martedì 29 giugno 2010

I miei ricordi di piccolo bambino.

Non ho mai dimenticato le corse fatte, più di una volta, da bambino sull’erba alta cresciuta sulle piane dell’orto della mia nonna materna, situato a ridosso della sua casa al Ponticello di Seravezza, per catturare, farfalle, pavie e paranculi.
Toltimi gli zoccoletti, facevo piccoli scatti su quel tappeto di verde profumato. Usavo, per “acchiappare” le farfalle (insetti appartenenti all’ordine dei Lepidotteri) una piccola retina, nel momento in cui si posavano sui tanti fiori che spuntavano sopra i fili d’erba. Ogni tanto mi riposavo distendendomi supino, mentre il mio sguardo si perdeva nel cielo infinito. Non era facile per me catturarle, forse perché ero troppo piccino.
Catturavo anche i “paranculi” ai quali, nella mia incoscienza di piccolo bimbo, non mi rendevo conto della tortura che gli praticavo. Confesso che mi interessava vederli riprendere il volo con quel filo d’erba che gli avevo infilato nel loro minuscolo corpicino, come facevano tutti anche i miei coetani.

Un fatto ancora vivo nella mia memoria avvenne durante una sera, quando su Seravezza apparvero miriade di lucciole. Sembrava di avere sopra i tetti delle nostre case e fin sopra la testa un cielo costellato da infinite stelle. Correvo, lungo la strada buia, per prenderle con le manine perché a noi bimbi ci avevano fatto intendere che messe sotto un bicchiere facevano i soldini. Ne presi più di una, facendo arrabbiare la mia povera mamma che dalla finestra della nostra casa mi chiamava in continuazione, vista l’ora tarda, perché rientrassi subito a casa. Questa apparizione avvenne nell’anno in cui mio padre, con altri cavatori di Seravezza, andò a lavorare in Etiopia, come operaio utilizzato nella costruzione delle strade dell’impero, conquistato con la guerra italo- etiopica del 1935-36 voluta da Benito Mussolini.
Quando si divenne più grandicelli, noi ragazzi del Ponticello si trascorreva, nel periodo estivo, interi pomeriggi sul fiume vicino al molino del Bonci, dove eravamo soliti costruire, piccoli bozzi utilizzando sassi e “piotte”, L’acqua era limpidissima e in quel bozzo spesso mi sono tuffato e rinfrescato per sentire meno “na “fagonza” davvero insopportabile.
Posso dire di avere avuto un’infanzia felice, grazie all’amore dei miei genitori che sempre sentii vivo nel mio cuore, di quello dei miei nonni,di quello della mia nonna Marianna, dei più stretti parenti e tanti piccoli amici.
Renato Sacchelli

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