Erino belle le vecchie case del Ponticello di Seravezza duve abitavo, quand'ero cicchino, anco se aveino i muri scrostati e più cucine annerite dal fumo dei grossi camini. Sorgevano sulle rocce in fondo al monte Canala, Erino incastonate in mezzo a piante di ceragio, piccoli orti e giardini con tante rose, ortensie e camelie. L'acqua e la luce in casa ce l'aveino in poghi. Si usava la lampada a petrolio e l'acetilene; c'era chi accendeva ancora il lumino a olio.
Prima che la guerra le spazzasse via, ogni anno stormi di rondini ci ritornavano per farci il nido. Fango e acqua ne aveino in abbondanza i quell'oasi di verde. C'erino molti pesci nel fiume e l'acqua che vi scorreva era così limpida che si podea anco beve, specie dopo che era passata la piena.. Ricordo gli anni 30, già raccontati nei libri scritti da Giorgio Giannelli, quando nelle strade si sentia cantà “faccetta nera” e “siam versiliesi dalla pupilla nera...”.Allora mi pà andaa a laborà sulle cave del Trambiserra anco quando il tempo era piovoso e tirava un forte vento, perchè avea bisogno di guadagnà con noi bimbi da tirà su. Sotto la tecchia insieme ai su compagni, che come lù erino scovati, aspettò, più volte che spuntasse l'arcobaleno. Aveo poghi anni e spesso mi svegliavo quando la matina, doppo avè levo il paletto di ferro che bloccava la porta di accesso, mi pà metteva fora la testa dall'uscio per scrutà il cèlo. Così na volta lo sentii dì: “E' tutto nero e pioviccola. Un so che fa. Se mi riscisse laborà almeno du ore. Già c'è pogo laboro e ci si mette contro anco il brutto tempo...”. E mi ma: “ O te, speriamo per lo meno che la piena porti giù dei sassi. Non ce n'è più nel fiume. Eno stati raccattati tutti. Il barrocciao mì ha ditto che vanno a ruba. Certo che a portalli sulla strada è un fatica da morì. C'è da sfiattaccisi”. Anco mi mà s'era alzata presto per preparà per mi pà, al lume della lampada a petrolio, il fagotto col mangià a mezzogiormo: pane o polenta. Solo il companatico cambiava, a seconda dei giorni. Erino comunque le stesse cose e cioè: carne allistata, o cagio pecorino, o mortadella, o biroldo,quando ci avea i pomodori gli dovevimo trità il sale, un compito che toccava a me o a mio fratello Sergio. Misso una brancata su un pezzo di carta gialla, ci giravamo sopre, come un rullo, una bottiglia, mezzo giro avanti e indietro con le mani. Nelle parole dei mi genitori avvertivo tutta la loro preoccupazione. Laborà du ore volea dì che mi pà si accontentava di avè almeno un quarto della paga che gli avrebbero datto se avesse lavorato l'intera giornata. Un era un granchè un quarto, erino poghe lire che però servivino a compracci qualcò a la bottega, considerato che a quei tempi circolavano i centesimi e ventini. Missi gli scarponi chiodati, tirati a lucido con la sciugna, cosa che si facevamo io e mio fratello, si allontanava da casa sotto il grosso ombrello di celandra, più di un volta tra il fragore dei tuoni ed il rumore dell'acqua tumultuosa del canale che passava sotto la finé de la cucina de la mi casa, e quello cupo dei sassi che spinti dalla corrente della piena, rotolavano giù per il fiume. Un c'era da sta allegri quando l' acqua limacciosa arrivava a sfiorà le arcate dei ponti e la passerella ballerina fatta di fili di ferro e paletti di legno, che gli omeni per attrabaccà il fiume arrivi sopre Malbacco percorrevino con difficoltà per portarsi dall'altra parte della valle, duve iniziava il sentiero che li portava sulle cave del Trambiserra. Negli anni 30 vivevano ancora tante pèrsone che ricordavano i danni che aveva causato la piena del 26 settembre 1885. Era arriva l'acqua alta come si podea vedè dalla linea scolpita su na piastrella di marmo murata su alcuni edifici di Seravezza per ricordà tale evento. E durava sempre ai mì tempi l'usanza che dopo le tempeste noi ragà si saliva sul monte Canala per raccoglie i rami dei castagni che il vento avea scosciato dai grossi alberi.
Allora un c'era altro combustibile, oltre il carbone e la legna, per còce il cibo, e così si facea a le corse a chi arrivava prima per trascinà interi rami giù lungo la mulattiera fino a casa. Incredibilmente, anco il vento che coi suoi sibili ci facea sta in ansia, era utile per procurarci la legna. Quando nel célo tinto di azzurro ritornava a splende il sole, nelle strade si rivedevano i barrocci, le membrucche, carri o carrette trainati da bovi e cavalli con sopre blocchi o lastre di marmo. Anco il tramme riappariva con la sua lunga fila di vagoni. Al pontile di Forte dei Marmi i velieri attraccati attendevano l'arrivo dei pezzi di marmo per esse imbarcati e trasportati in ogni parte del mondo, come sentivo dire. Quando un era freddo, noi batocchi, si ritornava a mette i piedi nel fiume, duve si giocava accanto ai botelli. Poi arrivò la guerra e nell'agosto del 1944, questo mio piccolo mondo sparì, spazzato via dai tedeschi che lo minarono e lo fecero saltare in aria per tenere sotto controllo il terreno sottostante le loro trincee dove per sette mesi fermarono l'avanzata delle truppe alleate.
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