l'ateneo Angelicum di Roma e infine il seminario regionale di Bologna. Nel 1961, si concretizzò il suo sogno, che da tempo coltivava nel cuore: fu nominato sacerdote. La sua prima messa la celebrò a Balze il 23 dicembre.

Nel 1962, per sciogliere un voto, con il cavallo di S. Francesco e accompagnato da fratel Vincenzo che attratto dalla vita di Don Quintino dal giugno 1962 lo aveva seguito al suo eremo, parte in pellegrinaggio per Lourdes. A piedi calzava le scarpe che gli aveva donato Antonio il calzolaio di Balze. Non fu un pellegrinaggio facile. Una sera bussarono ad una porta di una canonica per passarvi la notte. ll parroco quando li vide li scambiò per due banditi e quindi gli chiuse la porta in faccia, utilizzando all'interno anche un catenaccio. Altrettanta accoglienza l'ebbero da un convento di suore francescane che avendo visto i due attraverso la grata, pensarono che non fossero dei religiosi, motivo per cui non li fecero entrare.

Una notte ristoratrice la passarono in una stalla di un allevatore di mucche,che aveva concesso il permesso ai due pellegrini di accedervi per trascorrervi la notte. Ma per evitare brutte sorprese il suo garzone pensò bene prima prima di allontanarsi, di girare più volte la chiave per chiudere la porta. Costui sorriderà contento all'alba del giorno successivo dopo avere contato le bestie.

Il suo magistero sacerdotale accrebbe ancora di più il suo amore sia per tutti i fedeli che abitano nelle località più vicine all'eremo sia per quelli che salivano a Sant'Alberico, per avvicinarsi a Dio. Nel luogo dove don Quintino visse da eremita è rimasta viva la sua figura di asceta e di penitente. E' sempre stato vicino ai giovani, ai malati, ai più bisognosi, ha avuto parole confortevoli verso tutti perché la sua voce era quella di un santo servo di Dio.

E' molta bella la fotografia riprodotta sul libro del Farnesi che ritrae il volto di Don Quintino sorridente sotto una croce attorniato da un folto gruppo di festosi giovani di Sarsina.

Mi piace riportare la testimonianza di don Gino Pellizzer, che fu parroco di Balze. Egli ha racconta gli ultimi due giorni di vita di don Quintino che furono: la ricorrenza del Santo Natale 1968 e il successivo 26 dicembre festa di S.Stefano nella cui mattinata spirò.

Il 25 dicembre don Gino,dovendosi recare a celebrare all'eremo di Sant'Alberico, pregò don Quintino che era insieme a lui, di salire nella sua vettura per arrivare al santuario dalla via che conduce alle Capanne per poi salire all'Eremo attraverso il passo delle Scalette. E questo per non far fare a don Quintino una grossa fatica in considerazione del fatto che egli da un po' di tempo soffriva di disturbi cardiaci . Don Quintino non accettò non, volle prendere la carraia tracciata sulle rocce.


Don Gino giunto allo spiazzo ai piedi dell'Aquilone, salì a piedi la ripida montagna. Giunto davanti al cancelletto , attraversando il quale si accede all'eremo attese l'arrivo di don Quintino. Quando lo vide scendere dall'ultimo tratto di strada notò che era agitato e molto affaticato, aveva il passo incerto. Don Gino gli chiese se stava male, ma lui lo rassicurò dicendogli che stava bene, come era solito rispondere a tutti coloro che gli rivolgevano questa domanda per non farli stare in pensiero.

La notte di Natale celebrò la messa nella chiesa di Balze, mentre don Gino suonava l'organo e dirigeva i cantori della parrocchia. Celebrò anche la messa di mezzanotte. Si vedeva chiaramente nel pronunciare l'omelia, diversa da quella di sempre, che qualcosa di grave lo stava preoccupando. Fu il suo ultimo Natale.

La sosta per il ringraziamento che fece ai piedi dell'altare fu più lunga del solito. Poi chiese al parroco di confessarlo, In chiesa c'erano tante cose ancora da preparare, don Gino gli fece capire che poteva aspettare , ma lui continuò ad insistere così tanto finché il suo desiderio non fu accolto.Fu in quel momento che don Quintino disse “Don Gino è giunta la mia ora:”

Tutti sapevano che il giorno di S.Stefano avrebbe benedetto l'impianto di sciovia, ma col tempo sereno e la neve che non c'era questa cerimonia rimaneva solo un sogno, ma don Quintino disse che nella nottata sarebbe nevicato, e così avvenne. Tutti I monti della zona furono ricoperti da una spessa coltre di neve. Fu a causa delle neve alta che l'autovettura che trasportava don Quintino, fratel Vincenzo ed altre persone, alla sciovia andò in panne e dovette fermarsi nel tratto finale del valico. Gli occupanti, scesi dal mezzo, per liberare la strada, spinsero l'auto per parcheggiarla sul vicino spiazzo. L'impatto improvviso col gelido clima e lo sforzo fatto per spingere l'autovettura, spaccarono il cuore di don Quintino che si accasciò sulla neve, fulminato da un infarto.

Il Farneti ha riportato nel suo libro 21 testimonianze raccolte da fratel Vincenzo rese da persone che magnificarono la vita vissuta nell'ultimo suo eremo da don Quintino nella gloria del nostro Dio.

Il 28 agosto 1991 nella antica cattedrale di Sarsina si concluse positivamente il processo diocesano si beatificazione del Servo don Quintino Sicuro. Tutto l'incarto sigillato col timbro vescovile fu inviato alla competente Congregazione per la causa dei santi.

La signora Maria Di Lorenzo sulla vita di don Quintino Sicuro ha scritto un bellissimo racconto. Ci ha fatto sapere che dormiva su una dura tavola ed aveva un sasso per cuscino e che non conosceva Kierkegaard, Maritain e Chardin, ma ben viveva il Vangelo. Ella ha riportato le seguenti parole che don Quintino rivolgeva a quanti cercavano di incontrarsi con Dio: “ Mettiti davanti a Dio come un povero senza idee ma con fede viva. Rimani immobile dinanzi al padre, non cercare di raggiungere Dio con l'intelligenza, non ci riuscirai mai; raggiungilo nell'amore: ciò é possibile."

Quando suoneranno a festa, mi domando, le campane di tutte le chiese cristiane del mondo per annunciare ai fedeli della Croce “unico emblema, di luce e di speranza per un mondo migliore”, la proclamazione a santo di don Quintino Sicuro che, in particolare, riempirà di gioia, i cuori dei finanzieri italiani di ogni grado, sia in servizio che in congedo, per avere portato con elevato onore,  sul bavero della sua giacca per otto anni le mitiche Fiamme Gialle?

mercoledì 12 novembre 2014

Aggiornare la Carta costituzionale dell'Unione europea

Ultimamente si sente parlare di Europa solo per i vincoli di bilancio e gli accordi che stabiliscono che ciascun paese non superi il rapporto tra deficit e Pil. Di politica, nel senso più alto e nobile; si parla ben poco. Se la Carta Costituzionale dell'Unione Europea, l' avessero scritta Robert Schuman, Alcide De Gasperi, Konrad Adenaur di profonda fede cristiana, considerati insieme al laico Jean Monnet e altri autorevoli personaggi, tra cui l'italiano Altiero Spinelli, i padri fondatori dell'Unione Europea, credo proprio che al primo articolo avrebbero evidenziato la matrice cristiana dell'Europa, senza la quale non si sarebbe realizzato il sogno di un'unione tra popoli tanto diversi, divisi da sempre da guerre fratricide.

Gli estensori della Carta Costituzionale europea avrebbero dovuto leggere, a fondo il libro testamento “ Pour l'Europa” di Schuman nel quale, tra l' altro, si legge “ La democrazia deve la sua esistenza al cristianesimo: essa é nata il giorno in cui l'uomo é stato chiamato a realizzare nell'impegno quotidiano la dignità della persona umana nella sua libertà individuale , nel rispetto dei diritti di ciascuno e nella pratica dell'amore fraterno verso tutti . Mai prima di Gesù Cristo, simili concetti erano stati formulati”. E ancora nella stessa opera si legge: “Questo insieme di popoli non potrà e non dovrà restare un'impresa economica e tecnica. Bisogna darle un' anima. L' Europa non vivrà e non si salverà che nella misura in cui avrà coscienza di sé stessa e delle sue responsabilità quando essa farà ritorno ai principi cristiani di solidarietà e di fraternità”. Nella seduta del Parlamento del 19 marzo 1958, ribadì con convinzione il suo illuminato pensiero: “Tutti i paesi dell'Europa sono permeati dalla civiltà cristiana”.

Robert Schuman fu presidente del Parlamento europeo dal 1958 al 1960. Dedicò la sua vita alla politica che considerava un apostolato che sentiva forte nel suo cuore. Il suo comportamento fu sempre improntato ai principi della fede cristiana.

L'Unione europea, nella cui Carta costituzionale non è stato fatto alcun riferimento ai valori fondanti della civiltà cristiana professata già da oltre due millenni, agli occhi di chi scrive appare davvero priva di anima. Con tutto ciò che ne consegue.

martedì 21 ottobre 2014

Nota informativa

Desidero informare i lettori che mi seguono, che in relazione al mio componimento sul tema "Forze Armate: il coraggio della solidarietà", con il quale ho partecipato al 12° concorso di narrativa 2014 indetto dall'Unione Nazionale Ufficiali in Congedo - Sez. di Chiavari, mi è stato rilasciato un attestato di partecipazione nel quale l'illustre Presidente ed i soci iscritti alla suddetta Sezione mi hanno espresso le "congratulazioni per l'ottimo racconto".

domenica 14 settembre 2014

Le Forze Armate: il coraggio della solidarietà

Ne ha fatta di strada l'uomo da quando accese il fuoco e inventò la ruota, uscì dalla grotte e dalle palafitte e costruì le città. Le sue opere hanno esaltato la propria intelligenza in tutti campi della scienza, della medicina e dell'arte. È arrivato persino a mettere i piedi sulla Luna e a “passeggiare” nello spazio. Soltanto in un campo non è progredito: sin dall'antichità, infatti, anziché vivere in pace ha sempre combattuto sanguinose battaglie coi propri simili ,con milioni e milioni di morti, feriti e cumuli di rovine. Le guerre, motivate quasi sempre da mire espansionistiche e dalla brama di appropriarsi delle ricchezze altrui, considerate bottino di guerra, hanno rallentato il progresso umano. 
Mettere in campo forze armate per difendersi e, ove necessario, attaccare, ha comportato e sempre comporterà lo spreco di ingenti somme di denaro che, se impiegate nella costruzione di opere pubbliche e nella ricerca scientifica, ad esempio per trovare nuove cure alle malattie, ci avrebbero consegnato se non un mondo perfetto quantomeno uno migliore. 

Nel 1950, quando i caschi blu dell'Onu intervennero nella guerra scatenata dalla Corea del Nord contro quella del Sud, per ripristinare lo “status quo ante” e restituire l'indipendenza a Seul, ebbi modo di pensare che soltanto le Nazioni Unite, avvalendosi di contingenti militari internazionali, potessero far cessare gli scontri armati senza far incancrenire i conflitti tra gli Stati e ripristinando in tempi abbastanza rapidi la pace. Purtroppo le numerose guerre che si sono susseguite fino ai nostri giorni mi inducono a pensare che mi ero sbagliato. Le mie convinzioni iniziarono a vacillare negli anni della guerra civile in Libano. Il 23 ottobre 1983, una domenica, un contingente militare costituito da marines americani, sotto l'egida dell'Onu, inviato pochi mesi prima per porre termine a una guerra fratricida, fu preso d'assalto in una caserma: persero la vita 241 soldati americani, e in un altro attentato quasi simultaneo furono trucidati altri 56 militari francesi. La storia va avanti ma le tragedie si ripetono. Il 12 novembre 2003 a Nassiriya, nel sud dell'Iraq, un altro sanguinoso attentato stroncò la vita a 28 uomini, tra cui 19 italiani (diciassette erano militari) e nove iracheni. Sono anni che mi domando a cosa servano davvero le Nazioni Unite se non riescono a impedire i conflitti che scoppiano nel mondo,tenuto conto che questi è il loro primo compito istituzionale.

Mi soffermo su due recenti interventi militari: la prima guerra del Golfo (1991), che una coalizione internazionale sotto l'egida dell'Onu dichiarò all'Iraq che aveva invaso il Kuwait; la seconda guerra del Golfo (2003), voluta da Stati Uniti e Gran Bretagna per eliminare il regime di Saddam Hussein, accusato di essere un pericolo per la sicurezza internazionale perché in possesso di pericolose armi di distruzione di massa (mai trovate). Persa la guerra Saddam fu catturato, processato e condannato a morte per i crimini commessi nel corso degli anni sia contro i propri oppositori, sia contro le popolazioni curde. Se nel primo caso l'intervento militare fu legittimato dalla palese violazione da parte dell'Iraq di una risoluzione dell'Onu, tesa a ridare piena sovranità ad uno Stato invaso, nel secondo a scatenare la guerra furono motivazioni geopolitiche, e il Palazzo di vetro fu beffato da chi spacciò per vero un rapporto sulla sicurezza palesemente inventato (quello che dava per certo il possesso, da parte di Bagdad, degli ordigni di distruzione di massa).

Un breve accenno anche alla guerra in Afghanistan, dove tuttora operano, su mandato Onu, i contingenti militari di diverse nazioni, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia e altri otto Stati. Il conflitto è scoppiato nel 2001 per porre fine al dominio dei talebani, che davano asilo a Osama bin Laden e da anni facevano vivere il paese nel terrore. I militari italiani inviati in Afghanistan, è bene ricordarlo, sono soldati di pace, alla luce dell'articolo 11 della nostra Costituzione (“L'Italia ripudia la guerra...”). I nostri soldati avrebbero dovuto essere accolti con gioia, invece fino ad ora ben 54 di loro sono stati uccisi nel corso di scontri armati e attentati compiuti dai filo talebani. È incredibile che così tanti giovani militari inviati in quella terra non per aggredire, uccidere o conquistare terreni, ma per riportare sicurezza e pace tra la popolazione afgana, siano rimasti uccisi. 

Ma torniamo alle Nazioni Unite. Cosa fecero per evitare la violenza criminale del dittatore serbo Slobodan Milosevic, che si macchiò di un'efferata pulizia etnica, da Vukovar a Dubrovnik e nel Kosovo, dai campi di concentramento di Prjedor e Omarska, all'eccidio di Sebrenica, causando ovunque morti e distruzione? L'Onu non riuscì ad opporsi con fermezza a quel dittatore sanguinario: per bloccarlo fu necessario un intervento della Nato, sotto l'ombrello giuridico della palese violazione dei diritti umani. E il Palazzo di vetro nulla riesce a fare per porre termine alle gravi tensioni che da decenni minacciano il Medio Oriente, la terra in cui nacque Gesù, dove non si placa lo scontro tra israeliani e palestinesi. Dopo la Prima guerra mondiale, su iniziativa del presidente americano Woodrow Wilson, nacque la Società delle nazioni, con sede a Ginevra, allo scopo di salvaguardare la pace e la sicurezza universale e favorire la cooperazione economica, sociale e culturale fra tutti gli Stati. Si estinse il 18 aprile 1946, a causa della sua manifesta impotenza nell'aver impedito lo scoppio del secondo tragico conflitto mondiale. Dalle sue ceneri nacque l'Organizzazione delle Nazioni Unite, con sede a New York, costituita dalle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale: Cina, Francia, Gran Bretagna, Unione sovietica e Stati Uniti d'America. 

In considerazione della brutta situazione che stiamo vivendo in questi tempi, con numerosi focolai di guerra accesi in vari angoli del mondo, dobbiamo purtroppo prendere atto che l'Onu è priva degli strumenti necessari a imporre, agli stati membri, le proprie risoluzioni per la salvaguardia della pace e della sicurezza. Le Nazioni unite, infatti, non dispongono di proprie forze armate e non hanno, quindi, un'opzione militare su cui far leva come minaccia e per intervenire tempestivamente laddove necessario. Restano solo i moniti del segretario generale dell'Onu, che quasi sempre rimangono inascoltati, a meno che qualche altro organismo più ristretto (G8) non agisca per proprio conto, facendo leva sulle sanzioni economiche (vedi caso della Russia per l'occupazione della Crimea) o su interventi militari veri e propri promossi dai singoli stati: uno degli ultimi casi è la guerra in Libia contro Gheddafi (2011), combattuta da una coalizione internazionale composta in tutto da 19 stati e guidata dalla Nato. Autorizzata da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che aveva istituito una zona d'interdizione al volo sul paese nordafricano, la guerra “ufficialmente” fu combattuta per tutelare l'incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste e i ribelli.

