mercoledì 1 dicembre 2010

Francesco Viti - La Poesia di un cavatore all'inizio del 1900

Francesco Viti, il primo in ordine di tempo, poeta e cavatore versiliese, autore anche dell'inno dedicato a San Giovanni , il Patrono di Riomagno, ci ha lasciato interessanti testimonianze scritte che riguardano, tra l'altro, anche le difficili condizioni di vita della gente dei monti intorno a Seravezza all'inizio del 1900.

Egli come il padre, lavorò sulla cava fin da ragazzo, perché, come si legge nella poesia Il Cavatore che scrisse nel 1902, “con il latte succhiai, cosa non lieta / la polvere dei marmi e cavatore divenni invece di venir poeta.

Sempre da questa poesia, forse la prima da lui scritta, nel giudicare “improba troppo e faticosa è l'arte dei cavator / che con disagio e pena/ di sua vita ogni fibra ed ogni parte / risente il peso di si ria catena” avverte la durezza del mestiere, che pure amava fino a divenire un esperto capocava, perché è ancora al buio si verificava “ che già marmore schegge in ogni parte / volano ai fieri colpi ch'egli mena”, e ne evidenzia. con in versi conclusivi, “Ed ahi sventura ed ahi crudel dolore / purtroppo spesso avviene che all'improvviso / un masso cade, lo colpisce e muore”, il dramma tragico che scaturiva dalle frequenti disgrazie che anche in quel tempo si verificavano.
E' dalla poesia intitolata I lamenti del popolo della frazione Cappella, scritta nel 1905, che appaiono durissime e di incredibile arretratezza le condizioni in cui viveva la comunità montana accennate in precedenza , sprovvista dei più elementari servizi di utilità generale.
Nonostante il fatto che da allora siano trascorsi ben 85 anni , alcune tematiche di fondamentale importanza per la vita dell'uomo, sono ancora attuali.
Francesco Viti desiderava pagare le tasse , anche se siano per noi si gravi / che non hanno più confronto / con quelle dei nostri avi.
Voleva però, e con piena ragione, che il denaro pubblico fosse speso bene come lo sarebbe stato se l'avessero destinato per la realizzazione di opere atte a migliorare la vita di tanta gente costretta ad abitare in luoghi isolati e impervi e Privi di levatrice e di medico / e bbian solo la luna per lampione / e mancaci una scuola / siamo tremila e certo / a chi non sa gli è strana / il medico non vedesi / un dì per settimana .
E ancora: Sappian di certe donne / che giunte a mal partito / avevan per levatrice il povero marito. / E perciò di lagnarci abbian nostre ragioni: nascer come agnelli morir come montoni.
Con questa poesia semplice, cruda ma vera, Francesco Viti 85 anni fa ebbe il coraggio di porre sotto accusa l'inefficienza di una amministrazione comunale che si disinteressò completamente dei diritti e dei bisogni essenziali della comunità montana.
A me sembra anche essere un documento storico da conservare con cura in quanto descrittivo di una vita troppo sofferta da molti versiliesi vissuti in quell'epoca.
Nella lettera, in versi poetici, che da Filettole nel marzo del 1908 inviò alla moglie, Francesco Viti nel descrivere quella località della valle del Serchio dove per un certo periodo di tempo diresse una cava di marmo rosso che fu utilizzato per la costruzione del palazzo della Borsa di Genova, dopo aver manifestato anche il suo apprezzamento per gli abitanti ricchi di fede cristiana, ribadisce la sua fedeltà coniugale, Se mi dovrò molto trattenere / sposa stai certa che ci porto il letto, un comportamento che da sempre accresce l'amore e mantiene unita una coppia.
Divertenti i versi con i quali ordinò al titolare di una nota ditta milanese una mezza dozzina di bottiglie di un liquore, ancora oggi in commercio che “ Bevo ogni giorno / ed ora son docile / come un agnello / dice mia moglie a questo e quello”.
Aveva assaporato il liquore una sera a Seravezza, mentre si accingeva a fare ritorno a casa, consigliato dal droghiere Benti al quale il Viti disse di avere dei disturbi allo stomaco. Sentitosi meglio, il Viti inviò la singolare richiesta in ordine alla quale ricevette gratis un'intera cassetta di tale prodotto che aveva proprietà digestive, particolare questo che fece scrivere un'altra poesia di ringraziamento: Io quando ordino, lo tenga a mente / che non le voglio così per niente.
Nella circostanza assicurò che i liquore l'avrebbe fatto bere anche ai suoi operai.
Essendo da molti anni capocava / ancor non ho pensato ai miei operai / che faticano molto / E' gente brava / ma bevon ponci e vino e spesso assai / per l'ubriachezza sono molto fiacchi / sì che il lavoro ne risente guai.
Nella poesia scritta nel 1912 perchè il figlio Pasquale la leggesse durante il viaggio di trasferimento in Tripolitania dove partecipò alla guerra contro i Turchi, Francesco Viti dimostrò di avere altissimo il senso del dovere e della disciplina, esortando il suo ragazzo a non badare alla fatica, ad obbedire agli ordini dei superiori di qualsiasi grado ed a sparar bene e spesso.
Ed è davvero bello che questo linguaggio sia sgorgato dal cuore di un uomo impegnato in lavori durisssimi sulla cava per ben 12 ore al giorno, dove in una quindicina venivano riquadrati circa 100 tonnellate di blocchi di marmo, come scrisse in calce ad una poesia iniviata ad un suo amico il 14 luglio 1908. una fatica immane che tuttavia non gli impedì, nel tempo libero, di stringere fra le dita della callosa mano la penna per scrivere quanto gli dettava la sua anima di poeta.
.
Nella sua poesia non si abbandonò alla contemplazione delle bellezze della natura coi suoi fiori, colori e paesaggi incantevoli bagnati dal mare che in Versilia sono costantemete sotto gli occhi di tutti, ma pose attenzione e concentrò la sua creatività poetica soltanto sugli aspetti della vita semplice, vissuta tra molte sofferenze, da gente umile e forte che con il suo comportamento nobilitò ancora di più ls nostra terra.

Renato Sacchelli

.
Questo mio articolo fu pubblicato da “Il Dialogo” sul Numero di Settembre 1990, pag.7.
Quando nel dicembre del 2002, il direttore del mensile Don Florio Giannini, fece stampare il libretto delle poesie del cavatore Francesco Viti, intitolato “Polvere di Marmo”, di seguito alla sua presentazione di questi scritti inserì anche quanto avevo scritto in merito dodici anni prima. .

Nessun commento: