domenica 13 dicembre 2009

Cascina: festa per i 50 e i 60 anni di matrimonio

Nel pomeriggio del 12 dicembre 2009 il comune di Cascina, nel Salone del Mobile, ha organizzato una cerimonia per festeggiare i 50 e i 60 anni di matrimonio delle coppie di sposi residenti nel comune.
Il signor Sindaco Moreno Franceschini ha consegnato personalmente a tutte le coppie una pergamena da lui firmata con stampati, in bella calligrafia, i nomi degli sposi e l'aggiunta della seguente annotazione: “Nel 50 anniversario del loro matrimonio, con i migliori auguri”, e un bellissimo libro di Paolo Vestri, con prefazione di Gianfranco Raspolli Galletti e illustrazioni di Bartolomeo Pinelli intitolato “Un c'è nnulla di nòvo sott'ar sole”. Alle spose è stata donata una rosa rossa. Ogni singola coppia è stata immortalata con fotografie scattate accanto al primo cittadino. La cerimonia si è conclusa con la consumazione, in un clima gioioso, di un sostanzioso rinfresco offerto dall'Amministrazione comunale.
Anche chi scrive era tra i festeggiati, con la propria sposa. Devo riconoscere che questa cerimonia, arrivata oltre la decima edizione, mi ha molto commosso, perché considero un grande traguardo l'aver raggiunto i 50 anni di matrimonio per l'amore vissuto con la mia sposa, con la quale ho avuto tre splendidi figli (due femmine ed un maschio)
Ringrazio il Signor Sindaco di Cascina per la vicinanza e l'affetto dimostrato verso i partecipanti a questa bella festa.
Grazie anche a tutti coloro che si sono dati da fare per la riuscita di questa significativa cerimonia.

domenica 6 dicembre 2009

E' crudele morire sul posto di lavoro

Dopo due anni trascorsi dal “rogo di Torino” avvenuto il 6 dicembre del 2007, un altro grave incidente mortale è avvenuto nello stabilimento di Terni della ThyssenKrupp, dove é deceduto un operaio di 31 anni colpito dalle esalazioni di sostanze tossiche mentre stava travasando all'aperto , in una tanica, acido cloridico. Tanti sono i lavoratori morti sul lavoro anche nel recente passato. Ricordo i sei deceduti a Mineo in Sicilia , ed il giorno dopo i due morti a Milano e uno a Palermo
Ma com'è possibile che si continui a morire sul posto di lavoro che da sempre rappresenta una fonte di vita? Il dato Inail del primo semestre del 2009 indica in 490 i morti che ci sono stati in Italia, mentre fino allo stesso periodo dell'anno precedente avevano perso la vita 558 uomini, quindi è stato registrato un calo in meno di 50 decessi Il dato comunque rimane sempre impressionante. Le disgrazie purtroppo si sono sempre verificate e l'imponderabile può sempre accadere, ma
l' uomo deve impegnarsi al massimo perché i propri simili possano sempre lavorare con tranquillità e sicurezza: In verità soltanto in Italia vengono considerate morti bianche anche i decessi avvenuti “in itinere”, cioè quando a seguito di gravi incidenti muoiono lungo la strada i prestatori d'opera mentre la percorrevano per raggiungere le fabbriche e i loro cantieri o altri luoghi di lavoro. Esorto i dirigenti a non stancarsi mai di ripetere ai loro sottoposti le leggi esistenti e tutti gli accorgimenti per evitare gravi disgrazie: La prudenza non è mai troppa. Nessun uomo deve scendere in una cisterna per pulirla senza portare la maschera antigas che deve essere utilizzata anche da chi scende nei pozzi per eseguire lavori di pulizia o nelle stive delle navi, per scaricare da esse grano ed altri frumenti. I due operai morti a Milano erano extracomunitari che stavano smontando i ponteggi da una palazzina. Pare che lavorassero in nero. Vivevano alla giornata lavorando dove capitava. E' una vergogna far lavorare uomini, extracomunitari inclusi, senza dare loro nessuna tutela assicurativa e previdenziale. Chi non osserva le leggi esistenti in materia voglio sperare che venga severamente punito
In Italia negli ultimi cinque anni ci sono verificati oltre cinque milioni di infortuni sul lavoro, con oltre 7 mila morti e circa 200mila rimasti con una invalidità permanente. In occasione della recente Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, organizzata dall'Anmil, il Presidente della Repubblica Napolitano ha fatto udire la sua voce. Egli, tra l'altro, ha detto che le morti sul lavoro sono inaccettabili e che questi infortuni potrebbero essere evitati con una sempre più efficace azione di prevenzione e con la rigorosa applicazione delle norme e delle misure tecniche già ora disponibili.Egli è convito che la battaglia contro gli infortuni e le malattite professionali può essere vinta con una sempre più solida cultura della sicurezza, con sistematiche campagne di informazione e di sensibilizzazione, con la diffusione di buone pratiche e la valorizzazione di esempi migliori.
In relazione alla morte dell' operaio a Terni, il vescovo ha detto: “Non possiamo rassegnarci a vedere le fabbriche trasformarsi in luoghi di morte”
Quando frequentavo le scuole di Seravezza udendo le le potenti esplosioni delle mine fatte brillare durante le varate sulle cave del monte Costa, della Cappella e del Trambiserra rimanevo scosso dalla paura. Pensavo anche ai rischi che correvano i nostri cavatori mentre erano intenti al loro durissimo e pericoloso lavoro. Ebbi la prova che i miei timori fossero fondati quando sulla cava della Costa avvenne purtroppo una disgrazia subito dopo una varata. Sotto un blocco di marmo strappato alla montagna rimasero schiacciati alcuni cavatori, tra i quali anche il padre di un mio coetaneo, che si chiamava Donati, che abitava al Loghetto, località poco distante da Riomagno. Anni addietro ho letto un libretto che fece stampare il parroco di Arni, nel quale aveva riportato la lunga fila dei cavatori dell'Alta Versilia morti sul lavoro. Una sofferenza atroce la provai quando nel 1958 fui informato che il mio caro e indimenticato amico Lido Calistri, cresciuto insieme a me , rimase ucciso perché colpito in pieno dal cavo di acciaio che si era spezzato durante le fasi per collocare sotto i telai di una segheria di Seravezza dove lui lavorava un blocco di marmo, messo su un apposito carrello per essere segato.
La speranza è che coloro che sono preposti alla vigilanza dei lavori, direttori; capi reparto ect, facciano osservare scrupolosamnte tutte le disposizionioni atte a salvaguadare la vita dei lavoratori perchè non ci siano più morti sul lavoro.

