giovedì 28 aprile 2011

Anni 1990 - La sala della Misericordia di Seravezza fu un centro culturale di grande importanza.

Ricordo sempre la gioa che avvertivo nel mio cuore, quando negli anni del 1990, ebbi la possibilità di partecipare a diversi incontri culturali che si svolgevano periodicamente presso il palazzo della Misericordia di Seravezza.
Il tempo volava nella bella sala dei convegni, quando molte persone colte e preparate illustravano la storia della Versilia, l'arte, la parlata e la vita dei grandi versiliesi di ogni tempo. Sì volava il tempo, quando sentivo parlare della “mia Versilia”, un microcosmo che, come affermato da studiosi di scienze naturali, affascina per la bellezza dei suoi monti e del mare nel quale si specchiano lo splendore dei marmi,e dove c'è l'abbondanza di acqua che sorge da sorgenti di straordinaria purezza e molta varietà della flora,rara in altri territori nazionali, tant'è che la Versilia non ha eguali, in altre parti del pianeta terra.
Grazie a questi incontri appresi molte notizie su argomenti che non conoscevo o che mi erano noti solo in modo frammentario. Un esempio? Da ragazzo sentii parlare della piena dell'Ottantacinque.
“ L'acqua è arrivata fino a questo segno”; così era scolpito su una piccola lastra di marmo murata sulla facciata di una casa di Seravezza, vicina a quella dei “Combattenti”, saltata in aria, come tutte le abitazioni del rione, durante gli eventi bellici dell'estate del 1944.
Nel corso delle scorribande estive, effettuate lungo il fiume Serra, compiute in compagnia di altri coetani del Ponticello, nel vedere i resti delle segherie spazzate via dalla furia delle acque, mi resi conto di quanto dovettero essere ingenti i danni subiti dalla comunità seravezzina, causati dalla piena spaventosa che avvenne nella notte a cavallo del 25 – 26 settembre 1885. Da una fotografia scattata subito dopo la piena, appaiono i tanti danni che subirono le case del rione Fucina, ubicate sotto la chiesa della Santissima. Annunziata, anch'essa fatta saltare in aria dai tedeschi, tra le quali c'era anche quella che fu abitata da Michelangelo, nel periodo dal 1518 al 1521 quando arrivò nel capoluogo seravezzino per trarre i marmi dai monti di Seravezza da utilizzare per la costruzione a Firenze di una cattedrale che poi non fu realizzata.
Dovevo attendere fino al 9 dicembre 1995. data di presentazione al pubblico ( che sorpresa ) dell'opuscolo edito dalla Misericordia di Seravezza, intitolato “ La piena dell'Ottantacinque”, raccontata da Mauro Barghetti con quella prosa brillante che lo contraddingueva, per conoscere, con dovizia di particolari, notizie e dati relativi ai danni causati dalla piena nel 1885 che, nel territorio seravezzino, vennero allora calcolati in L.1.549.427,52, corrispondenti al dicembre 1995 a L. 8.394.795.000.
Con questo libretto, nel quale, tra l'altro sono stati riportati un racconto ed una poesia dell'indimenticato scrittore e poeta cavatore Lorenzo Tarabella la Misericordia di Seravezza acquisì un ulteriore merito.
Molti furono gli incontri culturali svoltisi durante l'anno 1995 presso la bella sala intitolata a Francesco Fontana, fu un bilancio davvero positivo.Un dei più attivi conferenzieri fu l'indimenticato scrittore Fabrizio Federigi, scomparso prematuramente.
Quando la cultura è spettacolo. Sì così si rivelarono le conferenze riuardanti la parlata versiliese tenute dalla bravissima potessa e scrittrice Alessandra Burroni. Arguta e intelligente pronunciò espressioni che, talvolta, secondo un corretto italiano, sembravano essere degli strafalcioni, ma pronunciate in dialetto, oltre che ad essere molto divertenti, lasciavano ben intendere i lori significati. Fu bello per me osservare la sala gremita di pubblico, com'è avvenuto più di una volta. E che emozione vedere anche sventolare dalle finestre della sala tante bandiere tricolori, com'é successso quando venne presentato l' ultimo libro di Giorgio Giannelli.
Purtroppo in occasione di altri importanti incontri culturali che avrebbero meritato un particolare interesse, soprattutto da parte dei giovani, la loro partecipazione è stata scarsa,e si che l'edificio della Misericordia lo avevano a due passi dalle loro case.

domenica 17 aprile 2011

Dino Bigongiari,un grande uomo di Seravezza, che fu il portabandiera della cultura italiana in America

