venerdì 17 settembre 2010

Antonio Spinosa: ecco come giudicava l'8 Settembre '43

Il giorno 8 aprile 1997, il famoso scrittore Antonio Spinosa, scomparso tempo addietro, tenne nell’Aula magna della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa una conferenza sul tema: "Vittorio Emanuele III e i giorni dell’8 settembre 1943". Moderatore il professor Paolo Nello, docente di storia contemporanea nel suddetto ateneo.
La conferenza fu organizzata dall’Associazione studentesca “I L - Informazione Liberale“, che si ispirava ad ideali liberali e libertari senza legami ad alcun partito e/o movimento politico,della quale faceva parte anche il mio ultimogenito.
L’illustre giornalista storico, accogliendo l’invito, giunse da Roma dove viveva e lavorava, accompagnato dalla gentile consorte. Al pubblico che riempì la prestigiosa Aula, fu presentato dallo studente versiliese Alessandro Santini che, sulla Casa Savoia, scrisse alcuni interessanti articoli pubblicati su “ Informazione Liberale “, stampato all’interno dell’Università della Torre pendente.
Antonio Spinosa fu autore di una serie di libri in edizione Oscar Mondadori di grande successo che narravano le vicende, sotto molti aspetti affascinanti, di personaggi che sono passati alla storia, quali: Cesare, il grande giocatore; Tiberio,l’imperatore che non amava Roma, Augusto, il grande baro; Paolina Bonaparte, l’amante imperiale; Murat, da stalliere a Re di Napoli; Le Italiane, il lato segreto del Risorgimento; Starace, l’uomo che inventò lo stile fascista; I figli del duce, il destino di chiamarsi Mussolini; D’Annunzio, il poeta armato; Mussolini, il fascino di un dittatore; Vittorio Emanuele III, l’astuzia di un re; Hitler, figlio della Germania. Pio XII, l’ultimo Papa; Edda, una tragedia italiana; I 600 giorni di Salo e Ulisse.
Il 2 giugno 1946, Antonio Spinosa, quale amico personale dell’allora ministro degli interni Giuseppe Romita, fu testimone della nascita della nostra Repubblica.
Nel suo excursus storico relativo all’armistizio dell’8 settembre 1943, Antonio Spinosa ha sostenuto la tesi secondo la quale il Re , che aveva un fortissimo senso della Costituzione, fu costretto a lasciare Roma per trasferire altrove quelle che erano le insegne della monarchia, allo scopo di assicurare la continuità del suo potere legittimo in un territorio libero. Non si trattò di una fuga, ma di un comportamento atto ad evitare di essere arrestato dai tedeschi, un fatto questo ritenuto probabile dallo stesso Re e davvero non infondato, come poi dimostrò il piano di Hitler ( annotato sul diario di Goebbels) che prevedeva appunto la cattura di Vittorio Emanuele III, della sua famiglia e del governo Badoglio al completo.
L’armistizio, firmato segretamente il giorno 3 settembre 1943 a Cassibile, dal generale americano Bedell Smith e da quello italiano Castellano, doveva entrare in vigore dopo nove giorni dalla firma, cioè il I2 settembre.
Invece di quella data gli alleati decisero di annunciarlo, tramite “ Radio Algeri”, il giorno 8 settembre, addirittura circa due ore prima che fosse diffuso dalla radio italiana, sicuramente per fare un dispetto puro e semplice all’Italia (per il ritardo con cui questa aveva firmato l’armistizio in questione) e per punire, al tempo stesso, la monarchia per essere stata, per tanti anni, d’accordo col fascismo.
Fu questa la causa che l’8 settembre generò la grande confusione che portò allo sfascio del nostro Esercito, dovuto soprattutto all’inettitudine dei vertici militari, incapaci financo di eseguire gli ordini che il governo di Badoglio aveva impartito. Le Forze Armate italiane si difesero come poterono dall’esercito tedesco, molto meglio armato. Una infinita schiera di soldati italiani venne massacrata nei combattimenti o addirittura fucilata dopo essere stata costretta ad arrendersi. Nelle isole greche di Cefalonia e Corfù furono scritte col sangue pagine di epico valore.Da queste isole del Dodecanneso ebbe inizio la resistenza contro i nazisti. In seguito all’armistizio seicentomila fra ufficiali e soldati italiani furono deportati nei campi di concentramento in Germania, nei quali più di trentamila perirono di stenti.
La sanguinosa reazione dei tedeschi verificatasi subito dopo l’annuncio dell’armistizio, impedì l’attuazione del piano predisposto per il trasferimento, con i mezzi della Regia Marina, del Re e del governo Badoglio in Sardegna.
Anche eminenti professori ed autorevoli personaggi, intervenuti al dibattito, si trovarono d’accordo con Antonio Spinosa nel non giudicare una fuga la partenza del Re e del governo Badoglio da Roma.
Sull’argomento, memore delle vicende storiche di quei giorni lontani, vissute da ragazzo degli Anni 30 nelle strade della Versilia e di Seravezza in particolare, ho voluto narrare agli studenti universitari le emozioni scaturite da quei fatti, peraltro ben raccontati nei suoi libri da Giorgio Giannelli. Mi colpì allora il comportamento del Re che io avevo imparato ad amare sui banchi di scuola come il Re soldato, per essere stato sempre nelle trincee accanto ai suoi soldati, durante la I Guerra Mondiale.
E proprio sempre vicino ai suoi soldati avrei voluto vedere il Re anche all’indomani dell’8 settembre 1943; invece egli partì da Roma per salvare la Corona, una tesi sostenuta in quei giorni pure da un uomo, un ex combattente della I Guerra Mondiale, chiamato  Pietro Salteri, detto “il Gallo”, mio vicino di casa.
Ricordo con quanto calore quell’uomo difendeva il Re dall’accusa mossagli di avere abbandonato il suo popolo. Ci metteva la stessa forza con la quale da decenni lavorava il marmo, con la subbia ed il “ mazzolo “ stretti nelle sue callose mani, a partire dalle ore 5 di ogni mattino (come mi disse il figlio del Salteri che un giorno incontrai al cimitero di Seravzza)  per farci capire perché il Re aveva abbandonato Roma, una spiegazione che, ancora oggi. purtroppo non riesco a comprendere.
Dopo la conferenza, mentre ci apprestavamo a raggiungere il vicino e storico Caffè dell’Ussero per un rinfresco offerto da quei magnifici studenti dell’associazione IL, alcuni dei quali versiliesi, una distinta signora mi chiese: “Che ne pensa del mancato ritorno in patria dei resti del Re Vittorio Emanuele III, del figlio Umberto II e della Regina Elena. “ La mia risposta fu immediata, senza un attimo di riflessione risposi: “ Non sono comportamenti degni di una nazione civile “.

3 commenti:

Valerio ha detto...

La storia non si scrive con i "se" e con i "ma". Una cosa però è certa: se il re fosse rimasto a Roma magari sarebbe stato catturato o forse ucciso ma, oggi, l'Italia sarebbe una monarchia. La sua mossa distrusse le sorti dell'istituzione che lui stesso rappresentava.

rebato.sacchelli@gmail.com ha detto...

Signor Valerio,
grazie del suo commento che condivido in toto.Cordiali saluti, Renato Sacchelli

Valerio ha detto...

La ringrazio signor Renato. E complimenti per il suo blog