Renato Sacchelli

giovedì 5 novembre 2009

Bocca corallina

Dalla vecchia barca del nonno
e poi del padre,
si tuffava nelle acque del mare
un giovane pescatore di perle.
Nuotava in apnea sul fondo marino
per afferrare il conchigliosi scrigni,
ed a galla ritornava imitando i salti dei delfini.
Un giorno, fra quelle acque di sogno
sulle quali si specchiava Febo
una ragazza gli venne incontro
Nuotava anche lei in apnea
ed aveva la bocca rossa corallina
con trentadue meravigliose perle
le più pregiate e belle
che la sera ,
scomparso l'astro dietro l'orizzonte,
il pescatore si ritrovò
a baciar sotto il palmizi,
tra il chiaroscuro di un cielo
nel quale splendevano
la luna e miriade di stelle.

lunedì 14 settembre 2009

Mike Bongiorno e la boxe

Se non ricordo male Mike Bongiorno fu il radiocronista dell'incontro eccezionale per il titolo mondiale che circa 50 anni fa venne combattuto in America tra Rocky Marciano e Joè Walcott. Marciano vinse per Ko alla 13^ ripresa dopo essere finito al tappeto appena iniziò lo scontro. Per caso mi trovai quel giorno in un locale pubblico dove venne mandata in onda, non ricordo bene se in differita o meno, questa radiocronaca.
Bongiorno è stato un grande della Tv. Ricordo ancora bene i tempi in cui le sale cinematografiche quando veniva trasmessa la sua famosa trasmissione televisiva intitolata “Lascia o raddoppia?” sospendevano la proiezione del film per far vedere agli spettatori la trasmissione di Mike attraverso un apposito televisore collocato nella sala. Alpinista, sciatore e uomo di mare, nel campo dello spettacolo in Tv Mike Bongiorno fu davvero un grande e geniale conduttore. Per la sua improvvisa scomparsa profondo è stato il rimpianto di tutti quello che lo amavano e lo apprezzavano per l'allegria che, in modo del tutto naturale, lui sapeva suscitare in tv.

giovedì 20 agosto 2009

Alla memoria del finanziere Antonio Zara

Desidero ricordare il finanziere Antonio Zara, ucciso, appena ventenne, in seguito all’azione criminosa dei fedayn di Arafat, avvenuta una trentina di anni fa all’aeroporto internazionale di Fiumicino. Non l’ho mai conosciuto. Di lui mi è rimasta sempre impressa la sua immagine, trasmessa dalla tv, nel momento in cui giaceva disteso e agonizzante ai piedi di una scaletta di un aereo, dopo essere stato raggiunto dai colpi di arma da fuoco. Mentre scrivo mi commuovo ancora. E non mi vergogno a dirlo, nonostante siano trascorsi molti anni da quando venne commesso questo assassinio. Rivedo la sua mano muoversi sulla fondina della pistola che non aveva avuto il tempo di impugnare contro quei fedayn rei di un vile attacco alla nostra nazione, rivedo il suo corpo scosso dal rantolo dell’ultimo respiro. Una immagine davvero agghiacciante. Nel vedere che nella terra dove nacque Gesù la guerra non finisce mai credo proprio, che alla fine di essa si arriverà soltanto quando le due parti concorderanno un piano comune che deve coinvolgere anche i musulmani più integralisti e fanatici perché soltanto dall’amore e dal dialogo con tutte le creature di queste due nazioni, anche di religione diversa, sarà possibile costruire un mondo di pace e finalmente senza più guerre. Basta coi tagliagole, basta con questo continuo scorrere di sangue. Quando fu ucciso il finanziere Antonio Zara chi scrive prestava servizio al Nucleo Regionale pt di Napoli. Ricordo che non ci furono altri morti. Tanti poliziotti furono fatti prigionieri. Costretti a salire su un aero vennero dirottati in Grecia. Antonio Zara ,ponendo la mano sulla fondina, fu l’unico uomo della legge a tentare di opporsi a questa criminosa azione. Non alzò le mani, sapeva qual era il suo dovere e per questo fu barbaramente ucciso.
Sovente ho pensato alla breve vita del finanziere Zara, ricca di sogni finiti anzitempo con lui nella bara. Sì ho sempre pensato ai suoi genitori, familiari ed amici e alla Guardia di Finanza che perse un eroico militare il quale fu insignito di una medaglia d’oro, al valor militare, alla memoria. Questa sua crudele morte fece piangere tutti finanzieri sia in servizio che in congedo. Al lato della piazza d’armi della caserma Piave di Roma, nella quale chi scrive nel 1949 frequentò la scuola allievi finanzieri, è stato eretto un piccolo monumento, con la testa scolpita, mi pare in bronzo, a perenne suo ricordo.
Non alzò le mani, e questo fatto sicuramente ispirò il mio inconscio, a scrivere, negli anni 80, una poesia:

Essere uomini
Non ditemi,
non ripetetemi
che non c’è per l’uomo
una cosa più importante della propria vita
in quanto è bella,
unica e perciò dev’essere
interamente vissuta.
Se per molti questo
è un punto fermo,
ebbene io dico che
mai alzerò le mani
davanti alla pistola
ad un fucile di un bandito.
Perché?
Perché la dignità sentita
di essere uomini
per me è più preziosa della vita.

venerdì 7 agosto 2009

IL PROFESSOR DINO BIGONGIARI A 44 ANNI DALLA SUA MORTE

Non fu una sorpresa per i suoi amici, la notizia della morte di Dino Bigongiari che avvenne nella sua Seravezza il 6 giugno 1965. Da anni lottava contro malattie e disgrazie fisiche tanto da dover subire operazioni dolorose che lo avevano collocato al di fuori dal suo mondo che era quello dell'espressione.
Giuseppe Prezzolini sulla La Nazione del 12 settembre 1965 scrisse, tra l'altro, che Dino “Aveva un tesoro di cognizioni rare; di idee originali; di giudizi taglienti; di opinioni profondamente sentite, e poi di affetti umani gentili, che sbocciavano in atti di carità e insieme, perché non dirlo, di avversioni radicate, di polemiche tenaci e di disprezzi globali , si era in quegli anni affievolito e finalmente quasi scomparso”.

Qualche settimana prima della sua morte, Gianfranco Contini, professore e presidente della società dantesca insieme e il suo collega Carlo Mazzoni andarono, due volte, a trovarlo a Seravezza, per presentargli una copia appena uscita della nuova edizione del De Monarchia, curata da Pier Giorgio Ricci.;era un omaggio dovuto a Dino che dal 1926-27 era impegnato alla correzione del testo di Dante,un lavoro che i dantisti più colti finirono per accettare. Questo suo lavoro era poco conosciuto in quanto le sue proposte erano apparse in lingua inglese su una piccola rivista della Columbia University presso la quale era docente ed anche alla sua nota indifferenza a qualsiasi forma di pubblicità.

Dino Bigongiari, nato a Seravezza nel 1878, fu uno dei tanti uomini incredibili della Toscana sia per quanto riguardava l'originalità che per la singolarità delle loro vite. Fu studioso di Dante con le sue conoscenze rare di latino e di greco; di filosofia; di teologia e di tutto lo scibile umano. Da ragazzo fu un selvaggio che non voleva studiare. Il padre di Dino anche lui originalissimo figlio della Versilia, fu portato dal commercio del marmo e dalla sua passione per il giornalismo a emigrare in India e poi in America dove mandò il figlio a fare il fattorino della Western Union, la società del telegrafo. Furono i consigli del padre a far riprendere gli studi a Dino. Da ragazzo sapeva già il latino bene come l'italiano per averglielo insegnato uno zio prete che lo aveva educato alla caccia e alla lingua di Cesare e dei lirici greci; appena uscito dalla scuola media e dal college senza prendere la laurea era stato chiamato ad insegnare latino nell'università. Era bello, sembrava una statua di Donatello. Nella vita fu cacciatore, nuotatore, marinaio; solo per necessità aveva accettato di essere un docente universitario,una professione che svolse a un alto livello dal 1904 fino agli anni 50 presso la Columbia University di New York. Tutta l'università lo ascoltava con profonda attenzione quando spiegava un passo di Aristotele o di Platone o i misteri copernicani o tolemaici. La fede cristiana aveva domato la sua natura selvaggia che qualche volta pareva recalcitrare, ma il temperamento prendeva la mano fino ad esaltare la sua conquistata umanità, tanto che dalla sua bocca, abituata a far sentire Omero e Dante ai ragazzi americani, uscivano termini irripetibili della parlata versiliese e di Seravezza in particolare. Aveva una cultura immensa acquisita dalla lettura di testi sacri dell'erudizione e non sulle enciclopedie.