Amo ancora parlare del professore Dino Bigongiari che nella storia di Seravezza ha rivestito un indubbio ruolo di spicco, nel campo dell'insegnamento delle lettere (latino, greco, filosofia, teologia e di tutto lo scibile umano)) che svolse dal 1904 al 1950 presso la Columbia University di New York. Nato a Seravezza nel 1878, fu un ragazzo selvaggio che non voleva studiare. Il padre di Dino, Anselmo, anche lui un originalissimo figlio della Versilia, fu un garibaldino agnostico. Deve al suo commercio per i marmi ed alla sua passione per il giornalismo che lo portarono ad emigrare in India e poi in America dove spinse il figlio a fare il fattorino alle dipendenze della Western Union, la società del telefono. Dino da ragazzo conosceva già molto bene il latino come l'italiano, per averglielo insegnato un suo zio prete.
Frequentavo la seconda elementare quando sentii parlare per la prima volta del famoso personaggio seravezzino. Eravamo agli anni 30.Il suo nome non lo sentii profferire sui banchi della mia classe, come poteva essere più logico, ma nella strada, allorché un giorno, di ritorno dalla scuola con altri ragazzi del Ponticello e di Riomagno, passai davanti alla porta di ingresso della casa natale di Dino Bigongiari. Un compagno che camminava al mio fianco, mi disse: “ Qui abita la mamma del professore Bigongiari , da molto tempo in America, dove insegna in una università”. Questa notizia acquisita in modo così casuale mi lasciò stupefatto: mi domandavo come un seravezzino potesse aver raggiunto un traguardo del genere. A scuola avvertivo le prime difficoltà nello scrivere correttamente, essendomi già abituato ad esprimermi in dialetto. Ricordo di essere stato rimproverato per avere scritto un volta nel mio compito,la parola “drento”, anziché dentro. Ricordo di aver vissuto momenti emozionanti nell' apprendere cose nuove ed, in questo contesto, fu molto bello per me sapere che nel Nuovo Continente scoperto da Cristoforo Colombo, risiedeva un uomo grande della cultura, nativo di Seravezza, che insegnava agli studenti universitari americani. Risale quindi agli anni della mia infanzia l'ammirazioone per Dino Bigongiari, un sentimentgo rimasto immutato nel tempo anche se non ho avuto mai il piacere di conoscerlo personalmente. Fu un mito! Sì, per i ragazzi di Seravezza degli anni 30 rappresentò davvero un mito. Posso raccomtare, grazie ai ricordi di mia moglie quando era una bambina, alcuni episodi di vita trascorsa a Seravezza dalla signora Gladys Van Brunt, la sposa americansa di Dino Bigongiari nel periodo in cui “arando l'oceano”, entrambi i coniugi facevano ritorno a Seravezza per trascorrervi le vacanze. La madre di mia moglie, Bruna Guerrini, donna comunicativa dal sorriso perennemente stampato sul viso e con trascorsi giovanili, in una filodrammatica seravezzina diretta dalla compianta signora Gelli, fu in rapporti di grande amicizia con la Gladys,un vincolo risalente verosimilmente agli anni antecedenti la seconda guerra mondiale, forse scaturito in seguito ad uno incontro avvenuto nella casa della propria zia materna. Marta Falconi, quest'ultima comune amica sia dei coniugi Bigongiari che del famoso scrittore e giornaslista Giuseppe Prezzolini. Nel dopoguerra la famiglia di mia moglie abitava in una modesta casetta di proprietà dei suoi nonni paterni, ubicata sopra le prime rampe della mulattiera che dal fondo della valle conduce sulla cima del monte Canala. Lassù saliva, per salutare la sua amica e stare un pò insieme anche con la figliolanza della Bruna, ogni qual volta ritornava a Seravezza. Le visite avvenivano di pomeriggio in un clima di grande affettuosità.Questi incontri erano sempre arricchiti da scenette teatrali e da qualche poesia di celebri autori italiani che la Bruna riusciva a far recitare alle sue due bambine ed al figlioletto. Dolcetti fatti in casa allietavano maggiormente quei momenti di festa. La signora Gladys, donna semplice, affabile, sensibile e sempre generosa nel distribuire chicchi e piccole mancette, dimostrava moltissimo di apprezzare queste esibizioni espresse in un linguaggio che ella comprendeva benissimo perché era l'idioma che in America le aveva insegnato il suo amato Dino, l'uomo di cui si ara innamorata , giovane studentessa, ascoltando le sue lezioni. Anche le spoglie mortali della dolce signora americana dal 26 luglio 1966 riposano nella cappella della famiglia Bigongiari, eretta nel cimitero di Seravezza, accanto a quelle del suo Dino che per 50 anni fu il portabandiera della cultura italiana in America.

