lunedì 2 agosto 2010

Settembre 1944: iniziano i combattimenti in Versilia tra i tedeschi e le truppe alleate

Stavano cadendo le castagne dai cardi aperti a mezzaluna e nascevano i primi funghi, quando, nel lontano settembre del 1944, arrivarono finalmente in Versilia le truppe del 4° Corpo d’armata al comando del generale brasiliano Willis Crittemberg, composto dalla 45ª Task force, dalla 1^ divisione corazzata USA e dalla 6ª divisione corazzata sudamericana. A queste forze si aggiunsero quelle del 2° corpo d’ armata schierate con le divisioni 34ª e 91ª rimaste ferme aldilà dell’Arno fino al 2 settembre, giorno in cui occuparono Pisa e nella giornata successiva Lucca. Dal 23 agosto era stato impiegato in linea anche il reggimento Combat team, primo battaglione della 92ª divisione americana “Buffalo”. Il brigadiere generale Zenobio Da Costa fu il comandante di campo dei brasiliani. Tutte le forze alleate fecero parte della 5ª armata, comandata dal generale Mark Wayne Clark, la quale andò ad attestarsi lungo la Linea Gotica tirrenica, il cui estremo limite arrivò alla foce del fiume Versilia, in località Cinquale, cioè al confine dei comuni di Forte dei Marmi e di Montignoso Di fronte a questo potentissimo esercito si erano trincerati, dalla spiaggia e sui vicini monti sopra Strettoia e Seravezza e su quelli della Garfagnana, il 14° corpo di armata corazzato tedesco, la famigerata 16 divisione granatieri S.S. che il 12 agosto 1944 compì l’orribile strage di Sant’Anna di Stazzema in cui furono barbaramente trucidate 560 creature umane tra donne vecchi e bambini, la 65ª fanteria e la 26ª panzer divisione corazzata. Lo sfondamento della Linea Gotica lungo la linea Adriatica fu affidato alla 8ª armata.
La popolazione versiliese alla quale fu imposto l’ordine di sfollare a Sala Baganza (Parma), a cui ottemperarono pochissime persone, preferì rimanere attaccata alla propria terra, dove trovò rifugio nelle località abbastanza vicine ai loro borghi. Fame e patimenti di ogni genere soffrì la gente della Versilia nell’estate del 1944. E così mentre la natura meravigliosa continuava a donare agli uomini i suoi frutti nutrienti e saporosi, la guerra sanguinosa iniziò a combattersi anche nel territorio versiliese. Il giorno che le truppe di colore della divisione Bufalo arrivarono a Giustagnana, piccolo paese montano di Seravezza, dove la mia famiglia sfollò, dopo un breve periodo trascorso in un metato nei dintorni del Pelliccino, mi trovavo nei pressi della sorgente che c’era allora lungo la mulattiera un po’ più sopra la chiesa di Giustagnana, il cui rigagnolo lungo il poggio del monte era sempre pieno di piccoli vermi. Quando sentii dire che erano arrivati i soldati americani, di corsa raggiunsi il luogo dove si erano radunati molti uomini, tra i quali anche mio padre. Il folto gruppo guardava, dal muretto della piazza della chiesa, una pattuglia di soldati mentre scavavano, con delle piccole palette, delle buche nella piana sottostante ricoperta da alti ciuffi di graminacia, chiamata in dialetto versiliese paléo. Ad un tratto, come primo saluto dei tedeschi, una pioggia di colpi di mortaio iniziò a cadere intorno a noi. Immediatamente tutti i presenti entrarono precipitosamente in chiesa, mentre i soldati americani si acquattarono nelle buche che avevano iniziato a scavare. Anch’io vi entrai insieme a mio padre. Le esplosioni violente dei colpi sembrava che mi strappassero il cuore, sì mi pareva che mi si schiantasse. Ebbi una paura da morire. Il bombardamento non fu di lunga durata. Fortunatamente la chiesa non fu colpita altrimenti ci sarebbe stata una strage, considerata ch’era piena di tanti sventurati. Fra le case di Giustagnana morì in soldato americano rimasto fulminato da un colpo di mortaio che gli esplose sotto i piedi. Sul giovane corpo senza vita, un suo commilitone distese una coperta. Durante l’esplosione dei colpi di mortaio rimase ferita da schegge ad una gamba la mia mamma che insieme ai miei fratelli, alla sorellina e mia nonna, si trovava davanti alla casupola, a metà strada fra Giustagnana e Fabiano, dove la mia famiglia si era rifugiata, dopo avere trascorso un breve periodo all’interno della chiesa piena di sfollati che non trovarono una migliore sistemazione. Non poteva più camminare. Furono i soldati statunitensi della Croce Rossa a medicarla. Mio padre provvide a trasportarla sulle spalle in un fondo al centro del paese, adibito a ripostiglio di attrezzi agricoli e subito dopo vi portò anche mia nonna che aveva un caviglia gonfia che non la faceva più camminare. In quelle condizioni in mezzo a due fuochi, da una parte degli alleati e dall’altra dei tedeschi si capì che in quella zona non potevamo più restare, anche perché ci mancava il cibo quotidiano. Così il mio babbo, dopo qualche giorno, mi disse: “ Renato, dovresti andare a Capezzano Pianore dove sono sfollati i nonni per sapere se anche noi possiamo trovarci un rifugio”. “Senz’altro babbo”, risposi. Nella giornata successiva mi unii ad una coppia di sposi con una piccola figlia, che avevano deciso di scappare anche loro da Giustagnana.Ricordo che i due coniugi prima dello sfollamento gestivano a Seravezza un negozio di articoli di profumi situato all'angoo di via Roma, prooprio davanti al munumento ai Caudti sito nella centrale piazza Carducci.  Dopo qualche ora di cammino, percorrendo la mulattieria che c’era allora per arrivare a Gallena e poi il tratto finale del sentiero per valicare il monte Ornato, affrontammo la discesa per arrivare a Valdicastello. Devo dire che prima di arrivare sulla cime del Monte Ornato,  vidi dei muli condotti dai soldati chiamati badogliani, del ricostituito Esercito italiano, che scendevano il sentiero con molte difficoltà. Sul basto avevano cassette di viveri e munizioni destinate al grande magazzino che era stato costituito in un edificio a Valventosa, all’inizio della mulattiera che avevamo appena percorso. Da quel posto poi venivano distribuiti alle truppe alleate operanti a Seravezza e nei dintorni. Quando si arrivò nei pressi di Capriglia, la coppia si fermò per mangiare qualcosa che tenevano in un fagottino. Io non avevo proprio niente per nutrirmi. Fu la bambina che mi portò una boccata di focaccia, mentre stavo seduto su un muretto un po’ distante da loro. Con questa coppia arrivai fino a Valdicastello dove nacque il grande Giosuè Carducci. Li si fermarono i miei compagni di viaggio, mentre io ripresi la mia marcia. Al centro del paese vidi alcune batterie di cannoni americani che sparavano in continuazione proiettili diretti su tutto il crinale del Monte di Ripa, dove i tedeschi si erano fortificati. I serventi erano soldati di colore. La linea difensiva tedesca comprendeva zone a partire, dalla Rocca sopra l’antica Corvaia, fino alla cima del monte Canala, del Castellaccio e del Fogorito, tutte località delle alture intorno al monte di Ripa. Bersaglio delle cannonate furono anche il Pelliccino e il Colle del retrostante monte, sopra Seravezza. Nella zona nei dintorni di Strettoia, chiamata Metati Rossi, vicina alla trincee dei tedeschi, vi erano terreni ubertosi con tante vigne coltivate dalle famiglie su ripidi pendii. Da secoli, tutta la gente che li abitava aveva il cognome Sacchelli. In quella zona veniva prodotto un ottimo vino, che bevve anche Michelangelo quando nel 1518 si trasferì per tre anni a Seravezza per sfruttare le cave di marmo dello statuario del Monte Altissimo, con il quale scolpì, secondo la leggenda, i suoi capolavori. Proprio nella zona dei Metati Rossi, che faceva parte, in quel tempo, della curia di Querceta e della comunità di Pietrasanta, l’8.9.1858 nacque Antonio Sacchelli di Nicola e di Erminia Giannini. Antonio emigrò in Brasile, con la moglie di origine laziale e quattro piccoli figli, il 30 ottobre 1895. Da lui discende l’attuale grande famiglia imprenditoriale dei Sacchelli brasiliani.
Ritornando alle vicende vissute nel settembre del 1944, quando mi staccai dalla coppia con la quale mi ero allontanato da Giustagnana, per raggiungere Capezzano Pianore, con le strade piene di fuggiaschi dalla linea del fronte, mi trovai a camminare, per un tratto, fianco a fianco, con Bandelloni Maggio, un cavatore poeta, autore di belle canzoni cantate a Seravezza durante le feste del Carnevale in cui sfilavano i carri dei vari rioni del paese e di Riomagno, località vicinissima a Seravezza dove lui abitava, prima di trasferirsi al Ponticello in una casa accanto alla mia; quindi lo conoscevo benissimo. Aveva accanto a sé la moglie e le sue due piccole bambine che la mamma teneva per mano. La via era piena di altri fuggitivi. A questa gente che gli camminava a fianco, Maggio,a voce alta, raccontò da dove era scappato. Disse anche di sapere dove si erano trincerati molti soldati tedeschi. Mentre raccontava ciò che aveva visto nella zona dove sorge l’antica pieve di San Martino alla Cappella del comune di Seravezza (costruita tutta in marmo prima dell’anno 1000), si passò davanti ad un edificio ubicato poco sotto Valdicastello, occupato dai soldati brasiliani. “Glielo voglio dire a questi soldati dove stanno i tedeschi”, ecco cosa esclamò, prima di richiamare la loro attenzione perché fosse ascoltato. Ricordo che si avvicinò ad un soldato che insieme ad altri suoi commilitoni era di guardia davanti all’edificio occupato dagli stessi. L’uomo bene in carne, aveva un corpo robusto e un bel viso. Sicuramente doveva conoscere assai bene l’italiano, chissà forse anche lui era figlio di qualche emigrante della nostra terra. Vidi che ascoltò Maggio con molta attenzione e subito dopo lo fece entrare dentro l’edificio per farlo parlare col suo comandante. Io continuai la mia marcia per giungere a Capezzano Pianore. Fu questa l’unica volta che vidi nel 1944, i soldati brasiliani in Versilia. Seppi poi che dalla Versilia le truppe brasiliane furono avviate nel bacino del Serchio per affrontare i tedeschi sul fronte garfagnino della Linea Gotica. Dal libro “Versilia Kaputt”, uscito nel 1995, scritto da Giorgio Giannelli per trenta anni giornalista parlamentare e autore di numerose pubblicazione sulla storia della Versilia, dal 1920 e fino ai nostri giorni, e per quasi quaranta anni direttore del periodico mensile Versilia Oggi, di cui sono un collaboratore dal 1982, appresi che il 26 settembre 1944, dopo cinque giorni di aspri scontri un plotone brasiliano della 2^ compagnia del 6° reggimento al comando del maggiore João Carlos Gross, arrivò sotto la vetta del monte Prana, considerato un obiettivo importante. Nei duri scontri con i tedeschi, i brasiliani combatterono valorosamente. Purtroppo ebbero cinque morti e 17 feriti.
Il 27 settembre 1944 pattuglie brasiliane si spinsero in direzione di Stazzema, del monte Procinto e del monte Piglione, mentre il monte Croce, il passo delle Porchette ed il monte Matanna furono occupati dai partigiani, i quali riuscirono a catturare diversi tedeschi che furono poi consegnati ai soldati brasiliani..
Il 29 settembre 1944, la terza compagnia del 8° reggimento brasiliano, nonostante la durissima resistenza dell’artiglieria tedesca, raggiunse la linea offensiva tra Stazzema e Fornoli.
E cosi sui monti più belli della Versilia e forse anche d’Italia,come a me sono sempre apparsi e tali considerati anche da un corrispondente di guerra statunitense, i soldati brasiliani combatterono valorosamente, insieme alle altre truppe alleate ed ai nostri partigiani, per aiutare il popolo italiano a riconquistare la libertà.

2 commenti:

Isabel ha detto...

Renato,chiedo scusa per non sapere scrivere italiano.
Lei è parente di Antonio Sacchelli? Lei era mio bisnonno. È arrivato in Brasile con sua moglie Clorinda Farnese. Sono neta di Torquato Sacchelli nato in Brasile.

renato sacchelli ha detto...

Mio padre Orlando quando era ancora in vita mi raccontò che suo nonno Pietro col figlio Alessio, che nel 1906 divenne il genitore del mio bsbbo, emigrò in America verso la fine del 1800 con altri sette cugini.Fra questi ritengo che ci sia stato anche Antonio Sacchelli, che emigrò in Brasila con la moglie Clorinda Farnese di origine laziale e quattro piccoli bambini. Manca una prova documentale per confermare questo mio convincimento. I rilevamenti effettuati presso alcuni archivi delle chiese della Versilia non hanno dato esito positivo. I registri esaminati presso la chiesa di Querceta dove Antonio fu battezzato sono risultati scarsamente leggibili.Purtroppo gli uffici anagrafici sono entrati in funzione presso i comuni italiani dopo l'unità d'Italia; dalla schede sparse esaminate presso il comune di Pietrasanta non ne ho trovata una che indicasse i legami di parentela esistenti fra i miei antenati e quelli di Antonio Sacchelli. La saluto molto cordialmente, Renato Sacchelli