giovedì 28 agosto 2008

Cenni di storia: 1940.

L’entrata in guèra dell’Italia a ffianco della Germania di Hitler, la ricordo ancora molto bene. Fu dichiarata contro la Gran Bretagna e la Francia il 10 giugno 1940 dal Duce che tenne un discorso dal balcone di piazza Venezia piena di gente che lo acclamava fragorosamente e in continuazione. E, visto com’eno andate a finì le cose, si póle dì che fu un giorno tristo per la nossa nazione. Il discorso di Benito Musssolini l’ascoltai nel cortile de la scòla. Nó alunni erimo tutti inquadrati e incitati dai nossi insegnanti, ad ogni pausa di questo discorso, si battevino le mane le mane oltre a gridà “Viva il Duce, viva la guèra”. C’era un entusiasmo generale che chi scrive però non condividea. Nun aveo ancora dieggi anni e certe cose non si capiscino bene a cquéla età. Da la radio si sentia la grande esplosione di gioia mentre Mussolini parlava al popolo. La gente dimostrava il su’ pieno accordo con lu’, parea d’esse tutti fascisti, nessuno escluso. Durante i mi poghi anni di vita nun ho mai sentuto na voce contraria al regime.E cche dì de le canzoni che nei primi tempi de la guèra cantammo. Vincere e vinceremo…, partino i sommergibili, rapidi e invisibili…, a primavera si riapre la partita….Nun ho mai dimenticato quéla che esaltò il comportamento dei militari italiani a difesa del fortino di Giarabub che mi fece anco piange, col colonnello Castagna che comandava centinaia di ómini che un avevino sete e un volèino l’acqua, aveino fame e un voleino il pane, ma nonostante queste sofferenze nun si volevino arrende e chiedevino soltanto il piombo per i lloro moschetti. Ecco cosa ho scritto in dialetto versiliese ne la mi modesta commedia intitolata “Sfollamento” che ho ancora racchiusa nel cassetto dei mi sogni.

Il 20 giugno 1940 l’Italia iniziò l’offensiva contro la Francia che portò alla conquista di Mentone, Il 24 giugno fu firmato l’armistizio. Il 27 settembre 1940, fu stipulato il patto tra Germania, Italia e Giappone. Nacque così il famoso asse Roma - Berlino -Tokio, al quale aderiranno, il 20 novembre l’Ungheria e il 23 novembre la Romania. L’Italia e la Germania s’impegnarono a instaurare un ordine nuovo in Europa. Altrettanto il Giappone doveva fare in Asia. Fu stabilito l’obbligo di dichiarare guerra a chiunque avesse attaccato un alleato. Il 28 giugno, muore nel cielo di Tobruk, in Cirenaica, Italo Balbo,. il cui aeroplano fu abbattuto per errore dalla contraerea italiana.

Il 4 luglio i soldati italiani entrarono in Sudan. Il 9 luglio avvenne lo scontro navale italo-inglese a Punta Stilo sulla costa calabrese. Per errore i bombardieri italiani sganciarono bombe sulle nostre navi. Il 19 agosto le nostre truppe occupano completamente la Somalia britannica. Il 13 settembre inizia l’offensiva italiana in Africa settentrionale.

Mentre la Germania nazista, con la sua guerra lampo, aveva sconfitto la Francia, (il 12 giugno1940 l’esercito germanico sfondò la linea Maginot e il 14 giugno entrò a Parigi) invadendo altri paesi quali Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, pur non avendo ad essi dichiarato guerra, fissò il blocco navale della Gran Bretagna, preparandosi, nel contempo, all’invasione della stessa, che mai avvenne anche perché nella battaglia d’Inghilterra gli inglesi ebbero la meglio sull’aviazione tedesca che comunque iniziò ad effettuare pesanti bombardamenti su Londra e altre città inglesi.

In questo bailamme in cui i bollettini di guerra continuavano a parlare di vittorie, a noi piccoli alunni del mio paese versiliese che tutte le domeniche ascoltavamo la voce dell’uomo che vendeva lungo le vie La Nazione e il Telegrafo, annunciando sempre, con voce alta, i successi riportati su ogni fronte sia dai tedeschi che dalle nostre truppe, dopo la firma del patto Roma- Berlino Tokio, ci chiesero di scrivere una lettera ad un ragazzo giapponese. Chi scrive fece parte del gruppetto, prescelto appunto per scrivere questa missiva. Scrivere ad un ragazzo giapponese sconosciuto non fu una cosa facile. Io non ricordo assolutamente niente del testo che scrissi. Non so neppure se sia arrivata a destinazione questa mia letterina; ho dubbi in proposito. Una cosa è certa. A questa mia lettera non fu data alcun riscontro. Intanto a causa della guerra voluta da Benito Mussolini che voleva sedere al tavolo delle trattative di pace, convinto della vittoria di Hitler, iniziammo a patire la fame. Risale comunque al 15 gennaio 1940 l’inizio della distribuzione in Italia delle carte annonarie per il razionamento dei beni di consumo. A decorrere dal 13 marzo 1942 la razione giornaliera di pane fu ridotta a 150 grammi e fu così che tutto il popolo italiano iniziò a tirare la cinghia e il peggio doveva ancora avvenire .

domenica 27 luglio 2008

Uomini senza tempo


Uomini soli, trasandati,

con la barba lunga,

gli abiti consumati

e sporchi,

uomini senza famiglia,

senza affetti

e senza tempo

camminano con difficoltà

lungo le vie statali

e delle città.

Nei sacchetti di plastica

che stringono nelle mani

c’è tutto quello che hanno,

stracci ed altri

poveri oggetti.

Uomini senza tetto

e con il letto di cartoni,

vivono senza lamenti

con una loro personale

e rispettosa dignità

in attesa di essere chiamati

da Colui che li ha creati.

Ma la società del nostro tempo

che dicono sia industrializzata

e assai progredita,

che fa per aiutarli a vivere

più umanamente?

Io ho la sensazione e la visione

che per tanti di loro,

troppi direi,

non faccia proprio niente.

I mitici lizzatori


Li viddì la prima volta

a la Desiata, aldilà del fiume,

la matina che ero ito

a ccoglie le more

lungo la via llizza,

tra i ravanenti

de le cave del Pitone

in Trambiserra;

erano gli Anni Trenta.

Staceino curvi, inginocchiati

intorno ai blocchi,

si passaino parati insaponati

e mmovevino pali di ferro

e martini pesi più

di cento chili.

Erino tinti dal sole,

con la gola arsa e il corpo asciutto,

la mana aveino d’acciao

come i cavi tesi a llo stianto

che pian piano allentaino

dai piri piantati

ai margini de le scoscese vie,

da duve i mmarmi, lentamente,

sfucicavano a ffondovalle,

fin al poggio di caricamento,

tra gli urli del capolizza:

“Oh, Oh! A Unce

Oh! Oh.Bel, Bel!

Molla il tiratore.”

Ora nella valle silenziosa

il merlo tecchiaiolo

ci fa il nido

e ssule vie a lizza,

ricoperte di piante e scepaloni,

aleggia lo spirito

dei mitici lizzatori.

giovedì 24 luglio 2008

Un’altra brutta faccia dell’uomo dei nostri tempi

Fiduciosa la ragazza

seria, neodiplomata,

continuando a sognare,

mise l’annuncio sul giornale.

“Cercasi lavoro, telefonare al

numero…”

e fu così che l’apparecchio

iniziò a squillare.

Pronto, pronto,

sono un fotografo,

specializzato in primi piani,

cerco volti nuovi. Sì una diva da lanciare

nel firmamento stellare.

Pronto, pronto,

erano altri bellimbusti,

che non avendo nulla da fare,

volevano solo scherzare,

ignobilmente, spudoratamente,

qualcuno tentava di fissare

appuntamenti.

Pronto, pronto, sono il dottor…

lavoro col collega

tal di quale, è all’antica,

ha appena licenziato la segretaria.

il motivo? Vestiva male

indossava jeans stretti…

Se t’interessa lavorare

T’aspettiamo alle tre pomeridiane,

vieni in via Alessandro della Spina

numero quarantadue.

Chissà quanto ebbe a gioir il pazzo

del brutto scherzo fatto.

Un giorno arrivò anche una raccomandata

con francobollo espresso,

riguardava la proposta di assunzione,

si chiedeva di fare l’esattore!

lungo era l’elenco dei clienti, c

c’era anche un assegno irregolare

di trenta milioni da incassare.!

Ecco questa è un’altra brutta faccia

dell’uomo dei nostri tempi,

bruttissima davvero, da dimenticare.

mercoledì 23 luglio 2008

Cara vecchia casa

Ricordo la vecchia casa

dei miei nonni materni,

a fondovalle,

accanto al fiume,

in mezzo ai monti,

cave splendenti

di marmi bianchi,

di bardiglio

e arabescati,

tra ciliegi e camelie.

Ricordo il grande camino,

il fumo che invadeva la cucina,

il tamburino di latta,

i chicchi ed i fichi secchi

che mi portava la Befana

e i centesimi, i ventini

che sotto il bicchiere

mi lasciava la lucciolina.

Poi arrivò la guerra

e nell’agosto del

millenovecentoquarantaquattro,

minata dai tedeschi,

saltò in aria.

Cara vecchia casa

dei miei nonni adorati,

dove io nacqui.

martedì 22 luglio 2008

Sogno

L’onda marina

s’infrange violenta,

spumeggiante,

or quieta e dolce,

lungo la scogliera,

davanti alla quale,

giorni lontani,

danzarono e cantarono,

soavemente,

fantastiche sirene.

Su quelle acque,

un tempo incontaminate,

mi illudo…e sogno

di vedere riaffiorar

le mitiche sirene

e non più galleggiar

chiazze di nafta

e altri rifiuti

della nostra era,

insensatamente

ritenuta progredita.

La Coscienza è Dio

Vorrei sollevar i macigni

che han schiacciato,

distrutto e annientato,

la Coscienza degli uomini

che continuano a sequestrare,

a uccidere spietatamente

i propri simili.

Perché?

Per rimettere al suo posto,

far a loro riudir, forte,

la voce del bene e del male,

senza la quale,

nessuno è capace d’amare.

Perché la Coscienza è Dio.

venerdì 18 luglio 2008

Distratto amico

I cani e gatti fanno

moltissima compagnia

a chi solo è rimasto

lungo la desolata via.

Lo sentono vivo questo

nostro grande amore,

perciò non provano alcun

timore, allorché sazi,

attraversano le strade,

dove anziché trovare

altri cari gatti,

rimangon schiacciati

dalle macchine guidate

dal loro distratto amico,

che sa costruire cannoni

e testate nucleari,

ma non pensa alle reti

di protezione,

che dovrebbe fissare

ai margini delle vie di

più intenso traffico,

per proteggere i cani,

gatti ed altri piccoli

indifesi animali.

Sento

Quando ti sveglio,

la mattina,

e sfioro il mio viso

sulla tua mascellina,

sento il tuo affetto

che mi dà vigore

per affrontare le fatiche

della lunga giornata,

e felice rende la sera

il ritorno a casa,

dove avverto il calore

del tuo grande amore

che ricolma di gioia

il mio vecchio cuore,

caro, dolcissimo,

mio piccolo bambino.

martedì 15 luglio 2008

Lavoro e pace

In nome di una “fede”

uomini bramano il potere

per imporre ad altri

le loro idee.

Diritti dell’uomo.

democrazia, dignità,libertà,

tutto viene calpestato.

Così si generano le guerre,

e sulla terra rimangono rovine,

mentre tutto il mondo

ha un gran bisogno

di lavoro e pace.

domenica 13 luglio 2008

Due angeli nel pozzo

Un uomo, col volto

da lacrime bagnato,

dall’orlo del pozzo,,

col microfono in mano

attaccato ad un filo,

penzoloni nel vuoto,

parlava al bambino:

“Stai calmo, tranquillo,

non disperarti Alfredino,

una macchina bella

splendente come una stella

è partita. Ti raggiungerà,

fra poco ritornerai

tra le braccia di mamma e papà.

Sì, è davvero fantastica,

a te parrà irreale,

sai perfora la terra,

raggiunge la luna,

lambisce le stelle

e tocca il fondo del mare.

Stai calmo Alfredino…

Per ore e ore

il buon Nando parlava

e il piccino lo sentiva vicino;

ed erano le parole che udiva

a scaldare il suo corpicino.

E con le cose belle

che il vigile del fuoco diceva

Alfredino, nel buio profondo,

rivedeva la luce, il sole,

i prati fioriti ed i giochi felici.

Il tempo però passava

e come la tivù ci mostrava,

la macchina non arrivava

ed era l’udire il pianto straziante,

a farci sentire il suo soffrire,

il lento morire sprofondato

a decine di metri più giù.

C’è stato un momento

in cui s’è sperato davvero

che venisse salvato

dai coraggiosi giovani

che legati ad una corda

nel pozzo hanno afferrato

il piccolo Alfredino,

ma il fango la loro stretta

ha allentato e senza fiato

non hanno più riprovato

Dio che tanto abbiamo pregato

perché vivo dai suoi cari

fosse ritornato

solo non l’ha lasciato.

Un angelo gli ha mandato

che ha accarezzato

e lungamente baciato

quel piccolo volto infangato;

finché sul suo viso

è riaffiorato il sorriso

e dolcemente si è addormentato,

per sempre in Paradiso.

lunedì 7 luglio 2008

Il Mondo di Otaner

Quarta puntata

Attimi solenni sono stati vissuti su Aurix, il pianeta degli extra terrestri, quando il grande scienziato Otaner ha iniziato a parlare all’Assemblea dei rappresentanti di tutte le etnie di quel mondo lontano, in ordine all’attuazione del “piano d’attacco”, predisposto per la distruzione delle coltivazioni delle piante dalle quali i terrestri estraggono illecitamente le micidiali sostanze stupefacenti, il cui uso non terapeutico quindi scellerato ha già mietuto milioni di vite umane, e tante indelebili sofferenze a coloro che sono alla disperata ricerca di questa sostanze, allorché soffrono le spaventose crisi di astinenza. Dalle parole di Otaner è emerso, in modo inequivocabile, che sulla Terra le leggi esistenti sono continuamente disattese e che i governi d’ogni Stato hanno rivelato una totale incapacità a porre fine ad un degrado umano che ha senz’altro toccato il fondo:”Laggiù i terrestri, hanno dimostrato altre gravi ed imperdonabili inefficienze. I primis riguardano milioni e milioni di persone del loro globo che non trovano un posto di lavoro, tant’è che una moltitudine di gente, quando non muore di fame sopravvive in assoluta povertà. Da noi il lavoro è fonte di vita e le classi dirigenti dei terrestri, devono fare tutto il possibile per garantirlo ai loro popoli”. Poi l’illustre personaggio ha ripetuto che l’azione voluta da Aurix ha il solo scopo di aiutare la Terra a risolvere, in modo pacifico e definitivo, la questione droga. Dall’intervento programmato sono stati esclusi quei campi, coltivati da soggetti che destinano la droga al solo uso terapeutico. L’operazione messa a punto sarà eseguita con l’impiego simultaneo di dieci dischi volanti dell’ultima generazione comandati dal generale Onz. Essi raggiungeranno tutti i continenti della Terra dalla base satellitare collocata intorno alla Luna, la cui distanza masssima dalla Terra e di 406.720 km, mentre quella minima è di km. 356.430.. E’ stato così modificato il piano di volo originario che prevedeva la partenza dei dischi volanti dalle zone adiacenti i buchi neri, grazie alle scoperte della scienza dell’ultima ora che hanno consentito la sistemazione di una base satellitare nell’orbita lunare., subito raggiunta dai dischi volanti incaricati della missione. Lungo il percorso Aurix - orbita lunare, sono state collocate 12 stazioni satellitari, vere isole della spazio sulle quali operano gli scienziati e tecnici che si occupano dei sistemi di navigazione nell’infinito stellare, per prestare la necessaria assistenza ai dischi volanti durante le fasi di scalo sulle stesse, così come hanno già fatto per raggiungere la base dalla quale i dischi volanti spiccheranno l’ultimo volo per raggiungere la Terra.-Dopo aver ribadito il fatto che nessun pericolo correranno gli equipaggi dei dischi volanti, opportunamente selezionati fra coloro che hanno accumulato il maggiore numero di volo negli spazi infiniti del cielo, Otaner si è detto sicuro dell’esito positivo dell’intervento studiato nei minimi particolari. Infatti, saranno irrorati da micidiali sostanze liquide sia i terreni adibiti all’illecita coltivazione delle piante dalle quali viene estratta la droga che uccide, che le droghe già confezionate e pronte per essere immesse sul mercato clandestino. L’intervento avverrà in due distinte fasi, per approfittare del buio della notte. Qualora fosse constatata in loco la presenza di terrestri, essi saranno avvolti da nubi polverose che avranno l’effetto immediato di porli in uno stato di letargo, per almeno due ore.In questo modo la misssione eviterà di causare la morte di terrestri, nonché qualsiasi forma di violenza nei confronti degli stessi, la cui vita è considerata sacra anche dagli extraterrestri.L’ordine per iniziare questa operazione sarà impartito quando verremo informati che ogni disco volante è pronto a spiccare il volo per compiere la missione ad essi affidata.

Otaner termina la sua relazione fra scroscianti applausi di tutti i rappresentanti di Aurix.

martedì 24 giugno 2008

Staffetta

A marzo, a Roma, i politici

dovevano correre la staffetta,

in palio anziché medaglie

e lucenti coppe, c’era

la poltrona prestigiosa

riservata al Capo del Governo.

Il vincitore pareva già designato,

almeno così, più volte,

l’avevo letto sul giornale.

Il PSI lascerà il posto alla DC,

De Mita subentrerà a Craxi !

Poi, per via del nucleare

e su questioni referendarie,

le cose si misero male.

Dimissioni dell’esecutivo,

consultazioni, esplorazioni,

riconsultazioni, ci portarono

ad un Governo istituzionale,

ch’ebbe una fiducia che invece

non fu considerata tale.

Insomma una gran confusione,

tant’è che fu il popolo

a correre la staffetta

senza corsie preferenziali,

ma con il testimone

che i politici gli avevano

di prepotenza rifilato

nella mano.

lunedì 23 giugno 2008

Morte di Filippo Raciti, valoroso ispettore capo della Polizia

Sbigottito e sconvolto dal dolore.
Ecco cosa ho provato nel mio cuore
nel veder le immagini sconvolgenti
e terrificanti, trasmesse dalla televisione,
dopo l'’incontro di calcio, sì del pallone,
Catania-–Palermo, disputato il 2 febbraio 2007.

Doveva essere un momento di sana allegria
tale da riempire di festa tutta la tifoseria
che doveva scambiarsi sorrisi e abbracci
mentre nell’'aria avrebbero dovuto far volare
palloncini rosso-azzurro e rosa nero, tanto da incantare,
nel veder nel cielo, colori più accesi e caldi dell’'arcobaleno.

Amore, questa la cosa fondamentale che doveva unire i tifosi.
Invece è scoppiata una dura battaglia, voluta da troppi facinorosi,
sì da violenti teppisti, che senza alcun timore,
contro le Forze dell’'Ordine, si sono lanciati con furore
e la Polizia con grande impegno ha reagito
per riportare la calma e ripristinar l’'ordine sovvertito.

Gli uomini della Legge non sono stati premiati,
uno di essi, l’'ispettore capo Filippo Raciti
che correva instancabilmente in qua e là,
dove gli scontri si facevan sempre più serrati,
colpito da un corpo contundente,
cadeva a terra ferito mortalmente.

Incredibile la scena di questa inaudita violenza,
che ha tremendamente scosso la nostra coscienza,
un orrore ripugnante questa brutale aggressione,
che vilmente ha stroncato il cuore di un valente servitore,
figlio del popolo, padre di famiglia che tentava di riportare alla calma
tutta quella folta e scatenata teppaglia.

Meritavano profondo rispetto gli uomini della Polizia
per il duro servizio da sempre esplicato,
invece teppisti violenti li hanno attaccati,
brandendo corpi contundenti e quant’'altro che
capitava fra le mani di questi forsennati
che non ragionavano più perché molto indiavolati.


Questa vigliacca aggressione che ha generato
tanta violenza e la vile uccisione di Raciti
ci ha sprofondato nel più grande dolore.

In un luogo d'’incontro tra giovani forti e felici,
e per questo fonte di gioia di vivere,
nessuno avrebbe dovuto invece soffrire e morire.

Per l'incredibile scomparsa
di questo fedele servitore,
piangono la sua adorata sposa e i due figli
Alessio e Fabiana, insieme a tutti i parenti e amici.
Piangono con loro tutti gli italiani
che rispettano le leggi, e sono quindi di principi sani.

La vedova di questo poliziotto ci ha fatto conoscere
ciò che le disse Filippo il giorno del suo
quarantesimo compleanno:
"“Ho firmato per la donazione degli organi!”".
Non è possibile fare l’'espianto, le risposero i medici.
il corpo di suo marito è a disposizione del perito.

In quel momento la vedova pensò che
avevano rubato anche l'’ultimo desiderio
manifestato dal suo caro e amato marito,
difensore strenuo della legge, nel cui cuore,
aveva però riservato ampi spazi d’'amore, da dedicare
a tutte le abbisognevoli creature del Signore.

Morì senza nimo accanto

Sul mucchio di fieno misso nel cantone

del fondo buio pieno di attrezzi,

stacea mi’ mà con la figlioletta in braccio

e ccon la gamba gonfia e fferita da le schegge

dei colpi di mortaio sparati dai Tedeschi;

seduta su una seggiola c’era anco la mi’ nò

che pregava in continuazione : “ Avemmaria... “,

mentre l’eco terrificante de le esplosioni

l’aveimo sempre ne le nostre orecchie.

“ A Giustagnana un si póle più sta,

dobbiemo scappà. Via! Andiemo via ! “,

così decise mi pà.

“ E la nò, che un ce la fà a ccamminà ? “

“ La guardo io... “, fu quanto promisse una sfollata,

a la quale lasciammo tutto quélo

ch’era rimasto ne la borsa del mangià,

comprese le scatolette di carne congelata

che i ssoldati mericani ci aveino datto,

per le pesanti munizioni fin sule loro trincee portate.

Fuggimmo di matina ed in cima al Montornato

rividdi il mare, ma non più la mi nò.

Morì lassù disperata, senza nimo accanto,

le rubbarono la vera e ggli orecchini d’oro

e la tèra d’una piana, senza la bara,

ricoprì il su’ corpo.

Ah, se potessi davéro ritornà indietro,

tanto farei per un staccarmi mai da lé,

per accarezzalla e sstringelle le mane,

per dille: “ Ecchimi nò, un sei rimasta sola! “

Anco se eno passati tanti anni da quel giorno,

vivo e immutato drénto di me è rrimasto il su’ ricordo

e pper questo che ancora oggi sono triste e ppiangio.

Renato Sacchelli

venerdì 20 giugno 2008

La nuova bandiera

Auree luci nel cielo

sprigiona la bandiera

che hanno disegnato

gli uomini uccisi

dalle canne di fuoco

di chi, con la violenza,

intendeva toglierci

il bene acquisito,

sin da quando abbiamo

emesso il primo vagito:

la Libertà !

Questo grande vessillo

un lenzuolo macchiato,

impregnato di sangue,

sempre ammainato

sui corpi senza vita,

lo vorrei issare

sul pennone più alto

piantato sulla Terra,

per farlo sventolare

in onore della schiera

di eroi e martiri,

caduti a difesa,

della nostra Libertà.

giovedì 19 giugno 2008

Una nuova luna per sognare

Per tantissimi anni

l’uomo ha sognato

dolci canzoni d’amore

che facevano vibrare

il cuore degli amanti

che vivevano passioni ardenti

sotto il lume della

splendente, pallida,

verde, sorridente luna;

ricordo, quand’ero giovane,

che ce n’era una anche

tutta algerina.

Quando Neil Armstrong,

sceso dal Lem,

posò i piedi sul suolo

lunare, cosparso

di polvere e sassi

e constatò che tutt’intorno

era grigio e nero,

finì per gli uomini

il bellissimo sogno

che durava fin dall’antichità:

arrivare fin lassù per amare

donne dalla pelle chiara di luna.

Era il ventuno luglio

millenovecentosessantanove,

ore quattro e cinquantasei.

Da allora l’uomo

avverte un gran bisogno

di scoprire una nuova luna

per continuare a sognare,

amare e cantare.


Un parlatimi più di paradisi artificiali

Finimola ragà di giocà col foco;

la droga v’avvelena e po’ vi uccide;

perchè, ditimi perché vi bucate?

E atroce, duvete capillo, quelo che fate.

Col cervello bloccato da false sensazione

un riscite a vedè la bellezza de la vita

che tale è se vissuta accanto a le persone

che vi voglino vramente bene:

la mà, il babbo, i fratelli, le sorelle e i nonni

e ‘na giovenetta che po’ doventerà

la vostra cara e fedele sposa.

Nell’amore e nella capacità di lavorà

troverete la forza per superà, state seguri,

i momenti dificili che attraversate.

Siate forti per strappà a le rocce

le mitiche, guasi inafferrabili, stelle alpine

e lassù, da le cime dei monti che scalerete,

finalmente capirete,

di avello sotto il vostro sguardo,

il Mondo meraviglioso che Dio ha creato

per voi e per tutta l’Umanità.

E un parlatimi più di pradisi artificiali

e ascoltatimi ragà per il vostro bene.

Un volo senza ali
Piangeva, col volto sul guanciale,
la giovane nord africana,
mentre nella povera casa
giocavano, ignari di ciò che avea
in  mente  la sventurata madre, 
i tre bambini,i soli tesori avuti dalla vita.
Rimasta sola, coi suoi sogni infranti,
in quanto abbandonata nell’immensa città
da un uomo vile e infame,
indegno di essere padre,
la donna capiva
che la situazione familiare,
così com’era, a lungo
non poteva continuare.
Quando, udita nelle scale
la voce dell’assistente sociale,
erroneamente pensò:
“Ecco, è giunto il momento
del distacco.” Gridò:
“No ! Non voglio ! Non dovete
portare via i miei bambini.”
Invece della porta
aprì la finestra
e così vide le rondini
sfrecciare liberamente
davanti alla sua casa
e sparire nell’azzurro cielo.
Follemente immaginò
che anche i suoi figli,
muovendo le braccia e le manine,
potessero volare senza ali,
per raggiungere un mondo migliore
dove prevalgono sentimenti d’amore
e per non soffrire più,
forse per fargli ritrovare
anche il padre.
In un baleno, uno ad uno,
li lanciò nel vuoto.
Si spaventò quando s’accorse
che invece di volare
s’erano schiantati
sul selciato stradale.
Di corsa, allora, scavalcò il davanzale,
per riprendere i suoi piccini,
per stringerli al suo petto,
per dirgli quanto li amava,
per baciarli, baciarli,
ancora, ancora.
Anche lei finì di schianto
accanto ai suoi tesori;
fu un impatto violento.
Voleva allungare le mani
per accarezzarli,
ma non poteva,
desiderava parlare con loro,
ma non poteva;
immobile, paralizzata,
non aveva più la voce.
Solo i suoi grandi occhi
sbarrati, dilatati,
esprimevano il suo amore
e tutta l’angoscia
ed il profondo dolore
per una vita breve vissuta
in una società dove esistono
uomini senza cuore
e dove molte creature
sono abbandonate
al loro tragico destino.
Renato Sacchelli

mercoledì 18 giugno 2008

Timido da morì

Avea i capégli biondi e occhi color del mare
la gióvena che, a Ripa, il còre gli fé palpità.
Timido da morì, doppo un po’ che le stacea intorno,
il bel giovénetto, con gentile garbo,
la invitò a bballà quando l’orchestrina
cominciò a ssonà un dolce tango,
‘na melodia che s’avvilucchia e dda sempre fà sognà.
Per inizià con lé a pparlà duvea approfittà del ballo,
però avea pagura di apparì antepatico,
d’esse banale, che confusione, gioia e ttristezza...
davéro ‘n pianto, per questa su’ inaspettata incapacità a ddialogà.
Ma il còre lo soccorse a mmetà del brano musicale,
quando sussurrò: “ Ballo con la più bela del mondo”.
Lé lo guardo negli occhi e ppòe, a vvoce bassa, rispondette:
“Sei gentile e ccaro, ma quanta esagerazione,
tu solo mi vedi bela e ggnanco sóno più ‘na giòvenetta
e ggià ho vissuto storie con òmeni: che disperazione!
C’era la gùera e ssi patia la fame, ci fui costretta”.
“Un dì nulla, veni fòra a rrespirà un po’d’aria fresca,
si va al Cinquale, ti porto sula canna de la bicicrétta”.
Un dèra pesa: mentre pedalaa il giovénetto sentia
un inebriante profumo, sìè... il su’ profumo di donna.
Arrivonno quando il sole già toccaa l’orizzonte, scalzi,
mana ne la mana e ccol passetto de l’amore, andonno,
saltellando, incontro a le tenue onde che s’infrangevino,
lentamente, lungo la battigia; seduti in mezzo ai patini,
sula sabbia ancora calda, attesero
l’apparizione nel célo de la luna e de le stelle.

martedì 17 giugno 2008

P A C E AMORE POESIA

La poesia di Renato Sacchelli mirata alla trasposizione di sentimenti della propria dimensione di ogni giorno, si svolge sul piano prevalentemente intimistico con versi la cui genuinità, scevra da orpelli di ogni sorta, offre un’immediata presa su concetti, sensazioni, momenti profondamenti vissuti dall’Autore. Figurazioni intensamente sentite, malinconicamente ricontemplate e dolenti immagini di pensosa sensibilità, con amare e incisive considerazioni, pare che sospendano i problemi in accettazione rassegnata; ma l’efficacia dei versi scorrevoli, suggestivi ed incalzanti, in una vena poetica romantica, religiosa, umana, toccano quella parte di “animo” che , in ognuno di noi, troppo spesso si reprime e coinvolgono nella speranza, nella volontà, nell’impegno per la loro risoluzione. L’Autentico lirismo, attinto dall’inesauribile fonte del sentimento, riflette il carattere onesto e cristallino di Uomo intelligente, attento, acuto che nutre amore per Dio ed il suo Creato ed amore per l’amore. Da Ley Tolstoy: "La forza della poesia sta nell’amore; senza amore non si fa poesia". G. A. Paoli (San Valentino 1987)

lunedì 16 giugno 2008

A mi' ma'

Èrino mesi che mi dicei:
"Un mi sento più d’andà
a la bottega, a ffa la spesa,
un mi risce gnanco scende le scale",
ma in casa senza fa nulla
un ci sapei sta
ed eri sempre a llaborà
come una formicolina,
anche se d’anni
n’avei un’ottantina.
Ora sto accanto a tté a l’ospidale,
duve ti portonno la matina
che un movei più
la gamba il braccio e la manina.
Pati e al tu’ bimbo grando
gli si spezza il còre
mentre prega il Signore:
"Falla guarì...
dà a mme il su’ male".

