giovedì 29 luglio 2010

Amo ancora parlare di Lorenzo Tarabella.

A quarantaquattro anni appena compiuti, morì Lorenzo Tarabella. Era nato a Malbacco il 23 dicembre 1927.
Si tolse la vita nel pieno della vigoria fisica e intellettuale, lasciando nel pianto e nello sgomento. la sposa, i suoi familiari e parenti e tanti amici seravezzini che lo stimavano e gli volevano un mondo di bene. Come il padre e i fratelli andò a lavorare sulla cava, perchè come scrisse nella sua poesia del 1957 “Canta cuore”: . “Io non studiai abbastanza/ i figli degli operai non possono studiare abbastanza...”. Passò gli anni della sua giovane vita sulla cava intorno a blocchi di marmo da squadrare. Aveva i muscoli e le mani di acciaio e la subbia, sotto i tremilacinquecento colpi inferti da lui ogni giorno col mazzolo, sprigionava scintille in continuazione, tant'è vero che la sera il carrello era pieno di scaglie da buttare giù nel ravaneto. A casa nelle ore del riposo,inzuppava il pennino nell'inchiostro, per esprimere, in modo magistrale, i suoi pensieri, le sue gioie e i suoi dolori. Dalle forti emozioni , vissute fin da bambino nella sua povera casa di Malbacco, poi durante gli eventi bellici che insanguinarono anche la Versilia, in cui perse la vita anche un suo fratello, infine dalla fatiche sopportate “Nell'inferno della cava”, per guadagnare, con un dispendio di energie sovrumane, il magro salario necessario per sopravvivere, nascono le sue opere che inducono tutti gli uomini, buoni e giusti, a riflettere non solo sulle bellezze della natura, ma anche sulle ingiustizie di una società crudele che sin dall'antichità ha sempre reso ancor più difficile l'esistenza della gente più povera. Il suo primo paio di scarpe l'ebbe quando aveva 10 anni. Nella poesia intitolata “Scarpe” ha scritto.” La Befana gli portò le scarpe :/brutte chiodate e grossolane./ Sul volto triste dei genitori/ passò il sorriso di un bimbo / che scalava montagne inaccessibili. / Le rigirò tutta la sera, / le tolse, / le mise, / gli contò i chiodi. /Volle portalle persino sul canterano, / per rivederle / prima di addormentarsi. / Si svegliò a mezzanotte. / E quando venne il sole,/ e le povere donne trepidarono nascoste dietro ai vetri/ guardando il proprio figlio, / lui corse fuori e si trovò sull'erba bagnata di rugiada. Allora se le tolse, / le mise a cavalcioni sulle spalle / e camminò cosi, / per non sciuparle.”  C'era miseria nelle famiglie dei cavatori negli anni in cui Lorenzo era bambino, mentre le loro spose erano in preda alla disperazione non sapendo cosa mettere a cuocere nella pentola: Queste drammatiche situazioni l'ho vissute anch'io, perchè anche mio padre, in quegli anni, lavorava su una cava del Trambiserra, forse nella stessa dov'era occupato anche il babbo di Lorenzo.Meno male che allora i bottegai davano a credito i cibi alimentari che i lavoratori pagavano quando prendevano la quindicina. Usciva di casa “mi pà” che era ancora buio, e così anche lui vedeva “ Rubini, nella notte gelida le stelle...”, come ha scritto, Lorenzo nella sua bellissima poesia intitolata “ I cavatori”- Calzava, mio padre, come tutti i cavatori, gli scarponi chiodati “e pòe data 'n'occhiata al célo per guardà com'era 'l tempo” chiudeva l'uscio per raggiungere Malbacco. Poco sopra questa località attraversava pericolose passerelle ballerine fatte con fili di ferro e pioli. Giunti aldilà del fiume percorreva irti sentieri tra boschi e ravaneti, all'alba era già sulla cava. Ricordo quando sia io che mio fratello Sergio gli lucidavamo i suoi scarponi chiodati con la sciugna,si gareggiava a chi riusciva a farle più brillare. Durante il periodo dello sfollamento, anche lui come me, era tutti i giorni in giro per i campi per cercare pannocchie di granturco e quant'altro da mangiare. Il 12 agosto 1944, nella piana di Pietrasanta, fu fermato da un tedesco che lo fece passare dopo avergli detto ch'era alla ricerca di cibo. Posando lo sguardo sui monti sopra Valdicastello, notò il fumo che si sprigionava dalle case bruciate dai tedeschi a S.Anna di Stazzema, dove quella mattina fu commessa la più spaventosa strage di innocenti in Italia.
Ho già parlato del successo che ebbe la pellicola cinematografica “ Il cavatore, diretta da Sirio Giannini, suo grande amico, tratta da un racconto di Lorenzo Tarabella, ed anche del suo libro intitolato “ E' troppo presto”, pubblicato postumo per volere dei suoi amici della Pro – Loco di Seravezza. Prima di morire stava lavorando intorno alla riduzione cinematografica di un altro suo racconto, intitolato “ La Capra”. Mi sembra bello riportare alcuni pensieri espressi dal maestro Narciso Lega nella sua straordinaria prefazione al libro di Lorenzo.Ecco le sue parole: “ La sua vena poetica è pura e vergine, forte e possente come l'ambiente naturale in cui lavora, decisa come la gente che vive la sua stessa grama vita, temprata come l'acciaio di cui si serve per cavare e squadrare il marmo”...”.
Questo libro mi è molto piaciuto, in quanto i versi poetici e i racconti di Lorenzo Tarabella, affiorano dalla profondita del suo “Io”. Dalla lettura della sua poesia , scritta nel 1957,intravedo i segni premoritori del suo tragico destino. Lassù sulla cava, col sudore che gli colava copioso dalla fronte e col freddo pungente pensò alla morte. Ecco cosa scrisse in questa poesia intitolata “ I  LORO SOGNI “ Sognano verdi alberi/ e fontane che cantano nella gola riarsa./ / Nei loro volti è il martirio. / E il sole arde./Un sole di mille soli che arde/ riflessi spietati contro bianchi marmi,/ contro i poveri occhi tormentati; / contro spalle lucide sconsolatamente ricurve: E le fontane cantano. E la cava è un inferno./ E le leve scottano, / i martelli diventano grevi,/ e il duro marmo più restìo. / E la volontà si spezza nell'intimo, / lacrime e sudore si confondono/ in un tragico odio che trabocca,/ che uccide la ragione.A che valsero i figli! Oh! Odiano!/ Odiano il giorno che li vide nascere, / odiano i baci della prima notte di matrimonio, / odiano, padri, madri, / il mondo che li circonda. / Se stessi. / Il sole arde./ Morte! / Oh morire! Ecco il sogno più bello; / la nera , dolce, gelida, silenziosa morte,/ l'eterno agognato riposo, / la fresca terra di sempreverdi cipressi./ 1l sole arde. Un sole di mille soli che arde./ E la cava è un inferno. / A sera, / quando un sorriso aspetta la parola/ e un bambino che dorme è commozione, / la volontà ritorna: / domani lotterà, / domani è un altro giorno, / e un altro, e un altro”.
No! Lorenzo no!, non dovevi lasciarci così.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono affascinato dalla figura di questo personaggio che fu cavatore come mio padre per un periodo della sua giovinezza.
Anche io sono poeta da moltissimi anni e questo, oltre al cognome ed all'origine , mi lega tenacemente a lui. Grazie!!!

Luciano Tarabella- Livorno.