giovedì 20 agosto 2009

Alla memoria del finanziere Antonio Zara

Desidero ricordare il finanziere Antonio Zara, ucciso, appena ventenne, in seguito all’azione criminosa dei fedayn di Arafat, avvenuta una trentina di anni fa all’aeroporto internazionale di Fiumicino. Non l’ho mai conosciuto. Di lui mi è rimasta sempre impressa la sua immagine, trasmessa dalla tv, nel momento in cui giaceva disteso e agonizzante ai piedi di una scaletta di un aereo, dopo essere stato raggiunto dai colpi di arma da fuoco. Mentre scrivo mi commuovo ancora. E non mi vergogno a dirlo, nonostante siano trascorsi molti anni da quando venne commesso questo assassinio. Rivedo la sua mano muoversi sulla fondina della pistola che non aveva avuto il tempo di impugnare contro quei fedayn rei di un vile attacco alla nostra nazione, rivedo il suo corpo scosso dal rantolo dell’ultimo respiro. Una immagine davvero agghiacciante. Nel vedere che nella terra dove nacque Gesù la guerra non finisce mai credo proprio, che alla fine di essa si arriverà soltanto quando le due parti concorderanno un piano comune che deve coinvolgere anche i musulmani più integralisti e fanatici perché soltanto dall’amore e dal dialogo con tutte le creature di queste due nazioni, anche di religione diversa, sarà possibile costruire un mondo di pace e finalmente senza più guerre. Basta coi tagliagole, basta con questo continuo scorrere di sangue. Quando fu ucciso il finanziere Antonio Zara chi scrive prestava servizio al Nucleo Regionale pt di Napoli. Ricordo che non ci furono altri morti. Tanti poliziotti furono fatti prigionieri. Costretti a salire su un aero vennero dirottati in Grecia. Antonio Zara ,ponendo la mano sulla fondina, fu l’unico uomo della legge a tentare di opporsi a questa criminosa azione. Non alzò le mani, sapeva qual era il suo dovere e per questo fu barbaramente ucciso.
Sovente ho pensato alla breve vita del finanziere Zara, ricca di sogni finiti anzitempo con lui nella bara. Sì ho sempre pensato ai suoi genitori, familiari ed amici e alla Guardia di Finanza che perse un eroico militare il quale fu insignito di una medaglia d’oro, al valor militare, alla memoria. Questa sua crudele morte fece piangere tutti finanzieri sia in servizio che in congedo. Al lato della piazza d’armi della caserma Piave di Roma, nella quale chi scrive nel 1949 frequentò la scuola allievi finanzieri, è stato eretto un piccolo monumento, con la testa scolpita, mi pare in bronzo, a perenne suo ricordo.
Non alzò le mani, e questo fatto sicuramente ispirò il mio inconscio, a scrivere, negli anni 80, una poesia:

Essere uomini
Non ditemi,
non ripetetemi
che non c’è per l’uomo
una cosa più importante della propria vita
in quanto è bella,
unica e perciò dev’essere
interamente vissuta.
Se per molti questo
è un punto fermo,
ebbene io dico che
mai alzerò le mani
davanti alla pistola
ad un fucile di un bandito.
Perché?
Perché la dignità sentita
di essere uomini
per me è più preziosa della vita.

venerdì 7 agosto 2009

IL PROFESSOR DINO BIGONGIARI A 44 ANNI DALLA SUA MORTE

Non fu una sorpresa per i suoi amici, la notizia della morte di Dino Bigongiari che avvenne nella sua Seravezza il 6 giugno 1965. Da anni lottava contro malattie e disgrazie fisiche tanto da dover subire operazioni dolorose che lo avevano collocato al di fuori dal suo mondo che era quello dell'espressione.
Giuseppe Prezzolini sulla La Nazione del 12 settembre 1965 scrisse, tra l'altro, che Dino “Aveva un tesoro di cognizioni rare; di idee originali; di giudizi taglienti; di opinioni profondamente sentite, e poi di affetti umani gentili, che sbocciavano in atti di carità e insieme, perché non dirlo, di avversioni radicate, di polemiche tenaci e di disprezzi globali , si era in quegli anni affievolito e finalmente quasi scomparso”.

Qualche settimana prima della sua morte, Gianfranco Contini, professore e presidente della società dantesca insieme e il suo collega Carlo Mazzoni andarono, due volte, a trovarlo a Seravezza, per presentargli una copia appena uscita della nuova edizione del De Monarchia, curata da Pier Giorgio Ricci.;era un omaggio dovuto a Dino che dal 1926-27 era impegnato alla correzione del testo di Dante,un lavoro che i dantisti più colti finirono per accettare. Questo suo lavoro era poco conosciuto in quanto le sue proposte erano apparse in lingua inglese su una piccola rivista della Columbia University presso la quale era docente ed anche alla sua nota indifferenza a qualsiasi forma di pubblicità.

Dino Bigongiari, nato a Seravezza nel 1878, fu uno dei tanti uomini incredibili della Toscana sia per quanto riguardava l'originalità che per la singolarità delle loro vite. Fu studioso di Dante con le sue conoscenze rare di latino e di greco; di filosofia; di teologia e di tutto lo scibile umano. Da ragazzo fu un selvaggio che non voleva studiare. Il padre di Dino anche lui originalissimo figlio della Versilia, fu portato dal commercio del marmo e dalla sua passione per il giornalismo a emigrare in India e poi in America dove mandò il figlio a fare il fattorino della Western Union, la società del telegrafo. Furono i consigli del padre a far riprendere gli studi a Dino. Da ragazzo sapeva già il latino bene come l'italiano per averglielo insegnato uno zio prete che lo aveva educato alla caccia e alla lingua di Cesare e dei lirici greci; appena uscito dalla scuola media e dal college senza prendere la laurea era stato chiamato ad insegnare latino nell'università. Era bello, sembrava una statua di Donatello. Nella vita fu cacciatore, nuotatore, marinaio; solo per necessità aveva accettato di essere un docente universitario,una professione che svolse a un alto livello dal 1904 fino agli anni 50 presso la Columbia University di New York. Tutta l'università lo ascoltava con profonda attenzione quando spiegava un passo di Aristotele o di Platone o i misteri copernicani o tolemaici. La fede cristiana aveva domato la sua natura selvaggia che qualche volta pareva recalcitrare, ma il temperamento prendeva la mano fino ad esaltare la sua conquistata umanità, tanto che dalla sua bocca, abituata a far sentire Omero e Dante ai ragazzi americani, uscivano termini irripetibili della parlata versiliese e di Seravezza in particolare. Aveva una cultura immensa acquisita dalla lettura di testi sacri dell'erudizione e non sulle enciclopedie.

Il suo intuito dei testi uncanny (soprannaturale) fu definito così da un collega di Prezzolini. Una volta il Mercati, bibiotecario della vaticana, non ancora cardinale, gli mandò un testo scritto, ricopiato da lui: il Bigongiari rilevò degli errori che nessuno voleva ammettere che fossero stati fatti, forse per fretta, evidentemente dall'illustre paleografo; c'erano infatti questi errori che il Mercati benevolmente li riconobbe. La cultura raffinata e rara del Bigongiari l'aveva seppellita dentro di lui in quanto era accompagnata da un tremenda angoscia dello scrivere che Prezzolini credeva derivasse da qualche a lui ignoto fattore della formazione di Dino, oppure dalle difficoltà di parlare bene di cose vere e utili, tanto da fargli apparire la produzione dei libri come un vaniloquio. Era convinto che tutto fosse già stato scritto dagli antichi e che dal Medio Evo in poi non ci fosse stato nulla di grande importanza, salvo poche eccezioni. Bastava un emistichio, una sola parola o una parte della radice della stessa a far scaturire dalla sua eccezionale memoria collegamenti, allacciamenti e connessioni che arrivavano a colpire per la curiosità e loro giustezza, non soltanto nel settore delle etimologie; ma anche in quelli dei raffronti estetici e soprattutto; fatto più importante, nel campo delle derivazioni di idee. Questo splendido fiore, sbocciato in America. della ormai cultura evanescente greco – latina e cristiana aveva forti radici versiliesi, grazie al seravezzino Dino Bigongiari. Suo padre Anselmo fu un garibaldino agnostico.

Quando stava per ricevere l'olio santo, Dino, sapendo che Prezzolini era fuori dalla sua camera dell'ospedale, lo mandò a chiamare e con quel poco di filo di voce che gli era rimasta di quella che aveva udito tuonare nelle aule universitarie, gli dette la testimonianza della sua fede e della sua amicizia. In punto di morte espresse al suo caro amico quanto egli credeva nel Cristo redentore, pienamente convinto che fosse anche per lui un bene supremo. Tutto ciò non cambiò le idee del grande Prezzolini che ricordò sempre con forte affetto Dino, il quale, nel 1931, lo aveva chiamato ad insegnare alla Columbia Università di New York.

lunedì 3 agosto 2009

Com'è il mare?



Nella sala d'attesa della seconda classe
della stazione di Bologna,
una coppia di sposi, con l'unico bambino,
per la prima volta tutti insieme,
attendevano l'arrivo del treno.
Destinazione: una spiaggia del Tirreno.

Stretta nelle sue manine,
il piccino teneva una barchetta
di plastica colorata
e con la vela bianca,
"Babbino com'é il mare?
Non vedo l'ora di giocare
con te e con la mamma,
m'insegnerai a costruire
castelli di sabbia
e a prendere pesciolini?".

"Si amore, raccoglieremo anche conchiglie
e sassetti levigati, su vieni, stringimi forte
e dammi un bacino".
E mentre le braccia del bambino
accarezzavano il volto del suo babbino,
sotto lo sguardo tenero della mamma,
tra lo sferragliare dei treni in movimento
e in mezzo a numerosi passeggeri,
mani assassine di uomini spietati e senza cuore,
fecero esplodere una potente bomba
che avevan nascosto in una borsa lì abbandonata
con il timer attivato e pronto all'esplosione.

Quando nella stazione devastata
si diradò il fumo e il polverone,
e apparvero tanti corpi dilaniati (*),
appiccicata a pochi resti di creature umane,
orribilmente maciullate,
intatta fu trovata la barchetta,
solo il colore della vela era cambiato:
il sangue l'aveva tinta di rosso.


(*) La strage di Bologna fu compiuta il 2 Agosto 1980. L'attentato causò 85 morti e oltre 200 feriti

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domenica 2 agosto 2009

Quant'è difficile capire la politica italiana...

Stavano al governo ma erano contro il governo
Ai tempi del governo Moro con alla vicepresidenza, se non ricordo male, Pietro Nenni, nella bella e nobile città di Napoli, ricca di storia e di monumenti, ma con una forte disoccupazione giovanile (ogni anno nelle liste venivano iscritte più di centomila persone) ci fu una grandiosa dimostrazione nazionale di protesta organizzata dalla Cgil contro il governo. Segretario della Cgil mi pare che fosse, in quel tempo, Luciano Lama. Ebbi modo di osservare il passaggio lungo il rettifilo Umberto I di una delle tre grandi colonne di dimostranti, partita dalla Stazione Centrale e diretta in piazza Plebiscito, dove avrebbero parlato gli alti esponenti del movimento sindacale degli operai. Tra lo sventolìo di bandiere rosse, accompagnavano De Martino altri politici del suo partito. Ricordo molto bene che la folta schiera di uomini incolonnati urlava brutte parole all'indirizzo di Moro e del suo governo, mentre i proprietari dei tanti negozi ubicati lungo la via, abbassavano le saracinesche per evitare assalti violenti dai dimostranti più facinorosi. Di fronte a quanto avevo visto coi miei occhi, rimasi incredulo. Infatti mi domandai: “Com'è possibile che alla testa di questo sciopero contro il governo vi fosse il segretario del Partito socialista italiano che faceva parte del governo Moro, contestato dagli stessi lavoratori?”. Una delle tante stranezze della politica italiana.