Ma torniamo al nostro Paese. Le Forze armate italiane sono il primo baluardo per la difesa delle nostre frontiere. Fra i propri doveri vi è anche quello della solidarietà, che impone comportamenti relativi agli alti valori di carattere etico-sociale in ordine ai quali occorre aiutare chi è in difficoltà. Con il “Trattato di Lisbona” del 2007 (in vigore dal 2009) è stato modificato il “Trattato istitutivo della Comunità Europea” che ha introdotto una clausola di solidarietà (art. 222) che impone agli Stati membri di agire con spirito di solidarietà, impiegando tutti i mezzi possibili, compresi quelli militari, in caso di richiesta di aiuto per attentati terroristici e per calamità naturali o causate dall'uomo. Gloriosa è la storia delle nostre Forze armate, ricca di pagine di epico valore scritte col sangue dei soldati che le hanno vissute. Mi riferisco, in primo luogo, ai conflitti combattuti per unificare la nostra Patria, per secoli divisa in diversi piccoli staterelli, com'era solito dire il mio maestro della scuola elementare - che frequentai durante gli anni '30 - che mai ho dimenticato, tanto da farmi pensare che l'eroismo con cui furono combattute dai nostri soldati le battaglie sul Carso, sull'Adamello, sul Piave e su ogni altro fronte fosse derivato dall'amore per la Patria. Un sentimento che, unito ad altre circostanze a nostro favore, ci permise di vincere la Prima guerra mondiale. Da bambino mi capitava di piangere quando la banda musicale del mio paese suonava l'inno del Piave, davanti al monumento ai Caduti del mio paese, durante la ricorrenza della vittoria celebrata ogni anno il 4 novembre. Ancora oggi, dopo tanti anni, quando ascolto le note musicali del nostro inno i miei occhi si riempiono di lacrime. Mi è di conforto sapere che i nostri Padri costituenti nell'articolo 11 della Carta Costituzionale abbiano scritto: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali...”. Al di là di ogni retorica, per l'importanza che hanno, queste parole dovrebbero essere “scolpite” nella Carta costituzionale di tutte le nazioni il mondo. Molto importanti e significativi sono anche gli articoli 52 e 54 della Carta costituzionale: il primo sancisce che la difesa della Patria è un dovere sacro del cittadino e che l'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica; il secondo precisa che tutti i cittadini hanno il dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato. Inoltre chi esplica funzioni pubbliche ha il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

Devo riconoscere che, nel corso degli anni, mi ha favorevolmente impressionato la sensibilità dimostrata dai governi che si sono succeduti e dalle autorità militari, sempre protesi a garantire il soccorso alle popolazioni colpite da terremoti, allagamenti o altri disastri. Ricordo la tragedia del Vajont, provocata dall'enorme massa d'acqua fuoriuscita dalla diga quando una parte del monte Toc sprofondò nel bacino: acqua e fango spazzarono via Longarone con tutti suoi abitanti. Rivedo, davanti ai miei occhi, le immagini trasmesse dalla tv, coi soldati che cercavano nella melma i corpi delle vittime. Una straziante operazione di soccorso che qualcuno doveva pur fare e che vide i nostri militari in prima linea. Anche nel terremoto di Messina, nel 1908, i primi a portare aiuto ai superstiti di quell'immane tragedia furono i nostri marinai e soldati. E lo stesso avvenne nei terremoti che sconvolsero il Friuli e l'Irpinia. Per assicurare tranquillità e sicurezza alla popolazione, i nostri militari sono stati impiegati anche in alcune città del Sud Italia, dove la criminalità organizzata è responsabile di reati gravissimi che minacciano il vivere civile di tutti noi. Non ci possono essere dubbi: altissimo è sempre stato il senso del dovere manifestato con zelo, disciplina e coraggio dai nostri soldati nei confronti degli abitanti delle zone in cui sono stati mandati a espletare il loro servizio.

Il “coraggio della solidarietà” è una bellissima qualità. Ma dove la si può trovare? Nel cuore nobile di ciascun uomo, se permeato dall'amore nei confronti dei propri simili e se sane e robuste sono le Istituzioni. Ma credo anche che vi sia un fondamento culturale frutto dell'umanesimo cristiano. Il primo a manifestare questo “coraggio della solidarietà”, infatti, fu Gesù Cristo, quando disse agli uomini: “Amate il prossimo come voi stessi”. Che si abbia fede, oppure no, come spiegò Benedetto Croce in un famoso saggio, “non possiamo non dirci cristiani”. Per il filosofo il cristianesimo aveva compiuto una rivoluzione: “Operò nel centro dell'anima, nella coscienza morale, e conferendo risalto all'intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all'umanità” che grazie proprio a quella rivoluzione non può non dirsi "cristiana".

Se desideriamo vivere in un mondo di pace, come credo sia nel cuore di tutti gli uomini, è fondamentale adoperarsi per risvegliare la coscienza di quei governanti che vorrebbero costruire bombe atomiche per distruggere altre nazioni, pronti a scatenare “guerre sante” strumentalizzando la religione e sfruttando l'ignoranza delle persone. Non c'è fede al mondo che possa predicare la morte anziché la vita. Chi afferma il contrario, se ha studiato i propri testi sacri di riferimento sa di dire il falso. Non è possibile, purtroppo, prevedere tragedie come quella generata dall'ideologia folle professata da Adolf Hitler, che scatenò la Seconda guerra mondiale e causò la morte di milioni e milioni di persone, provocando enormi distruzioni. L'unica cosa che sappiamo con certezza è che, se vogliamo evitare che in futuro fatti analoghi si ripetano, servono adeguati strumenti di prevenzione. Occorrerebbe, ad esempio, che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu (l'organo esecutivo delle Nazioni unite) disponesse di un contingente militare fornito da tutte le nazioni iscritte all'Associazione, per agire come deterrente o, nei casi più gravi, intervenire in modo tempestivo per spegnere i conflitti. Ma bisognerebbe anche rivedere le regole, perché il sistema dei veti (un solo no espresso da un membro fisso del Consiglio di sicurezza può bloccare ogni decisione), figlio delle logiche dei blocchi del secondo dopoguerra, è ormai anacronistico e impedisce ogni decisione. Se soffermiamo la nostra attenzione sul nostro Paese, dobbiamo riconoscere che è un dovere morale attenersi ai principi filosofici dell'etica, che studia e ci mostra le scelte e i comportamenti che ogni governo nazionale dovrebbe assumere, sia per governare i popoli che per utilizzare al meglio i propri militari. Dalla condizione delle forze armate si hanno due connotazioni peculiari: la prima è quella del “professionista militare”, inteso come dirigente, la cui etica è di matrice tecnica, mentre di matrice eroica è la seconda, che qualifica “un capo per vocazione”. La matrice tecnica riguarda la modernizzazione sempre crescente dei mezzi, strumenti e armi in dotazione, mentre la matrice eroica attiene al fattore morale, che si impernia su valori etici quali , ad esempio, lealtà, coraggio, rigore morale, senso del dovere, rispetto dei diritti e della dignità, spirito di dedizione al prossimo.

