giovedì 26 ottobre 2017

Ricordo dell'amico don Giorgio Servi

Conservo un ricordo sempre vivo nel cuore del sacerdote pisano don Giorgio Servi, che conobbi verso la fine dell’anno 1984, da quando, con la famiglia mi trasferii da Pisa a Casciavola, nel Comune di Cascina. Tutte le mattine attendevo l'autobus per arrivare in città, dove si trovava il reparto della Guardia di finanza cui ero in forza. Lui usciva dal cancello delle suore dell’ordine di S. Antonio, che gestivano un asilo infantile, dopo aver celebrato la Messa nella chiesina annessa al loro fabbricato, che don Giorgio raggiungeva ogni giorno, al mattino presto, salendo su uno dei primi bus che partivano da Pisa diretti a Pontedera. Quando l’automezzo non era affollato mi sedevo sempre accanto a lui. Mi raccontava molte cose interessanti.

Don Giorgio era nato nell’inverno del 1926 dopo che il “carro di Tespi” e alcuni carrozzoni giunsero a Fusignano (Ferrara) con a bordo i teatranti della Celebre Compagnia Drammatica, che doveva recitare il lavoro teatrale intitolato “Stefano Pelloni il Passatore”, dramma storico in 6 atti e 9 quadri, incentrato sulla vita del famoso bandito della Romagna che fu appunto il Pelloni. La compagnia era diretta dal capo della famiglia, Ubaldo Servi (padre del futuro sacerdote don Giorgio), che era anche l’attore più importante del gruppo insieme alla moglie, prima attrice.

Qualche volta, durante i nostri brevi viaggi per Pisa, capitava che non riuscendo a concludere gli argomenti trattati appena arrivavamo in città don Giorgio mi accompagnasse, a piedi, fino al ponte Solferino, in modo tale da poter terminare i suoi racconti. La mamma di don Giorgio quando giunse a Fusignano era agli ultimi giorni di gravidanza. Infatti, subito dopo l'arrivo nella località romagnola, partorì il figlioletto, che dopo la nascita venne lasciato a succhiare il latte dal seno di un'ottima balia, che lo allevò fino al 18° mese. Don Giorgio mi fece anche un drammatico racconto, relativo al devastante bombardamento aereo effettuato su Pisa dalle fortezze volanti americane il 31 agosto 1943, che procurò moltissimi morti, feriti e ingenti danni (leggi qui il racconto del bombardamento).

Alle ore 7 del 2 luglio 1950 nella primaziale di Pisa l'Arcivescovo Ugo Camozzo chiamò Giorgio Servi sacerdote per il popolo cristiano, consacrandolo ed immettendolo come “cadetto pastore”, prima di affidargli ulteriori incarichi. La commozione unita alla sua fresca purezza gli fecero sognare opere e conversioni grandiose. Ma il suo impatto con Dio fu indovinato e giusto, tanto da rallegrare per sempre la sua scelta di vita. Dalle sue dotte omelie, che sgorgavano dal cuore e si basavano sulla lettura approfondita dei Vangeli e sugli esempi di vita terrena del nostro Redentore, mi resi conto di quanto fosse grande la fede che don Giorgio nutriva verso il Creatore. Egli rivolgeva sempre il suo pensiero affettuoso nei confronti dei più bisognosi, dei poveri e degli ammalati, e invocava l’aiuto di Dio affinché tutti potessero trovare ristoro dalla sofferenze, non solo fisiche.

Che bello fu per me poterlo ascoltare quando mi raccontò che da giovane, oltre ad essere tifoso della Juventus ebbe una grande passione per il calcio fino ad arrivare a giocare ad ottimi livelli. Fu per questo che i suoi colleghi seminaristi lo nominarono loro capitano. Un giorno il futuro sacerdote don Giorgio disputò una partita contro una squadra che schierava, tra le proprie file, Carlo Annovazzi, un forte giocatore del Milan. Quest'ultimo rimase sorpreso nel vedere giocare così bene il giovane seminarista. Quando durante una fase di gioco si trovarono vicini, sul campo, Annovazzi gli chiese se per caso giocasse in serie B.

Nei giorni festosi del Santo Natale e della Santa Pasqua, in cui i mezzi pubblici non circolavano, lo andavo a prendere a Pisa per portarlo con la mia vecchia auto a Casciavola, dove rimaneva per celebrare la Santa Messa dalle suore Antoniane. Al termine della celebrazione lo riportavo nella città della torre pendente. Nelle sue preghiere don Giorgio pronunciava sempre parole di amore volte a glorificare la nostra fede cristiana, dichiarandosi un umile e povero pastore del gregge di Dio. 

