giovedì 1 giugno 2017

“Mamma, ho visto passare Gesù”. La grandezza di don Quintino, servo di Dio

Conservo ricordi commoventi rimasti scolpiti nel mio cuore della gita cui partecipai nell'agosto 1997 a Balze (Forli-Cesena), per visitare i luoghi dove visse gli ultimi anni della sua vita don Quintino Sicuro, che dal 1939 al 1947 prestò servizio nel glorioso Corpo della Guardia di Finanza. All’arrivo del pullman (ero con la mia sezione Anfi di Pisa e quella della Versilia storica) fummo accolti dal maresciallo capo Duilio Farneti di Forlì, che insieme a Quintino aveva frequentato a Roma il 19° corso allievi sottufficiali (8 luglio 1945/ febbraio 1946). Farneti fu una guida eccezionale. Dai 7 a 13 anni aveva vissuto accanto al fratello, don Silvio, nel periodo in cui questi era stato parroco di Balze, località famosa perché su un'altura chiamata il “Sasso dell’apparizione” il 27 aprile 1404 due pastorelle infelici videro la Madonna; secondo la tradizione la madre di Cristo ad una delle ragazzine restituì la voce e l’udito, all’altra la vista. Il popolo di Balze volle scolpire su una lastra di marmo il ricordo di questo evento, facendola murare nel luogo esatto dove sarebbe avvenuto il miracolo.

Quintino Sicuro, quinto di cinque figli, nasce a Melissano (Lecce) il 9 maggio 1920 da Maria Potenza e da Cosimo Sicuro. Da ragazzo esprime il desiderio di farsi frate, ma il superiore del convento di S. Simone non lo ammette perché non ha superato l’esame di ammissione alla terza classe della scuola media. Cambia scuola iscrivendosi all’Istituto tecnico industriale di Gallipoli, che porta a termine con successo. Nel 1939 frequenta il corso Allievi finanzieri e, dopo essere stato promosso finanziere, viene assegnato alla Brigata di Chiavenna (Sondrio). Durante la Seconda guerra mondiale viene mobilitato nel 1° battaglione a fianco della divisione Julia, del IV reggimento bersaglieri e di altri reparti delle camicie nere. Prende parte, nella squadra degli Arditi, ad alcune dure battaglie sul monte Tumori, contro un nemico forte, ben armato e combattivo. La gelida temperatura dei Balcani procura a molti soldati italiani il congelamento degli arti inferiori. Dopo un breve spostamento a Tre Bisti, sul fronte jugoslavo, ed ai movimenti successivi per raggiungere le città greche di Gianina e di Patrasso, il finanziere Sicuro viene assegnato alla brigata di Cefalonia. Riesce fortunosamente a sfuggire al massacro commesso dai tedeschi contro gli uomini della divisione Acqui, che si rifiutano di consegnare le armi dopo l’8 settembre 1943, impugnandole per scatenare una battaglia proprio contro le truppe germaniche che avevano loro imposto tale ordine. A causa della superiorità di uomini e mezzi, ed anche all’impiego di aerei Stukas, i tedeschi costringono i soldati italiani ad arrendersi. 

Quintino durante la guerra di liberazione è partigiano nelle squadre di azione Patriottica (SAP). Mai viene coinvolto in fatti di sangue. Dopo la nomina a sotto brigadiere viene decorato della Croce al merito di guerra. Nel mese di maggio 1946 è trasferito alla brigata di frontiera del Brennero e nel novembre 1947 viene assegnato al Nucleo p.t. di Trento. I componenti di tale reparto apprezzano il suo carattere di uomo buono e giusto. A Trento il sotto brigadiere Quintino Sicuro compilerà un verbale di accertamento nei confronti di un padre di famiglia, che non aveva il denaro per pagare il tributo evaso né la pena pecuniaria relativa. Sarà lo stesso Sicuro a versare all’Erario quanto dovuto dal pover uomo sanzionato, attingendo il denaro necessario dai suoi modesti risparmi.

Sentendosi ancora fortemente attratto dalla vocazione di servire Dio, a 27 anni si congeda dalla Guardia di finanza ed entra nel convento dei frati minori di Ascoli Piceno, nel quale rimane per due anni. Dopodichè raggiunge l’eremo di S. Francesco presso Montegallo, dove resta per 4 anni. Da lì si sposta verso il monte Fumaiolo intorno al quale c’è l’eremo di S. Alberico, che lui prende in custodia.

