sabato 14 giugno 2008

L'angelo biondo

Estate 1944 – Sfollamento e patimenti di ogni genere. Una ragazza, un Angelo biondo, fu catturata dai tedeschi e martirizzata.


A Seravezza, durante l’estate del 1944, avevano trovato rifugio diverse famiglie provenienti da varie località della Versilia, in particolare da Forte dei Marmi e da altre zone litoranee; il paese fu in quel tempo intensamente popolato come non mai, c’era anche gente di Livorno e della provincia di La Spezia.

Tanti sfollati si erano adattati a vivere in vecchi fondi (locali al piano terra ), nella circostanza imbiancati e resi il più possibile confortevoli, ma che in condizioni di vita normali non sarebbero mai stati abitati perché pieni di umidità e privi anche dei servizi igienici, di intonaci alle pareti e anche della pavimentazione e se c’era, questa era stata fatta con sole pietre e/o piastroni. Durante l’ultima guerra era convinzione comune che i monti intorno a Seravezza costituissero una difesa naturale contro gli eventuali cannoneggiamenti navali e terrestri, in relazione alla traiettoria dei proiettili, che sparati da qualsiasi punto, non avrebbero mai potuto colpire il centro abitato.

Ci furono delle discussioni in proposito fra noi ragazzi; qualcuno per farsi capire meglio, si aiutava coi gesti delle mani tracciando linee figurate che avrebbero percorso i proiettili che sorvolavano il paese, finendo nelle località più alte del monte intorno a Giustagnana, della Cappella o addirittura sul monte Altissimo, il monte di Michelangelo sul quale egli , ai primi del 1500, scoprì le famose cave del marmo statuario. Soltanto i colpi di mortaio o degli obici potevano colpire le case di Seravezza.

che in quell’epoca si riteneva che fosse addirittura anche al riparo dai bombardamenti aerei. Nel giugno 1944, quando caccia bombardieri alleati volando a bassissima quota, quasi a sfiorare i tetti delle case, sganciarono alcune bombe su Seravezza, tale illusione ebbe fine.

Convinti fino a quando i fatti non dimostrarono il contrario, che fosse un luogo sicuro, alcune famiglie trasportarono a Seravezza non solo la mobilia, ma anche porte, finestre e persiane delle loro ville ubicate nella provincia di La Spezia, vicino al mare dove ritenevano che vi potessero sbarcare gli anglo-americani. Tutto quanto accatastato in alcuni fondi dell’antico rione del Ponticello dove abitava la mia famiglia, rimase sotto le macerie, quando i tedeschi lo fecero saltare in aria facendo esplodere proiettili di artiglieria, collocati alla base dei muri perimetrali degli edifici, mentre i fabbricati di La Spezia che erano stati spogliati di ogni cosa non subirono alcun danno; la guerra da quelle località, contrariamente a quanto molte persone avevano pensato era passata lontana.

Seravezza invece, nonostante le previsioni più favorevoli, si trovò sfortunatamente al centro dei tragici eventi bellici dell’epoca , proprio nella parte finale degli stessi.

Comunque nel paese non si pensava al peggio, si riteneva che la guerra, non sarebbe mai arrivata da noi. Addirittura c’era chi pensava alla pace firmata a tavolino. Così mi sembrò di capire quel giorno che andai a farmi tagliare i capelli dal barbiere Scali, il babbo di Rolando anche lui barbiere. Nell’attesa sentii il titolare dell’esercizio che disse proprio cosi ad un uomo adulto, suo abituale cliente. Anche quest’ultimo sembrò dello stesso parere. Nella gente sfollata a Seravezza era viva comunque la speranza di ritornare presto nelle loro case. Chi l’avrebbe mai detto che i tedeschi si sarebbero trincerati proprio sui quei monti a noi così cari e familiari per arrestare l’avanzata delle truppe alleate?

Le Linea Gotica. Inimmaginabile, di già apparteneva alla storia. Gli eventi bellici purtroppo precipitarono e così venne meno la segreta speranza che avevamo in una fine imminente del sanguinoso conflitto che durava da oltre quattro anni.

Arrivò improvvisamente l’ordine di sfollamento a cui nessuno aveva mai pensato. Che grande agitazione ci fu, che giornate piene di angoscia vivemmo.

Io che ora scrivo i fatti di cui fui testimone ero in quell’epoca un ragazzo quasi quattordicenne. Avevo la nonna materna con una caviglia molto gonfia che da anni la faceva camminare a fatica, zoppicava vistosamente, il mio primo pensiero fu per lei. Mi domandavo come si potesse andare via da Seravezza con una persona anziana e i quelle brutte condizioni fisiche. Il tutto reso ancora più difficile dal fatto di avere due fratelli più piccoli e una sorellina nata durante la guerra., quindi assai piccina.. Come potevamo muoverci? Come tante altre persone la mia famiglia preferì rimanere attaccata alla propria terra.

