sabato 26 giugno 2010

Anni 40: ragazzi affamati in cerca di castagne


Prima parte

Piero, un ragazzo quattordicenne abitante vicino a me al Ponticello di Seravezza, bussava forte alla porta di casa mia; era ancora notte e lui mi chiamava ripetutamente: “Renato, Renato, svegliati, andiamo, si va alle castagne”. Era una domenica del 1942 o 1943, del tempo in cui cadevano le castagne: un anno di guerra! Faceva freddo e non era per niente piacevole essere svegliati così bruscamente. Dormivo insieme a mio fratello Sergio e facevo fatica ad alzarmi, ma il pensiero di poter raccogliere un po’ di castagne, per togliermi quella fame che tutti i giorni sentivo forte forte, mi fece rotolare giù dal letto; in pochi minuti ero già fuori dall’uscio. Non avevo fatto nemmeno colazione, probabilmente in casa non c’era nulla da mangiare, mi pare proprio che fosse così. “ Dove si va Piero?”. “Andiamo a Cerreta S. Antonio, c’è una bella selva con tanti castagni e se ci arriviamo appena fa giorno e soprattutto se non ci sono i padroni possiamo raccoglierne un sacchettino”. Il suo parlare era deciso, sicuro di sé. Io non ebbi nulla da obiettare, acconsentii e via.

Si camminava svelti nonostante si calzasse gli zoccoli, e in breve tempo attraversammo Seravezza ancora al buio, oltrepassammo Valventosa e raggiungemmo la mulattiera che portava a Basati, senza incontrare un’anima viva. Salimmo un po’ prima di entrare in una selva sotto il paese di Cerreta S. Antonio. Il castagneto era pulito, sembrava un giardino tanto era ben curato ed il terreno era ricoperto di castagne, molte delle quali pronte a schizzare fuori dai ricci aperti a mezzaluna. Ero contento, quasi mi pareva di sognare se non ci fosse stato il timore di essere sorpresi dal padrone, fatto questo che si sarebbe risolto con una fuga precipitosa a rotta di collo, con tutti i rischi connessi. Ero veloce a raccogliere le castagne che mi apparivano belle lucenti sotto il primo chiarore del mattino. Come uno scoiattolo, me ne mettevo in continuazione una in bocca, per sgranocchiarla, dopo averla pulita coi denti. In poco tempo si riempì la saccoccia che tenevamo legata alla vita. Fu a questo punto che Piero manifestò il suo male ingegno. Mi disse: “Andiamo a nasconderle in uno “scepalone” (1), poi si ritorna, così se ci sorprende il padrone, tutto al più ci toglie le castagne che ci trova addosso e noi possiamo tornare a casa con quelle che abbiamo nascosto”. Che idea! Le pensava proprio tutte ed io, ancora una volta, mi trovai tacitamente d'accordo con lui, non aprii bocca. Uscimmo dalla selva mentre si faceva sempre più giorno. Nascondemmo le castagne che avevamo messo in un sacchettino sotto una siepe e poi via di corsa scalzi nuovamente nel castagneto.

Si poteva camminare scalzi perchè la pianta dei nostri piedi era dura come se fosse di cuoio tanto eravamo abituati a camminare in quel modo.Che piedi! Davvero degni del grande Abebe Bikila che nel 1960 conquistò, correndo a piedi scalzi, la sua prima medaglia d'oro olimpionica della maratona che fu disputata a Roma. Ero così indaffarato a raccogliere il prezioso frutto, una vera manna per quei tempi in cui si soffriva molto la fanme, quando ad un certo punto mi accorsi di essere rimasto solo nella selva .Piero se n'era andato senza dirmi niente e così dopo qualche attimo anch'io decisi di uscirne fuori. Valutai che le castagna raccolte erano più che sufficienti per fare ritorno a casa. Raggiunsi la siepe dove c'era già Piero che aveva fra le mani il suo sacchetto.. Quando tirai fuori il mio rimasi di stucco, a bocca aperta come un locco. Qualcuno lo avevo quasi svuotato. Non ebbi neppure il tempo di ripredermi dalla sorpresa poiché il quel momento apparve alle nostre spalle un uomo con il pennato in mano, un gigante tanto mi sembrò grande. Era il padrone della selva il quale, evidentemente, ci aveva visto mentre si raccoglievano le castagne e che, invece di farci scappare, come Piero aveva pensato, aveva atteso, il momento che per tentare di riprendersele tutte.Più furbo di Piero.
La visione di quell’uomo fu per me come un k.o, nel senso pugilistico del termine. Egli ci rimproverò duramente, minacciandoci di farci arrestare dai carabinieri. Capii dal suo discorso che anche lui pativa la fame. Non ci fece alcun male. Si riprese le castagne e ci restituì i sacchetti vuoti. Mentre ritornavamo a casa, ripensavo a quelle castagne che erano sparite dal mio sacchettino ed alla sfortuna che si era accanita contro di noi. Che ingenuo! Nemmeno mi sfiorò l’idea che fosse stato Piero a sottrarmele. Dopo diversi giorni, ricordo che una sera, insieme a Piero e ad altre persone del Ponticello, di ritorno da Basati, dove tutti ci eravamo recati per racimolare qualcosa da mangiare, ma con risultati del tutto negativi, passammo vicino allo “scepalone” sotto il quale la domenica precedente avevamo nascosto le castagne. Fu allora che Piero si fermò lì per raccogliere, di nascosto, le castagne che lui aveva sottratto dal mio sacchettino, quella domenica mattina in cui entrambi avevamo una fame da morì.

II parte


Noi ragazzi, durante gli anni della guerra, che insanguinò anche la nostra terra di Versilia per ben sette mesi, dal settembre 1944 al mese di aprile del 194 si andava spesso in cerca di castagne. Si sapeva che non era lecito “rubare” le castagne, ma la fame che pativamo non induceva alla benché minima riflessione. Si partiva gioiosamente, ma si ritornava a casa sempre molto sconsolati poiché avevamo il sacchetto vuoto. Devo anche dire che non erano trascurabili i pericoli cui andavamo incontro, come accadde quel giorno che andai sul monte Altissimo, il monte di Michelangelo, insieme a quattro o cinque ragazzi della mia età. Non appena si uscì dalla strada, subito dopo la salita del ponte di Rimone e si entrò nella prima selva, una donna di Seravezza che non era neppure la proprietaria, ma soltanto una persona autorizzata a raccogliere per sé le castagne, iniziò, con una furia forsennata, a tirare contro di noi grossi sassi. Furono le nostre gambe, allora scattanti, ad evitarci il peggio: in pochi minuti ci si trovò in fondo al fiume tutti sani e salvi. La scampammo proprio bella perché qualcuno di noi, senza avere avuto nemmeno il tempo di mettersi in bocca una sola castagna, poteva finire all’ospedale se gli fosse andata bene a non rimanere stecchito sul colpo.

- - - - -

Nell’estate del 1944 la mia famiglia anziché sfollare a Sala Baganza (PR) preferì rimanere, così come fecero moltissimi seravezzini, sui nostri monti. Inizialmente trovammo rifugio in un metato sito sotto il crinale del monte Canala che, a nostra insaputa, veniva fortificato dai tedeschi L’avanzata degli angloamericani ci indusse, quasi subito, ad una fuga precipitosa da quella zona che fu poi teatro di aspri combattimenti. Finimmo nella chiesa di Giustagnana, già piena di sfollati, fino a ché non si occupò, con il consenso del proprietario, una piccola casupola ubicata in mezzo ai castagni, poco distante dal paese, verosimilmente adibita, in tempi assai lontani, al ricovero del bestiame ed alla custodia di attrezzi agricoli. Lì rimanemmo fino alla nascita dei funghi ed alla caduta delle prime castagne che rimbalzavano anche sul tetto del nostro rifugio. Potevamo rimanere in quel posto dove finalmente ci eravamo tolti la voglia di mangiare ballotti e mondine? No! Fummo costretti ad abbandonarlo subito dopo l’arrivo a Giustagnana dei soldati americani di colore, della divisione “ Bufalo”, immediatamente accolti da una pioggia di colpi di mortaio, sparati dalle postazioni occupate dai tedeschi sul monte che avevamo di fronte,oppure nei pressi della Cappella. Così, mentre la natura meravigliosa nella costante ripetizione delle stagioni, donava agli uomini i suoi frutti nutrienti e saporosi, la guerra scatenata da esseri irragionevoli, che volevano imporre con la forza delle armi le loro ideologie totalitarie, senza tenere in alcun conto il diritto alla libertà, che è il bene più prezioso ed inalienabile di tutti i popoli della terra, continuava a mietere vittime innocenti. Balzò allora di più ai miei occhi, il contrasto tra il Mondo fantastico ed affascinante. tutto per me ancora da scoprire, e la dignità di una moltitudine di creature umane, calpestata ed offesa nel modo più violento da altri esseri simili.

Dai fatti che ho raccontato sono trascorsi diversi decenni ed in tutto questo lungo tempo, soltanto poche volte sono risalito sui monti per raccogliere le castagne, senza più avvertire i timori patiti da ragazzo. Sono anni che faccio le mondine ed i ballotti con le castagne acquistate nei negozi di frutta, perché piacciono molto a tutta la mia famiglia. Le caldarroste, in modo particolare, emanano un profumo penetrante come quello del pane fatto in casa ed è bello toglierle dalla padella ancora fumanti, per poi mangiarle bevendoci sopra un gustoso bicchiere di vino leggero. Confesso inoltre la mia ghiottoneria per la torta di farina di castagne coi pinoli, l’uvetta secca e l’olio di oliva, per i “manifregoli” (2), conditi sempre con lo stesso olio, oppure cosparsi di latte ed anche per i “ciacci” (3), riempiti di ricotta: si tratta davvero di cibi sani e molto nutrienti. Voglio ricordare che fin dai tempi più antichi, i frutti del castagno costituirono l’alimento principale per molte popolazioni; con le castagne si sfamò anche l’esercito del generale cartaginese Annibale che, negli anni 218 - 217 e 216 a.C., passato, con gli elefanti, dalla Gallia nella nostra penisola attraverso le Alpi, e sbaragliò gli eserciti romani in epiche battaglie, tanto da arrivare a conquistare gran parte dell’Italia meridionale.

Note

(1). Scepalóne: dialetto versiliese - Siepe impenetrabile di rovi;
(2). Manifrégoli: farinata di farina dolce cotta nell’acqua, con un poco di sale, e scodellata molto liquida. Viene spesso condita con l’olio di oliva vergine, o con il latte oppure con la ricotta;
(3) . Ciaccio: neccio fatto con farina di castagne, disciolta a freddo in acqua, con poco sale, e cotta fra due testi riscaldati a fiamma viva.

L’Autore, che con il racconto inserito nella prima parte, un po' modificato, ha partecipato al concorso “E' bello togliere insieme le castagne dal fuoco”, indetto dal comune di Pontremoli, è stato premiato dal Sindaco della città, onorevole Enrico Ferri, il 15 Maggio 2000, con “L’ EURO DI PONTREMOLI – COMUNE DI EUROPA”.

Nessun commento: