lunedì 21 giugno 2010

L’otto settembre nei ricordi di un ragazzo (capitolo 2)

Il pomeriggio dell’otto settembre 1943 stavo percorrendo a piedi l’ultimo tratto di strada che dall'antica Corvaia, rasa al suolo dai tedeschi nell'estate del 1944, conduceva a Seravezza (Lu). Provenivo da Querceta dove mi aveva mandato la mia nonna materna per chiedere a sua sorella Marietta, proprietaria di un forno, se poteva mandarle un pezzetto di pane, un po’ di farina ed una cartata di carbonella. Dello sfilatino di pane che ricevetti me ne rimase solo un cantuccio; quello che mancava l’avevo mangiato io, per la fame che sentii strada facendo. Stavo attraversando il ponte di Pratale quando, in lontananza, vidi un uomo di Corvaia, un ex carabiniere, venire verso di me correndo. Più che correre mi sembrava che stesse ballando. Si ballava, correva e urlava: “Ė finita la guerra! Ė finita la guerra!” Nell’udire una notizia del genere anch’io iniziai a correre giungendo in pochi minuti nel centro del paese. Lì mi fermai davanti al bar trattoria di Poldino dove si erano radunate molte persone per ascoltare il proclama di Badoglio che veniva trasmesso in continuazione dall’ EIAR (Ente italiano per le audizioni radiofoniche). Questa notizia fu, al primo ascolto, accolta con gioia, anche se subito dopo affiorarono i primi dubbi sulla cessazione effettiva del conflitto. “Cosa faranno i tedeschi, fino ad ora nostri alleati?”. Ecco l’interrogativo che si posero tanti uomini animati da buon senso.

L’indomani si diffuse la notizia che nell’oliveto di Mignano, poco distante da Ripa, si era accampato un reparto di soldati tedeschi. Con altri ragazzi della via in cui abitavo raggiunsi in pochi minuti detta località. Mentre correvamo si intonò l’inno “Fratelli d’ Italia”. Sì, noi piccoli ragazzi sentivamo forte l’amore verso la Patria. Appena giunti sul posto la prima cosa che mi colpì fu la constatazione che i giovani soldati tedeschi, molti dei quali stavano a torso nudo, erano ben nutriti, si presentavano bene in carne. Pensai che il cibo ad essi non fosse mai mancato, a differenza nostra. Sotto una grande tenda vidi apparecchi radio che irradiavano in continuazione i segnali dell’alfabeto Morse. In mezzo agli olivi si intravedevano dei grossi carri armati. Tra i soldati ci fu uno scambio di parole; questi ultimi rispondevano sorridendo, anche se era difficili capirli non conoscendo la loro lingua. Il clima mi sembrò sereno e disteso; nulla lasciava presagire reazioni violente contro i nostri soldati, né tanto meno nei confronti della popolazione. Nei giorni successivi molti soldati allo sbando del Regio Esercito Italiano comparvero anche nelle vie di Seravezza, con indosso ancora la divisa militare. Ricordo due di essi quando entrarono in una casa di un mio vicino per uscirne poco dopo vestendo abiti borghesi. Al calcio di un arancio vidi le giberne che si erano tolte; essi proseguirono il cammino per raggiungere le loro case. La guerra purtroppo, non era ancora finita.

Nessun commento: