venerdì 25 giugno 2010

Poco tempo fa, nella sua casa di Vittoria Apuana, mia cognata Anna Pucci mi ha fatto vedere il libretto scritto dalla maestra Maria Grazia Gasperetti, intitolato “Caleidoscopio”, edito dalla Ibskos, dedicato alla memoria di suo padre, il professor Vincenzo Gasperetti, fucilato a Milano dai partigiani il 28 aprile 1945.
Dopo un primo sguardo l’ho letto tutto d’un fiato ed ora eccomi ad esprimere ciò che ha scosso di più la mia sensibilità, mentre leggevo quelle bellissime pagine: l’amore infinito di una figlia verso il proprio padre e l’immenso dolore che con la fine violenta del genitore colpì sia lei che i suoi cinque fratelli, già orfani della madre.
Sono struggenti e lancinanti i ricordi di Maria Grazia Gasperetti, scritti con una prosa eccezionale ed anche in versi poetici di grande rilievo, il tutto arricchito da pregevoli lavori pittorici della stessa Autrice.
Ho trovato molto bello il suo libretto, che mi ha fatto rivedere la Corvaia antica e suggestiva, con le sue vecchie case aggrappate alle rocce del monte, coi suoi giardini e gli orti che impreziosivano il paesino, prima che fosse fatto saltare in aria dai Tedeschi nel 1944.
Quand’ero ragazzo vidi tante volte passare, lungo la strada del Ponticello di Seravezza, un giovane abitante in una delle prime case del monte Canala, con dei libri sotto il braccio. Andava e veniva dalla casa di Corvaia del professore Gasperetti, ch’era solito impartire gratuitamente lezioni private ai giovani di famiglie bisognose, i quali, soltanto così potevano prepararsi a sostenere esami importanti per il loro avvenire, a cominciare da quello per conseguire il diploma di maestro.
Ancor prima di leggere il lavoro di Maria Grazia Gasperetti, sapevo già tante cose importanti su suo padre, avendole apprese dai libri di storia della Versilia, scritti dal nostro direttore Giorgio Giannelli.
Vincenzo Gasperetti fu un fascista “sui generis”. Non si contano gli episodi che lo videro, incredibile a dirsi, arrivare a proteggere gli antifascisti locali, quando nei primi anni 20, fu Segretario del Fascio di Seravezza. Una sera, quando seppe che in una trattoria del paese si erano radunati alcuni di essi per festeggiare clandestinamente il 1° Maggio, non soltanto disse ai propri uomini (che avevano circondato l’edificio) di ritornare a casa in quanto quella faccenda se la sarebbe sbrigata da solo, ma finì per rimanere a mangiare coi suoi avversari, che certamente stimava, anche se di diverso credo politico. E che dire, allorché terminata la “festa” quelle persone vollero accompagnare, a braccetto, il professore fino alla sua abitazione cantando, tutti insieme a squarciagola, “Bandiera rossa...”.
Professore di lingue antiche e moderne e di lingue straniere, mutilato della I Guerra Mondiale, e Colonnello di carriera del Regio Esercito Italiano, con prestigiosi incarichi anche di partito, si batté a difesa dei nostri cavatori, non solo perché fosse ridotto il pesantissimo orario di lavoro, ma anche per un maggiore salario.
Seppe dire “No!” ad alti gerarchi del partito fascista; a Lucca prese a schiaffi il federale Scorza. Espulso dal partito nel 1924 vi fu riammesso nel 1937, dopo ben tredici anni di emarginazione, riprendendo l’attività in seno allo stesso soltanto nel 1940.
Nei libri di Giorgio Giannelli ci sono anche delle pagine che parlano dell’attività del professor Gasperetti nei confronti dei partigiani versiliesi, dalle quali non mi pare che emergano elementi che evidenzino particolarmente una sua feroce e sanguinaria persecuzione nei confronti degli stessi.
Pagò con la vita il fatto di essere stato P.M. presso il Tribunale straordinario costituito a Massa durante l’occupazione tedesca, ma “ se fosse rimasto in Versilia, sarebbe sempre vivo” ebbe a dire, nell’immediato dopoguerra, il comandante partigiano suo compaesano, Aurelio Tonini.
Sulle spoglie del padre, la figlia ha scritto che: “...il corpo non fu mai ritrovato, perché gli furono strappati i gradi e tolti gli effetti personali a lui tanto cari: una catenina e un orologio d’oro...venne fucilato e gettato in fosse comuni; il tutto dopo un processo sommario ed inesistente, a seguito di accuse quanto mai infondate”.

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Ma la tragedia della famiglia Gasperetti non fini lì. Il figlio più grande rimase detenuto per 10 mesi, nel carcere milanese di S. Vittore, solo perché stava col padre, nel periodo in cui il genitore lo preparava a sostenere l’esame di maturità; una detenzione crudele, senza alcuna ragione.
Anch’io credo che il nome del Gasperetti avrebbe dovuto essere annotato sul monumento ai Caduti di Corvaia, eretto a spese della famiglia Ferrari Niccolina, dopo oltre quarant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma così non è stato fatto, perché una persona l’ha impedito. Perché, mi domando? Sì, le vorrei conoscere le motivazioni di questa inaccettabile esclusione, volta soltanto a fermare quel processo di pace mirante alla concordia ed alla ritrovata fratellanza fra gli uomini.
Fra le persone ricordate da Maria Grazia Gasperetti c’è anche Carmeluccio, un anziano del paese con la barba sempre lunga, che spesso anch’io vidi nelle strade di Corvaia. Lo ricordo molto bene Carmeluccio (sposato con una donna sud americana conosciuta quando emigrò in Brasile e che poi portò in Corvaia), anche lui vittima innocente della guerra, in quanto fu ucciso con un colpo di fucile sparato da un soldato tedesco nell’ agosto- settembre 1944, mentre, per togliersi la fame, tentava di raggiungere le piante di fico del Can Bianco.
Personalmente sono contrario a qualsiasi ideologia che porta gli uomini a scontrarsi violentemente ed a uccidersi fra di loro. Nato figlio della Lupa e quindi appartenente alla generazione “dell’uomo nuovo” con cui il Duce intendeva fascistizzare integralmente i nuovi nati durante il regime
fascista, dopo l’8 settembre del 1943, anch’io e tutta la mia classe , si seppe dire: “No!” a chi voleva che tutti noi alunni della II/B dell’Avviamento professionale al lavoro di Seravezza ci iscrivessimo al rifondato P.R.F..
Sono davvero commoventi queste pagine stupende che Maria Grazia Gasperetti ha affidato al vento per farle arrivare lassù nel cielo, dove riposa l’anima del suo “caro Babbo”.

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