sabato 16 aprile 2011

Credo che sia stato un errore paragonare gli emigranti italiani ai "Vu' comprà"

Lo straordinario progresso economico che gli Stati Uniti raggiunsero nella seconda metà del XIX secolo, fu il fatto più importante che avvenne durante il loro sviluppo economico relativo appunto a quell'epoca. Esso fu favorito sia dall'incommensurabile ricchezza mineraria, sia dall'agricoltura che, avvalendosi di nuove tecnologie, fu in grado di offrire al mercato una ricca produzione derivata anche dalla colonizzazione dei territori a occidente del Missouri. Sulla immensa ricchezza degli Stati Uniti, il presidente Harrison (1889 - 92) ebbe a dire:” Dio ha messo sulle nostra testa un diadema ed ha deposto ai nostri piedi potere e ricchezze in tanta abbondanza che sfuggono ad ogni possibilità di definizione e di calcolo”.
Al formidabile progresso industriale degli Stat Uniti contribuirono in modo determinante uomini geniali, taluni di modeste origini.
Quali eroi del capitalismo statunitense del XIX secolo, sono passati alla storia uomini definiti “i baroni delle ferrovie” come J. Gould,, G.Vanderbilt, J. Hill; “i re dell'acciaio” A.Carnegie e J.p Morgan, che fondarono l' United States Stell Company e il re del petrolio J.D. Rochefeller che diede vita alla Standard Oil Company.
Con siffatti uomini gli Stati Uniti arrivarono ad essere la più potente nazione industriale del mondo. Il potere industriale che oramai dominava, sia quello politico che governava, si sviluppò ulteriormente grazie proprio alla politica economica attuata dal governo, basata su provvedimenti di rigido protezionismo verso l'estero, ma anche di una più ampia libertà di azione all' interno.
La diffusione della macchina per scrivere (1873), la scoperta del telefono (1876), l'invenzione della lampadina elettrica (1878), la comparsa della prima automobile con motore a scoppio di Henry Ford (1893), rivoluzionarono il modo di vita non solo degli statunitensi, ma anche di tutte le altre nazioni del mondo.
Nel settore agricolo, l'arato di acciaio Oliver ( 1870 ) e l'utilizzazione sempre più estesa , a partire dal 1880, sia della mietitrice – trebbiatrice meccanica sia di concimi chimici, furono alla base delle nuove forme e metodi di coltivazione.
Lo sviluppo economico ed il progresso industriale non avrebbero assunto dimensioni così gigantesche , se gli Stati Uniti non avessero potuto disporre della manodopera necessaria ed anche qualificata che invece trassero dall'incremento sempre più crescente dell'emigrazione europea..
Nel 1900 gli Stati Uniti avevano 79 milioni di abitanti di cui 10 di immigrati e 26 milioni di figli dei medesimi. Alla luce dei fatti inoppugnabili della storia socio economica degli USA, appare evidente che i nostri meccanici, minatori, cavatori, scalpellini ed anche boscaioli e contadini che verso la fine degli anni del 1800 raggiunsero il nuovo continente, trovarono le più favorevoli condizioni per il loro inserimento nel mondo del lavoro. Sicuramente ci furono uomini che non ebbero fortuna e chissà se qualcuno di essi si sia effettivamente trovato a pulire le scarpe lungo le vie di New York. Chi scrive non ritiene che gli emigranti italiani, abituati a grandi fatiche, abbiano esercitato, sia pure in numero ridotto, tale attività.
Stante la diversità dell'attuale situazione economica italiana rispetto a quella degli USA del XIX secolo, non è possibile fare alcun paragone con il fenomeno dell'immigrazione e degli extracomunitari, in particolare dei “Vu' comprà” che ogni giorno vediamo in giro nelle strade italiane.
Credo che chi ha paragonato i nostri emigranti ai “Vu' comprà” abbia sbagliato non avendo considerato questo problema sin dalle sue radici.
Gli Stati Uniti di quell'epoca storica avevano bisogno di manodopera , da noi mancano posti di lavoro, tant'è che la disoccupazione, specie quella giovanile, è molto preoccupante. La differenza dolorosa purtroppo sta in questo fatto. Ecco perché appare giusto regolamentare i flussi per far entrare gli extracomunitari in Italia, garantendo ad essi tutti i diritti che spettano agli italiani, ponendo così fine ad una invasione clandestina.