Il suo intuito dei testi uncanny (soprannaturale) fu definito così da un collega di Prezzolini. Una volta il Mercati, bibiotecario della vaticana, non ancora cardinale, gli mandò un testo scritto, ricopiato da lui: il Bigongiari rilevò degli errori che nessuno voleva ammettere che fossero stati fatti, forse per fretta, evidentemente dall'illustre paleografo; c'erano infatti questi errori che il Mercati benevolmente li riconobbe. La cultura raffinata e rara del Bigongiari l'aveva seppellita dentro di lui in quanto era accompagnata da un tremenda angoscia dello scrivere che Prezzolini credeva derivasse da qualche a lui ignoto fattore della formazione di Dino, oppure dalle difficoltà di parlare bene di cose vere e utili, tanto da fargli apparire la produzione dei libri come un vaniloquio. Era convinto che tutto fosse già stato scritto dagli antichi e che dal Medio Evo in poi non ci fosse stato nulla di grande importanza, salvo poche eccezioni. Bastava un emistichio, una sola parola o una parte della radice della stessa a far scaturire dalla sua eccezionale memoria collegamenti, allacciamenti e connessioni che arrivavano a colpire per la curiosità e loro giustezza, non soltanto nel settore delle etimologie; ma anche in quelli dei raffronti estetici e soprattutto; fatto più importante, nel campo delle derivazioni di idee. Questo splendido fiore, sbocciato in America. della ormai cultura evanescente greco – latina e cristiana aveva forti radici versiliesi, grazie al seravezzino Dino Bigongiari. Suo padre Anselmo fu un garibaldino agnostico.

Quando stava per ricevere l'olio santo, Dino, sapendo che Prezzolini era fuori dalla sua camera dell'ospedale, lo mandò a chiamare e con quel poco di filo di voce che gli era rimasta di quella che aveva udito tuonare nelle aule universitarie, gli dette la testimonianza della sua fede e della sua amicizia. In punto di morte espresse al suo caro amico quanto egli credeva nel Cristo redentore, pienamente convinto che fosse anche per lui un bene supremo. Tutto ciò non cambiò le idee del grande Prezzolini che ricordò sempre con forte affetto Dino, il quale, nel 1931, lo aveva chiamato ad insegnare alla Columbia Università di New York.

lunedì 3 agosto 2009

Com'è il mare?



Nella sala d'attesa della seconda classe
della stazione di Bologna,
una coppia di sposi, con l'unico bambino,
per la prima volta tutti insieme,
attendevano l'arrivo del treno.
Destinazione: una spiaggia del Tirreno.

Stretta nelle sue manine,
il piccino teneva una barchetta
di plastica colorata
e con la vela bianca,
"Babbino com'é il mare?
Non vedo l'ora di giocare
con te e con la mamma,
m'insegnerai a costruire
castelli di sabbia
e a prendere pesciolini?".

"Si amore, raccoglieremo anche conchiglie
e sassetti levigati, su vieni, stringimi forte
e dammi un bacino".
E mentre le braccia del bambino
accarezzavano il volto del suo babbino,
sotto lo sguardo tenero della mamma,
tra lo sferragliare dei treni in movimento
e in mezzo a numerosi passeggeri,
mani assassine di uomini spietati e senza cuore,
fecero esplodere una potente bomba
che avevan nascosto in una borsa lì abbandonata
con il timer attivato e pronto all'esplosione.

Quando nella stazione devastata
si diradò il fumo e il polverone,
e apparvero tanti corpi dilaniati (*),
appiccicata a pochi resti di creature umane,
orribilmente maciullate,
intatta fu trovata la barchetta,
solo il colore della vela era cambiato:
il sangue l'aveva tinta di rosso.


(*) La strage di Bologna fu compiuta il 2 Agosto 1980. L'attentato causò 85 morti e oltre 200 feriti

:

domenica 2 agosto 2009

Quant'è difficile capire la politica italiana...

Stavano al governo ma erano contro il governo
Ai tempi del governo Moro con alla vicepresidenza, se non ricordo male, Pietro Nenni, nella bella e nobile città di Napoli, ricca di storia e di monumenti, ma con una forte disoccupazione giovanile (ogni anno nelle liste venivano iscritte più di centomila persone) ci fu una grandiosa dimostrazione nazionale di protesta organizzata dalla Cgil contro il governo. Segretario della Cgil mi pare che fosse, in quel tempo, Luciano Lama. Ebbi modo di osservare il passaggio lungo il rettifilo Umberto I di una delle tre grandi colonne di dimostranti, partita dalla Stazione Centrale e diretta in piazza Plebiscito, dove avrebbero parlato gli alti esponenti del movimento sindacale degli operai. Tra lo sventolìo di bandiere rosse, accompagnavano De Martino altri politici del suo partito. Ricordo molto bene che la folta schiera di uomini incolonnati urlava brutte parole all'indirizzo di Moro e del suo governo, mentre i proprietari dei tanti negozi ubicati lungo la via, abbassavano le saracinesche per evitare assalti violenti dai dimostranti più facinorosi. Di fronte a quanto avevo visto coi miei occhi, rimasi incredulo. Infatti mi domandai: “Com'è possibile che alla testa di questo sciopero contro il governo vi fosse il segretario del Partito socialista italiano che faceva parte del governo Moro, contestato dagli stessi lavoratori?”. Una delle tante stranezze della politica italiana.

martedì 21 luglio 2009

Una nuova Luna per sognare...

















Appartengo ad una generazione che ha sognato di poter conoscere le donne che immaginavamo abitassero sulla Luna. Sì, donne dalla pelle di Luna. Il 21 luglio 1969 quando l'uomo mise i piedi sul suolo lunare finì questo mio fantastico sogno. Anni dopo ho sentito il bisogno di scrivere una breve poesia così intitolata: “Una nuova luna per sognare”, pubblicata su "Il mondo di Otaner" il 19 giugno 2008. Ve la ripropongo...


Una nuova Luna per sognare

Per tantissimi anni
l’uomo ha sognato
dolci canzoni d’amore
che facevano vibrare
il cuore degli amanti
che vivevano passioni ardenti
sotto il lume della
splendente, pallida,
verde, sorridente luna;
ricordo, quand’ero giovane,
che ce n’era una anche
tutta algerina.

Quando Neil Armstrong,
sceso dal Lem,
posò i piedi sul suolo
lunare, cosparso
di polvere e sassi

e constatò che tutt’intorno
era grigio e nero,
finì per gli uomini
il bellissimo sogno
che durava fin dall’antichità:

arrivare fin lassù per amare
donne dalla pelle chiara di luna.

Era il ventuno luglio
millenovecentosessantanove,
ore quattro e cinquantasei.

Da allora l’uomo
avverte un gran bisogno
di scoprire una nuova luna
per continuare a sognare,
amare e cantare.

giovedì 30 aprile 2009

Riconciliazione

Ascoltare in tv i discorsi del Presidente della Repubblica e del capo del Governo, solennemente pronunciati il 25 aprile, festa della Liberazione dal nazifascismo, mi ha profondamente commosso. Avere pietà per i Caduti, che in buona fede si schierarono dalla parte sbagliata per continuare a combattere per gli ideali fascisti, è un atto di grande umanità. Questo è il primo sentimento che ogni uomo dovrebbe manifestare se si vuole arrivare finalmente alla auspicata riconciliazione nazionale, dopo un lungo periodo di divisioni e anche, purtroppo, di violenze iniziate dal luglio 1943.

Il pensiero espresso dal nostro premier non si discosta minimamente da quello che anch’io da anni ho sempre pensato. Nel 1943 un giovane ex avanguardista di Seravezza, Mario Pellizzari, che aveva giurato fedeltà alla causa della rivoluzione fascista, con indosso la nuova divisa militare del governo di Mussolini si fermò a parlare con noi ragazzi del Ponticello, ai quali manifestò la sua fede incrollabile nel Duce. Era orgoglioso e felice di questa sua scelta. Poco tempo dopo rimase ucciso durante lo scontro a fuoco con i partigiani, avvenuto sui monti della Lunigiana. Morì un ragazzo puro, certamente vittima della propaganda del regime fascista; la sua memoria è rimasta sempre viva nel mio cuore.

I partigiani ai quali sono riconosciuti i valori fondanti della nostra Repubblica meritano parole di plauso e di riconoscenza, in primis per la difficilissima scelta che fecero quando non risposero alla chiamata alle armi del maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, ministro della guerra della repubblica di Salò, preferendo salire sui monti per iniziare a combattere contro i nazifascisti per riconquistare la libertà, un obiettivo che fu raggiunto grazie anche all’aiuto che essi diedero alle truppe alleate. Alto fu il numero dei Caduti partigiani e dei feriti che combatterono valorosamente contro le truppe nazifasciste.

Mi ha fatto piacere apprendere che Silvio Berlusconi nulla sapeva del disegno di legge sull’ordine del Tricolore che proponeva una onorificenza per dare pari dignità a tutti coloro che parteciparono alla Seconda guerra mondiale. Il premier ha assicurato che quel ddl, che di fatto equiparava i partigiani ai repubblichini, verrà ritirato. La tanto auspicata riconciliazione nazionale credo che debba avvenire senza che venga mai dimenticata l’estrema importanza della lotta partigiana. In Versilia il primo uomo che pensò, all’inizio del 1944, di costituire una banda armata di partigiani fu Gino Lombardi, medaglia d’oro al Valor militare, ucciso il 21 aprile 1944 nel corso di un conflitto a fuoco avvenuto in una caserma fascista di Sarzana. Altri eroici partigiani furono uccisi in Versilia, nel 1944 a seguito di alcuni scontri contro tedeschi e repubblichini. Se nell’anno succitato fossi stato un ragazzo più grande anch’io sarei salito sui monti per combattere a difesa della libertà, bene sacro e inalienabile dell’uomo.

lunedì 2 marzo 2009

Ancora morti sul lavoro

Dopo i sei lavoratori morti a Mineo, in Sicilia, il giorno dopo altri tre uomini hanno perso la vita mentre lavoravano: due a Milano e il terzo a Palermo.La scia di sangue è continuata ad allungarsi in Italia anche negli ultimi tempi. L’elenco di questi morti è in continuo aumento, non sembra mai fermarsi, e questo fatto riempie tutti i cuori degli uomini di un profondo e immenso dolore. Ma come è possibile che si continui a morire sul posto di lavoro? Mi pare di capire che tanti lavoratori non conoscono i rischi che corrono svolgendo determinati lavori, quindi occorre che quando vengono assunti, il primo giorno, debbono essere informati su quello che gli può succedere quando scendono in una cisterna, o in una stiva di una nave per eseguire determinati lavori, senza utilizzare maschere antigas, quindi non adeguatamente attrezzati.

I capi dei cantieri edili debbono attivarsi perché i lavoratori conoscano bene le procedure da eseguire per evitare errori di qualsiasi genere che potrebbero essere loro fatali. Tutto deve essere fatto perché nell’avvenire non ci siano più uomini che perdono la vita mentre faticano per portare a casa un salario appena sufficiente ad essi e alle loro famiglie per sopravvivere. Le due vittime del crollo dei ponteggi che stavano smontando dalla palazzina costruita nel milanese erano extracomunitari che avrebbero lavorato in nero. Vivevano alla giornata, lavoravano dove capitava. E’ una vergogna che gente non assunta regolarmente, quindi senza alcuna tutela anche nel campo assicurativo, muoia addirittura sul lavoro che a mio parere è fonte di vita e non di morte. Basta a queste vergognose assunzioni contro ogni regola.

Penso al dramma che colpisce giovani spose e piccoli figli rimasti disperatamente soli e nel pianto per la perdita dei loro cari. bisogna punire severamente coloro che per guadagnare ancora di più non impongono severe misure di sicurezza per la tutela delle vita dei propri dipendenti. Davvero non è possibile che la morte strappi alla vita lavoratori a causa della trascuratezza dei sistemi di sicurezza che se fossero stati posti in essere avrebbero potuto evitare molte gravissime disgrazie. Prima dell’esecuzione del turno di lavoro basterebbero pochi minuti ai capi e/o ai dirigenti per porre in allerta gli uomini, in modo che essi possano lavorare con calma e sicurezza. Certo l’imponderabile può sempre accadere. Queste raccomandazioni comunque debbono essere sempre fatte prima dell’inizio di qualsiasi lavoro: nessuno le dimentichi.

venerdì 20 febbraio 2009

Il caso Eluana e il diritto di scelta

Il pensiero che mi sono fatto sul "caso Eluana" è scaturito dal mio cuore
certamente influenzato dai pareri espressi da eminenti cardinali nonché
dal comportamento assunto dal ministro Sacconi (ex socialista),
ma soprattutto dalle belle parole pronunciate dalla madre superiora di Lecco
che insieme ad altre suore per 17 anni ha assistito Eluana. Da come parlava
ho avuto l'impressione che Eluana potesse anche risvegliarsi
dal lunghissimo stato vegetativo.

Come si è visto l'opinione pubblica si è divisa fra chi voleva il distacco
del sondino e chi invece desiderava che la donna continuasse a essere alimentata.
Il padre di Eluana, Beppino Englaro, premeva perché fosse dato corso alla sentenza
della Corte Costituzionale per porre fine alle sofferenze della figlia.
Si è scatenata molta, troppa confusione.

Sentire urlare gravi parole come "Assassini! Assassini!", uscite dalla bocca
di qualcuno che stava in mezzo alla folla che si era radunata intorno alla clinica
dov'era stata ricoverata Eluana, è un fatto che mi ha fatto male
al cuore. Speravo che tutti rispettassero il punto di vista di chi, con
onestà intellettuale, difendeva e difende il diritto di scelta fra interrompere
o meno le cure, da non confondersi con il diritto dell'eutanasia.

E' bene che si arrivi al più presto al testamento biologico che può essere più o
meno esteso, ma che finalmente disciplinerà in modo chiaro questa dolorosa materia.
Secondo la Chiesa la vita è un dono di Dio e solo lui la può
togliere. Anche per questo fatto importante, soprattutto per chi ha la
Fede nel Cristo Redentore, pensavo che il sondino non dovesse essere
staccato. Ma credo anche che difficilmente Eluana, qualora si fosse
ridestata dallo stato vegetativo, sarebbe stata nelle condizioni di poter dare
alla luce un figlio.

Per due anni e mezzo ho assistito mio padre, morto a 91 anni,
immobilizzato nel letto; potevo farlo perché ero già in pensione. Facevo
una settimana a turno, notte e giorno, con mio fratello e mia sorella.
E' morto fra atroci sofferenze. Spesso mi chiedeva di portargli una
pistola perché non riusciva più a sopportare i forti dolori che sentiva.
Non sto a raccontare le scene dolorose a cui ho assistito. Povero babbo mio.

Anni addietro quando andavo a trovare a Seravezza il maestro Narciso Lega,
ricoverato presso la locale residenza sanitaria assistita, un giorno si
parlò delle gravi malattie che colpiscono l'uomo. Lui su questo tema mi
accennò alle sofferenze patite da Sant'Antonio di Padova, che morì
non reggendosi più in piedi per i forti dolori che provava. Per la fede quelle
sue sofferenze finirono quando Dio lo chiamò a sé.

Riflettendo bene dico, con tutta sincerità, che all'uomo non dovrebbe
essere mai negato il diritto di scelta: vivere o morire, quando, in
quest'ultima fattispecie, l'uomo è affetto da malattie atroci e
terminali. La Chiesa in quest'ultimo caso dovrebbe dare il suo assenso.
Dovrebbe impartire la sua benedizione alla salma, sapendo che l'anima
del defunto giunto alla fine del suo cammino terreno raggiungerà la casa
del Padre Celeste dove, nell'alto infinito del Cielo, vivrà in eterno.

Non crederò mai che il governo sia intervenuto per approfittare di
questa dolorosa situazione per modificare la Carta Costituzionale.
Neanche la morte ha insegnato agli uomini di volersi più bene fra loro.
C'è davvero poco amore, mentre l'odio invece sta crescendo. Ecco perché
nel mondo si stanno ancora combattendo tante guerre. Ed è davvero vergognoso
che non si riesca ad arrivare alla pace nella terra dove nacque Gesù.

Il caso Eluana e lo scontro politico

La morte di Eluana Englaro ha profondamente addolorato il cuore di tutti
gli italiani. Mi rendo conto del grande dolore e dell'immensa angoscia
che ha colpito i genitori di questa sfortunata donna vittima di
un grave incidente stradale che l'ha portata per 17 anni a vivere su un
letto in uno stato vegetativo permanente. Ho ascoltato alla tv ciò che
ha detto la madre superiora dell'Istituto di suore di Lecco che
l'hanno assistita con amore infinito. L'hanno alimentata con un sondino
e curata ogni giorno, per anni, sempre animate dalla speranza,
mai venuta meno, di poterla vedere un giorno ridestare dal lungo stato di coma
irreversibile.

Le parole dette da questa religiosa mi hanno indotto a pensare che
finché fosse stata alimentata c'era davvero la speranza che Eluana si potesse risvegliare.

Con assoluto rispetto per Beppino Englaro voglio dire che se fossi
stato al suo posto mi sarebbe stato difficile prendere la sua stessa
decisione, per la quale egli ha portato avanti una dura battaglia. Ha
fatto bene a comportarsi così o ha sbagliato? Come genitore ha ritenuto
giusto non farla più soffrire e per questo merita profondo
rispetto, visto che nel caso di specie la scienza di fronte al mistero
della morte non ha potuto fare niente per fare guarire questa
sfortunata ragazza.

Ho trovato incomprensibile, per non usare altre più dure aggettivazioni,
il comportamento assunto da molti politici che hanno
attaccato il governo per avere avuto l'idea, per non far morire Eluana,
di emanare un decreto legge perché ad essa non fosse stato staccato il
sondino. Come si può pensare che il premier abbia approfittato di questa
dolorosa circostanza per attaccare il Presidente della Repubblica
che, nel corso d'opera della riunione del governo, aveva fatto sapere
che non avrebbe firmato il decreto? Addirittura ho sentito parlare di
un grave scontro istituzionale. Tenuto conto delle dichiarazioni di
Berlusconi, ho preso atto con piacere che i suoi rapporti con il
presidente Napolitano sono rimasti cordiali, come sempre dev'essere.
Giova evidenziare che il premier ha giurato fedeltà alla
Carta Costituzionale della Repubblica Italiana, quindi lungi da lui il
pensiero di attentare alla Costituzione.

Ricordo di aver letto che la mamma di Berlusconi prima di morire voleva essere
imboccata soltanto da suo figlio Silvio. E lui tutte le sere lasciava Roma
per correre al suo capezzale per aiutarla a nutrirsi.

Credo che gli oppositori del premier dovrebbero ben riflettere prima di
sparare a zero contro di lui usando argomentazioni così delicate che attengono al bene più prezioso dell'uomo, la vita. Berlusconi è stato votato dalla maggioranza del popolo italiano
per guidare il nostro governo, quindi solo per questo fatto merita profondo rispetto.

lunedì 12 gennaio 2009

Un volo di cento metri dal sentiero innevato...

Dai racconti della terribile caduta di mio padre ho ereditato una
grande diffidenza per la montagna


Mio padre, nato nel 1906, era il figlio secondogenito di una famiglia di poveri
contadini dello "Strinato" - sopra Strettoia, nell'enclave del comune di Pietrasanta (Lu) -
che ebbe in tutto otto bambini. A ventidue anni, quando lavorava in una cava
del Passo del Vestito (Alpi Apuane) scivolò sul sentiero a strapiombo
sulla roccia del monte ricoperto di neve. Fece un volo a picco di un centinaio di metri.
Finì su un mucchio di neve riportando l'incrinatura della colonna vertebrale.
La neve lo aveva fatto precipitare nel baratro, ma il grande cumulo sul quale era finito
lo aveva salvato. Amo credere che fu la Madonna del Cavatore a
salvarlo. Per sei mesi rimase ricoverato all'ospedale di Massa disteso
sopra una lastra di marmo. Dimesso dall'ospedale riprese a lavorare e
nel 1930 si sposò. I suoi datori di lavoro, i fratelli Pellizzari, lo
impiegarono nella loro segheria che possedevano alla Desiata, sul
fondo della valle del Trambiserra, dove poco tempo dopo la mia nascita
la mia famiglia si trasferì nell'appartamento annesso alla segheria.

Del tempo trascorso alla Desiata da bambino mi tornano alla
mente solo pochi episodi. Rammento la forte impressione che ebbi
quando vidi una grossa "bodda" (un grande rospo, ndr) sulle scale
che portavano alla porta di accesso dell'abitazione. Ricordo di avere
mosso in primi passi con mio padre che stringeva forte le mie manine,
vicino al rotore che muoveva i telai. Rivedo il bozzo dell'acqua limpida
che c' era all'esterno del rotore fatto girare dall'acqua corrente del fiume, pieno di pesci.

D'estate in quell'acqua mio padre, stringendomi tra le sue forti braccia,
mi faceva fare un bagno. Mi pare di rivedere gli uomini, alcuni
giovanissimi, che lavoravano nello spiazzo antistante la segheria
intenti con le subbie e martelli in mano a raffilare le lastre di marmo
appena segate e la gente che passava sopra la strada che scambiava
qualche parola con la mia cara mamma.

Nei confronti della montagna ho sempre avuto timore per i sentieri difficili
da percorrere, resi pericolosi nei mesi invernali dalla caduta della neve e dal ghiaccio
derivato dalla temperatura sotto zero. Mai mi sono avventurato in
imprese pericolose, pur avendo prestato servizio anche a Passo Foscagno
(m. 2.295) dalle cui rocce nel 1954 strappai alcune stelle alpine, cosa
assai difficile da fare. Lassù cadeva la neve anche nei mesi estivi. Poi
sono stato a Chiesa Valmalenco, al distaccamento di Campofranscia e in
altri reparti alpestri, tutti sotto la mitica giurisdizione della 6^
Legione di Como (che ora non esiste più) impegnata fortemente per la
repressione del contrabbando in genere e dei tabacchi lavorati esteri in
particolare.

Tra questi reparti ricordo la brigata di Buggiolo, dislocata in una frazione
di poche case con la chiesa al disotto della rete metallica posta sul confine
italo svizzero. Buggiolo e la borgata di Seghebbia formano il comune
chiamato Val Rezzo, forse il più piccolo d'Italia. La brigata di Buggiolo
aveva due distaccamenti , uno a Passo S. Lucio a Cavargna (Co)
e l'altro molto più in alto, sito sul monte Garzirola.
Durante un servizio effettuato sul Monte Garzirola notai,
a poche decine di metri dalla caserma, diverse croci di marmo piantate
laddove morirono giovanissimi militari della Guardia di Finanza,
stremati dalla tormenta che li aveva investiti quando si apprestavano a
fare ritorno in caserma al termine del servizio. A pochi metri dalla
salvezza il loro cuore cessò di battere.

Comandato di servizio di perlustrazione con un mio collega sotto il
distaccamento di S. Lucio vidi anche lì, fra le tante piante di un
bosco, una croce di marmo piantata per ricordare dove due giovanissimi
finanzieri in servizio anti-contrabbando morirono colpiti da un fulmine.

La morte di tanti giovani finanzieri caduti nell'adempimento del dovere,
e nel corso delle guerre combattute a difesa della Patria hanno dato
lustro imperituro ai 234 anni di storia della Guardia di Finanza , nelle
cui file molti sono stati anche i versiliesi che vi hanno militato e
portato, sul bavero delle loro giacche, con orgogliosa fierezza, le
mitiche "Fiamme Gialle".

Ecco i ricordi del passato affiorati alla mia memoria dopo le
continue disgrazie avvenute anche di recente sulle montagne.