Giova evidenziare che al militare può essere richiesto, quando gravi momenti lo rendano necessario, il sacrificio della cosa più preziosa che ciascuno di noi possiede, la vita. Non può essere imposto a nessun altro. Il militare è tenuto a credere nei valori e nei compiti che gli vengono affidati, in quanto programmati nell'interesse della collettività nazionale. La sua condizione è molto diversa dalle altre professioni in quanto comporta la totale adesione ai valori che si pongono alla base della solidarietà e della capacità, di ogni soldato, a combattere. Come ricordavo prima, per tentare di costruire un mondo migliore occorrerebbe che le Nazioni Unite fossero messe nelle condizioni di agire, attraverso opportune riforme giuridiche e organizzative. E un primo intervento operativo da mettere in cantiere con urgenza sarebbe quello di impedire la produzione di gas asfissianti e di altre altre pericolose armi chimiche, o nel caso in cui esistano già, provvedere allo smantellamento degli arsenali, il cui impiego può causare spaventose stragi di esseri umani. Anche se spesso sono divisi da odi e incomprensioni, i popoli della terra sono accomunati da alcuni elementi imprescindibili: tutti sognano di vivere in pace, lavorare e acquistare il pane quotidiano e quant'altro necessario alla propria sussistenza. Hanno bisogno di amore, perché è amore lavorare, seminare la terra, far crescere le piante, raccogliere i frutti, impedire che fiumi, laghi e le acque del mare siano inquinati dai rifiuti di ogni genere. Crescere sani e forti e vedere i propri figli e nipoti farsi strada nel mondo. Qualcuno pensa che vi siano persone che, nel profondo del loro cuore, sognino davvero morte, miseria, disperazione e distruzione? Impossibile. Se non nella mente di chi vuole instillare odio nelle persone, perseguendo finalità malate.

Grande è il sentimento di amore che il popolo italiano deve sempre sentire per le proprie Forze armate, pronte a mantenere fede al giuramento di fedeltà prestato, come avvenne ad esempio all'indomani dell'Otto Settembre 1943 a Cefalonia, dove la divisione Aqui si rifiutò di consegnare le armi ai tedeschi e iniziò a combattere contro di essi. Feroce fu il comportamento dei tedeschi che, per vendetta, massacrarono i superstiti dell'intera divisione, con in testa il comandante Generale Gandin e migliaia e migliaia di uomini tra ufficiali, sottufficiali e soldati. Sappiamo per certo che le nostre Forze armate sono pronte ad aiutarci nei momenti di maggiore difficoltà, quando la vita è appesa a un filo a causa di qualche imprevedibile evento naturale. O aiutare i nostri simili che, sognando una vita migliore, scappano dal loro paese e, sfidando le onde del mare, il fame, il freddo e la sete, salgono su barconi di fortuna per raggiungere le nostre coste alla ricerca della felicità. E trovando, spesso, solo miseria e disperazione. Quanti di loro hanno trovato la morte nel Mediterraneo. Quanta indifferenza e quanto odio da parte di molti. Ma quanta bellissima solidarietà da parte, ad esempio, del popolo di Lampedusa e, soprattutto, delle nostre Forze armate, impegnate nel prestare soccorso a chi è in difficoltà in mezzo al mare. Una solidarietà che non ha confini, ideologie o secondi fini. Ma è frutto solo di amore e umanità.

Sono fermamente convinto che il coraggio della solidarietà lo debbano avere, in primis, tutti i governi e i vertici delle forze armate. Ma anche, nel proprio piccolo, ciascuno di noi. Solo questa “rivoluzione culturale” ci potrà permettere di realizzare quel fantastico sogno che hanno nel cuore tutti gli uomini di buona volontà: costruire un mondo migliore, senza più guerre, perché, come disse Papa Pio XII nell'agosto 1939, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale, “con le guerre tutto è perduto mentre con la pace niente è perduto”. Auspico che la “rivoluzione” da me propugnata, ancorché difficile da realizzarsi, possa compiersi per il bene delle generazioni future, che potranno finalmente vivere in un mondo permeato dai valori eterni della pace e dell'amore, e dal naturale spirito di fratellanza che appartiene a ciascun essere umano. 


--- Questo è il tema  con il quale partecipai al concorso letterario indetto nell'anno in corso dal Circolo ufficiali in congedo (Unuci) di Chiavari. Non figuro tra i concorrenti che sono stati premiati, che sicuramente hanno scritto un testo migliore del mio. Comunque sono molto soddisfatto perché ho potuto esprimere quanto mi ha dettato il cuore --- 

mercoledì 6 agosto 2014

Quando mangiai un solo fagiolo

Pògo tempo fa mi colpì na fotografia che aveo visto su facebook, scattata ind'una via di una città siriana intasata da centinaia di persone affamate che erino pazientemente 'n attesa di ricevere del cibo per sopravvive.

Mi impressionò questa fotografia che mi fece pensare sùbbito a la sofferenza di quéla moltitudine di sventurati innocenti a causa de la fame che aveino in corpo, che anco chi scrive pati durante gli anni della seconda guèra mondiale, che dal settembre 1944 all'aprile del 1945 fu combattuta fino a la nossa terà di Versilia divenuta l'estremo limite della linea Gotica.

Ricordo che un giorno dell' istate del 1944 avvertii i primi sintomi di una agonia per la fame che sentivo forte, forte, tanto da indurmi a pensare che staceo per morì. Mi trovavo ne la pianura Pietrasanta in cerca di rare pannochie di granturco rimaste nei campi dopo il raccolto effettuato da proprietari dei terreni, furono alcuni grappoli d'uva che strappai da alcuni filari di viti piantate ai margini d' un campo che in un lampo ingollai, a farmi cessà quel languore che mi sembrò mortale se fosse continuato un pò più a lungo.

Negli anni de la guèra, quando il lunedi in cui si svolgeva il mercato nella piazza Carducci di Seravezza , appena uscivo da la scuola per ritornà a case, tante volte mi soffermavo a guardà i mucchi de le foglie dei cavoli attaccate a la parte più alta dei gambi rimasti, insieme alle foglie, nella piazza vicino ai banchi di vendita, che mi faceino pensà a la fame che mi potevino toglie se avessi potuto mangià i pezzetti de la parte più tenera del gambo. Ma quest pensieri svanivano nel momento in cui vedevo che il solo netturbino, detto Cancellino, a la dipendenza del Comune nel pulire la piazza caricava sul carretto quanto avea spazzato.

Nei miei tanti racconti non ho mai parlato di questo desiderio di mangià i torsoli dei cavoli per togliermi la fame, come non ho mai parlato di un fagiolo che vidi lungo la mulattiera, mi pare nel tratto sopra il cimitero, che stavo percorrendo mentre andavo a la ricerca di funghi. Raccolsi quel fagiolo e me lo misi in tasca. A casa lo riposi in una tazzina, e quando mi mà preparò il minestrone, da consumare a cena lo misi nel laveggio per farlo cuocere insieme agli altri ingredienti. Ogni tanto toglievo il coperchio per sentire se il fagiolo era cotto e quando sentti che si poteva mangiare; senza dire nulla a la mi mamma, tolsi con un cucchiaio il fagiolo dal liquido bollente e lo mangiai. Non mi fece alcun effetto quel solo fagiolo, forse era meglio se non lo avessi raccolto.Per togliermi la fame, che sempre avevo, avrei dovuto mangiarne  un piatto colmo. 

martedì 15 luglio 2014



La povertà, in Italia, è arrivata ad un livello non più sopportabile.

La cronaca,sia televisiva che della carta stampata del 14.7.2014 per quanto attiene la povertà in Italia, è dolorosa, tanto da indurmi a parlare ancora di questa grave situazione. Il 16% della nostra popolazione vive in povertà. Ben 6 milioni campano senza beni essenziali per una vita dignitosa.

Nel ribadire quanto ho scritto nel mio articolo “quando miglioreranno le nostre condizioni di
vita?”, credo proprio che bisogna arrivare alla creazione di un governo europeo cui affidare il compito di guidare l' Unione con l 'elezione diretta del presidente: come avviene negli Stati Uniti. Invece ci siamo limitati ad eleggere un parlamento ,quello di Straburgo,i cui poteri sono estremamente limitati lasciando la mediazione tra i singoli governi statali il compito di guidare l'Unione. Non siamo riusciti neanche a dare vita ad una politica estera comune, per non dire ad una difesa unica. Non vorrei sbagliarmi nel ritenere che siano state le limitazioni impostaci dall'Europa a portarci sempre di più nella miseria:. Forse non avremmo dovuto accettare misure come il fiscal compact , ossia l'inserimento nella Costituzione di alcune clausole o vincoli tra le quali, ad esempio, l'obbligo del pareggio di bilancio e la significativa riduzione del rapporto tra il debito pubblico e il Pil, pari ad ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del Pil. Intanto il debito pubblico è aumentato di venti miliardi.

E' importante anche che la politica dia un segnale forte di onestà e serietà: prima di chiedere nuovi pesanti sacrifici dovranno essere ridotti gli altissimi emolumenti come già specificato nell'articolo cui faccio seguito, o in alternativa che una parte cospicua di tali uscite sia legata a risultati , numeramente misurabili, , effettivamente raggiunti. E questo mi sembra un passo importante per andare avanti

Concludo con l' associarmi alle parole scritte da Giuseppe Vezzoni affinché in Italia non solo sia sconfitta la povertà, ma anche che tutti gl' italiani possano viverci rispettando le leggi per il bene esclusivo della nostra collettività nazionale.
Sotto questo aspetto, Giuseppe Vezzoni, mi appare essere un alfiere, sì uno strenuo sostenitore della nostra legalità nazionale.
Renato Sacchelli



sabato 12 luglio 2014

Quando miglioreranno le nostre condizioni di vita?

E' da tanto tempo che mi pongo questa domanda. Si vorrei proprio sapere quando l'uomo vivrà una vita più serena e meno sofferta?

Purtroppo, per quanto ci sta a cuore,la costituzione dell' Unione Europea in cui abbiamo sperato per il conseguimento del bene comune per tutti gli Stati associati; non mi pare che abbia ottenuto ciò che aspettavamo. Alla luce dei risultati finora acquisiti mi pare di non sbagliare nel dire che questa Europa unita, non é quella che sognarono i padri fondatori che furono: Alcide de Gasperi, Konrad Adenaur, Robert Schuman, Jean Monnet, Paul Enri Spack, Altiero Spinelli ed altri illustri personaggi quali sono stati Josef Bech, Winston Churchill, Walter Halisten, Sicco Manshelt, Jean William Been, tutti convinti dell'importanza che si arrivasse alla realizzazione di questo sogno. Ci furono studi per arrivare alla comunità del carbone e dell'acciaio, non per aumentare il commercio di tali prodotti, ma per evitare, in primis, che fra le vicine nazioni europee continuassero a scoppiare sanguinose guerre, come lo furono quelle della prima e della seconda guerra mondiale, e subito dopo alla costituzione del mercato comune ed all'integrazione dell'Europa. 

 Ritengo che sia stato commesso un errore coniare subito la nuova moneta senza pensare prima ad avere chiaramente una visione politica delle cose da fare per il raggiungimento del bene comune. Perchè non è stata fondata una banca coi capitali da destinare allo sviluppo delle attività produttive, le sole che riescono a dare ricchezza e benessere a tutte le nazioni del mondo? Sono rimasto subito sconcertato nel constatare che l'euro aveva causato l'aumento del doppio dei beni, a partire dalla tazzina del caffè passata da 500 lire ad un euro. Si doveva approvare una legge in base alla quale tutte le nazioni dell'Unione europea agissero ciascuna in base ai loro bilanci, allo scopo di armonizzare gli scambi commerciali ai massimi livelli al fine di favorire le attività lavorative di ogni nazione dell'Ue. A che serve il parlamento europeo, a cui l'Italia, versa o ha versato, se non sono stato male informato, cento miliardi all'anno? Occorreva subito pensare alla costituzione di un governo europeo e non alla formazione di un parlamento europeo che emana direttive operative ai singoli Stati con l' applicazione a chi non le osserva di pesanti sanzioni pecuniarie. 

Chi scrive si considera un uomo della strada e non gli sembra funzionale che sia un singolo governo nazionale (Germania) a dettare regole per la compilazione dei relativi bilanci annuali di ogni singolo Stato membro. L'Ue si realizzerà se si arriverà ad avere un governo europeo. Il rigore della Merkel a me sembra eccessivo. Per conseguire il pareggio di bilancio credo che sarà faticoso ottenerlo col limite della spesa pubblica fissato al 3%, specie per l'Italia che ha un debito elevato ed ha tanti problemi da risolvere a beneficio di una moltitudine di popolo che soffre. E' necessaria una certa flessibilità. Sarebbe importante chiudere, ogni anno col pareggio di bilancio che in Italia si ebbe negli anni del 1800 con Quintino Sella, il ministro delle finanze che impose la tassa sul macinato. E quanti miliardi ci costano i parlamentari europei considerate anche tutte le spese sia per l'uso di immobili che per esplicare il loro mandato lontani dalle loro case? Questo limite ci ridurrà ancora di più alla miseria. Ce la faremo ad andare avanti? Non si doveva accettare una misura che ci è stata imposta per azzerare il deficit di bilancio. Doveva essere consentito di superare tale margine, quantomeno in misura minima. Tempo addietro il capo del governo pro - tempore, professor Monti vide la luce in fondo al tunnel, ma questa luce, purtroppo, non si illuminò d'immenso come tutti abbiamo visto. 

Alla luce della situazione attuale non condivido la posizione assunta dalla Merkel e da altri alti ministri del suo governo. Per continuare a sognare dovrebbero nascere uomini grandi come lo furono Adriano Olivetti che se la morte non lo avesse strappato alla vita sarebbe divenuto non solo il produttore delle belle e perfette macchine per scrivere, ma anche il costruttore più geniale di computer del mondo, e Giovanni Borghi, “mister Ignis”. Chi è che non ha realizzato i progetti ideati dall'ing. Olivetti? Chi mi può dare una risposta? Negli anni 5O a Roma, presso un centro di elaborazione dati, vidi una gigantesca macchina perforatrice di schede, costruita dalla Olivetti. E' da quella visione che mi convinsi quanto era importante avere in Italia questa grande società. E' vero! Non certo coi debiti si risana l' economia di una nazione. Occorre, non mi stancherò mai di ripeterlo, dare impulso alle attività lavorative che producono beni e servizi le sole che possono ridurre la disoccupazione e per migliorare cosi le condizioni di vita di tutto il popolo, non solo italiano, ma anche del mondo intero.

E' importante che si riducano gli altissimi emolumenti che percepiscono i politici e gli alti burocrati nazionali che godono vitalizi sotto certi aspetti da nababbi, mentre tanti pensionati e salariati faticano ad arrivare alla fine di ogni mese con le magre pensioni e bassi salari che percepiscono. Poi c'è anche il dramma della disoccupazione, giovanile e degli esodati. Occorre ridurre anche l' imposizione fiscale per favorire i consumi e rendere meno sofferta la vita delle categorie più deboli. A questo punto è necessario una riforma fiscale, che sancisca che i costi dello Stato siano contenuti sempre entro i limiti delle entrate. La politica dovrebbe essere esercitata da uomini animati dalla “passione, dallo spirito di sacrificio e di apostolato”, come scrisse anni fa Giorgio Giannelli il fondatore di Versilia Oggi. Chi lavora a beneficio del nostro Stato deve sentirsi, aggiungo io, anche molto gratificato per il bene che esso compie a favore della collettività nazionale. Pertanto, arrivo a pensare, se mi è consentito, che coloro che percepiscono emolumenti elevati dovrebbero chiedere, alla luce della grave situazione che stiamo attraversando, una riduzione dei loro stipendi.

domenica 29 giugno 2014

In cerca di spighe di grano


Nella tragica estate del 1944 ricordo di essere andato, insieme ad alcuni miei coetanei di Seravezza, nei campi della zona del Ponte Rosso per raccogliere spighe di grano rimaste nei campi dopo la mietitura. Su quei terreni vidi tante profonde buche scavate dalle bombe sganciate dagli aerei anglo americani in quella località. Le bombe dovevano far saltare in aria il vicino ponte sul quale scorreva la linea ferroviaria Roma- Pisa-Genova, che non fu mai colpita, nemmeno nel corso di altri successivi bombardamenti.
Camminavamo tutti senza scarpe né zoccoli, fatto questo che più tardi mi fece pensare all'etiope Abele Bikila, campione olimpico della maratona, oro ai giochi di Roma 1960 (e Tokio 1964), che percorse e vinse a piedi scalzi. Da allora ho sempre pensato che noi ragazzi di Seravezzavissuti in quegli anni tremendi,  avremmo potuto ben figurare correndo scalzi accanto a lui.
Ricordo che su quei terreni di spighe ne trovammo soltanto qualcuna, verosimilmente molti erano passati a cercarle prima di noi.

domenica 23 marzo 2014

I ciclopi dei nostri monti

Stamattina quando ho letto sulla Cronaca libera la bellissima poesia intitolata “Fiore del marmo” scritta dal sensibile poeta e scrittore Giuseppe Vezzoni , il mio stato d'animo ridotto a bassi livelli a causa dei fatti gravi che accadono un po' ovunque e che ogni giorno apprendiamo dai giornali e dalla tv, si è molto risollevato. Se mi sono sentito meglio lo devo proprio alla lettura di questa poesia eccezionale, uscita dalla profondità dell'anima dell'autore. Nel leggerla ho ripensato al mio bisnonno Pietro Sacchelli (che mai ho conosciuto), il quale verso la fine dell'800 dai Metati Rossi, località vicina a Strettoia, partiva, a piedi, ancora con il buio della notte, per arrivare all'alba sulle cave della Cappella e anche del Trambiserra, dove lavorava per guadagnare il pane per lui e la sua famiglia.

