mercoledì 11 agosto 2010



LA PISTOLLA NEL BOTTINO

A Seravezza, ne' primi del mese di luglio 1944, un vi vedea più nimo: le sole du' famiglie che nun aveino obbedito a l'ordine di sfollamento de' Tedeschi s'èrino stambugiate in case e staceino attente a nun fassi vedè in giro. I mmalati più gravi e qualche vecchietto dèrino stati trasportati a Valdicastello, dub'era stato trasferito l'ospidale di Pietrasanta.
Le porte e le finestra chiuse de le case, davino l'impressione che gli abitanti nun si fùssero più risvegliati dal sonno. Sì, Seravezza sembraa proprio morta. Nell'aria si sentia solo il fruscio de le foglie dei pratani mosse dal vento e il gorgoglio de le acque limpide e sspumeggianti, che continuavino a score verso il mare.
La mi' famiglia si rifugiò ind'un metato, di proprietà dei mi zii, che dèra tra il Pelliccino e il Colle, sotto il crinale del monte di Ripa. Quel lògo vense guasi sùpito abbandonato, quando i tedeschi ci mandonno via perché presto sarebbino iniziati i combattimenti, contro gli anglo mericani, ormai vicini alla nostra tèra , come ci dicette un ufficiale della Wehrmacht che parlaa abbastanza bene l'itagliano.
Fenimmo ne la chiesa di Giustagnana, che quando s'arrivç no' era già piena di gente, fortunatamente c'era ancora de lo spazio libbero ai piedi d'un altare. Ma lì ci si stette poghi giorni, perché d'era proprio impossibile vivecci. Nimo avea penso a scavà 'na fossa, Così tutti gli sfollati faceino i loro bisogni ne la selva accanto e quando risaltavino fora aveino sempre attaccato ai p'iedi gli escrementi che nun podeino mai evità di calpestà. Fra i ttanti sventurati e affamati c'era anco un omo che dèra malato, La notte , mentre , si dormia sul materasso steso ai piedi d'un altare, no ragà ci svegliaiomo tutti spaventati perchè lù in preda a le convulsioni, si mettea a urlà e gli omeni, tra cui anco mi pà , doveino fadiga per fallo calmà. Appena si calmava chi scrive di colpo si addormentavo. Doppo du settimane s'ando in d'una casupola, vicina al paese, da sempre utilizzata per il ricovero del bestiame e ddegli attrezzi agricoli, mi vensero i brividi quando vviddi che sotto le tavole del piano di sobbre, c'erino càccole di topo elte diversi centimetri.Quando si venne a sapé che i Tedeschi faceino saltà in aria la segheria del Ponticello, corsi giù disperato verso la mi' casa. A ddi' la verità mi parea di volà come un falco in picchiata, sentio i mmii calcagni sfiorà il fondo de' pantaloncini. Quanto dolore patii in que' menuti. Malidètta la guèra! Arivato a Rimagno chiedetti: “Dov'eno i Tedeschi? Perché ci fano tutto questo male? Ma nissuno un mi rispose. Aveo anco fame e 'na gran voglia di piange:, ma ne' mi' occhi un c'erino più lagrime. In d'un ripostiglio de la su case del Ponticello la mi' no tenea 'na pistolla a ttamburo con quattro o cinque cartucce. Dèra 'na Colt ch'avea porto da la Meriga duve facea lo scalpellino, il mi' nò ne' primi anni del 1900 quando smettette di laborà nel novo mondo. Se la vedino i Tedeschi che cifano. In preda a la pagura, senza pensacci tanto, presi l'arma e la buttai nel bottino (fossa della latrina) e subbito tirai un sospiro di sollievo. Pòe mi diedi da fa a trascinà ne le piane del mi' orto, insieme a mi' mà e al mi' fratello che nel frattempo mi aveino raggiunto qualche mobile de la casa nostra. Quando sentitti du donne urlà che ci doveimo allontanà perché gli operai de la Todt in tutto tre o quattro òmeni ) avevino fenito di stende i i ffili e staceino per far brillà i proiettili di artiglieria , che aveino misso a la base dei muri perimetrali de la segheria del Salvatori, la più nova del paese, costruita tutta in cemento armato nel 1925, per un tratto di strada mi trovai a ccaminà ffiano a ffianco col solo soldato tedesco presente ne la zona, che facéa 'l comandore.
Dèra un sergente; un omaccione biondo; con 'na grossa pistolla a la cintura , mi embrò che fusse na' P 38. Avea gli occhi celesti e il passo stanco, forse per le cose brutte che l' aveino misso a ffà. Ci fermommo davanti a la Casa dei Combattenti; duve gli operai stavino in ginocchio; per àllaccià i ffili al detonatore. Seduto su uno scalino li guardao rassegnato e tristo; pogo dòppo l'esplosione, un boato enorme, spaventoso, mi sembrò, per un attimo che qualcheduno m'avvesse strappato ìl còre. Dérimo a l'inizio! Giù la segheria; giù la vicina casa Carducci, rotti i vetri e molti cornicioni, sia del molino del Bonci e de le altre case accanto, mentre 'na grossa colonna di fumo s'alzava nel cèlo e l'acre odore de la polvere da sparo si diffondea ne l'aria. Lo spostamento d'aria avea diviso in dua i mmuri de la mi' cara vecchia casa, che parea fosse stata segata con un filo elicodiale de la cava, la parte superiore sporgea all'infuori più di dieggi centimetri, a vedella così ridotta pensai sùpito che un sarebbe stata più abitabile.

Nato figlio de la lupa, poe dovento balilla, dòppo avè cantato per anni e anni: ''Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza...'' e anco la canzone ''Fistia il sasso, il nome squilla de l'intrepido balilla il ragazzo di Portoria...'' che scagliando un sasso contro un ufficiale autriaco, nel 1746 diede inizio a la rivolta che liberò la sua città dalle truppe austriache, io pavido batocchio che giurò anco fedeltà a la causa de la rivoluzione fascista quando arrivai ad essere nominato balilla moschettiere, un avetti il coraggio d'impugnà la vecchia pistolla del mi nò, per sparà a difesa de la libbertà. Dè questa 'na vergogna che mi porto dietro da un bel po' d'anni. Se a Seravè e nei paesi vicini faceino saltà in aria le case e tanta gente venia uccisa in continuazione, a Sant'Anna di Stazzema, i tedeschi ammazzonno e brucionno in modo orrendo 560 creature umane che nulla di male avevino fatto contro i nazifascisti. Erino donne; anziani e cicchini, la vittima più cicchina avea 20 giorni.
Quei giorni tragici nun l'ho mai dimenticati. Déno rimasti scolpiti ne la mi' memoria e quando penso a la mi' casa del Ponticello; mi pare ancora di sentì che mi scottino i piedi che posai scalzi sobbre le macerie dee le case del Ponticello ancora fumanti.

“”.

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