mercoledì 7 marzo 2018

Chierichetto a Seravezza i primi anni del 1940


All’inizio degli anni 40 iniziai a frequentare la  parrocchia  di Seravezza, facente parte della Diocesi di Pisa, nella cui canonica si riunivano festosi  molti ragazzi. Ricordo che  c‘erano tanti chierichetti che dedicavano il loro tempo libero ad assistere  i sacerdoti quando celebravano le Sante Messe e le altre funzioni religiose che erano i   Vespri cantati, le  Processioni, i  Battesimi, la scopertura del  quadro della Madonna del Soccorso, i Matrimoni  ed i  Funerali dei nostri parrocchiani defunti.
 Siccome vidi che fra noi ragazzi c’era amore,  rispetto e gioia di vivere, decisi anch’io di divenire un chierichetto iniziando, prima di ogni altra cosa, a servire la Santa Messa che allora si celebrava in  latino.
In quel tempo ero già grandicello, forse  frequentavo la terza o quarta classe elementare. Ricordo che nel giorno della festa delle Palme sin da quando ero più piccolo di età, noi bambini andavamo in chiesa portando ognuno di noi i palmizi  dentro i quali c’era una piccolissima figura del neonato bambino Gesù,  formato da un impasto zuccherino  secco, che, terminata   la festa,   lo succhiavamo, provando anche  un certa emozione facendolo disciogliere  nella nostra bocca.  Quindi pensandoci bene , non fui mosso dalla ricerca di un qualcosa di nuovo per passare le giornate, ma perché sentivo di essere attratto dalla fede nel Cristo Redentore, che era stato inchiodato sulla Croce per salvare l’Umanità dal peccato originale. Durante la sua vita terrena Gesù compì miracoli  incredibili, quali furono la moltiplicazione dei pani, far risuscitare Lazzaro , infine salì in cielo dopo la sua morte inchiodato sulla Croce per vivere accanto al suo ed anche nostro Padre celeste. Sentii da piccolo che Gesù aveva conquistato il mio cuore, perché lui predicava amore, carità e perdono,   il suo emblema è rappresentato dalla Croce.
L’attrazione verso la nostra chiesa aumentò quando sentii parlare di don Giovanni Bosco, il santo  e apostolo  della carità cristiana, nato in contrada Becchis c. di Castelnuovo d’Asti  il 16. 8.1815, deceduto a Torino il 31.1.1888. Si dedicò alla cura dei fanciulli poveri o abbandonati per dare ad essi una educazione ed un mestiere. Per realizzare tutti i suoi ottimi progetti anche  a livello mondiale fondò nel 1859  la Congregazione dei Salesiani, per l’educazione e l’istruzione della gioventù  più bisognosa  e delle figlie  di Maria Ausiliatrice  per le ragazze abbandonate, tant’è che i suoi principi educativi ebbero una grande diffusione nelle parrocchie italiane,  in tutta l’ Europa  e nel Sud America. Fu beatificato il 19 marzo 1929 e proclamato Santo il 1° aprile  1934 da Pio XI.
Ricordo quando d‘inverno mi alzavo molto presto  dal letto  tutto infreddolito e con le mani che mi duolevano perché intirizzite dal freddo (un malessere  chiamato in dialetto versiliese “gronchio”) , mentre raggiungevo,   con gli zoccoletti ai piedi  protetti dai calzettoni di lana di pecora che mi faceva la mia mamma, il Duomo di Seravezza intitolato ai Santissimi Lorenzo e Barbara il cui parroco era monsignor  Angelo Riccomini coadiuvato dal Cappellano  Don Giuseppe Bertini, nato a Barbaricina zona periferica di Pisa, trucidato dalle SS tedesche nel 1944,  medaglia d’oro al valor militare,  di cui ne ha già parlato su Vita Nova del  28.5.2017  Antonio F. Gimignano.
Più di una volta anziché attraversare le strade di un paese ancora non completamente illuminate dalle luci del giorno, mi pareva di percorrere un paesaggio lunare col ghiaccio a forma di candele  formatesi sotto le gronde dei tetti a seguito dello sgocciolio delle ultime gocce della pioggia caduta sulle case di  Seravezza, oppure dallo scioglimento della neve  la cui coltre aveva imbiancato Seravezza.
 Ricordo di avere servito la Santa Messa anche all’ anziano sacerdote Don Binelli che era un cugino della mia mamma,  che spesso vedevo uscire all’ora del pranzo insieme a tutti gli altri impiegati della  filiale  del Monte dei Paschi di Siena di Seravezza , tanto da farmi immaginare  che fosse anche lui un impiegato di questa nostra antica banca Toscana. Sicuramente Don Binelli   doveva conoscere i bisogni della mia famiglia, col babbo cavatore che quando si scatenava il bruttissimo tempo (forte pioggia e caduta della neve)  non poteva raggiungere la cava e quindi  in casa  non avendo altre entrate di   denaro all’infuori di quelle derivanti dal  lavoro di mio padre,  eravamo nell’impossibilità di pagare la spesa che ogni giorno si doveva fare per sopravvivere. Meno male che c’erano i bottegai che segnavano a loro credito le vendite  dei generi alimentari, dando,  la possibilità ai cavatori di saldare i debiti  quando venivano pagati per il loro lavoro. La sopravvivenza di  molte famiglie si deve quindi a questa benemerita categoria di commercianti.

Una mattina don Binelli,  dopo avergli servito la Santa Messa si avvicinò a me mettendo nelle mie mani mezza lira,  dicendomi:  “Mettila in  tasca e non ci rumare. Non la devi  spendere, devi darla alla tua mamma. “ Appena arrivai a casa diedi,  con molta gioia,  quella mezza lira alla mia cara mamma.
I recenti gravissimi episodi che vedono coinvolti la cosiddette baby gang mi hanno  fatto ripensare  agli anni in cui  anch’io  ero un piccolo fanciullo  che però voleva crescere e vivere nella fede in santa pace con tutti i miei coetanei e non nel disordine  e nella violenza.


                                                                                                                                      Renato Sacchelli