Quando divenne prete fu nominato parroco della più povera parrocchia dell’alta Versilia, Basati, il paese dove era nata la mia cara nonna materna, Marianna Marrai. Nella comunità di Basati, dove fu parroco per nove anni, don Giorgio fu un abile camminatore di Dio, con scarponi ai piedi e zaino sulle spalle per il pane quotidiano, molto faticoso per un sacerdote che operava tra le rocce e i castagni. Basati, però, gli è sempre rimasta nel cuore. Quando le circolari mandate dalla Curia lo ammonivano per la scarsa partecipazione della sua parrocchia rispetto a quanto facevano altre, che presumibilmente avevano più congrue rendite, per attenuare il suo dispiacere don Giorgio metteva fuori dalla finestra, al freddo della notte e al sibilo del vento della tramontana (chiamata “cavallaccia”), le lettere che aveva ricevuto, e al mattino le riponeva malconce in casa, tirando un sospiro di sollievo.

In occasione della processione del Corpus Domini un anno disse alle ragazze di portare loro il baldacchino e quando uscirono dalla Chiesa tra gli uomini esterrefatti udì la voce del capo sezione del Pci bofonchiare... dopodiché, con alcune occhiate d’intesa, furono i giovanotti a sostenere lo sforzo portando le aste dorate. Il suono amichevole delle campane era reso più convincente quando i fiaschi di vino ungevano le funi ai sonatori, tanto da non sentire lo sfregamento delle corde sulla pelle delle loro mani. Le feste paesane erano attese sempre con trepidazione, come se si trattasse dell’arrivo di re o principi: mentre si riunivano i comitati, che promuovevano adunanze, raccolte e sonetti per i minori del paese e per le famiglie, le mense si rallegravano per la gente accorsa numerosa da fuori per gustare i buonissimi e nutrienti tordelli preparati dalle casalinghe, e i preti delle vicine parrocchie si ritrovavano per la Messa e per i Vespri. L’organo diffondeva note musicali che facevano vibrare sempre di più il cuore dei fedeli. Talvolta capitava che le campane suonassero “al fuoco”, nottetempo, per chiamare i parrocchiani a spegnere gli incendi seguendo l'ordine del parroco, unico tutore della legge e della sicurezza.Basati era abitata da famiglie povere e buone, ospitali ed umili, che trasmettevano a don Giorgio una sensazione di responsabilità e fiducia nei suoi interventi a vantaggio dell’intera Comunità. Verde vallata era, ed è tuttora, quella di Basati percorsa da piccoli ruscelli “chiacchieroni” e puliti che cambiano volto solo quando arrivano al piano, giungendoci contenti perché aiutano l’operosa volontà dell’uomo di cava, di segheria e di laboratorio della Versilia”: ecco un altro dei tanti bei pensieri scritti da don Giorgio nel suo bellissimo libretto intitolato “Serse da Pisa” che lui mi volle donare un giorno.

Per diversi anni don Giorgio prestò servizio quotidiano nelle colonie estive. Furono anni per lui molto belli, in quanto udiva il linguaggio del mare al quale rispondeva con le preghiere rivolte a Dio. Conobbe poi il servizio quotidiano svolto nel Pian di Pisa. Un periodo che visse con stanchezza, per l'età avanzata, ma anche con grande freschezza spirituale, per avere lì trovato e portato gioia, con le sue celebrazioni, alle Suore Antoniane. Alla luce del bene che nutrivo nei suoi confronti più di una volta lo invitai a cena a casa mia, dove veniva sempre accolto con grande festa dai miei familiari. Quando arrivava il momento del caffè e gli veniva messa la tazzina nel posto che lui occupava, a tavola, lo beveva solo dopo averlo versato nel piattino, precisando, mentre tutti noi sorridevamo, che così lo sorseggiava il cardinale Svampa. Mi sembra doveroso e opportuno elencare, qui di seguito, l’attività sacerdotale svolta da don Giorgio durante la sua vita.

Inizio da Basati, che fu per lui una grande palestra di zelo e semplicità, e dove fu amatissimo dalla popolazione; il breve mostrarsi a Palazzi gli valse come giro di volta per correggere il precedente comportamento di timidezza che ebbe verso gli altri di ogni grado; la dolce pausa a Forte dei Marmi gli ridiede la fiducia in sé e nei confronti della gente che conobbe; il cappellanato agli Istituti Riuniti lo rese amichevole educatore dei giovani che valse anche per il servizio comandato; l’insegnamento religioso nella scuola media lo rese amico di tanti ragazzi e famiglie; la collaborazione in S. Pierino con don Burgalassi gli aprì la mente verso gli interessi culturali; il servizio volontario ai Cavalieri lo vide generoso servitore; la libera collaborazione all’Associazione diocesana del clero lo vide festosamente impegnato; il servizio triennale ripetuto come confessore delle suore lo tenne spiritualmente fertile; ritenne magnifiche le esperienze di Assistente Scout che ebbe per circa venti anni; i servizi prestati in occasione delle feste di S. Matteo e S. Antonio, e presso l'Arcivescovado, lo misero a stretto contatto con il mondo giovanile cristiano; le varie supplenze interinali nelle parrocchie di San Pierino e San Prospero, affidategli dal Superiore e la guida spirituale del movimento Vedovile di spiritualità lo tenne mensilmente impegnato nella chiesa dei Galletti per oltre 10 anni. Svolse altre attività prettamente clericali, come la predicazione di esercizi alle suore o in grandi parrocchie che fecero sentire a don Giorgio di essere stato un prete sereno e felice.

