mercoledì 22 febbraio 2017

La gloriosa storia degli Alpini

L’esercito italiano fu riorganizzato dopo il successo prussiano nella guerra combattuta e vinta contro la Francia negli anni 1870- 71. Fu con il Regio  decreto 15.10.1872, voluto  dal generale e ministro della guerra Cesare Francesco Ricotti  Magnani, che le nostre forze armate furono strutturate ispirandosi al modello  prussiano, fondato sull’obbligo di breve durata,  per sottoporre all’addestramento militare  tutti gli iscritti alle liste  di leva fisicamente idonei, e all’abolizione della surrogazione (chi ne aveva i mezzi, ricevuta la chiamata alle armi, poteva pagare un altro perché prendesse  il suo posto) in modo tale da trasformare l’esercito italiano in una numerica espressione delle capacità umane della nostra nazione.

Dal fervore operativo scaturito dalla riforma “Ricotti” si ebbero i nuovi  piani di difesa dei valichi alpini, ritenuti fino a quel momento impossibili da realizzare (e sostanzialmente inutili), tenuto conto dell’antico pensiero ormai consolidato nei secoli, secondo il quale gli eventuali eserciti invasori sarebbero stati ostacolati dalle montagne e definitivamente  fermati nella pianura Padana. Ma se fosse rimasta inalterata questa tattica. Si sarebbero ulteriormente e completamente sguarniti tutti i passi alpini dal Sempione allo Stelvio e tutto il Friuli, con le inevitabili conseguenze. L’idea di un’azione difensiva solo nel territorio padano fu quindi abbandonata, in quanto fu chiaro che difenderci sulle montagne rimaneva la sola via da percorrere per resistere contro un eventuale attacco militare portato dall’impero Austro-Ungarico.

Per arrivare a questa rivoluzione strategica furono indispensabili gli studi di Giuseppe Domenico Perrucchetti, ex insegnante di geografia che con il grado di maggiore di fanteria  fu destinato  allo stato maggiore. Nella battaglia di Custoza fu insignito della medaglia di argento al valor militare. Il 26 aprile 1891 viene nominato aiutante di campo onorario di  S.A.S. il duca di Aosta e successivamente  divenne capo di stato maggiore del VII reggimento.  Congedato a 65 anni per raggiunti limiti di età, con motu proprio fu nominato dal re senatore del Regno d’Italia. Il suo progetto fu inserito nella riforma “Ricotti”, tant’è  che lo sbarramento della zona alpina fu affidato agli uomini nati sulle montagne, i cui punti di forza, come aveva pensato Perrucchetti, erano evidenti,  in quanto  oltre ad essere abituati ai rigori dell’inverno, conoscevano meglio le zone in cui operare.

Perrucchetti era nato nel 1839 a Cassano d’Adda (MI). Non in montagna, dunque, e mai divenne un alpino, ma fu soltanto un attento e scrupoloso studioso al quale fu riconosciuto il merito di aver fondato il Corpo degli Alpini (1872). Ad appena 20 anni fugge dalla sua terra per arruolarsi nell’esercito piemontese.  Conosceva molto bene i confini dello stato in cui era fuggito, avendo effettuato ricognizioni sullo Spluga, sulle alpi Carniche e Retiche. Nella sua memoria c’erano anche le gesta delle milizie montanare ai tempi dell’imperatore Augusto dove sulle Alpi furono fermati gli invasori barbarici. Perrucchetti ebbe modo di conoscere anche   l’organizzazione militare creata dal re Vittorio Emanuele con tutte le evoluzioni avvenute in quel tempo. Entrata in vigore la riforma “Ricotti” furono costituite 15 compagnie che aumentarono a 36, ripartite in dieci battaglioni nel 1876.Nel 1882 furono costituiti i primi 7 reggimenti,  con i quali nel 1887 furono formati 22 battaglioni. Il privilegio di essere il primo reparto di alpini lo ebbe la classe 1852, che fu chiamata “classe di ferro”. Il “battessimo del sangue” avvenne nella battaglia di Adua (Abissinia), nel marzo 1896, cui gli alpini presero parte con quattro compagnie.

Fu ad Adua che il capitano Pietro Cella, del 6° reggimento degli alpini, fu insignito della prima medaglia d’oro al valor militare, mori mentre stava  sparando gli ultimi colpi, insieme ad  altri quattro valorosi ufficiali, anch’essi insigniti della medaglia d’oro al valor militare. Nel 1909 il Corpo degli alpini era formato da 88 battaglioni riuniti in 20 Gruppi, 9 raggruppamenti e 4 divisioni. Terminato il primo conflitto mondiale rimasero in vita 8 raggruppamenti, ai quali si unì il 9° gruppo costituito nel 1919. Altre tre volte gli alpini combatterono in Africa, in Libia nel 1911, nella guerra per la conquista dell’Abissinia  (1935- 36 ) e contro le forze alleate nel 1941. Dopo la conquista della Libia le truppe alpine svolsero con l’impiego di 5 battaglioni servizi di vigilanza a Derna, Assaba sull’altopiano del Maghreb.

