martedì 5 ottobre 2010

I resti di aspre battaglie

Nella primavera del 1945, sulla Versilia storica ( Seravezza, Pietrasanta, Stazzema e Forte dei Marmi) ritornò a splendere il sole. Sfondata la linea Gotica i cui caposaldi li aveva sulle cime dei monti sopra Seravezza e Strettoia e nella zona intorno al Cinquale, le forze alleate non trovarono più ostacoli alla loro avanzata verso il nord Italia. La guerra volgeva al termine. La massa di profughi della Versilia e di Seravezza in particolare, ritornarono alle loro case allorquando cessò il servizio di vigilanza che i carabineri eseguirono per un breve tempo intorno alle vie che conducevano al capoluogo seravezzino, il cui territorio fu per sette mesi teatro di furiosi scontri, per impedire ai civili l'accesso in questi territori, non so per quali motivi, tanto da farmi pensare che questa misura di sorveglianza fosse stata attuata per impedire eventuali saccheggi. Purtroppo moltissime famiglie, compresa anche la mia, non vi poterono più ritornare, perchè le loro case erano state fatte saltare in aria da operai della Todt, sotto la direzione di sottufficiali della Wermacht o furono distrutte o molto danneggiate dalle cannonate. Molte persone che avevano perso tutto si misero quasi subito a scavare fra le macerie per recuperare qualcosa che potesse essere ancora utilizzato. Fra mille difficoltà iniziò l'opera di ricostruzione. Fu subito dopo lo sfondamento del fronte versiliese che la mia famiglia che si era rifugiata a Capezzano Pianore, si trasferì a Pietrasanta, in via dei Piastroni, dove occupò un fondo adibito a deposito, di propriteà dell'ing. Attilio Cerpelli che aveva riassunto mio padre al lavoro con il compito di recuperare materiali e macchinari rimasti sotto le macerie, quando la sua officina, situata alla Centrale, fu fatta saltare in aria sempre dagli uomini della Todt. A fianco dell'immobile di via dei Piastroni, l'ingegnere Cerpelli era proprietario di un piccolo capannone con il tetto quasi completamente distrutto dalle cannonate. E' lì che la mia povera mamma cuoceva il cibo su un fornello di fortuna, costituito da qualche mattone e alimentato dalla legna secca. Ricordo che quando pioveva doveva badare che il fuoco non si spegnesse, per questo teneva sempre aperto un ombrello. Intanto l'esplosione delle mine disseminate un pò ovunque causarono altri morti e feriti tra i giovani. Ricordo che nella Corvavia, rasa al suolo, vicino al laboratorio dei marmi della ditta Casini e Tessa due giovani di Seravezza, uno era il cugino del mio amico Gianfranco Pea mentre dell'altro non ricordo il suo nome, saltarono in aria nel vicino frutteto allora ivi esistente, che era stato minato dai tedeschi, rimanendo uccisi sul colpo. La paura delle mine non mi impedì di salire sui luoghi dove per sette mesi i tedeschi bloccarono l'avanzata delle truppe americane. Fu la curiosità e anche la speranza di riuscire a trovare qualche cimelio di guerra a farmi percorrere un giorno, insieme ad altri ragazzi di Seravezza e Corvaia, quest'ultimi sfollati a Pietrasanta, il crinale del Monte di Ripa, dalla Rocca, al Castellaccio e fin sulle rampe del Folgorito. Ci spingemmo anche sulla Mezzaluna e sopra il Pelliccino.Quel giorno che visitai i luoghi suddetti, marinai la scuola che in quel tempo frequentavo che era la terza classe dell'Avviamento al lavoro di Seravezza riaperto subito agli alunni dopo la lberazione. Quanto arrivai sul crinale del monte di Ripa, la prima cosa che mi colpì fu la constatazione dell'avvenuta distruzione di tutti gli alberi di pino che erano cresciuti fitti e alti su quel terreno prima che divenisse un teatro di guerra. La terra per effetto delle migliaia di cannonate esplose e dei colpi dei mortai era tutta smossa, non c'era più un filo d'erba, sembrava che fosse stata arata dai più trattori. In una trincea vicina alla mulattiera che toccava la cima del monte Canala vidi tra tanti fucili, cassette di bombe a mano e munizioni di ogni tipo anche un grosso bazooka. Dal giro che feci mi resi conto della guerra sanguinosa che fu combattuta sui nostri monti, subito l'arrivo in Versilia gli americani. Sul Pelliccino, proprio ai piedi di un olivo vidi i resti di un soldato americano che successivamente, segnalai ai soldati americani impegnati a staccare dai corpi dei loro colleghi uccisi la piastrina di riconoscimento. Sempre sopra il Pelliccino, poco sotto il Castellaccio tra i pini bruciati, vidi ossa umane, un mortaio, cassette di bombe a mano, alcuni fucili e elmetti americani. Diverse furono le tombe che contai sulle piane della Mezzaluna e da altre parti. Ricordo di essermi velocemente allontanato dal crinale del monte di Ripa, a causa del nausante odore della carne umana ancora in putrefazione, che proveniva da un cumulo di terra sotto il quale era stato sepolto un soldato americano, come immaginai visto che la fossa era stata scavata tra le loro trincee. Vidi sempre in qua e là ossa umane di militari americani, e alcuni corpi di soldati statunitensi uccisi ancora avvolti nelle divise logorate e ridotte a brandelli per la lunga esposizione alle intemperie. Nessuno dei resti dei soldati sia americani che tedeschi avevano ai piedi gli scarponcini o stivaletti perchè secondo quanto seppi, gli erano stati tolti da chi era salito sin lassù prima di noi per portarseli via per poi calzarli. Intorno alle postazioni che avevano occupato gli americni, c'erano mucchi di bossoli di mitragliatrice e dei fucili e cumuli di scatolette di latta arrugginite che all'origine contenevano i cibi conservati con il quali venivano alimentati i soldati americani. Numerosi fili elettrici di vari colori che servìrono ai collegamenti tra i vari reparti, erano ancora distesi su tutto l'ampio crinale. Sullo spiazzo del Castellaccio che fu un formidabile caposaldo della linea difensiva tedesca, dove s'infransero i ripetuti assalti delle truppe americane, giacevano i cadaveri di due soldati tedeschi sicuramente uccisi durante l'attacco finale portato dai soldati americani che sfondarono il fronte. Avevano i capelli biondi e lunghissimi, come lunghe mi sembrarono le dita delle loro mani. Ricordo che un mio amico di Corvaia, la cui famiglia aveva trovato rifugio a Pietrasanta, tolse le cinture ancora allacciate ai pantaloni dei due tedeschi uccisi. Soltanto una parte di quella fortificazione fu messa fuori uso, probabilmente dal lancio di bombe a mano, effettuato durante l'assalto finale. Infatti i deposito delle munizioni era ancora intatto, pallottole per i fucili, nastri per le mitragliatrici e bombe a mano erano sistemate ordinatamente.
Attraverso il varco già aperto tra i tronchi degli alberi utilizzati per la costruzione dell'opera difensiva, mi calai nella buca profonda scavata nella roccia. Non era grande, al massimo vi potevano stare riparati cinque o sei soldati. Proprio dalla cima del Castellacio dove trovammo altri ragazzi più grandi che avevano dimestichezza con le armi, ci fu qualcuno che sparò ripetutamente raffiche di mitraglia. Il loro gesto. che mi parve sconsiderato. comunque non fece danni di sorta. Il terreno, attraversato dal sentiero che dalla cima del Monte Canala conduce a Cerreta San Nicola, poco sotto il Castellaccio, era pieno di mine antiuomo tedesche, molte della quali già disinnescate dagli americani. L'esplosivo e tutti meccasismi contenuti in queste minuscole scatole era stato tirato all'aria e abbandonato sul posto. A fianco del muro perimetrale della Casaccia Nera, un diroccato piccolo edificio così chiamato,c'erano i resti di un ufficiale americano, come rilevai dal distintivo del grado visibile sul suo elmetto. Sotto la divisa consunta notai, con orrore, che il suo scheletro, all'altezza della cassa toracica, era pieno di escrementi di topo. Fra le rocce del Folgorito, vidi un paio di zoccoli, sul quale avevano attaccato le tomaie di uno stivaletto di cuoio, che permise a chi li calzò nell'inverno 1944/45 di avere i piedi caldi. Quando si sparse la voce che c'era chi acquistava i bossoli,materiale ferroso e quant'altro, tutto il Crinale del Monte di Ripa fu ripulito in pochissimi giorni, nonostante il sussistere del pericolo delle mine. Sul monte rimasero soltanto mucchi di scatole di latta arrugginite e i colpi di cannoni inesplosi conficcatisi sul terreno.
Purtroppo non riuscii a trovare alcun cimelio di guerra. Lassù, come ho già detto in precedenza,vidi soltanto moltissime armi e munizioni e resti di soldati americani e tedeschi uccisi durante le sanguinose battaglia.

1 commento:

Unknown ha detto...

Mai come oggi questa minuziosa e ben fatta ricostruzione delle vicende del secondo dopoguerra, può servire a noi padri versiliesi per cogliere l’esempio dei nostri nonni per superare questa situazione che stiamo vivendo a seguito della pandemia del Coronavirus,