martedì 29 giugno 2010

VIDI KESSELRING A SERAVEZZA E LE CASE SALTARONO IN ARIA

Vigilia di distruzioni nell’agosto del 1944

Nel mese di agosto 1944 percorsi frequentemente le vie deserte, assolate e silenziose di Seravezza. Faceva impressione non vedere nessuno lungo i murelli del fiume, sotto i platani, dirimpetto all’ospedale di solito gremiti di gente. Dalla cave non giungevano più i fragori dei sassi rotolanti lungo i ravaneti né quelli provocati dall’esplosione delle mine. Seravezza appariva un centro abitato senza vita, sì sembrava un paese morto con le porte e le finestre delle sue case chiuse. Soltanto l’acqua dei fiumi, limpida come non mai, continuava a scorrere verso il mare. In quel mese Seravezza fu visitata da un gruppo di alti ufficiali tedeschi, uno dei quali era il feldmaresciallo Albert Kesselring, il comandante delle truppe germaniche in Italia, che ebbi modo di riconoscere vedendo le sue fotografie pubblicate su riviste del dopoguerra. Data l’importanza strategica che assunse la zona che fu l’estremo limite della famosa Linea Gotica, era un fatto normale che Kesselring si rendesse conto di persona dei luoghi dove per sette mesi le sue truppe fermarono l’avanzata delle armate alleate. La visita del gruppo di alti ufficiali avvenne prima che venissero distrutti gli antichi rioni del Ponticello e della Fucina, ricchi di tesori quali erano la chiesa della Santissima Annunziata, tutta rivestita di marmo al suo interno, con attaccata la casa che fu abitata dal 1518 al 1520 da Michelangiolo Buonarroti, quando si recò, per volere di Papa X, sulle cave del Trambiserra per estrarre le colonne di marmo che gli servivano per la facciata del San Lorenzo di Firenze, un’opera che non fu mai realizzata e per aprire sul Monte Altissimo le cave del marmo statuario che gli serviva per le sue opere. Tutto fu distrutto: il campanile con il bellissimo orologio, la segheria del Salvatori, costruita nel 1926 tutta in cemento armato. Anche i vicini paesi di Corvaia e di Ripa furono completamente rasi al suolo.
Vidi Kesselring e i suoi ufficiali quel giorno in cui stavo ritornando al rifugio di Giustagnana, dopo essere stato nella mattinata nei pressi del Cardoso per fare macinare un sacchettino di granturco. Se in quel periodo di tempo era difficile procurarsi tale cereale, coloro che ne avevano la disponibilità, chiuso il molino del Bonci di Seravezza, incontravano molte difficoltà a farlo macinare. Il molino dove mi recai quella mattina era ubicato sotto la strada, vicino al canale. Probabilmente era stato messo in funzione da poco tempo per far fronte alle necessità del momento. L’attività veniva svolta in un piccolissimo locale con il tetto molto basso che mi sembrò privo delle caratteristiche di un opificio della specie tradizionale. Secondo l’ impressione che riportai l’uomo che l’aveva attivato, prima dello sfollamento doveva avere un proprio laboratorio di marmo. Con l’esercizio improvvisato del molino poteva trattenersi un po’ di farina a titolo di compenso per la macinatura dei chicchi del granturco e di quant’altro. In questo modo patì di meno la fame che allora fu sofferta da molta popolazione della Versilia. Ricordo con quanta attenzione si muoveva intorno alla macina e come sfiorava il pollice sulle altre dita ricoperte di farina per accertarsi che fosse ben macinata. Un uomo in gamba. Non mi chiese nulla per questa macinatura, verosimilmente, a mia insaputa, si trattenne un po’ di farina. Mi sentivo particolarmente felice e contento quando iniziai il viaggio per fare ritorno al rifugio con il mio sacchettino di farina sulle spalle. Mi sembrava di possedere un tesoro. Sapere che a Giustagnana mi aspettavano per fare la polenta attenuava la fatica maggiormente sentita dato che non toccavo cibo da diverse ore. Giunto a Seravezza, dopo aver attraversato Torcicoda, giunsi in fondo al Canaletto dove mi fermai, per un attimo, di colpo. Saranno state le ore 18 pomeridiane. Ferma davanti all’ospedale, tra il murello del fiume e il giardinetto, c’era una camionetta scoperta tedesca con la parte anteriore volta verso il ponte della Passerella, con a bordo tre o quattro ufficiali tedeschi che dai loro distintivi, come constatai poco dopo, potetti rilevare che erano di alto grado. Kesselring stava a terra con un piede sulla ruota posteriore sinistra dell’automezzo; vestiva la divisa sahariana. Tutti avevano il capo chino su delle carte topografiche spiegate sotto i loro occhi. Non avevano militari di scorta. Quando sbucai in fondo al Canaletto volsero i loro sguardi allarmati su di me. Ebbi l’impressione che qualcuno , temendo un’agguato, posò la mano sulla pistola che portava nella fondina attaccata alla cintura. Lì per lì pensai di ritornare indietro, ma poi ritenni più opportuno continuare ad andare avanti come se nulla fosse. Fu in quel momento che avvertii un senso di paura. Proseguii il cammino stringendo forte nelle mani il sacchettino come se fosse uno scudo, Passai vicinissimo agli ufficiali tedeschi senza rivolgergli un cenno di saluto. Dal timore che provavo non ebbi neppure la forza per guardarli in faccia. Li sentii parlare senza che io capissi quello che dicevano. A passo svelto, in un susseguirsi di emozioni, mi allontanai. Giunto sopra Riomagno ero stremato. Mi aggiaccai in una piana e lì riposai a lungo. Erano già calate le prime ombre della sera quando ripresi l’arrampicata. Prima di arrivare a Giustagnana, dalla cima del monte Canala o del Castellaccio furono sparate diverse raffiche di mitragliatrice. Era visibile la traiettoria dei proiettili luminosi che raggiunsero proprio la zona che stavo percorrendo, fortunatamente senza colpirmi.. Poco tempo dopo aver visto Kesselring a Seravezza iniziò la distruzione di una parte del suo centro abitato, dal sottomonte, a partire da Riomagno fino alla Fucina. Fu così deturpato dal grigiore delle macerie il paesaggio di Seravezza e dintorni,un’autentica tavolozza, forse il più bello della Versilia, coi suoi monti a ridosso del maestoso Altissimo pieni di verde dai toni intensi e nello stesso tempo più sfumati, e con le cave ricche di marmi dai colori diversi, un vero splendore. Nell’agosto del 1944, nell’oltretomba, credo che abbia pianto anche Giuseppe Viner che seppe ben dipingere e far brillare con colori puri, il paesaggio della sua e della nostra Seravezza.

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