Ricordo bene quel giorno che appresi sui banchi dell'Avviamento professionale al lavoro di Seravezza che uomini ardimentosi della Marina militare, su speciali “barchini esplosivi” avevano violato la base navale inglese costituita nella rada di Suda, sulla costa settentrionale dell'Isola di Creta, riuscendo ad incendiarla, dopo aver colpito tre navi cisterna e un incrociatore. Faceva parte di questa squadra di marinai, che si erano preparati alla storica impresa, anche il fortemarmino Emilio Barberi che in quell'epoca rivestiva il grado di sergente cannoniere dei M.A.S..
Questa eccezionale impresa infiammò il cuore di tanti piccoli ragazzi di Seravezza che, nonostante la fame in corpo, cantavano canzoni che inneggiavano all'eroismo dei soldati, dei marinari e avieri italiani, ovunque impegnati in epiche battaglie.
Giorgio Giannelli, nel suo libro “ La Versilia ha vinto la guerra”, edito nel dicembre 1989, ha parlato con dovizia di particolari, del grande valore, dimostrato dai militari versiliesi in Etiopia, in Libia, in Russia, nei Balcani, ed in altre zone operative durante la seconda guerra mondiale.
Si contano medaglie d'oro, d'argento e di bronzo concesse al valor miitare dimostrato da tanti uomini versiliesi di ogni Arma e grado, diversi dei quali, purtroppo, insigniti di questa onorificenza alla memoria per avere perso la vita nel corso di sanguinose battaglie da essi combattute contro le forze nemiche.
In questo suo prezioso libro ha illustrato come si svolse questo storico assalto alla base navale di Suda che avvenne nella notte del 25 – 26 marzo 1941, quando uomini molto addestrati, a bordo di piccoli motoscafi a fondo piatto, larghi m. 1,90 e lunghi m.5,20, manovrabili dal pilota e carichi nella sua parte anteriore di 300 kg. di esplosivo, si portarono davanti alla rada di Suda, per entrare nell'interno della stessa , con il compito di individuare l'obbiettivo da colpire per affondarlo.
Favoriti dall'oscurità della notte, tutti i motoscafi riuscirono a forzare un triplice ordine di ostruzioni poste per impedire l'accesso a mezzi navali italo-tedeschi. Non fu facile per Emilio Barberi e i suoi compagni proseguire nell'attacco predisposto a causa di un fuoco intenso di sbarramento che iniziò subito dopo l'entrata nella rada di questi particolari barchini.
Dopo aver localizzato le navi da colpire, fu impartito ai marinai, che manovravano questi mezzi di assalto, l'ordine di attacco. Gli “arditi del mare” lanciarono i loro natanti sugli obbiettivi prestabiliti. Furono colpite tre navi cisterna e l'incrociatore York di 8.200 tonnellate.
A pochi metri di distanza dalla grossa petroliera che fu affondata dal barchino esplosivo di Emilio Barberi, questi si gettò in mare per raggiungere la riva nuotando vigorosamente. Da li attese che fosse catturato da pattuglie inglesi, mentre i suoi occhi osservavano la rada che stava bruciando.
Poco dopo fu catturato e fatto prigioniero da una pattuglia, che sbigottita e incredula da tanto sangue freddo del marinaio italiano e anche dall'indifferenza da lui dimostrata di fronte alle probabili rappresaglie che gli inglesi potevano prendere nei suoi confronti.
Il Barberi trascorse la lunga prigionia a Bopal nel centro dell'India. Alla fine della guerra venne decorato dagli stessi alti ufficiali della marina inglese che ebbero l'onore di appuntare sul suo petto la medaglia d'oro che gli fu concessa per questa impresa compiuta insieme ad altri marinai coraggiosi. L'ammiraglio Morgan che nel 1945, compì questo gesto cavalleresco, volle esprimere i suoi complimenti sia al Barberi che a tutti gli altri uomini che nel marzo del 1941 avevano compiuto questa leggendaria impresa.
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