Sempre dopo la conquista della Libia un raggruppamento di alpini fu lasciato nella colonia per presidiare la Tripolitania, da dove furono ritirati prima dello scoppio della prima guerra mondiale. Nel corso del primo conflitto mondiale gli alpini combatterono aspre battaglie per difendere i confini italiani anche per strappare pochi metri del territorio sul quale si erano trincerate le forze nemiche. Furono gli alpini che riuscirono a fermare. dopo la disfatta di Caporetto, sul Montello, sul Grappa e sul Piave l’avanzata degli Austro Ungarici, andando all’assalto all’arma bianca e lasciando sul terreno un’infinita schiera di eroi, uccisi e ridotti a brandelli sanguinanti sui fili spinati. Gli alpini che morirono combattendo furono 24.896, i feriti 76.670, e i dispersi 18.305. Ho trovato molto  bello e commovente il seguente giudizio sugli alpini espresso dal famoso scrittore inglese Rudyard Kipling, il cui unico figlio, John, fu ucciso nella battaglia di Loos,  sul fronte francese:  “Alpini, forse la più fiera la più tenace specialità impegnate su ogni fronte di guerra, combattono con pena e fatica tra le grandi dolomiti fra i boschi un mondo splendente di sole e di neve,, di notte un gelo di stelle nelle loro solitarie posizioni contro un nemico che sta sopra di loro più ricco di artiglieria, le loro imprese sono frutti solitari di coraggio e di gesti individuali grandi bevitori, di lingua  svelta e di mano tesa, orgogliosi di  sé del loro corpo, vivono rozzamente,  muoiono eroicamente”.

Anche nei miei ricordi di bambino, nato nel 1930 vi sono gli alpini. Sono cresciuto cantando spesso la loro canzone, coi miei coetanei del rione Ponticello, interamente fatto saltare in aria dai tedeschi nel 1944, avvalendosi degli  operai della Todt incaricati di fortificare la parte terminale della Linea Gotica che arrivava  a toccare le acque del Tirreno. Tale canzone esaltava la vita degli alpini che terminava così. "Viva, viva, il reggimento, viva, viva, il Corpo degli alpini:". Potevo cantarla con orgogliosa fierezza essendo stato mio padre, Orlando, (della classe 1906) e come lui anche gli altri tre suoi fratelli, Pietro (classe 1908), Lorenzo (classe 1914)  e Guido (classe 1919),  quest'ultimo dichiarato disperso in Russia mentre era in forza alla divisione Cuneense, reparto someggiata - munizioni e viveri -,  senza avere potuto vedere nascere il suo bambino. Con molto piacere ricordo di aver prestato servizio per oltre 42 anni nel glorioso Corpo della Guardia  di finanza i cui militari parteciparono con 19 battaglioni mobilitati sia alla prima che alla seconda guerra mondiale.

Alla seconda guerra mondiale gli alpini parteciparono con 88 battaglioni mobilitati e con 66 gruppi   di artiglieria, schierando complessivamente 240.000 uomini.  Per conoscere ancora di più le sofferenze  patite dagli alpini e dai propri familiari, che non  videro più  i loro cari ritornare a casa,  penso che sarebbe utile leggere  il libro di Giuseppe Vezzoni, "Mai più dal Don a Sant' Anna di Stazzema", ricco di commoventi testimonianze.  Coloro che riuscirono a tornare a casa dalla Russia dopo lo sfondamento del fronte, lo debbono anche all’arrivo a Nikolajewka dei battaglioni italiani in ritirata, “Vestone”,  “Verona”, “Val Chiese” e dei resti di quelli del “Tirano”, “Edolo” e “Valcamonica”, che si unirono agli uomini della Tridentina (l’unica divisione ancora in grado di combattere), spronati dal grido “Tridentina, avanti!”,  uscito con un forte dolore dalla bocca del generale Riverberi. Fu questa eroica battaglia, combattuta dagli alpini con coraggio, che costrinse alla fuga i soldati russi.
Gli alpini versiliesi reduci della seconda guerra mondiale, vollero onorare la memoria dei loro colleghi, che non fecero più ritorno a casa,costruendo, con le loro mani, un tempio votivo in località Ponte Stazzemese realizzato dal progetto dell'architetto  Tito Salvatori che fu tenente degli alpini della divisione Tridentina   che combatte sul fronte greco  durante il secondo conflitto mondiale e nel 1952 fu nominato tenente colonnello del genio militare degli alpini.

A Nikolaiewka la neve si tinse di rosso del sangue dei nostri a alpini ed è per questo che il più volte citato villaggio russo è ricordato come la tomba delle nostre valorose penne mozze. Con la vittoria degli alpini avvenuta a Nikolayewka fu aperta la via per consentire a 13.400 alpini di uscire dalla sacca. Purtroppo si contarono 7.500 alpini tra i feriti e congelati. Circa 40-000 alpini rimasero indietro, tanti morirono sulla neve. Altri furono dichiarati dispersi  oppure catturati e imprigionati.

 Renato Sacchelli 

Le decorazioni agli Alpini (tratte dal sito internet esercito.difesa.it)

Attualmente i reggimenti degli Alpini sono otto e le loro bandiere sono decorate di 9 Croci di Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia, 10 Medaglie d'Oro, 30 Medaglie d'Argento, 8 Medaglie di Bronzo ed 1 Croce di Guerra al Valor Militare, di 3 Medaglie di Bronzo al Valore dell'Esercito, 1 Medaglia d'Oro, 1 d'Argento e 1 di Bronzo al Valor Civile e 1 Croce d'Oro e 1 Croce d'Argento al Merito dell'Esercito, 6 Medaglie d'Argento di Benemerenza, 4 Medaglie di Bronzo al Merito della Croce Rossa Italiana.