Il tuo Renato

domenica 15 giugno 2008

In nome dell'amore

Li vediamo sotto i portici
sempre più numerosi,
silenziosi, dignitosi;
a passanti frettolosi mostrano,
distesi su pezzi di stoffa,
accendini, monili
ed altre cose di poco prezzo.
Con abiti leggeri sfidano la pioggia,
il vento e il freddo;
non importunano la gente.
Pazientemente aspettano
che s’avvicini il possibile,
atteso, desiderato cliente.
Si tratta, spesso, di ragazzi come loro;
l’unica differenza: il colore della pelle.
Sono scappati da sfortunate
seppure belle terre lontane,
da assolate distese africane,
dove c’è chi muore di fame,
perché sulla terra bruciata
dai raggi del caldo sole
non cresce più il grano
ma s’alzano dune di sabbia
del deserto che avanza minacciosamente,
insieme a nuvole di cavallette.
In nome dell’amore eterno,
di questo nobile sentimento,
facciamoglielo sentire,
coi fatti e non a parole,
che non sono rimasti soli,
che sono nostri fratelli.

All’alba sulla cava

Per arrivare all’alba sulla cava
dove un duro lavoro l’aspettava,
di buon ora il cavatore di Seravezza s’alzava,
quando negli anni Trenta ero bambino.
Passato l’uscio, col cibo nel fagotto,
il cielo osservava: nello spazio infinito
sempre splendevano miriade di stelle,
mentre tanta gente ancora a casa riposava
e la sposa trepidante di già il suo ritorno aspettava.

Su passerelle ballerine attraversava il fiume,
saltando sui sassi oltrepassava canali e ruscelli,
con altri compagni, in fila, percorreva irti sentieri
tracciati tra boschi e ravaneti.
E già da tanto lavorava
allorché s’udiva la campana
che ogni dì annunciava
la celebrazione della Messa del Signore.

Questa era la vita dell’uomo dal passo ferrato,
dal destino talvolta tragicamente segnato.
Infatti c’era chi la vita perdeva,
schiacciato da un blocco abbacinante,
scavato con molto sudore,
dove rimanevano grumi di sangue del cavatore.

Primavera 1990

No ! Questa volta non voglio,
davvero non voglio parlare di viole,
di mandorli in fiore
né di cuori innamorati.
Pensate e ricordate!
E’ la prima Primavera
che Nelson Mandela
finalmente trascorre in libertà,
dopo quasi trent’anni di galera,
reo soltanto, nella propria terra,
di volere gli stessi diritti dell’uomo bianco.
E’ la prima Primavera
senza l’incredibile e vergognoso
Muro di Berlino;
è la prima Primavera di libertà per la Lituania
e per tanti altri popoli dell’est europeo.
Ricordate!
E’ la prima Primavera
che non viene salutata
e festeggiata dagli eroi della piazza di Pechino,
la piazza di Tienanmen,
sì, ragazzi eroi,
disarmati, trucidati dai carri armati,
perché inneggiavano alla libertà
e volevano vivere democraticamente;
un sogno legittimo
rimasto nei loro giovani cuori
barbaramente schiacciati.

sabato 14 giugno 2008

San Valentino

Occhi radiosi
s’incontrano,
mani tremule
accarezzano
il dolce viso.
Caro...
è bellissimo
il tuo regalo,
non l’aspettavo!
Amore...
anche il tuo
è stupendo,
non dovevi,
a me basta
il tuo cuore.
Caro!
Cara!
E' San Valentino
stasera si va
fuori a cena
a festeggiar
questo giorno.
Mentre in tante
parti del mondo
si scambian
doni, baci,carezze
e c’è chi beve,
al piano bar,
fresco champagne,
nei dintorni
di Bassora
nel golfo Persico,
insanguinato,
si decompongono
nella fanghiglia
tanti ragazzi
che sono stati
colà uccisi
incolpevoli fiori recisi
sull'esile stelo.

Quale Patria?

Splendente era la vera
che portava al dito mia madre
durante gli Anni Trenta,
fino al giorno in cui
uscì di casa
e ritornò tutta emozionata
senza più l’anello d’oro,
ma con un cerchietto di ferro.
“Ha fatto il suo dovere!
L’ha donato alla Patria!”
Come lessi anch’io
sul pezzetto di carta
che le fu dato.
Poi scoppiò la guerra
e patimmo la fame.
E sempre in nome della Patria ci dissero:
“Portate un po’ di lana dei materassi!
E’ necessaria per fare i calzettoni
per i nostri soldati in Russia,
altrimenti rimarranno
con gli arti congelati”.
E ancora, in nome della Patria
ci tolsero le inferriate
e si presero le pentole di rame
per fabbricare armi;
subimmo bombardamenti e distruzioni
e ci furono tante vittime innocenti.
Negli ultimi giorni del tragico conflitto,
a Dongo riapparvero gli anelli d’oro
che le spose italiane
avevano donato alla Patria.
Ma quale Patria ?

L'angelo biondo

Estate 1944 – Sfollamento e patimenti di ogni genere. Una ragazza, un Angelo biondo, fu catturata dai tedeschi e martirizzata.


A Seravezza, durante l’estate del 1944, avevano trovato rifugio diverse famiglie provenienti da varie località della Versilia, in particolare da Forte dei Marmi e da altre zone litoranee; il paese fu in quel tempo intensamente popolato come non mai, c’era anche gente di Livorno e della provincia di La Spezia.

Tanti sfollati si erano adattati a vivere in vecchi fondi (locali al piano terra ), nella circostanza imbiancati e resi il più possibile confortevoli, ma che in condizioni di vita normali non sarebbero mai stati abitati perché pieni di umidità e privi anche dei servizi igienici, di intonaci alle pareti e anche della pavimentazione e se c’era, questa era stata fatta con sole pietre e/o piastroni. Durante l’ultima guerra era convinzione comune che i monti intorno a Seravezza costituissero una difesa naturale contro gli eventuali cannoneggiamenti navali e terrestri, in relazione alla traiettoria dei proiettili, che sparati da qualsiasi punto, non avrebbero mai potuto colpire il centro abitato.

Ci furono delle discussioni in proposito fra noi ragazzi; qualcuno per farsi capire meglio, si aiutava coi gesti delle mani tracciando linee figurate che avrebbero percorso i proiettili che sorvolavano il paese, finendo nelle località più alte del monte intorno a Giustagnana, della Cappella o addirittura sul monte Altissimo, il monte di Michelangelo sul quale egli , ai primi del 1500, scoprì le famose cave del marmo statuario. Soltanto i colpi di mortaio o degli obici potevano colpire le case di Seravezza.

che in quell’epoca si riteneva che fosse addirittura anche al riparo dai bombardamenti aerei. Nel giugno 1944, quando caccia bombardieri alleati volando a bassissima quota, quasi a sfiorare i tetti delle case, sganciarono alcune bombe su Seravezza, tale illusione ebbe fine.

Convinti fino a quando i fatti non dimostrarono il contrario, che fosse un luogo sicuro, alcune famiglie trasportarono a Seravezza non solo la mobilia, ma anche porte, finestre e persiane delle loro ville ubicate nella provincia di La Spezia, vicino al mare dove ritenevano che vi potessero sbarcare gli anglo-americani. Tutto quanto accatastato in alcuni fondi dell’antico rione del Ponticello dove abitava la mia famiglia, rimase sotto le macerie, quando i tedeschi lo fecero saltare in aria facendo esplodere proiettili di artiglieria, collocati alla base dei muri perimetrali degli edifici, mentre i fabbricati di La Spezia che erano stati spogliati di ogni cosa non subirono alcun danno; la guerra da quelle località, contrariamente a quanto molte persone avevano pensato era passata lontana.

Seravezza invece, nonostante le previsioni più favorevoli, si trovò sfortunatamente al centro dei tragici eventi bellici dell’epoca , proprio nella parte finale degli stessi.

Comunque nel paese non si pensava al peggio, si riteneva che la guerra, non sarebbe mai arrivata da noi. Addirittura c’era chi pensava alla pace firmata a tavolino. Così mi sembrò di capire quel giorno che andai a farmi tagliare i capelli dal barbiere Scali, il babbo di Rolando anche lui barbiere. Nell’attesa sentii il titolare dell’esercizio che disse proprio cosi ad un uomo adulto, suo abituale cliente. Anche quest’ultimo sembrò dello stesso parere. Nella gente sfollata a Seravezza era viva comunque la speranza di ritornare presto nelle loro case. Chi l’avrebbe mai detto che i tedeschi si sarebbero trincerati proprio sui quei monti a noi così cari e familiari per arrestare l’avanzata delle truppe alleate?

Le Linea Gotica. Inimmaginabile, di già apparteneva alla storia. Gli eventi bellici purtroppo precipitarono e così venne meno la segreta speranza che avevamo in una fine imminente del sanguinoso conflitto che durava da oltre quattro anni.

Arrivò improvvisamente l’ordine di sfollamento a cui nessuno aveva mai pensato. Che grande agitazione ci fu, che giornate piene di angoscia vivemmo.

Io che ora scrivo i fatti di cui fui testimone ero in quell’epoca un ragazzo quasi quattordicenne. Avevo la nonna materna con una caviglia molto gonfia che da anni la faceva camminare a fatica, zoppicava vistosamente, il mio primo pensiero fu per lei. Mi domandavo come si potesse andare via da Seravezza con una persona anziana e i quelle brutte condizioni fisiche. Il tutto reso ancora più difficile dal fatto di avere due fratelli più piccoli e una sorellina nata durante la guerra., quindi assai piccina.. Come potevamo muoverci? Come tante altre persone la mia famiglia preferì rimanere attaccata alla propria terra.

Molto preoccupato per la mia nonna mi venne alla mente un pensiero atroce. Si pensai alla morte come una liberazione dai tristi eventi che ella sarebbe andata incontro se avesse continuato a vivere. Questo mio brutto pensiero lo manifestai anche a lei. “Nonna “ le dissi , “con tutto quello che ci aspetta sarebbe meglio morire, sì, meglio vedervi morta che continuare a soffrire” Ebbi il coraggio di dire queste brutte parole che per anni e anni mi hanno fatto tanto piangere dal rimorso di essere stato così crudele con lei.. Avrei dovuto dirle. “Nonna stai tranquilla non sei sola, ci siamo noi con te”. Non mi vennero alla mente queste buone parole di conforto e di speranza, per questo spesso i miei occhi si sono riempiti di lacrime.

Ritornando al discorso, non mi rendevo conto allora come potevamo muoverci in quelle condizioni assai disperate. Come si poteva raggiungere Sala Baganza, località del parmense dove era stato predisposto un centro di assistenza per gli sfollati della Versilia, come lessi sull’ordine di sfollamento affisso il 30 giugno 1944 sulla facciata di una casa della piazza Carducci, dirimpetto al monumento ai Caduti di Seravezza. Mio padre in quella situazione non sapeva che decisione prendere e non intuendo quello che sarebbe accaduto preferì rimanere sui monti circostanti, non appena riuscimmo a fare ricoverare mia nonna materna all’ospedale di Pietrasanta, distaccato in quel periodo a Valdicastello, dove nacque Giosuè Carducci..

Purtroppo sfollammo in una località che poco dopo dovemmo abbandonare precipitosamente perché vicina alla trincee erette dai tedeschi più sopra il nostro rifugio, cioè lungo tutto il crinale del Monte di Ripa, che fu per sette mesi l’estremo limite della linea Gotica..

Infatti ci rifugiammo tra il Pelliccino e il Colle, sotto il monte Canala, in un metato di cui sono ancora visibili i ruderi, poco distante dal canale, ove tutto sommato, ci sentivamo tranquilli perché potevamo disporre, in caso di bombardamenti, anche della grossa buca scavata nella roccia, sita a poche decine di metri, dalla quale durante la prima guerra mondiale veniva estratto il quarzo.. Avere poi vicinissima la sorgente d’acqua, quella che tuttora alimenta la fontana di Riomagno, era di grande consolazione perché potevamo far fronte ai nostri bisogni senza alcuna limitazione, ciò davvero non era cosa da poco.

Sfollare in quella località fu comunque un gravissimo errore che mio padre commise, perché ignorava che proprio quella zona sarebbe divenuta un caposaldo per fermare l’avanzata delle truppe alleate, e sia perché sul Pelliccino c’era la casa di suo fratello Pietro, e si era quindi molto vicini a Seravezza e per tale motivo potevamo ancora respirare aria di casa nostra. Ma non fu il solo a sbagliare. La famiglia Lucii che ben conoscevo, abitante in fondo alle case del Ponticello, nelle vicinanze della Casa dei Combattenti, trovò rifugio nella buca dell’acqua, vicina alla zona del monte chiamato Mezzaluna, Quando vidi piantati all’ingresso della buca paletti e tronchi di castagno non potei fare a meno di pensare a come dovevano essere le prime abitazioni dell’uomo antico. Durante l’estate del 1944, in pieno sfollamento, si era ritornati indietro di millenni.

Anche il trasporto della mia nonna all’ospedale di Valdicastello insieme ad altri ammalati e /o molto anziani ebbe momenti di suspense. Fu impiegata un’autoambulanza che non partiva mai perché mancava la benzina. Che sospiro di sollievo fu tirato quando fu consegnato al conducente un fiasco di carburante procurato da mio cugino Gualtiero Bandelloni, noto e molto bravo riparatore di orologi. Chi intanto si era rifugiato sui monti praticamente era stato abbandonato al suo destino. Infatti nessuno si occupò della numerosa popolazione rimasta appunto sui monti di Seravezza, una gran parte della quale era costituita da sfollati costretti a vivere nelle grotte, capanne e metati, quindi in condizioni di vita quanto mai disagiate, per non parlare di chi trovò rifugio nella chiesa di Giustagnana e dormiva sul pavimento ai piedi degli altari. Ogni giorno tutti dovevano arrangiarsi e darsi da fare per trovare qualcosa da mangiare per continuare a sopravvivere.

La preghiera, il “Padre Nostro che sei nei Cieli…dacci oggi il nostro pane quotidiano…” , sembrava che Gesù Cristo l’avesse dettata proprio in quei giorni così tragici; era come sempre è, quanto mai attuale, non sembrava davvero una vecchia preghiera di quasi duemila anni fa.

Spesso in quella estate, con all’orizzonte dense e minacciose nubi piene di fuoco, ero in giro per i campi in cerca di pannocchie di granturco, di qualche grappolo di uva, pomodori ecc. ecc, insomma di tutto quello che si potesse mangiare. Anche i miei genitori e mio fratello Sergio erano sempre in movimento, come noi tantissima altra gente lottava per sopravvivere.

Se prima dello sfollamento e solo saltuariamente negli anni e mesi prececedenti ero andato insieme ad altri compagni a cercare castagne sui monti di Seravezza e mele nel Camaiorese o a raccogliere nei campi della piana di Seravezza e di Pietrasanta, rare spighe di grano dopo la mietitura, successivamente a tale imprevedibile evento, la ricerca del cibo quotidiano non avendo da parte alcuna provvista, era obbligatoria se non si voleva davvero morire di fame.

I risultati per la verità erano piuttosto scarsi perché queste ricerche si facevano soltanto in quei campi, nei quali i contadini avevano già effettuato il raccolto, praticamente si prendeva quello che era rimasto. Se avessi saputo allora dell’esistenza di norme di legge in campo penale in merito allo “stato di necessità” ho motivo di ritenere che i risultati sarebbero stati molto diversi. Comunque in quel periodo si tirava avanti con qualche fetta di polenta ed era già molto averla, con pochi patatini e con delle focacce, alcune fatte di sola crusca, perciò difficili da inghiottire in quanto pareva di avere delle lische di pesce in gola che non andavano mai giù. Come si sia riusciti a continuare a vivere in quelle condizioni per me rimane un mistero. Un giorno, chissà che giorno fosse ( oramai chi li contava più), fui fortunato più del solito perché in un campo , dove era stato già effettuato il raccolto, trovai diverse pannocchie di granturco ancor attaccate alle piante. Pensai di farle subito seccare al sole per poi sgranarle e fare macinare i chicchi. Per tale motivo mi accinsi a ritornare subito a Giustagnana, dove nel frattempo la mia famiglia s’era rifugiata, dopo essere in pratica fuggita dalla zona vicina al Pelliccino. Ero giunto nei pressi di Ripa, quando, là dove ora c’è il semaforo, all’incrocio per il Poggione e dall’altro lato per Strettoia, incontrai un gruppo di donne e ragazzi che camminavano in direzione di Querceta con nelle mani borse piene di fiaschi vuoti. La comitiva doveva andare a Forte dei Marmi per prendere l’acqua del mare che allora si utilizzava in sostituzione del sale che non si riusciva più a trovare, e non certamente per bagnarsi e tuffarsi fra le spumeggianti onde del mare, come la stagione calda avrebbe invitato a fare. L’atmosfera del gruppo era serena, senz’altro c’era chi doveva raccontare fatti divertenti perché notai una generale allegria. Si distingueva in mezzo a quel gruppo, per la sua avvenenza , una ragazza alta, con i capelli biondi e lunghi, robusta, ma con le linee del corpo armoniose , di carnagione rosea, occhi radiosi, il viso tondo illuminato da un sorriso dolcissimo che lasciava intravedere denti splendenti. Mi pare che indossasse un vestitino celeste con un golfino chiaro. L’avevo vista diverse volte a Seravezza, dove da tempo era sfollata da La Spezia. Non avevo mai parlato con lei, ne conoscevo il suo nome, In seguito all’improvviso ordine di sfollamento del paese la sua famiglia si era rifugiata a Giustagnana; suo fratello era stato un mio compagno di scuola. Questo incontro, apparentemente normale anche se le strade in quel tempo erano sempre deserte, è rimasto molto vivo nella mia memoria, soprattutto per quanto successe poco dopo alla giovane donna. Più tardi la comitiva di cui faceva parte la ragazza, come mi fu raccontato, venne intercettata da soldati tedeschi, forse “ S. S.”. La sua presenza non poteva passare inosservata, anche per l’aspetto fisico rassomigliante, senza dubbio, a giovani donne della loro terra. Infatti i soldati la catturarono, Non so dove ciò avvenne, ne fui informato di come si svolsero i fatti, seppi solo che i soldati tentarono di usarle violenza, ma lei oppose la più disperata resistenza fino a che non fu uccisa. La sua morte fu un martirio.

L’immagine di quella sfortunata ragazza, un angelo biondo indifeso, non è mai svanita dalla mente di chi scrive, un piccolo e povero ragazzo di allora , che neppure conosceva il suo nome, ma che ancora la rivede mentre il quel lontanissimo e caldo giorno dell’estate del 1944, camminando verso il mare leggiadra e sorridente , con nell’aria il canto delle cicale, andava inconsapevolmente
incontro alla morte.