Un anno chiesi al signor Comandante del Gruppo di Pisa della Guardia di finanza di invitare don Giorgio a partecipare alla bella festa per la ricorrenza della fondazione del nostro Corpo, risalente al 1774. La mia richiesta fu accolta. Fui felice quando vidi il nostro arcivescovo, il compianto monsignor Alessandro Plotti, celebrare nel cortile della nostra caserma la Santa Messa, con al fianco, come concelebrante, don Giorgio Servi, che in quella occasione indossò un nuovo abito talare. Il padre di don Giorgio, l'attore Ubaldo Servi, era stato un letterato cattolico molto apprezzato, come dimostrò con una sua opera teatrale sulla Passione di Gesù che fu molto gradita dal Vescovo e da tutti gli spettatori. Egli terminò l’attività di attore e regista nel 1931, per esercitare successivamente l’attività di bancario. Quando suo figlio era parroco di Basati andò a trovarlo per stare un po' insieme a lui. Purtroppo però il tempo fu troppo breve: fu colpito, infatti, da un infarto che lasciò nel più profondo dolore il figlio don Giorgio.

Una bella fotografia di don Giorgio (vedi a lato) ritratto insieme a Piero, Dario Giannini, Luciano Leonardi, l’ho trovata stampata sul bel libro intitolato “Sui sentieri delle Apuane” scritto dal compianto don Florio Giannini, fondatore della rivista cattolica “II Dialogo” e parroco di Ruosina e successivamente del Tonfano, a Marina di Pietrasanta. Detta foto, con l’immagine del corpo di Gesù crocifisso, reca anche le annotazioni “Traversata” e l’anno 1958. Mi è rimasta sempre nel cuore la rivista fondata da don Florio, di cui ero abbonato e appassionato collaboratore. Quale pastore delle anime dei fedeli, don Giorgio fu sempre più vicino ai fedeli della chiesa del Signore. Oltre che nelle chiese celebrò funzioni religiose in più di 500 altari: caserme, campeggi, cimiteri, rettorie, fabbriche, Circo Medrano, Palazzo della Provincia, istituti religiosi oltre ad alcuni altari improvvisati su dighe, cave di marmo, alberghi, pinete, spiagge. Da livello 0, a bordo di navi nel mar Tirreno e nell’Adriatico, salì fino ai 2757 metri della Cima Coppi, al passo dello Stelvio. Con i suoi confratelli sacerdoti ebbe rapporti consolanti che lo arricchirono. Nel suo libretto ha ricordato don Borla, don Virgili, don Burgalassi ed altri che gli sono stati fratelli nell’aiuto e nel consiglio, come ad esempio don Innocente e il suo seminarista in Versilia, don Leonardi. Ma anche don Luigi Morra, cappellano militare della 46^ Brigata Aerea di Pisa, che lo introdusse in un ambiente che quando era giovane aveva chiesto di poter frequentare al suo superiore, sempre ottenendo una risposta negativa.

Don Giorgio fu legato da vincoli di fraterna amicizia anche con l'allora parroco della Cappella, don Hermes Lupi (ora monsignore e parroco a Seravezza). Don Hermes è un grande sacerdote amato da tutta la popolazione seravezzina. Molti anni fa vidi arrivare don Giorgio con molta sorpresa a Seravezza, dove mi trovavo a trascorrere un periodo di riposo estivo nella casa di mio suocero, Giuseppe Pucci. Don Giorgio viaggiava a bordo di una Vespa. Mi disse che doveva salire alla Cappella, dove era parroco il suo confratello e amico don Hermes Lupi.