Molto preoccupato per la mia nonna mi venne alla mente un pensiero atroce. Si pensai alla morte come una liberazione dai tristi eventi che ella sarebbe andata incontro se avesse continuato a vivere. Questo mio brutto pensiero lo manifestai anche a lei. “Nonna “ le dissi , “con tutto quello che ci aspetta sarebbe meglio morire, sì, meglio vedervi morta che continuare a soffrire” Ebbi il coraggio di dire queste brutte parole che per anni e anni mi hanno fatto tanto piangere dal rimorso di essere stato così crudele con lei.. Avrei dovuto dirle. “Nonna stai tranquilla non sei sola, ci siamo noi con te”. Non mi vennero alla mente queste buone parole di conforto e di speranza, per questo spesso i miei occhi si sono riempiti di lacrime.

Ritornando al discorso, non mi rendevo conto allora come potevamo muoverci in quelle condizioni assai disperate. Come si poteva raggiungere Sala Baganza, località del parmense dove era stato predisposto un centro di assistenza per gli sfollati della Versilia, come lessi sull’ordine di sfollamento affisso il 30 giugno 1944 sulla facciata di una casa della piazza Carducci, dirimpetto al monumento ai Caduti di Seravezza. Mio padre in quella situazione non sapeva che decisione prendere e non intuendo quello che sarebbe accaduto preferì rimanere sui monti circostanti, non appena riuscimmo a fare ricoverare mia nonna materna all’ospedale di Pietrasanta, distaccato in quel periodo a Valdicastello, dove nacque Giosuè Carducci..

Purtroppo sfollammo in una località che poco dopo dovemmo abbandonare precipitosamente perché vicina alla trincee erette dai tedeschi più sopra il nostro rifugio, cioè lungo tutto il crinale del Monte di Ripa, che fu per sette mesi l’estremo limite della linea Gotica..

Infatti ci rifugiammo tra il Pelliccino e il Colle, sotto il monte Canala, in un metato di cui sono ancora visibili i ruderi, poco distante dal canale, ove tutto sommato, ci sentivamo tranquilli perché potevamo disporre, in caso di bombardamenti, anche della grossa buca scavata nella roccia, sita a poche decine di metri, dalla quale durante la prima guerra mondiale veniva estratto il quarzo.. Avere poi vicinissima la sorgente d’acqua, quella che tuttora alimenta la fontana di Riomagno, era di grande consolazione perché potevamo far fronte ai nostri bisogni senza alcuna limitazione, ciò davvero non era cosa da poco.

Sfollare in quella località fu comunque un gravissimo errore che mio padre commise, perché ignorava che proprio quella zona sarebbe divenuta un caposaldo per fermare l’avanzata delle truppe alleate, e sia perché sul Pelliccino c’era la casa di suo fratello Pietro, e si era quindi molto vicini a Seravezza e per tale motivo potevamo ancora respirare aria di casa nostra. Ma non fu il solo a sbagliare. La famiglia Lucii che ben conoscevo, abitante in fondo alle case del Ponticello, nelle vicinanze della Casa dei Combattenti, trovò rifugio nella buca dell’acqua, vicina alla zona del monte chiamato Mezzaluna, Quando vidi piantati all’ingresso della buca paletti e tronchi di castagno non potei fare a meno di pensare a come dovevano essere le prime abitazioni dell’uomo antico. Durante l’estate del 1944, in pieno sfollamento, si era ritornati indietro di millenni.

Anche il trasporto della mia nonna all’ospedale di Valdicastello insieme ad altri ammalati e /o molto anziani ebbe momenti di suspense. Fu impiegata un’autoambulanza che non partiva mai perché mancava la benzina. Che sospiro di sollievo fu tirato quando fu consegnato al conducente un fiasco di carburante procurato da mio cugino Gualtiero Bandelloni, noto e molto bravo riparatore di orologi. Chi intanto si era rifugiato sui monti praticamente era stato abbandonato al suo destino. Infatti nessuno si occupò della numerosa popolazione rimasta appunto sui monti di Seravezza, una gran parte della quale era costituita da sfollati costretti a vivere nelle grotte, capanne e metati, quindi in condizioni di vita quanto mai disagiate, per non parlare di chi trovò rifugio nella chiesa di Giustagnana e dormiva sul pavimento ai piedi degli altari. Ogni giorno tutti dovevano arrangiarsi e darsi da fare per trovare qualcosa da mangiare per continuare a sopravvivere.

La preghiera, il “Padre Nostro che sei nei Cieli…dacci oggi il nostro pane quotidiano…” , sembrava che Gesù Cristo l’avesse dettata proprio in quei giorni così tragici; era come sempre è, quanto mai attuale, non sembrava davvero una vecchia preghiera di quasi duemila anni fa.

Spesso in quella estate, con all’orizzonte dense e minacciose nubi piene di fuoco, ero in giro per i campi in cerca di pannocchie di granturco, di qualche grappolo di uva, pomodori ecc. ecc, insomma di tutto quello che si potesse mangiare. Anche i miei genitori e mio fratello Sergio erano sempre in movimento, come noi tantissima altra gente lottava per sopravvivere.

Se prima dello sfollamento e solo saltuariamente negli anni e mesi prececedenti ero andato insieme ad altri compagni a cercare castagne sui monti di Seravezza e mele nel Camaiorese o a raccogliere nei campi della piana di Seravezza e di Pietrasanta, rare spighe di grano dopo la mietitura, successivamente a tale imprevedibile evento, la ricerca del cibo quotidiano non avendo da parte alcuna provvista, era obbligatoria se non si voleva davvero morire di fame.

I risultati per la verità erano piuttosto scarsi perché queste ricerche si facevano soltanto in quei campi, nei quali i contadini avevano già effettuato il raccolto, praticamente si prendeva quello che era rimasto. Se avessi saputo allora dell’esistenza di norme di legge in campo penale in merito allo “stato di necessità” ho motivo di ritenere che i risultati sarebbero stati molto diversi. Comunque in quel periodo si tirava avanti con qualche fetta di polenta ed era già molto averla, con pochi patatini e con delle focacce, alcune fatte di sola crusca, perciò difficili da inghiottire in quanto pareva di avere delle lische di pesce in gola che non andavano mai giù. Come si sia riusciti a continuare a vivere in quelle condizioni per me rimane un mistero. Un giorno, chissà che giorno fosse ( oramai chi li contava più), fui fortunato più del solito perché in un campo , dove era stato già effettuato il raccolto, trovai diverse pannocchie di granturco ancor attaccate alle piante. Pensai di farle subito seccare al sole per poi sgranarle e fare macinare i chicchi. Per tale motivo mi accinsi a ritornare subito a Giustagnana, dove nel frattempo la mia famiglia s’era rifugiata, dopo essere in pratica fuggita dalla zona vicina al Pelliccino. Ero giunto nei pressi di Ripa, quando, là dove ora c’è il semaforo, all’incrocio per il Poggione e dall’altro lato per Strettoia, incontrai un gruppo di donne e ragazzi che camminavano in direzione di Querceta con nelle mani borse piene di fiaschi vuoti. La comitiva doveva andare a Forte dei Marmi per prendere l’acqua del mare che allora si utilizzava in sostituzione del sale che non si riusciva più a trovare, e non certamente per bagnarsi e tuffarsi fra le spumeggianti onde del mare, come la stagione calda avrebbe invitato a fare. L’atmosfera del gruppo era serena, senz’altro c’era chi doveva raccontare fatti divertenti perché notai una generale allegria. Si distingueva in mezzo a quel gruppo, per la sua avvenenza , una ragazza alta, con i capelli biondi e lunghi, robusta, ma con le linee del corpo armoniose , di carnagione rosea, occhi radiosi, il viso tondo illuminato da un sorriso dolcissimo che lasciava intravedere denti splendenti. Mi pare che indossasse un vestitino celeste con un golfino chiaro. L’avevo vista diverse volte a Seravezza, dove da tempo era sfollata da La Spezia. Non avevo mai parlato con lei, ne conoscevo il suo nome, In seguito all’improvviso ordine di sfollamento del paese la sua famiglia si era rifugiata a Giustagnana; suo fratello era stato un mio compagno di scuola. Questo incontro, apparentemente normale anche se le strade in quel tempo erano sempre deserte, è rimasto molto vivo nella mia memoria, soprattutto per quanto successe poco dopo alla giovane donna. Più tardi la comitiva di cui faceva parte la ragazza, come mi fu raccontato, venne intercettata da soldati tedeschi, forse “ S. S.”. La sua presenza non poteva passare inosservata, anche per l’aspetto fisico rassomigliante, senza dubbio, a giovani donne della loro terra. Infatti i soldati la catturarono, Non so dove ciò avvenne, ne fui informato di come si svolsero i fatti, seppi solo che i soldati tentarono di usarle violenza, ma lei oppose la più disperata resistenza fino a che non fu uccisa. La sua morte fu un martirio.

L’immagine di quella sfortunata ragazza, un angelo biondo indifeso, non è mai svanita dalla mente di chi scrive, un piccolo e povero ragazzo di allora , che neppure conosceva il suo nome, ma che ancora la rivede mentre il quel lontanissimo e caldo giorno dell’estate del 1944, camminando verso il mare leggiadra e sorridente , con nell’aria il canto delle cicale, andava inconsapevolmente
incontro alla morte.

6 commenti:

Madness in Wonderland ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
stargirl ha detto...

Ciao Signore Sacchelli, mi scusi ma il mio italiano e limitato. La ragazza in questa storia era la sorella di mio zio. Si chiamava Luciana.

Anonimo ha detto...

Sono stupefatto:
Caro sig. Sacchelli e cara Stargirl, state parlando di mia zia Luciana, che purtroppo non ho mai conosciuto perchè uccisa dai tedeschi nell'estate 1944. Vi ringrazio.

Madness in Wonderland ha detto...

Signore Sacchelli, vorrei sapere se hai ancora letto i commenti su "L'angelo biondo." Mandami un email se vorresti piu informazioni di questa ragazza. Si chiamava Luciana. (Io sono "stargirl.")

Renato Sacchelli ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Renato Sacchelli ha detto...

Vi ho risposto con un messaggio scritto sul blog.
Cari saluti, Renato Sacchelli
http://renatosacchelli.blogspot.com/2010/01/proposito-dellangelo-biondo.html