Penso al copioso sudore che gli usciva dalla fronte nell'esercitare questo pericoloso e faticoso lavoro, tant'è che ho sempre immaginato che i nostri cavatori della Versilia fossero dei ciclopi della montagna. Ho pensato anche a mio padre, che lavorò sulla cava del Trambiserra: spesso usciva di casa con l'ombrello di cerato aperto per ripararsi dalla pioggia con la speranza che, arrivando sulla cava le condizione del tempo fossero, nel frattempo migliorate, in modo da poter lavorare senza perdere la giornata. Con altri cavatori di Seravezza agli inizi del 1940 andò a lavorare anche in una cava di travertino, vicina a Cisterna di Latina.

Io sono nato al Ponticello di Seravezza, centro abitato in prevalenza abitato dai cavatori. I miei più vicini di casa li ricordo tutti: Giuseppe Gori, Giuseppe Tabarrani, Lorenzi, Pietro Maggi, Armando Antonucci, Bandelloni Garibaldo, e l'altro Bandelloni, detto Fortino. Avevano la pelle tinta dal sole e le mani d'acciaio e muovevano martini pesanti più di cento chili. Furono loro a educarmi al lavoro, che è fonte di vita.

Credo i cavatori e tutti i lavoratori della Versilia abbiano tratto la forza per lavorare grazie anche all'amore che li legò alle loro spose, davvero fantastiche e belle donne che diedero ai loro mariti splendidi figli.

martedì 25 febbraio 2014

Un cantuccio sbrigiolato


Doppo la dichiarazione di guèra
che l 'Italia fé a la Francia e a l'Inghilterra
'l 10 giugno del Millenovecentoquaranta,
a no' ragà , a scola, ci faceino spesso cantà:
Vincere e vinceremo, in célo in tèra e in mare....
poe anco ' versi de la canzone:
A primavera si riapre la partita...
e altre canzoni che inneggiavano già
a lla vittoria de le truppe dell'Asse
Roma e Berlino
E mentre in Africa, in Libia, in Grecia
e lungo 'l fiume Don, 'n Russia,
morivino ' nossi soldati, c'era chi si accorgea,
che dei batocchi erino stonati.
In quegli anni disperati, sentii anco lamenti,
di vecchi ammalati e affamati, come la mì no'
poverina che un si podea ingegnà,
perchè, con na caviglia gonfia mal curata,
un ce la facea più a ccamminà, così ugni tanto mi dicea,
Renà mi ci vai a Guerceta da la mi sorella a dille
se mi pole manda no sfilatino,
e na brancata di farina e un popò di bragina.
Io un ci voleo andà, un mi garbaa stende le mane,
che fatiga quando ci andaoo.
Fu in quel forno profumato che un giorno pensai
d'imparà a fa il pane, per un patì più la fame.
Nel ritornà case , un lo voleo propio toccà
quel crocchente panino,
ne mangio solo un brigiolino,
ma come fà l'ugelletto moveo
sempre 'l becco e quando a Seravè arrivao,
del pane che m'aveino datto, era rimasto
un piccolo cantuccio tutto sbrigiolato.


giovedì 30 gennaio 2014

Coltano: chi ha paura del cippo?

Per ben sei volte hanno distrutto il cippo di Coltano (Pisa) per ricordare il luogo dove nel 1945
furono tenuti prigionieri 35.000 soldati della Rsi. Il cippo non esaltava minimamente alcun ideale fascista. Da esso emergeva solo il dolore di chi, in quel luogo, soffrì una dura prigionia .
Chi scrive è nato “figlio della lupa!“ ed ha patito la fame, ha visto morire tante persone ed era presente quando i tedeschi nell'agosto '44, fecero saltare in aria la sua e moltre altre case del suo paese. Nel 1943 - 44 chi scrive e tutti i suoi compagni della II B dell' Avviamento professionale, nonostante le pressioni, si rifiutarono in massa si aderire al ricostituito fascista repubblicano.
Non ho mai odiato nessuno, tantomeno quei giovani che in buona fede, combatterono; e molti morirono; sotto la bandiera della Rsi. E ora vorrei che il cippo di Coltano fosse rimesso al suo posto, perché ricorda una pagina dolorosa della nostra Patria. Ed a rimetterlo a posto dovrebbero essere coloro che per ben sei volte lo hanno abbattuto e questo  sarebbe un passo avanti sulla via della riappacificazione.

P.S. - Lettera pubblicata sul quotidiano "La Nazione" il 26 agosto 2000.

martedì 28 gennaio 2014

STORIA DELLA GUARDIA DI FINANZA

Ecco la fulgida storia della Guardia di Finanza che appresi quando, dal 15 luglio 1949 e fino al 15 gennaio del 1950, frequentai presso la Legione allievi di Roma il corso  allievo finanziere, e poi quella che lessi sui tanti libri di storia, tra i quali il prezioso calendario dell'Atlante De Agostini, edizione speciale per la Guardia di Finanza uscito nel 1970, che mi ha indotto a seguire sia lo  lo stesso ordine cronologico degli  eventi evidenziati nel succitato calendario sia a ripetere sinteticamente la medesima narrazione dei fatti accaduti nel corso della lunga storia  del Corpo. Ricordo che nelle aule in cui si radunava la mia compagnia, tutti gli allievi seguivano con grande attenzione, e spesso anche con commozione, le lezioni che venivano svolte dagli ufficiali ed anche dai sottufficiali quando ci raccontavano le eroiche battaglie combattute dai finanzieri nei secoli passati. Ho sentito anche  il dovere di parlare di Cefalonia, l' isola greca dove finanzieri italiani immolarono la loro vita a fianco dei fanti della divisione Acqui che fu sterminata dai tedeschi per non aver ceduto ad essi le armi dopo l'armistizio dell'otto settenbre 1943. Ho voluto anche accennare all'eroico comportamento dei finanzieri in forza ai reparti del Corpo al confine Italo- Svizzero, i quali aiutarono ad espatriare in Svizzera  centinaia e centinaia di uomini di origine ebraica perseguitati dai nazifascisti. Se non avessero ricevuto alcun aiuto queste creature innocenti sarebbero finite nei lager nazisti per essere sterminate nelle camere a gas o nei forni crematori. Ho prestato per oltre quarant'anni di servizio nel Corpo. In questi anni. fortunatamente  senza guerre, i militari della Guardia di Finanza hanno svolto servizi d'istituto con onestà di intenti a beneficio della nostra Patria e molti sono i Caduti nell'adempimento del proprio dovere, motivo per cui penso proprio che il popolo italiano nell'avvenire, non potrà fare a meno del glorioso Corpo della Guardia di Finanza.

INIZIA LA STORIA

La Guardia di Finanza è un organismo militare al servizio degli interessi economici - tributari
dello Stato, alla dipendenza del Ministro delle finanze. E' derivata dalla fusione dei corpi di finanza preesistenti nei vari Stati italiani prima dell'unità d'Italia che avevano il compito di vigilare i confini, in particolare con duplice finalità militare e fiscale. Nei secoli  remoti, la difesa dei confini terrestri e marittimi  degli Stati in quei tempi  conosciuti fu affidata a corpi e/o distaccamenti di soldati speciali che avevano anche il  compito di vigilare per far rispettare le leggi in vigore disattese dai malviventi, dai disertori e dai contrabbandieri. All'epoca dell'Impero Romano operavano i milites portitorii, successivamente si passò ai guardatores dei comuni italiani, poi agli zaffi d'acqua della Repubblica Veneta, ai soldati di campagna del Regno di Napoli, ai guardiani della Repubblica di Genova che furono sostituiti dal Corpo Generale del Guardafinanze, quindi si evince che a vigilare sulle frontiere e sui mari della Patria vi furono sempre uomini armati.
Vittorio Amedeo III di Savoia che fu re della Sardegna dal 1773 al 1779, avverti, la necessità di creare nel suo regno la “Legione Truppe Leggere “ un apposito corpo speciale con il compito di espletare servizi di vigilanza ed anche per la difesa militare delle frontiere: iniziò così con la creazione di questa Legione, che avvenne il 1° ottobre dell' anno 1774, la storia dei finanzieri italiani.

Affidata ad ufficiali di elevato valore acquisì subito fama e prestigio per la sua encomiabile organizzazione e per i faticosi e pesanti servizi di pace svolti dai propri uomini, ma anche per il valore che rivelarono durante le campagne dal 1792 al 1796, nelle quali si distinsero nelle battaglie che si svolsero ad Authion (12 giugno 1793 ) e di Loano (23/24 novembre 1795, nel corso delle quali otto eroici combattenti furono insigniti della medaglia d'argento al valor militare.

In seguito alla restaurazione, fu ricostituita in Piemonte la Legione Truppe Leggere che venne denominata Legione Reale Piemontese e, successivamente, Legione Reale Leggera. Questa Legione combattè valorosamente per la conquista della piazzaforte di Glenobe, tant' è che alla bandiera fu concessa una medaglia d'oro al valor militare ed  una medaglia d'oro, sei d'argento, quattro croci dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e alcune promozioni per merito di guerra furono concesse ai singoli finanzieri combattenti.. Successivamente furono mantenuti,negli altri Stati italiani, i corpi fondati durante l'occupazione francese.

All'inizio delle cospirazioni e dei moti insurrezionali per la libertà d'Italia, i finanzieri furono in ogni luogo, rendendo altamente efficace la loro azione in ordine alla quale alto fu il contributo di sangue che versarono per la causa nazionale. Grande fu la partecipazione dei finanzieri in forza ai vari stati italiani ed alle campagne di guerra del 1848 e del 1849, in particolare durante le Cinque giornate di Milano dove fu costituita una milizia regolare della rivoluzione. Nella difesa di Roma scrissero pagine di epico valore, i finanzieri lombardi che costituivano il nerbo del battaglione bersaglieri della regione lombarda di Luciano Manara e i finanzieri romani, sotto il nome di bersaglieri del Tebro, comandati da Felice Orsini e da Gallimero Zambianchi. Nel corso della difesa di Ancona e nell'insurrezione di Bologna, prove di alto valore lo dimostrarono anche i finanzieri del ramo mare.

Ecco quali sono le prime iscrizioni sulla freccia della Bandiera di guerra della Guardia di Finanza.

1848:  Milano  (Cinque giornate)  - Rocca d'Anfo - Montebello - Sorio - Vicenza - Udine - Palmanova e Bologna (8 agosto).

1849 - Bologna, (8 - 16 maggio ) - Ancona - Roma - Palestrina e Venezia.

Nelle campagne del 1869 sul Lago Maggiore e del 1860 a Urbino e Fossombrone, combatterono anche reparti di finanzieri lombardi, piemontesi e romani.

Con l' avvenuta unificazione dell'Italia, i corpi di finanza degli stati italiani che non esistevano più, si fusero nel Corpo della Guardia di Finanza doganale che fu istituito nel 1862, con il compito di concorrere, in tempo di guerra, anche alla difesa del territorio dello Stato. Parteciparono nel 1866, con una compagnia mobilitata, alla campagna allo Stelvio ed al Tonale e, successivamente, a quella del 1870 nell'occupazione di Civitavecchia e di Velletri.

Dopo il 1870 il Corpo della Guardia di Finanza, operò attivamente per rinsaldare i suoi organismi.
Nel 1881 assunse il nome di Guardia di Finanza e fu dichiarata parte integrante delle forze militari dello Stato. Nel 1906 fu predisposto ed attuato un ordinamento militare autonomo che portò alla costituzione del Comando Generale e dei comandi di legione; nel 1907 gli vennero concesse le stellette e nel 1911 la Bandiera di guerra.

La Guardia di Finanza, nel 1912, partecipò con un reparto mobilitato alla guerra italo-turca (Zanzur, 8 giugno; Sidi Bidal; Bu Chemesc . Un altro reparto prese parte alle operazioni nell'Egeo, per il valore dimostrato ottenne un encomio solenne per l'intero Corpo.

Alla prima guerra mondiale 1915-1918, la Guardia di Finanza schierò 18 battaglioni mobilitati e l'intero naviglio. I seguenti fatti d'arme furono iscritti sulla freccia della sua Bandiera di guerra:
1915 - Ala - Monte Croce Carnico – Pogdora - Monte Sei Busi.
1916 - Monte Sperone - Costesin Val d'Assa - Val d'Astico - Monte Cimone – Carso.
1917 - Albania (Osum) - Piave Vecchio.

1918 - Due Piavi - Albania (Mali Viluscia).
Il 21 giugno 1918 il VII battaglione, schierato sul basso Piave varcò, con indomito coraggio, il fiume Sile sotto gli incessanti cannoneggiamenti delle artiglierie nemiche, riuscendo a creare una testa di ponte nell'opposto territorio. Questa eroica azione suscitò grande ammirazione e plauso dei
battaglioni di bersaglieri e di marinai, operanti sulla stessa linea del fronte. Per l'eroico comportamento il VII battaglione fu insignito della medaglia di bronzo al valor militare.


Il 5 luglio successivo, l' VIII battaglione che sostituì “ l'esausto ma indomito” VII battaglione continuò le operazioni che due giorni dopo si conclusero col raggiungimento dell'argine destro del Piave Nuovo.

Nello stesso giorno i battaglioni XVI e il XVIII, in Albania iniziarono l'attacco contro le fortificazioni del Mali Viluscia che furono conquistate nei giorni successivi.

A ricordo della vittoriosa ed eroica battaglia, la ricorrenza della fondazione del Corpo della Guardia di Finanza fu fissata il 5 luglio di ogni anno.

Per la partecipazione alla 1^ guerra mondiale la Bandiera della Guardia di Finanza fu decorata con una seconda medaglia di bronzo al valor militare.


1935 - 1936 - GUERRA ITALO ETIOPICA

La Guardia di Finanza partecipò alle battaglie che avvennero durante la guerra per la conquista dell'Etiopia a: Macallè - Amba Aradam - Debuk – e durante la Marcia su Addis Abeba col battaglione speciale “E”.  Dopo la conquista dell'impero furono studiate e poste in essere le prime strutture operative in ordine alle quali la Guardia di Finana potesse disimpegnare il servizio d'istituto in A.O. Per questo fatto alla Guardia di Finanza fu conferita nel 1937 la croce di Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia con una eccezionale motivazione.


SECONDA GUERRA MONDIALE

Reparti della Guardia di Finanza nella seconda guerra mondiale furono impegnati all'inizio delle ostilità alla frontiera italo francese, ed al confine libico tunisino, nel bassopiano sudanese e sul fronte greco albanese, dove tre battaglioni si distinsero nel corso degli aspri combattimenti che si svolsero nell'inverno del 1940 -1941.
Anche in questa guerra furono impiegati 18 battaglioni mobilitati che parteciparono alle operazioni belliche in Albania, Slovenia, Dalmazia, Montenegro e Grecia e in Russia. I gruppi mobilitati misti dell'Eritrea e dell'Amhara ebbero la sorte di concludere con le belle pagine di Massaua e di Gondar le vicende della Guardia di Finanza in Africa Orientale. Il cinquanta per cento delle unità del Naviglio della Guardia di Finanza fu perduto in seguito alle operazioni belliche.

GUERRA DI LIBERAZIONE

Alla guerra di liberazione la Guardia di finanza partecipò con un battaglione organico.
Molti finanzieri ingrossarono le file dei partigiani e del movimento clandestino, concorrendo attivamente alla lotta di liberazione.
La lotta di liberazione , a mio parere, iniziò a Cefalonia dove reparti di finanzieri, come già accennato in precedenza, immolarono la loro vita a fianco della divisione Acqui che combatté contro le truppe tedesche che, oltre ad avere un numero maggiore di forze, disposero anche di aerei , mentre i combattenti italiani non ricevettero alcun aiuto, quindi furono costretti ad arrendersi. Cefalonia fu  il teatro dello spaventoso massacro deI soldati  italiani da parte delle feroci truppe germaniche. In quell'isola fu scritta la prima pagina gloriosa della resistenza italiana.

Voglio ricordare  i militari della Guardia di Finanza in servizio al confine italo – svizzero, i quali dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, aiutarono ad espatriare in Svizzera,  uomini di origine ebraica perseguitati dal nazifascismo. Tra i militari  che aiutarono la fuga di quelle creature umane, vi era  il finanziere scelto Claudio Sacchelli che faceva parte della brigata di frontiera di Villa di Tirano – distaccamento di Lughina. Arrestato dai tedeschi per aver anche collaborato coi partigiani del posto facenti parte della formazione Fiamme Verdi,  finì  rinchiuso nel lager nazista di Mauthausen, dove mori il 1° maggio 1945, a causa di inenarrabili  stenti e  sevizie.  La sua vita eroica è venuta alla luce dalle ricerche effettuate dal capitano Gerardo Severino, Direttore del Museo Storico del Corpo. A imperitura memoria, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 26 gennaio 2012 ha insignito il finanziere Claudio Sacchelli della medaglia d'oro al valor civile alla memoria.
Ricordo anche i valorosi finanzieri che prestarono aiuto ai perseguitati dal nazifascismo, che sono l'appuntato Paolo Arenare, il maresciallo Alberto Rossi ( decorato di Croce di Guerra al Valor Militare) e l'appuntato Domenico Annetta ed il finanziere Tullio Centurioni che persero entrambi la vita per far espatriare in Svizzera alcuni perseguitati. Altri militari del Corpo insieme ai commilitoni delle Forze Armate aiutarono tanti perseguitati ad espatriare in Svizzera per evitare che fossero catturati dai nazifascisti.
La Guardia di Finanza ha voluto ricordare il Finanziere Claudio Sacchelli, con un libro eccezionale che racconta la vita di questo eroico figlio nato nell' antica e storica terra di Versilia. Dal libro, ricco di  fotografie, che furono scattate da Claudio,  talune  nella terra dove nacque ed altre in varie località del confine italo svizzero,in tre delle quali, anche chi scrive, prestò servizio  negli Anni '50 del secolo scorso, è stato scritto dal Gen. di C.A. Luciano Luciani, Presidente del Museo Storico e del Comitato di Studi Storici della Guardia di finanza e dal capitano Gerardo Severino.Confesso la mia emozione nel rivedere quei luoghi dove vissi e prestai onorato servizio negli anni più forti della mia giovinezza.
A Milano, in particolare, finanzieri in forza alla locale Legione della Guardia di Finanza con un reggimento di formazione, nella notte del 25 aprile 1945 sferrarono attacchi ai presidi nazifascisti che si conclusero vittoriosamente con l'occupazione degli obbiettivi più importanti della città.
Testimoniano la grandi virtù militari della Guardia di Finanza le seguenti decorazioni ( dati aggiornati al 1970) di cui fu insignita la Bandiera di guerra:
una croce di Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia;
una medaglia d'oro;
quattro medaglie d'argento;
sei medaglie di bronzo.

Alla simbologia del valore collettivo si sommano le ricompense individuali che sono le seguenti:
sette medaglie d'oro, delle quali due a viventi, trecentosette medaglie d'argento;
seicentoquarantacinque medaglie di bronzo al valor militare, una medaglia d'oro e cinquecento
medaglie d'argento al valor di marina.

Pagine di alto spirito e di dedizione al dovere sono state scritte dai finanzieri in tempo di pace e in in tanti episodi di generoso altruismo ed elevata solidarietà umana che dà un senso alla vita dell'uomo.

Quando si verificarono gravi eventi nazionali, i finanzieri furono i primi ad accorrere dovunque per soccorrere i fratelli colpiti dai terremoti di Messina (1908) della Marsica (1915) e della Sicilia occidentale (1968) e dalle alluvioni del Polesine (1951), dell'Italia centro - meridionale (1956), della Toscana e del Veneto (1966) e del Piemonte 1968.

Oltre alle numerose ricompense di ordine militare, la bandiera del Corpo è decorata di tre medaglie d'oro al valor civile, di una medaglia d'argento al valor civile e di due medaglie d'oro di benemerenza.
In merito alla fattiva collaborazione, data dalla Guardia di Finanza per gli studi e ricerche in materia tributaria, la Bandiera del Corpo è stata decorata di una Medaglia d'oro al Merito della Finanza Pubblica.

Nell'anno 1966, il premio “Medaglie d'oro” istituito dal Gruppo Medaglie d'oro al valor militare, è stato assegnato alla Guardia di Finanza con la seguente motivazione: ”schierata con le altre Forze Armate dello Stato a presidio dei confini della Patria, svolgendo i suoi compiti d'istituto in eccezionali condizioni di rischio e di sacrificio, ha dato quest'anno il più alto tributo di sangue nell'adempimento del proprio dovere.

sabato 25 gennaio 2014

RIFLESSIONI SULL'AMORE

Il testo del mio primo scritto pubblicato sul periodico cattolico versiliese "Il Dialogo", del mese di aprile 1987, diretto da don Florio Giannini che ora riposa nel Regno dei Cieli, accanto al nostro Padre Celeste.



Si parla tanto di questo sentimento che dovrebbe unire ed affratellare tutti popoli della terra, senza più divisioni ideologiche, senza steccati, muri,frontiere e lotte di classe.
Ciò che invece stà accadendo a Beirut, nell'Iraq ed in altre nazioni di questo piccolo Mondo ci farebbe dubitare sulla sacralità della sua esistenza, se non fossimo, nel contempo, testimoni di esempi luminosi di amore che ogni giorno delicate creature, come suor Teresa di Calcutta, tanto per citarne una, manifestano nei confronti di persone gravemente ammalate o afflitte dalla fame.
Altri esempi della specie ci vengono forniti da coloro che lottano a difesa dei diritti dell'uomo, primi fra i tanti quello relativo alla libertà, senza la quale non ci può essere nemmeno l'amore.
Quindi l'amore esiste sin dal giorno in cui l'uomo è stato creato. E' realta di sempre e non un sogno irreale.

L'uomo generato da un atto di amore. è il simbolo l'emblema di questo sentimento, comune a tutti gli altri esseri viventi.
Cristo, morto inchiodato sulla croce, rappresenta per coloro che credono nei valori genuini e più utentici della vita, che non è solo terrena ma eterna, la più alta manifestazione d'amore nei confronti del genere umano.

Nel giorno in cui si festeggia San Valentino, per antica tradizione il Patrono degli innamorati, cessando per un momento, ma solo per un attimo, di pensare alla guerra, dedico la mia attenzione ai nostri fratelli palestinesi che assediati nel loro campo profughi a Beirut , sono costretti, per sopravvivere, a nutrirsi con la carne delle persone uccise durante i sanguinosi scontri, voglio quì ricordare quanto è sublime l'amore che unisce una coppia.
Stare insieme, avere rispetto l'uno verso l' altra e viceversa, avere figli. Ricevere e donare carezze e baci, sono frutti che solo l'amore può darci.Ma l'amore non ha limiti. . Esso si manifesta in tutti i campi della nostra vita.

E' amore lavorare, seminare la terra, far crescere le piante, impedire che le acque dei fiumi, dei laghi e del mare siano inquinati dai rifiuti di ogni genere. E' una dimostrazione di amore anche questa odierna cerimonia che ci consente di esprimere le nostre gioie, le ansie e le angosce del nostro mondo inquieto. Amore significa anche impugnare la spada, così come fece l'Arcangelo Gabriele, per trafiggere il demonio che annidatosi dentro l'uomo, è riuscito ad assopire la sua coscienza.