venerdì 15 aprile 2011

19.6.1996 - Un nubifragio rese la Versilia storica un paesaggio terrificante

Sono nato in una vecchia casa del Ponticello di Seravezza sfiorata da un canale ed a due passi dal fiume. Questa casa di proprietà dei miei nonni materni fu distrutta insieme a tutte le case del rione, e della Fucina, dove esistevano due segherie e la bellissima chiesa della Misericordia piena di marmi lavorati, durante la tragica estate del 1944. La distruzione riguardò anche diverse case di Riomagno costruite sul fondo del Monte Canala e gli interi paesi di Corvaia e di Ripa, rasi completamente al suolo.
Ero piccolissimo quando, nei primi anni Trenta, i miei genitori si trasferirono alla Desiata, dove occuparono l'alloggio annesso alla segheria dei fratelli Pellizzari, che erano i datori lavoro di mio padre.
Lassù ebbi i primi contatti col fiume. Era mio padre a portarmici tenendomi fra le sue forti braccia. Ricordo quel grande limpido bozzo che c'era vicino al rotore, nel quale guizzavano moltissimi pesci. Ritornammo al Ponticello prima che iniziassi a frequentare l'asilo e lì siamo rimasti fino allo sfollamento (luglio 1944).
Posso ben dire di essere cresciuto coi piedi nell'acqua ed anche sui monti. Fin da bambino vidi spesso il fiume in piena; uno spettacolo impressionante, da fare paura, con l'acqua fangosa che trascinava a valle tronchi d'albero e che sempre più si alzava, mentre dal fondo dell'alveo giungevano i cupi rumori dei sassi che rotolavano sotto la spinta dell'acqua. Anche la forte pioggia torrenziale che veniva già dal Monte Canala e che andava ad ingrossare il fiume già in piena non ci faceva stare tranquilli.
Durante le girate sui monti con altri ragazzi, notai sin da bambino che i boschi venivano periodicamente tagliati e che le selve erano ben tenute. La farina dolce era preziosa come il pane e quindi i proprietari avevano molta cura dei loro castagneti. Sembrava di essere nei giardini con quei muretti di sassi ben fatti e che dovevano essere costati grandi fatiche all'uomo antico della Versilia, un uomo sicuramente intelligente ed attento, come si poteva dedurre dalle piccole opere di canalizzazione delle acque piovane da lui poste in essere perché i poggi non franassero durante le forti piogge.
Prima del 19 giugno 1996, le acque dei nostri fiumi che per molto tempo avevano assunto il colore del latte a causa della marmettola che veniva scaricata nei fiumi, erano ritornate a scorrere limpide; davvero una bella visione dopo un lungo inquinamento cessato grazie anche alla forte campagna di stampa, intrapresa dal periodico mensile Versilia Oggi, diretto da Giorgio Giannelli ch'è bene ricordare.
La piena del 1885, raccontata dall'indimeticato e bravo Mauro Barghetti in un suo pregevole opuscolo edito dalla Misericordia di Seravezza nel mese di dicembre 1995. rimaneva nella nostra memoria come un ricordo lontano.
Invece? Il 19 giugno 1996 si è verificata la disastrosa alluvione che non si poteva prevedere, ma nemmeno escludere, tenuto conto che eventi del genere avevano sconvolto nel recente passato tante zone del territorio nazionale.
Stavo osservando alla Tv la travolgente piena che trascinava a valle grossi alberi e bombole di gas e quant'altro , quanto il tardo pomeriggio del 19 giugno 1996 è squillato il mio telefono. Era mia figlia che chiamava dal Crociale. Era ancora sotto shoch. Comunque riusci ad informarci che il Versilia, aveva rotto gli argini nei pressi del Ponterosso, proprio quando ella stava per far ritorno a casa dopo essere andata a prendere il bambino all'asilo.
Aveva evitato miracolosamente di essere trasvolta dall'acqua che aveva visto andarle incontro, mentre percorreva il tratto di strada dietro la chiesa di San Bartolomeo, riuscendo ad invertire prontamente il senso di marcia della sua autovettura. Al Crociale i danni furono ingenti, un lungo tratto della ferrovia era stato divelto, case piene di detriti e di fango, scantinati allagati, autovetture trascinate ìn mezzo ai campi, grossi tronchi d'albero con enormi radici erano sparsi dappertutto, pesci in stato di putrefazione, fango nei campi coltivati, fango e fango ovunque che diffondeva nell'aria un odore nauseante. Vidi qualche giorno dopo questa terrificante esondazione un paesaggio apocalittico, dove aleggiava la spettro della morte.

mercoledì 13 aprile 2011

la nuova bandiera

Auree luci nel cielo
sprigiona la bandiera
che hanno disegnato
gli uomini uccisi
dalle canne di fuoco
di chi, con la violenza,
intendeva toglierci
il bene acquisito,
sin da quando abbiamo
emesso il primo vagito:
La libertà!
Questo grande vessillo
un lenzuolo macchiato,
impregnato di sangue,
sempre ammainato
sui corpi senza vita,
lo vorrei issare
sul pennone più alto
piantato sulla Terra
per farlo sventolare
in onore della fitta schiera,
di eroi e martiri,
caduti a difesa
della nostra libertà.

martedì 5 aprile 2011

LA MIA SCUOLA ELEMENTARE RIVISTA DOPO QUASI SESSANT'ANNI TRASCORSI DA QUANDO LA FREQUENTAVO.

Grande è stata l'emozione che ho provato quando, dopo quasi sessant'anni, ho rimesso i piedi nella scuola elementare di Seravezza che frequentai da ragazzo. Devo alla trattazione delle pratiche per le quali fu richiesto, da una persona che mi conosceva, di cui parlerò quì di seguito, il mio intervento allo scopo di far murare una lapide nell'androne della scuola a ricordo del maestro seravezzino Bruno Guerrini, caduto eroicamente a Mages Belamedk - Tobruk, il 26.11.1941.
Ecco i motivi che mi hanno fatto rimettere i piedi nel vecchio edificio scolastico di Seravezza.
Com'é noto il maestro Bruno Guerrini, fu ucciso nel corso di una cruenta ed impari battaglia combattuta contro forze neozelandesi che disponevano di grossi carri armati, contro i quali i colpi sparati, per frenarne l'avanzata, dal cannoncino che disponeva l'avamposto comandato dall'ufficiale seravezzino Guerrini non procuravano alcun danno. “Gli facevano soltanto il solletico”, ecco cosa mi disse il compianto Mauro Barghetti, amico fraterno di Bruno Guerrini, quando un giorno si parlò della morte di Bruno.

L'idea di murare questa lapide fu di Mauro Barghetti. Egli informò le figlie della sorella di Bruno Anna Maria e Angela, ( quest' ultima mia moglie) che aveva trovato già chi gli avrebbe donato la lastra di marmo. Poi questo suo amico morì e quindi spinse le nipoti del maestro Guerrini a portare avanti la sua iniziativa, che fu sostenuta anche dal Generale di Brigata Aerea, in congedo Bruno Buselli, pluridecorato al valor militare, che aveva sposato una cugina del maestro Guerrini.

Devo dire che fu proprio quando, alla fine degli anni 90, andai a parlare con l' assessore alla cultura Ezio Marcucci e poi col signor Sindaco Lorenzo Alessandrini fui spinto da una telefonata del generale Buselli che mi disse che c'era uno stallo da superare e quindi di vedere cosa si poteva fare perché la pratica potesse andare avanti. Fui ben accolto sia dal Sindaco che dal suo Assessore, che dimostrarono anche molta attenzione sull'argomento di cui gli parlai e che essi già ben conoscevano, tant'è che alla fine le richiedenti ottennero la chiesta autorizzazione a murare nella scuola, a proprie spese, la lapide in memoria del loro caro zio. Per questa loro sensibilità dimostrata li voglio ancora ringraziare.

Dopo aver parlato col Sindaco e con l'Assessore ritenni opportuno avere un colloquio anche con la direttrice della scuola che, purtroppo quel giorno non la trovai.

Mentre salivo le poche scale della scuola riaffiorarono alla mia mente i ricordi del passato, Entrando nell'interno ebbi subito difficoltà a riconoscere l'ambiente in quanto le pareti e le scale erano tinteggiate con vernici lucide, mentre quando frequentavo la scuola le avevano parzialmente rivestite con lastre di bardiglio lucidate. Credo che sia stato commesso un grosso errore aver tolto le lastre dalle pareti, motivo per cui ritengo che questo fatto abbia fatto rivoltare dalla tomba il direttore Giuseppe Masini che le volle far mettere.