Ho avuto modo di conoscere diversi aneddoti della vita di don Quintino, sia grazie all’omelia pronunciata dal parroco di Balze durante la Santa Messa, sia dalla lettura del libro su Sicuro scritto dal Farneti. Avvertire su quel monte la presenza di Dio credo abbia fortificato non poco l’esistenza di don Quintino, che visse in estrema povertà elevando al Signore continue preghiere volte a glorificarne il nome. La nostra visita all’eremo di S. Alberico si concluse con la deposizione effettuata dal presidente della sezione Versilia storica, cav. uff. Renzo Maggi e da due finanzieri in congedo, di una corona di alloro sulla tomba dove riposano i resti di don Quintino. Tomba da lui scavata, quando era ancora in vita, sulla roccia arenaria esistente davanti alla chiesa.  Quel giorno fui particolarmente felice: insieme a me c’erano i cari amici Primo Giorgi e Guido Angelini, insieme ai quali frequentai a Roma il corso allievi finanzieri dal 15/7/1949 al 15/1/1950.

Nell’eremo don Quintino dormiva su una tavola di legno e con la testa poggiata su un sasso. Viveva della carità dei suoi fedeli, che avendolo conosciuto lo consideravano già un santo. Il maggiore ed unico desiderio che ebbe Quintino fu quello che tutti gli uomini della Terra potessero conoscere Dio e che gli dessero gloria, salvando così la loro anima. Sì, Quintino pensava di continuo all’anima degli uomini, la cui vita non si spegne con la morte ma continua a vivere in eterno, un premio solo per gli uomini buoni e giusti. La vita di don Quintino dedicata alla preghiera e alla predicazione del bene, colpì il cuore di tutti coloro che ebbero la fortuna di conoscerlo.

Un ragazzino che un giorno lo vide transitare davanti alle case ubicate in località Capanne, corse verso la sua casa urlando: “Mamma, mamma, ho visto passare Gesù!” La povertà, attraverso la quale Dio si presenta sulla Terra all’uomo che vive quotidianamente aiutato anche dalla divina provvidenza, suscita stupore ed ammirazione negli abitanti di Balze e dei dintorni, quando lo vedono camminare scalzo, coi piedi sanguinanti, sui sentieri difficili delle montagne piene di sassi sconnessi, per raggiungere l’eremo da lui scelto per sentirsi più vicino a Dio.

È l’arrivo all’eremo di tanti fedeli, che giungono da località lontane, che lo sprona ad iniziare i lavori di ristrutturazione di quell'immobile fatiscente, con porte e finestre rotte, così come gravemente danneggiato è anche il tetto. Anche il camino della cucina non tira più fuori il fumo prodotto alla legna che arde. Don Quintino a questo punto decide di ricostruire la chiesa e ristrutturare la sua abitazione, ubicata al piano superiore, in quanto le pareti dei locali, molto umide, sono ridotte in pessime condizioni. Infine ristruttura l’intero edificio innalzandolo anche di un piano. Quintino aiuta i muratori nei lavori più pesanti. Impasta il calcestruzzo che poi, con i secchi, porta sulle spalle ai muratori che lavorano sui ponti. Ai giovani che recano lassù per aiutarlo dice chiaramente, fin da subito, che non può offrire che un piatto di spaghetti. Paga invece i materiali necessari: mattoni, calce, cemento, sabbia e quant’altro serva per i lavori, con gli oboli che gli donano i fedeli. Anche se la maggior parte delle offerte vanno, come al solito, ai più poveri. In quella località, ricca di cento fontane, l’eremo di Sant’Alberico diventa un'oasi di spiritualità.

Nel luogo dove don Quintino visse da eremita è rimasta scolpita nella memoria la sua figura di asceta e penitente, sempre amorevolmente vicino ai giovani che si stringevano forte a lui quando salivano all’eremo per conoscerlo. Quintino confortò i malati e i più bisognosi e fu così che tutti quelli che lo conobbero gli vollero bene. Soffriva di disturbi cardiaci e morì la gelida mattina del 26 dicembre 1968, mentre stava per raggiungere e benedire un nuovo impianto di sciovia. L’autovettura sulla quale era salito andò in panne, a causa dell’alta neve che era caduta nella nottata. Sceso dal mezzo insieme agli altri occupanti, si mise a spingerla per parcheggiarla in un vicino spiazzo. Ad un certo punto cadde a terra, fulminato da un infarto.

Il 29 agosto 1991 nell’antica cattedrale di Sarsina (Forli-Cesena), si concluse positivamente il processo diocesano di beatificazione del servo di Dio don Quintino Sicuro. Tutto l’incartamento, sigillato col timbro vescovile, fu inviato alla Congregazione della causa dei santi del Vaticano. Alla luce di una vita interamente dedicata all’amore contrassegnato dalla croce, emblema di luce e speranza, mi piace pensare che un giorno le campane delle chiese potranno risuonare a festa per annunciare ai fedeli che don Quintino è salito agli onori degli altari.
Renato Sacchelli

* L'articolo è stato pubblicato sulla rivista Fiamme Gialle (Aprile 2017)