martedì 6 luglio 2010

Ragazzi di Seravezza eroi senza medaglia

Per sette mesi portarono cassette di munizioni e viveri ai soldati americani schierati in prima linea sui monti versiliesi

Nei primi giorni del mese di dicembre 1944 sulla Versilia insanguinata e sconvolta dalla guerra imperversò anche i maltempo.Una coltre di nebbia avvolse i rilievi montuosi imbiancati qua e là dal nevischio che cadde frammisto alla pioggia. Furono brutte giornate che tuttavia non impedirono al solito gruppo di ragazzi di alzarzi presto la mattina, per essere eventualmente impiegati dagli americani al trasporto di viveri e munizioni destinati alla truppe operanti sui monti di Seravezza. Chi veniva escluso dai turni di “corvé”, predisposti nel capoluogo seraveszzino da Angelo Tarabella, addetto dagli americani a tale incarico, a causa dell'affluenza presso i magazzini di Seravezza di numerosi giovani che chiedevano di effettuarli ogni giorno per poter ricevere così il compenso costituito da cibo in scatola, saliva allora a Giustagnana o a Minazzana sperando di essere chiamati lassù a portare i rifornimenti alle pattuglie schierate in prima linea. Erano ragazzi appartenenti a quelle famiglie che piuttosto di affrontare i notevoli disagi dello sfollamento in zone più o meno lontane dalla Versilia avevano scelto di rimanere a Seravezza o nei paesi limitrofi, dove avevano almeno la possibilità di disporre di una casa. Per sette mesi, cioè per tutto il tempo che durò la guerra in Versilia, questi adoloscenti vissero sotto il costante pericolo di rimanere uccisi dalla mitragliatrici e dai colpi di mortaio e degli obici sparati dai tedeschi. Mi risulta che anche durante lo sfollamento alcune famiglie di Seravezza non ottemperarono all'ordine dei tedeschi di evacuare il paese. Esse rimasero nelle loro case badando di tenere la porta e le finestre chiuse, piuttosto che affrontare i disagi connessi allo sfollamento. All'impellente necessità che avevano questi nuclei di sfamarsi ci pensarono i loro figli adoloscenti che trovarono la forza per andare avanti e per non tirasi mai indietro, neppure quando intorno a loro cadeva la pioggia di fuoco prodotta dalle armi tedesche. Quando i loro viaggi iniziavano partendo dai magazzini ubicati in Torcicoda, dove aveva anche la sede il comando di un reparto della divisione di colore americana “Buffalo”, i giovani ricevevano, se diretti a Giustagnana, sei scatolette, di cui tre di carne, e le altre tre di generi diversi (mais, frutta, piselli ecc.ecc.) , mentre il compenso aumentava fino a otto scatolette ( quattro di carne e le restanti di cibo diverso) per i rifornimenti portati fino a Minazzana.Non era molto il compenso fissato dagli americani per questi trasporti, tenuto conto del piccolo formato dello scatolame da loro dato, ma ciò che gli adoloscenti ricevevano in cambio di prestazioni durissime, al limite della sopportazione, dato il peso delle cassette caricate sulle spalle, veniva accettato con gioia e gratitudine perché indispensabile ad essi e alle proprie famiglie per sopravvivere. Finita la guerra questi ragazzi vennero tutti dimenticati; nessun attestato di benemerenza fu loro concesso dagli americani per l'attività umile ma molto importante svolta silenziosamente e che certamente contribuì a rendere più efficiente l'azione operativa delle truppe alleate, impegnate in prima linea. Fu durante una mattinata di quei giorni iniziali del dicembre 1944 che alcuni giovani che erano saliti fino a Minazzana ebbero l'incarico di trasportare munizioni in località Bovalica, dove si trovavavno gli avamposti degli americani, mentre i tedeschi si erano trincerati sul Monte Cavallo.Questo incarico fu accolto con un sospiro di sollievo. A casa quella sera non sarebbero ritornati a mani vuote, come purtroppo era accaduto altre volte.Un ragazzo quindicenne calzava un paio di scarpe di tela con la suola di gomma, molto malandate. L'alluce del piede sinistro fuoriusciva dal buco che si era formato sulla stoffa consumata. Lo confortava soltanto il fatto di portare calzettoni di lana. Mentre si arrampicava su i sentieri irti e scoscesi,ad un certo punto, avvertì un dolore i piedi, non protetti dal nevischio che calpestava. “Speriamo che non mi prenda la pena che già ho sofferto in altre occasioni”, pensò il ragazzo, quando col fazzoletto si asciugò il copioso sudore dalla fronte china sotto il pesante carico. Dopo una quarantina di minuti di marcia i giovani ragazzi che sin da Minazzana erano stati seguiti da due soldati americani, armati di fucile, reggiunsero la zona, dove nelle buche scavate stavano acquattati i soldati americani. Appena arrivati seppero che durante uno scontro a fuoco coi tedeschi, avvenuto nella notte era rimasto ucciso un giovane soldato americano che i suoi commilitoni avevano già disteso e legato, con una cordicella su una barella. Da sotto la coperta, nella quale il cadavere era stato pietosamente avvolto, spuntavano solo i piedi calzanti stivaletti del tipo anfibio, in ottimo stato d'uso. “Paesà portare fino a Giustagnana?, disse il soldato che aveva il comando della pattuglia, dopo aver mostrato ai ragazzi la salma del militare caduto. “ Sì, Sì, , risposero tutti senza alcuna esitazione pensando subito al supplemento di scatolette che avrebbero ricevuto per questo imprevisto incarico.“ Come on!, come on” ordinò l' americano nel riprendere il fucile che aveva posato sull'orlo di una buca. Iniziò così il trasporto che fu effettuato a turno, da due ragazzi per volta.Quando fu di turno il ragazzo con le scarpe di tela, questi ebbe più volte l'occasione di vedere sotto i suoi occhi gli stivaletti del soldato morto, allorché nei tratti più ripidi del sentiero il corpo del militare ucciso si spostava continuamente in avanti fino a sentirne la sua costante pressione sul proprio corpo, anché perché la cordicella non era stata ben stretta alla barella. Fu proprio in quei momenti che il ragazzo pensò che se avesse potuto avere quegli stivaletti le sue sofferenze sarebbero finite. No! Calzare le scarpe tolte dai piedi di un soldato appena ucciso, gli appariva un fatto davvero inconcepibile.
“ No! Non devo neppure pensarlo”. Ecco cosa passava nella testa del giovane mentre camminava. Attraversata la località Castagnola fu raggiunta la Cappella. Da lì, percorrendo la mulattiera, finalmente il gruppo arrivò a Giustagnana. Posata la barella, il ragazzo stanco e con i piedi doloranti, che aveva sempre in mente gli stivaletti dell'americano ucciso, si tolse le sue cenciose scarpe e i calzettoni intrisi d'acqua. La pelle dei suoi piedi era divenuta bianchissima, come un lenzuolo fresco di bucato, o come se fosse stato scalzo per molto tempo nelle acque del fiume. Passò più volte il fazzoletto ancora bagnato fra le dita dei suoi arti inferiori.
“ Paisà, vedi i miei piedi come sono conciati male?” Nel dirgli queste parole, mostrò all'americano le sue stracciose scarpe. Aiutandosi coi gesti voleva rappresentare al soldato il bisogno che aveva di un paio di scarpe, ma l'americano non comprendeva il problema che affliggeva il ragazzo. Lui, il soldato,i piedi li aveva sicuramente asciutti e ben caldi. Il cuore dell'adoloscente batteva forte nella sua cassa toracica. Fu in quell'attimo che senza neppure rendersene conto, trovò il coraggio e la forza per dire, “ Paesà posso prenderli?!” Nel dire queste parole, posò contemporaneamente il suo squardo sugli stivaletti dell'americano morto. “Non posso farne a meno” avrebbe voluto ancora dirgli, ma non ebbe il tempo per continuare il discorso. Un violentissimo schiaffo del comandante della pattuglia lo colpi al viso. Chiuse gli occhi per il dolore che aveva sentito tanto da fargli vedere anche le stelle. Piangeva il ragazzo, mentre udiva le grida del soldato oramai in preda ad una rabbia incontrollata. Lo cacciò via questo giovanissimo gridandogli “ Let's Go! Let's Go! “ A piedi scalzi e con in mano le sue vecchie scarpe e i calzettoni strizzati si allontanò dal gruppo. Quel giorno i suoi compagni ricevettero il solito cibo in quantità maggiore per il trasporto effettuato della salma. A lui che aveva faticato e rischiato la vita come loro, non fu dato nulla. Eravamo alla vigilia del Santo Natale e questa ricorrenza della natività di Gesù Cristo Redentore, avrebbe dovuto aprire il cuore del soldato all'amore e alla comprensione specialmente nei confronti delle creature umane più indifese, vittime innocenti di una guerra tremenda,Ma il conflitto che lo vedeva schierato in prima linea non lo mosse a compassione. Infatti rimase fermo e spietato nell'atteggiamento violento assunto nei confronti del ragazzo, che a suo modo lottava quotidianamente , senza il fucile in mano, per non morire di fame. Sì lottava ogni giorno una dura battaglia perché i suoi occhi non si chiudessero anzitempo, ma potesero ancora spalancarsi su un mondo migliore senza più guerre generatrici, sin dai tempi più antichi, di rovine e di morte.

Per il costante aiuto che seppe dare ai soldati americani per sette mesi in guerra sulla Linea Gotica, questo ragazzo, che fu un mio grande amico, meritava una ricompensa al suo valore. Purtroppo è scomparso qualche anno fa. Ora la sua anima aleggia negli spazi infiniti del cielo dove riposano gli eroi senza medaglia.

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