giovedì 31 maggio 2018

Non ho mai più bevuto un'acqua così buona


Ero un bambino sui sei o sette anni quando la mia cara mamma era solita portare me e mio fratello Sergio al mare a Forte dei Marmi. Ricordo che a Seravezza faceva molto caldo ed era bello per noi ragazzi poter fare dei bei bagni vicino alla riva del mare, dove l’acqua non era profonda, e quindi non correvamo alcun pericolo.

Il mio babbo in quel tempo era andato, con altri dieci cavatori di Seravezza, tra i quali ricordo Sandrino Neri, marito dell’Adalgisa, a lavorare in Africa come operaio addetto alla costruzione delle nuove vie di quel territorio, conquistato dopo la guerra italo etiopica (1935-36) combattuta in Abissinia contro il negus Hailé Selassié e la "conquista dell’impero" voluto da Benito Mussolini.

Forte de Marmi la raggiungevamo a piedi. Quando finalmente arrivavamo, ci toglievamo gli zoccoletti o i sandalini e camminavamo sulla spiaggia, la rena scaldata dal sole scottava i nostri piedi. Sostavamo sotto il pontile per un po' di tempo per riparaci dal sole. A mezzogiorno ci spostavamo nella vicina pineta, dove mangiavamo delle ​polpette eccezionalmente saporite che la sera prima mia mamma aveva preparato per mangiarle al mare. Erano davvero molto buone. Con sorpresa lo stesso sapore lo risentii e ancora lo risento nelle polpette che mi cucinò (e ancora oggi lo fa) mia moglie Angela Pucci, seravezzina come me.

Non siamo mai entrati in un bagno dotato di cabine, con gli ombrelloni e sedie a sdraio, in quanto mio padre in Africa percepiva un paga lorda giornaliera di lire 40, detratte lire 3,80 per il vitto giornaliero, e comprate le sigarette e qualche bicchiere di vino, gli rimanevano poco più di 30 lire al giorno. Si stentava a tirare avanti.

Quando sostavamo in piazza Garibaldi di Forte dei Marmi, prima di iniziare il viaggio per tornare la sera a casa, ci ristoravamo bevendo un bel bicchiere di acqua all'anice, servita con il ghiaccio. La vendevano due donne, una anziana e l’altra molto giovane. Appena la bevevamo ci pareva di rinascere. Le due donne come attrezzatura di lavoro avevano fatto costruire un banco a forma di barchetta, dove tenevano i bicchieri e i recipienti contenenti l’acqua aromatizzata.

Sul libro "La Versilia Rivendica l’Impero" di Giorgio Giannelli a pag. 263 è riprodotta  la foto delle due donne intente a vendere ​l’acqua, che veniva preparata  dalla più anziana, Lorenza Paolicchi, detta la "Lorè dell’acquetta". Con lei c'era sua nipote, Raffaella Gianfranceschi.

L’acqua era a base di limone e anice e veniva servita con il ghiaccio. Era una bevanda dissetante e prelibata. I tanti versiliesi del fiume che scendevano dalla montagna per farsi un tuffo al mare, si fermavano al banchetto della Lorè per combattere l'arsura dell'estate con un bel bicchiere di questa buonissima acqua. Quel sapore fresco e piacevole mi è parso di risentirlo quando mio figlio mi ha regalato, non molto tempo fa, delle caramelle all'anice.

Renato Sacchelli

mercoledì 23 maggio 2018

Due angeli nel pozzo


Un uomo, col volto
da lacrime bagnato
dall’orlo del pozzo
col microfono in mano
attaccato a un filo
penzoloni nel vuoto
parlava al bambino:
“Stai calmo, tranquillo,
non disperarti Alfredino.
Una macchina bella
splendente come una stella
è partita e ti raggiungerà,
tra poco ritornerai
tra le braccia
di mamma e papà.
Sì, è davvero fantastica,
a te parrà irreale...
sai, perfora la terra,
raggiunge la luna
lambisce le stelle
e tocca il fondo del mare.
Stai calmo Alfredino".

Per ore e ore
il buon Nando parlava
e il piccino lo sentiva vicino.
Erano le parole che udiva
a scaldare il suo corpicino.

E con le cose belle
che il vigile del fuoco diceva
Alfredino, nel buio profondo,
rivedeva la luce, il sole,
i prati fioriti e i giochi felici.

Il tempo però passava
e come la tv ci mostrava
la macchina non arrivava.

Era l’udire il pianto straziante,
a farci sentire il suo soffrire,
il lento morire sprofondato
a decine di metri più giù.

C’è stato un momento
in cui s’è davvero sperato
che venisse salvato
dai coraggiosi giovani
che legati alle corde
nel pozzo si son calati
e hanno raggiunto
il piccolo Alfredino,
ma invano hanno lottato,
il fango la loro stretta
ha allentato
e con poco fiato
non hanno più riprovato.

Dio che tanto abbiam pregato
perché vivo dai suoi cari 
potesse ritornare
solo non l’ha lasciato.
Un angelo gli ha mandato
che ha accarezzato,
asciugato e baciato
quel caro e piccolo
volto infangato
finché sul suo viso
è riaffiorato il sorriso
e dolcemente
si è addormentato
per sempre in Paradiso.

Renato Sacchelli



Dedico questa poesia all'amico don Giorgio Servi, che purtroppo ci ha lasciati diversi anni fa. Fu lui, dopo avergliela letta, a suggerirmi di concludere con le parole "in Paradiso".