In occasione della Messa d’argento l'arcivescovo di Pisa, Benvenuto Matteucci, dimostrò molta generosità nei confronti di don Giorgio, offrendogli un bellissimo pellegrinaggio in Francia mentre altri due confratelli, don Sabucco, parroco di Forte dei Marmi, e Borlas, gli offrirono un pellegrinaggio in Israele, di cui lui fece un bel resoconto pubblicato nella diocesi di Pisa e a Gerusalemme, che successivamente donò anche a me. Ricordo il dispiacere che mi manifestò quando subì un furto, nella sua modesta abitazione, da alcuni malviventi che avevano gettato a terra tutta la biancheria e gli abiti che teneva riposti con ordine nei cassetti del canterale e nell’armadio. Sotto agli abiti rinvenne anche il calice che usava quando celebrava la Santa Messa. Gli rubarono delle monetine che aveva raccolto quando era andato in pellegrinaggio a Gerusalemme, a Roma ed in altre località dove esistevano basiliche e famosi santuari cristiani. Quando fu sfrattato dalla casa in cui abitava a Pisa non riuscì a trovarne un’altra in cui andare ad abitare né trovò una stanza per poter dormire. Non trovò aiuto da nessuno, e questo indubbiamente lo fece molto soffrire. Accettò, alla fine, la proposta di andare a stare presso una anziana signora di profonda fede cristiana che abitava vicina alla chiesa della Parrocchia di Sant'Ermete, a Forte dei Marmi. Nel periodo in cui era stato parroco del Forte don Sabucco, questi si era avvalso della collaborazione di don Giorgio. Fu per questo fatto che tale chiesa rimase sempre nel cuore di don Giorgio. In quegli anni don Sabucco inviò una lettera a don Giorgio che iniziava così: “Al caro puntello spirituale di Forte dei Marmi…”. Credo che sia stata questa grande e meritata considerazione a convincere don Giorgio a trasferirsi in Versilia.

Quando andai a trovarlo nella sua nuova abitazione mi disse che aveva avuto un infarto che lo aveva scosso e fatto molto soffrire, aggiungendo anche: “Ora non ci vedo più “. Appena seppi che era stato ricoverato in gravi condizioni all’ospedale vicino al Lido di Camaiore, andai a visitarlo. Lo trovai disteso su un lettino. Soffriva molto e si lamentava. Accanto stava seduta su una sedia una giovane donna che lo assisteva. Subito gli dissi: “Don Giorgio, sono il maresciallo Sacchelli”. A fatica e con scarsa intellegibilità ripetette “ma-re-sci-al-lo, Sac-chel-li” , emettendo anche dei rantoli che mi fecero capire che stava per morire. Infatti il 2 febbraio 2005 si spense. Trovai conforto dalla certezza che subito dopo il decesso la sua anima era subito volata nella casa del nostro Padre Celeste, per vivere in eterno accanto ai suoi genitori, ai suoi cari defunti ed a tutti coloro che lo conobbero e gli vollero bene. Quando uscii dall’ospedale non pensai di dare il numero della mia utenza telefonica alla donna che assisteva don Giorgio, perché lo desse a qualcuno dei suoi nipoti o alla signora presso la quale era stato accolto a Forte dei Marmi. Fu a causa di questa mia imperdonabile dimenticanza che non mi venne comunicata la morte di don Giorgio, motivo per cui non partecipai al suo funerale. 

Voglio ricordare che quando gli lessi, nel 1989, la mia poesia “Due Angeli nel pozzo”, dedicata alla memoria del piccolo Alfredino Rampi (morto a Vermicino nel 1981 dopo essere caduto in un pozzo artesiano), l’ultima parola scritta, “Paradiso”, è sua. Fu lui che volle che l’aggiungessi subito dopo che gliel'avevo letta. È sua anche la presentazione di un mio libretto di poesie (C. Cursi editore 1989) che volle firmare anonimamente, “un amico”. Ho sempre vivo nel cuore il suo pensiero su ciò che scrivevo in merito alla fede cristiana da me sempre fortemente sentita, facendomi intendere che era stato Dio a scegliermi per diffondere le parole di amore, carità e perdono e quant’altro espresse Gesù Cristo quando discese fra gli uomini in terra. Ebbi da lui anche il dono di una bella penna a sfera “Aurora”: gli dissi che non doveva donarmi nulla ma lui non volle ascoltarmi. Quando si trasferì a Forte dei Marmi mi volle regalare anche diversi bellissimi volumi sulla storia del calcio, di cui era grande appassionato.

Caro don Giorgio, spero che le mie parole possa sentirle lassù nel Cielo: le confesso che le ho voluto tanto bene. Mi perdoni se non gliel’ho mai detto, ma voglio pensare che in anni lontani lei abbia compreso questo mio muto pensiero che ho sempre avuto nei suoi confronti.

Concludo rivolgendo il mio pensiero a nostro Dio Misericordioso perché, quando morirò, accolga la mia anima in cielo per poter rivedere tutti i miei cari e l'amico don Giorgio.