mercoledì 26 giugno 2024

Si poteva morire per qualche castagna

 




“Il fuoco è mezzo pane”. Dicevano così i miei genitori quando ero ragazzino, mentre tutta la mia famiglia si scaldava, nelle fredde serate d’inverno degli anni ’30 e ’40, intorno al camino acceso e con la legna scoppiettante che sprigionava fiamme e faville in continuazione. Questo ritornello l’avevo sentito dire tante volte anche dai vecchietti del paese, che stavano in piazza o nelle vie a prendere un po’ di sole d’inverno per scaldarsi.

Erano tempi di miseria nera, coi generi alimentari razionati e il freddo che, nella cattiva stagione, a noi ragazzi faceva venire i geloni alle mani, mentre lo scolo delle acque piovane formava, sotto le grotte del monte e le grondaie dei tetti, grosse candele di ghiaccio che sembravano di cristallo.

A scuola portavamo un mattone riscaldato avvolto in un pezzo di stoffa; qualcuno, invece, un po’ di legna da bruciare nella stufa che avevamo nell’aula. Da ragazzo con altri miei coetanei andavo a raccogliere rametti nei boschi sui monti sopra Seravezza. Le mie forze non erano molte, per la fame che avvertivo forte ogni giorno. Non avevo sempre sentito dire che il fuoco era mezzo pane? In verità gli stecchi che raccoglievamo spesso erano necessari per accendere il fuoco per cuocere la polenta, quando mancavano i soldi per acquistare il carbone da usare nei fornelli. Utilizzando la legna per cuocere i cibi i muri della cucina erano molto anneriti e dovevamo sempre spalancare le finestre per fare uscire il fumo dai locali, poiché il camino non lo tirava fuori in modo sufficiente.

Trovare qualche legnetto da ardere nei boschi era tutt’altro che facile: venivano “puliti” molto bene e sembravano dei giardini, coi proprietari delle selve che raccoglievano minuziosamente le castagne, la cui farina era indispensabile per sopravvivere, cucinando i "ciacci” (sottili piadine cotte sui testi di metallo riscaldati sul fuoco) e le frittelle.

Era uno spettacolo veder passare lungo le nostre strade i barrocci carichi di fascine di legna, sopra i quali stava si ergeva un uomo, come seduto su un trono, che stringeva ben salde tra le mani le briglie del cavallo. D’estate i barroccianti indossavano un cappellaccio di paglia, che d'inverno era sostituito da un copricapo più pesante.

Chi riusciva a salire nelle zone più alte del monte, camminando lungo impervi sentieri tracciati tra i ravaneti, poteva portare a casa, sulle spalle, grossi fasci di legna secca raccolta nei boschi vicini alle cave. Fra questi uomini forti e vigorosi c’era anche mio padre: è così che la mia famiglia riuscì a riscaldarsi nelle stagioni invernali. Noi ragazzi di legna ne raccoglievamo poca: un fascetto piccolo, paragonabile a quello che si ogni anno si preparava per la Befana, perché non avevamo la forza degli adulti.

In quei giorni difficili gli uomini e le donne vigilavano che nessuno rubasse dalle loro selve - di proprietà o che controllavano per conto dei padroni - le castagne che avevano iniziato a cadere e che noi ragazzi tentavamo di raccogliere, essendo più affamati degli scoiattoli.

Un uomo del mio paese picchiò selvaggiamente un ragazzo che aveva sorpreso nel proprio bosco con un pennato in mano, intento a tagliare dagli alberi alcuni rami secchi. Era in compagnia di un suo amico più giovane. Quest’ultimo riuscì a fuggire mentre l’altro si trovò circondato dal padrone e dai suoi giovani figli. Inferocito, l’uomo gli tolse dalla mano l’attrezzo e iniziò a riempirlo di calci e pugni. Una gragnuola di colpi arrivò sulla testa, sul viso e sulle spalle del povero ragazzo, che con le mani tentava inutilmente di ripararsi. “Chi te l’ha dato l’ordine di tagliare le piante del mio bosco? Come ti sei permesso? Guai a te se rimetti i piedi qui”. E giù ancora colpi. Nemmeno i figli ebbero compassione. Anzi, furono spietati, incitando il loro genitore: “Dagliene ancora babbo. Dai, dai, più forte!”. L’uomo smise di picchiare il ragazzo quando si accorse che altre percosse gli avrebbero fatto perdere i sensi. “Vai via, vai via!”, gridò ancora, rifilandogli alla fine un robusto calcio nel sedere. Il ragazzo si allontanò barcollante e subito scomparve tra i cespugli del monte. Mentre scendeva a valle, con la bile in bocca, sentì il bisogno di riprendere fiato. Distesosi per terra rivolse i suoi occhi pieni di lacrime verso il cielo tinto di azzurro.

A quei tempi c’era molta spietatezza e crudeltà fra gli uomini. La carità non si vedeva. A farne le spese erano tanti poveri ragazzi affamati e le persone più anziane.

Un giorno andai a cercare delle castagne con altri miei coetanei nei boschi sul monte Altissimo. Appena usciti dalla strada entrammo nella prima selva. Una donna, che non era neanche la padrona, iniziò a tirarci contro dei sassi. Furono le nostre gambe scattanti a evitarci il peggio. In pochi minuti ci ritrovammo a fondovalle, dove scorreva il fiume. La scampammo bella. Qualcuno di noi, senza neanche aver avuto modo di mettersi in bocca una castagna, sarebbe potuto finire in ospedale se gli fosse andata bene a non rimanere stecchito sul colpo.

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