lunedì 18 ottobre 2010

Albé Benti, il mi' amico fin dagli anni dell'asilo

Sento forte ‘l bisognò di parlà del mi’ amico Alberto Benti, da me chiamato sempre Albé,scomparso verso la fine del 2006, di cui conservo ancora nel mi’ còre un ricordo vivissimo. Dal 1930 e fino all’istate del 1944 in cui fu ordinato dai tedeschi lo sfollamento degli abitanti di Seravezza e dintorni, abitò davanti a la mi case ubicata nell’antico rione del Ponticello, fatto saltare in aria dagli operai dela Todh, comandati da un sergente dei guastatori dela Wehrmacht. E’ stato ‘l mì compagno fin dall’asilo e degli anni dela scòla. Erimo molto uniti. Insieme a lu, ho vuto tanti amichi, tra i più cari ricordo: Lido Calistri, morto nel 1958 dopo un grave incidente sul lavoro, Matteo Bonci, Aldo Tessa, Andrea Bandelloni, Gianfranco Pea e Gianfranco Tommasi, anco se quest’ultimi quattro nun staceino di case al Ponticello. Per i ragà del mì rione i monti, erino i luoghi dube si andaa a giracchià. Il fiume fu na nossa pescina. Spesso andaimo su le rocce sotto la Mezzaluna dube costruivamo na trincea sula quale issavamo ‘l nosso vessillo tricolore. Il nosso campo di giòco al pallone fu la strada.

Ricordo che nela via piena di polverone, che passava accanto al molino del Bonci, giocaimo molte partite sovente con ‘na palla di carta e stracci, perché nun si avea na lira in tasca per compranne ‘na vera. Lido Calistri che facea ‘l terzino, con un fazzoletto che tenea sempre allacciato sula fronte venia chiamato Caligaris , nome di un famoso giocatore della Juventus e della nazionale. Quando piovea, spesso con Albè e altri compagni, ci incontravamo nela su piana dube accanto al pollaio c’era anco ‘na tettoia. Lì tenea ‘na piccola scultura di marmo raffigurante lo sfondo del Monte Procinto, scolpita da qualche su antenato. Albè era ‘l meglio di tutti no’, fu un trascinatore infaticabile. Un giorno, mentre staceimo a parlà nel salotto, dela su case, visibilmente felice e orgoglioso, tirò fora da un cassetto na foto del su babbo Donato, òmo mite, schivo e bravissimo, scattatagli quando era giòveno mentre stacéa per atterrà attaccato a un paracadute.

Negli anni dela guèra in cui ‘n Versilia si patì molto la fame, Albé, più d’una volta, abbrì la cassetta che su mà, la buona e cara Antonia, tenea in cucina, per donarmi alcuni grossi gràcioli di farina di castagne prodotta dal nò di Albé che duvea possedé sotto Giustagnana, oltre ad una vigna, anco ‘na piccola selvé. Mentre divorao quela farina mi sembraa d’avé in bocca dela cioccolata. In occasione dell’utima colonia estiva organizzata dale scuole nel campo sportivo, prima dela caduta del regime fascista, ci fé visita il federale dela provincia di Lucca. Questi fu accolto dai tutti noì che di corsa gli andammo incontro, gridando: “Viva il Duce… Duce! Duce! Duce!”. Fu in quel momento che sentii la voce di Albè mentre dicea:”Duce, Duce a la fame ci conduce”.

Durante i combattimenti che si svolsero tra il 1944/45, sui monti di Seravezza, la famiglia di Albè che scappò in un primo tempo nella zona di Camaiore, ritornò sòbbre Seravè, nela case del babbo di su’ mà che da lì un s’era mai mosso. In quela località la famiglia di Albè trascorse tutti i lunghi sette mesi in cui durò ‘l conflitto in Versilia. In occasione d’un nosso incontro che avvenne a Seravezza agli inizi degli anni ’90, Albè mi riccontò cosa faceino i ragà come
 lu e anco più grandi che vissero per diversi mesi,a ridosso del fronte. Costoro tutti ‘ giorni, anco col brutto tempo, trasportavino, caricate sule spalle, pesanti cassette di munizioni e anco del mangià in scatola a le più avanzate trincee dei soldati americani. Partivino, dai magazzini situati in Torcicoda, dube stazionava sempre ‘na fila di essi, in attesa di esse chiamati per fà qualche trasporto. Mi raccontò la triste storia del trasporto del corpo del soldato mericano ucciso in località Bovalica in seguito ad uno scontro coi soldati tedeschi. Quel giorno calzava un paio di scarpe di cencio con la suola di gomma, malridotte, tanto che pati un freddo forte ai piedi causato dal mevischio che calpestava, fatto questo che lo indusse a desiderare di poter usare gli stivaletti del cadavere del militare per non soffrire più. Violenta fu la reazione del capo della squadra dei militari alleati, al quale aveva molto timidamte manifestato questo suo desiderio. Forse questo è uno dei miei migliori racconti da me scritti su Versilia Oggi sulle vicende vissute dai versiliesi durante i sette mesi della guerra che fu combattuta in Versilia nel 1944/45. Fenita la guerra questi valorosi ragà vennero subbito dimenticati; nessun attestato di benemerenza, come ho già scritto in altre occasioni, fu loro concesso per l’attività umile ma molto importante, da essi svolta, grazie a la quale fu mantenuto sempre costante e regolare ‘l rifornimento dele munizioni e dei viveri ai soldati mericani. In cambio di quelle loro durissime prestazioni ebbero soltanto piccole scatolette di carne congelata e/o altri generi alimentari; ciò che ricevettero permise, comunque, a que’ giovinetti e ale proprie famiglie di sopravvive. Ricordo che anco io portai, da Valventosa a Giustagnana, sùbbito dòppo l’arivo a Giustagnana dei soldati di colore della divisione Buffalo, du cassette di munizioni. Sotto quel peso sentii un forte e continuo dolore. Albé fu il mì testimonio di nozze. Lu’ più che un amico, fu per me, un fratello, così come lo fu anco Lido Calistri.

Ora che un c’è più fra no’, mi pare belo pensà che, qualo grando sonatore di trombone ch’è stato durante la sua vita terrena, col su' strumento venghi ora impiegato lassù nel célo, per sonà, insieme agli Angeli, la musica che accompagna in Paradiso le anime degli òmeni pii e giusti.

1 commento:

massimo ha detto...

ti ringrazio del ricordo di mio zio Alberto. Da bambino questi racconti di guerra e di fame, che nella mia immaginazione erano d'avventura, sono state le favole che a mio zio e mia nonna maggiormente chiedevo mi raccontassero quando ero a letto fermo per qualche indisposizione.
saluti,
massimo tarabella.