martedì 5 aprile 2011

LA MIA SCUOLA ELEMENTARE RIVISTA DOPO QUASI SESSANT'ANNI TRASCORSI DA QUANDO LA FREQUENTAVO.

Grande è stata l'emozione che ho provato quando, dopo quasi sessant'anni, ho rimesso i piedi nella scuola elementare di Seravezza che frequentai da ragazzo. Devo alla trattazione delle pratiche per le quali fu richiesto, da una persona che mi conosceva, di cui parlerò quì di seguito, il mio intervento allo scopo di far murare una lapide nell'androne della scuola a ricordo del maestro seravezzino Bruno Guerrini, caduto eroicamente a Mages Belamedk - Tobruk, il 26.11.1941.
Ecco i motivi che mi hanno fatto rimettere i piedi nel vecchio edificio scolastico di Seravezza.
Com'é noto il maestro Bruno Guerrini, fu ucciso nel corso di una cruenta ed impari battaglia combattuta contro forze neozelandesi che disponevano di grossi carri armati, contro i quali i colpi sparati, per frenarne l'avanzata, dal cannoncino che disponeva l'avamposto comandato dall'ufficiale seravezzino Guerrini non procuravano alcun danno. “Gli facevano soltanto il solletico”, ecco cosa mi disse il compianto Mauro Barghetti, amico fraterno di Bruno Guerrini, quando un giorno si parlò della morte di Bruno.

L'idea di murare questa lapide fu di Mauro Barghetti. Egli informò le figlie della sorella di Bruno Anna Maria e Angela, ( quest' ultima mia moglie) che aveva trovato già chi gli avrebbe donato la lastra di marmo. Poi questo suo amico morì e quindi spinse le nipoti del maestro Guerrini a portare avanti la sua iniziativa, che fu sostenuta anche dal Generale di Brigata Aerea, in congedo Bruno Buselli, pluridecorato al valor militare, che aveva sposato una cugina del maestro Guerrini.

Devo dire che fu proprio quando, alla fine degli anni 90, andai a parlare con l' assessore alla cultura Ezio Marcucci e poi col signor Sindaco Lorenzo Alessandrini fui spinto da una telefonata del generale Buselli che mi disse che c'era uno stallo da superare e quindi di vedere cosa si poteva fare perché la pratica potesse andare avanti. Fui ben accolto sia dal Sindaco che dal suo Assessore, che dimostrarono anche molta attenzione sull'argomento di cui gli parlai e che essi già ben conoscevano, tant'è che alla fine le richiedenti ottennero la chiesta autorizzazione a murare nella scuola, a proprie spese, la lapide in memoria del loro caro zio. Per questa loro sensibilità dimostrata li voglio ancora ringraziare.

Dopo aver parlato col Sindaco e con l'Assessore ritenni opportuno avere un colloquio anche con la direttrice della scuola che, purtroppo quel giorno non la trovai.

Mentre salivo le poche scale della scuola riaffiorarono alla mia mente i ricordi del passato, Entrando nell'interno ebbi subito difficoltà a riconoscere l'ambiente in quanto le pareti e le scale erano tinteggiate con vernici lucide, mentre quando frequentavo la scuola le avevano parzialmente rivestite con lastre di bardiglio lucidate. Credo che sia stato commesso un grosso errore aver tolto le lastre dalle pareti, motivo per cui ritengo che questo fatto abbia fatto rivoltare dalla tomba il direttore Giuseppe Masini che le volle far mettere.

Sì, scavai a ritroso nel tempo e così rividi negli occhi, le immagini del mio primo maestro della seconda classe ( la prima la frequentai all'asilo Delatre) che fu il signor Federigi di Querceta che trattava tutti noi bambini con infinita dolcezza e tanto amore, e quella del suo collega della terza classe, di cui non ricordo il nome, il quale appena scoppiò la II guerra mondiale lasciò la nostra scuola per andare a combattere volontario in Africa. Tra quelle mura ho rivisto anche il maestro Corfini, un ottimo insegnante che non disdegnava di usare le maniere energiche e forti per farci studiare con maggiore impegno e disciplina; ricordo che spesso faceva tremare tutta la classe quando, per punizione, colpiva col suo righello le palme delle mani dei ragazzi. Per la verità debbo dire che mai il righello l'ha utilizzato contro di me.
Nel vocio dei ragazzi che stavano nelle classi ho risentito quello degli alunni della mia generazione tanti dei quali purtroppo scomparsi.

Prima di allontanarmi dalla scuola volli rivedere la testa scolpita nel marmo di un giovane di Seravezza che, collocata nel giardino nell’anno 1937, era ritornata alla luce dopo essere stata sommersa da alberelli e siepi per lungo tempo, come mi aveva raccontato l' assessore alla cultura Ezio Marcucci.
La testa scolpita in marmo era quella del seravezzino Attilio Martinelli, artigliere d’Italia, morto in seguito ad una malattia contratta in Africa durante la guerra etiopica ( 2 ottobre 1935 –
5 maggio 1936 ). Questa notizia l'appresi il giorno dell'inaugurazione dell' opera, festa alla quale anch'io partecipai insieme a tutta la scolaresca, alle Autorià e alle persone che conobbero Attilio e gli vollero bene.
Furono i suoi compagni e amici, tra i quali Timante Iacopi, come egli mi raccontò prima di morire, a voler ricordare in quel modo, il loro caro amico morto nella lontana terra africana, fatto questo ricordato anche sulla piccola stele che regge la scultura.
La gioia sentita nel ritrovarmi nel luogo che frequentai da bimbo, si è tramutata in un vivo dispiacere quando ho notato che la testa scolpita era stata violentemente deturpata all’altezza del naso, letteralmente frantumato, forse per una scheggia di un colpo di cannone sparato durante gli eventi bellici del 44/45, oppure causato, ma spero tanto di no, da uno sconsiderato atto vandalico, commesso da una persona ignota

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