Sì, scavai a ritroso nel tempo e così rividi negli occhi, le immagini del mio primo maestro della seconda classe ( la prima la frequentai all'asilo Delatre) che fu il signor Federigi di Querceta che trattava tutti noi bambini con infinita dolcezza e tanto amore, e quella del suo collega della terza classe, di cui non ricordo il nome, il quale appena scoppiò la II guerra mondiale lasciò la nostra scuola per andare a combattere volontario in Africa. Tra quelle mura ho rivisto anche il maestro Corfini, un ottimo insegnante che non disdegnava di usare le maniere energiche e forti per farci studiare con maggiore impegno e disciplina; ricordo che spesso faceva tremare tutta la classe quando, per punizione, colpiva col suo righello le palme delle mani dei ragazzi. Per la verità debbo dire che mai il righello l'ha utilizzato contro di me.
Nel vocio dei ragazzi che stavano nelle classi ho risentito quello degli alunni della mia generazione tanti dei quali purtroppo scomparsi.

Prima di allontanarmi dalla scuola volli rivedere la testa scolpita nel marmo di un giovane di Seravezza che, collocata nel giardino nell’anno 1937, era ritornata alla luce dopo essere stata sommersa da alberelli e siepi per lungo tempo, come mi aveva raccontato l' assessore alla cultura Ezio Marcucci.
La testa scolpita in marmo era quella del seravezzino Attilio Martinelli, artigliere d’Italia, morto in seguito ad una malattia contratta in Africa durante la guerra etiopica ( 2 ottobre 1935 –
5 maggio 1936 ). Questa notizia l'appresi il giorno dell'inaugurazione dell' opera, festa alla quale anch'io partecipai insieme a tutta la scolaresca, alle Autorià e alle persone che conobbero Attilio e gli vollero bene.
Furono i suoi compagni e amici, tra i quali Timante Iacopi, come egli mi raccontò prima di morire, a voler ricordare in quel modo, il loro caro amico morto nella lontana terra africana, fatto questo ricordato anche sulla piccola stele che regge la scultura.
La gioia sentita nel ritrovarmi nel luogo che frequentai da bimbo, si è tramutata in un vivo dispiacere quando ho notato che la testa scolpita era stata violentemente deturpata all’altezza del naso, letteralmente frantumato, forse per una scheggia di un colpo di cannone sparato durante gli eventi bellici del 44/45, oppure causato, ma spero tanto di no, da uno sconsiderato atto vandalico, commesso da una persona ignota

venerdì 1 aprile 2011

Gli anni della mia fanciullezza

Per noi ragazzi del Ponticello di Seravezza degli anni 30, i monti e in modo particolare i fiumi, furono i punti di incontro e di divertimento, specie durante i mesi caldi delle stagioni estive.
Quando in questi mesi il livello delle acque del Serra si abbassava, nei pressi del grande molino del Bonci, costruivamo degli sbarramenti con sassi e piote per innalzare il bozzo d'acqua dove nuotavamo e facevamo veleggiare le barchette con gli scafi ricavati dalla corteccia delle piante di pino.
Piccole ruote con palettine , fatte dai ragazzi più ingegnosi ed attrezzati, giravano in continuazione sotto il getto dell'acqua che qualche volta anch'io ne bevvi alcuni sorsi tanto scorreva limpida tra i sassi lungo la riva.
Visto come mi divertivo la mia buona mamma un giorno acquistò e mi donò un motoscafino che si muoveva sull'acqua, dopo avere acceso il motorino funzionante, con un congegno, che funzionava col calore della piccola fiammella che accendevo ogni volta che lo mettevo sull'acqua. Era comunque un giocattolo fragile che quasi subito si ruppe.
Nel fiume vi erano molti pesci scaglioni e anguille, tant'è che la pesca che praticavamo con canne rudimentali, costituiva un altro piacevole passatempo.
Il trasporto dei blocchi di marmo, di quelli lavorati e dei sassi, veniva eseguito dai mezzi della “Tranvia Alta Versilia”, da grossi carri , barrocci e cavalli e mambrucche , tirati da buoi (una volta ne contai tre o quattro coppie) e cavalli , lungo strade incredibilmente polverose d'estate e piene di “elto” fango d' inverno,
Il passaggio della sbuffante locomotiva a vapore con la lunga fila di vagoni agganciati attirava costantemente l'attenzione di noi bimbi (in particolare quando si fermava al Ponticello per il rifornimento di acqua), per lo spettacolo di potenza che sprigionava tale mezzo di trasporto rispetto a quelli tradizionali effettuati con l'impiego appunto di buoi e cavalli.
L'ambiente che ci circondava , caratterizzato da un fitta verde vegetazione, da stormi di rondini e da falchi che in coppia sovente volteggiavano sopra le nostre case, a me appariva meraviglioso.
La miseria, in quel periodo storico generalizzata, noi ragazzi, quando si stava insieme, non l'abbiamo mai sentita, tanto era grande la nostra gioia di vivere.
Si capivano però dalla scarsezza del cibo , dai calzoncini più volte rattoppati, dalle magliette rammendate, e dall' uso degli zoccoli, le difficoltà che dovevano affrontare i nostri genitori per farci crescere.
Ci eravamo abituati a camminare scalzi con molta naturalezza, sotto questo aspetto mi pare di essere cresciuto in un mondo primitivo.
La Befana arrivò sempre puntualmente nella mia casa, Ricordo ancora la gioia che provai le mattine quando, un anno, mi portò un tamburino di latta e l'anno successivo un fuciletto che sparava tappi di sughero. I chicchi, fichi secchi, e noccioline, non mancavano mai in fondo al mio letto il giorno della Befana.
Palline di terracotta colorate, vetroline e qualche marmolina, quest'ultime fatte da ciascun ragazzo limando piccoli sassetti raccolti nel fiume, non sono mai mancate nelle tasche dei nostri pantaloncini.
Non avevamo palloni e neppure palle, ma eravamo lo stesso contenti quando riuscivamo a giocare nella strada con una grossa palla fatta di stracci e di carta
Divertente era anche il gioco al “ Chinè cambrì, buttilo il pirulì”, effettuato con un bastone e un pezzetto di legno con le due estremità affusolate, Colpito il pezzetto di legno con la punta del bastone, mentre girava su se stesso ad una certa altezza, veniva nuovamente colpito con l'intento di farlo cadere dentro il cerchio tracciato sul terreno ad una determinata distanza.
Emozionanti erano anche i momenti dedicati alla cattura di fantastiche farfalle e di ”paranculi”. Ricordo che correvo felice sull'erba alta cresciuta sulle piane dell'orto della mia nonna materna. Fino a quando abbiamo creduto che le lucciole splendenti facessero i soldini, la sera ci fermavamo nelle strade buie del Ponticello per catturarle e metterle sotto un bicchiere.
Tante volte ci arrampicavamo sulle rocce sotto “La Mezzaluna”. Sulla trincea che costruivamo coi sassi, così per gioco, garriva al vento ls nostra bandiera. Spesso giocavamo nella frescosità dell'ombra dei castagni, con una maggiore vigoria fisica dovuta all'aria pura che respiravamo e molte erano le corse che facevamo nelle strade dietro vecchi cerchioni di bicicletta , fatti girare sotto la spinta di un filo di ferro stretto nella mano.
All'asilo indossavamo la divisa di ”Figlio della lupa" ed alla scuola quella di "Balilla”, per essere nominati “Balilla moschettieri” ci fecero giurare fedeltà alla “causa della rivoluzione fascista”.
Negli anni della guerra cantavamo “Vincere e vinceremo...” ed altri inni patriottici, ma i sogni di vittoria svanirono definitamente quando arrivarono i giorni drammatici dello sfollamento dell'estate del 1944, durante i quali le S.S tedesche commisero l'orrenda strage di S.Anna di Stazzema ed altri crimini efferati contro una pacifica ed inerme popolazione.
Continuammo a patire la fame anche dopo l'arrivo delle truppe americane. Per sopravvivere mangiavamo quanto rimaneva nei piatti di alluminio di ogni singolo soldato americano. Queste scene di estrema disperazione si ripeterono davanti alle loro cucine per sette mesi.
Ciascuno di essi anziché gettare gli avanzi nell'apposito bidone, pazientemente le riversava nei nostri bricchi.
Durante gli anni della mia infanzia , vidi le chiese di Seravezza sempre gremite di fedeli, a testimonianza di una antica e profonda religiosità cristiana.

Azzano, culla della Madonna del cavatore

Il pomeriggio del 6 agosto 2005 ad Azzano è stato inaugurato il monumento dedicato alla Madonna del cavatore.
L'opera è stata collocata su un terreno di proprietà di Primo Giorgi, un luogo trasformato in un laboratorio all'aperto per giovani dì ambo i sessi olandesi, francesi, tedeschi, americani e di altre nazioni che amano la scultura, e dove sicuramente aleggia lo spirito di Michelangelo,ricordato appunto da Giorgi sulla piccola lapide collocata sul muro di basamento del monumento, scolpito dall'artista di San Francisco (California) John Fisher ed inaugurato con una solenne benedizione da parte di don Hermes, il parroco della Cappella.
A ricordo del grande Michelangelo, così si legge<. “ E sosta fece /sull'ameno colle / onde ne trasse/ i bianchi marmi - 1518 1521 “.
Diverse sono le ragioni che hanno indotto Giorgi ad acquistare questo monumento in marmo bianco , del peso di 7/8 tonnellate.
In primis per la devozione che da sempre nutre per la Madonna del cavatore che nel 1947 gli salvò la vita, poi per onorare i suoi avi, il babbo che fu cavatore ed anche il nonno che morì sulla cava ed il giovane figlio, perito qualche anno fa in seguito ad un incidente stradale, ed infine tutti i cavatori che per secoli hanno svolto e ancora svolgono questo duro e pericoloso lavoro, motivo per cui tanti di essi vi hanno perso la vita, a seguito delle disgrazie, nel tempo sempre accadute.
Anche il mio bisnonno Pietro e mio padre Orlando, lavorarono sulle cave di Seravezza negli anni della loro giovinezza.
Il figlio di Giorgi amava molto i luoghi montani dei suoi avi e nutriva anche l'ambizione di poter un giorno trasformare quel terreno, sul quale sono cresciuti frondosi alberi e dove sorge una casetta munita di tutti i servizi, in una scuola all'aperto per apprendisti scultori.
Su questa proprietà scorre la via intitolata ”Martiri del lavoro”, che da Azzano conduce
al monte Altissimo.
Lì è stata eretta nell'anno 2000 una piccola cappella per onorare la memoria di Adamo, il padre di Primo, e del figlio di questi.
Alla cerimonia d'inaugurazione del monumento hanno assistito numerosi artisti stranieri che ogni estate raggiungono questa località montana per dedicarsi alla scultura, ed una folta schiera di amici ed estimatori di Primo, uomo di fede cristiana che da giovane fu alpino e nel dopoguerra si arruolò nel Corpo della Guardia di Finanza.
L'arte – come ha detto don Hermes nel suo discorso, prima di benedire l'opera – per le cose belle che esprime, affratella gli esseri umani di qualsiasi colore ed etnia, inducendoli a volersi bene fra loro”.
Questo è il messaggio che da Azzano, Giorgi ha voluto lanciare agli uomini di buona volontà. Ha tentato di esprimere questo concetto con le proprie parole, ma la forte emozione gli ha serrato la gola, fino a che un caloroso applauso dei presenti gli ha dato l'energia per poter concludere il suo breve discorso, ricco di umanità.
Nell'occasione egli ha anche ricordato don Giovanni Dini, che a guerra finita succedette alla Pieve de La Cappella a don Luigi Vité, ed ebbe la bella idea di istituire la festa della Madonna del cavatore.
Il 2 settembre 1946 da Azzano partì una processione durante la quale fu portata fino alla Polla la bella formella, scolpita dal grande scultore Leone Tommasi, e da li, con la teleferica, arrivò sulla cava della Tacca Bianca dove fu murata.
Quando nel 1979, tale cava divenne deserta ed inaccessibile, la formella venne tolta per essere collocata alla Polla, dove tuttora si trova.
Dopo la benedizione dell'opera e le note del silenzio uscite dalla tromba di Giorgio Martini, musicante della fanfara alpini della Versilia, alcune scultrici straniere hanno inziato a cantare l'Ave Maria , al coro si sono unite anche le voci dei presenti.
Al termine della cerimonia è stato offerto un ottimo rinfresco.


Ecco alcune note biografiche di John Fisher,
annotate dall'autore del suddetto articolo il gior=
no in cui venne inaugurato il suo monumento,
nonchè alcuni giudizi, sempre dello scrivente,
espressi sul conto di questo artista americano.

Joon Fisher , lo scutore californiano, è un
bell'uomo di 54 anni.
E' venuto per la prima volta in Versilia nel 1985,
facendovi ritorno nel 1987,
Da allora non se n'è più andato.
In Versilia è molto conosciuto per le sue opere,
tra cui l'altare della chiesa di Vaiana.
Ha dipinto anche “La Lira”, il drappo che ogni anno
viene dato in premio ai vincitori del palio dei Micci
di Querceta.
Purtroppo presto ritornerà negli Stati Uniti, dove gli
sono state commissionate alcune grosse sculture.
Questo artista lascia nella nostra terra il frutto della
sua scultura che, come ho visto dal monumento di
Azzano, raffigurante la Madonna con sotto due
cavatori, uno dei quali pare che si arrampichi
su una tecchia, è veramente pregevole.
Prima di lasciarci, Johm Fisher, per il suo talento
e per l'amore che nutre per la nostra terra dove
ha vissuto per tanti anni, meriterebbe la nomina
a cittadino onorario della Versilia.