venerdì 7 agosto 2009

IL PROFESSOR DINO BIGONGIARI A 44 ANNI DALLA SUA MORTE

Non fu una sorpresa per i suoi amici, la notizia della morte di Dino Bigongiari che avvenne nella sua Seravezza il 6 giugno 1965. Da anni lottava contro malattie e disgrazie fisiche tanto da dover subire operazioni dolorose che lo avevano collocato al di fuori dal suo mondo che era quello dell'espressione.
Giuseppe Prezzolini sulla La Nazione del 12 settembre 1965 scrisse, tra l'altro, che Dino “Aveva un tesoro di cognizioni rare; di idee originali; di giudizi taglienti; di opinioni profondamente sentite, e poi di affetti umani gentili, che sbocciavano in atti di carità e insieme, perché non dirlo, di avversioni radicate, di polemiche tenaci e di disprezzi globali , si era in quegli anni affievolito e finalmente quasi scomparso”.

Qualche settimana prima della sua morte, Gianfranco Contini, professore e presidente della società dantesca insieme e il suo collega Carlo Mazzoni andarono, due volte, a trovarlo a Seravezza, per presentargli una copia appena uscita della nuova edizione del De Monarchia, curata da Pier Giorgio Ricci.;era un omaggio dovuto a Dino che dal 1926-27 era impegnato alla correzione del testo di Dante,un lavoro che i dantisti più colti finirono per accettare. Questo suo lavoro era poco conosciuto in quanto le sue proposte erano apparse in lingua inglese su una piccola rivista della Columbia University presso la quale era docente ed anche alla sua nota indifferenza a qualsiasi forma di pubblicità.

Dino Bigongiari, nato a Seravezza nel 1878, fu uno dei tanti uomini incredibili della Toscana sia per quanto riguardava l'originalità che per la singolarità delle loro vite. Fu studioso di Dante con le sue conoscenze rare di latino e di greco; di filosofia; di teologia e di tutto lo scibile umano. Da ragazzo fu un selvaggio che non voleva studiare. Il padre di Dino anche lui originalissimo figlio della Versilia, fu portato dal commercio del marmo e dalla sua passione per il giornalismo a emigrare in India e poi in America dove mandò il figlio a fare il fattorino della Western Union, la società del telegrafo. Furono i consigli del padre a far riprendere gli studi a Dino. Da ragazzo sapeva già il latino bene come l'italiano per averglielo insegnato uno zio prete che lo aveva educato alla caccia e alla lingua di Cesare e dei lirici greci; appena uscito dalla scuola media e dal college senza prendere la laurea era stato chiamato ad insegnare latino nell'università. Era bello, sembrava una statua di Donatello. Nella vita fu cacciatore, nuotatore, marinaio; solo per necessità aveva accettato di essere un docente universitario,una professione che svolse a un alto livello dal 1904 fino agli anni 50 presso la Columbia University di New York. Tutta l'università lo ascoltava con profonda attenzione quando spiegava un passo di Aristotele o di Platone o i misteri copernicani o tolemaici. La fede cristiana aveva domato la sua natura selvaggia che qualche volta pareva recalcitrare, ma il temperamento prendeva la mano fino ad esaltare la sua conquistata umanità, tanto che dalla sua bocca, abituata a far sentire Omero e Dante ai ragazzi americani, uscivano termini irripetibili della parlata versiliese e di Seravezza in particolare. Aveva una cultura immensa acquisita dalla lettura di testi sacri dell'erudizione e non sulle enciclopedie.

Il suo intuito dei testi uncanny (soprannaturale) fu definito così da un collega di Prezzolini. Una volta il Mercati, bibiotecario della vaticana, non ancora cardinale, gli mandò un testo scritto, ricopiato da lui: il Bigongiari rilevò degli errori che nessuno voleva ammettere che fossero stati fatti, forse per fretta, evidentemente dall'illustre paleografo; c'erano infatti questi errori che il Mercati benevolmente li riconobbe. La cultura raffinata e rara del Bigongiari l'aveva seppellita dentro di lui in quanto era accompagnata da un tremenda angoscia dello scrivere che Prezzolini credeva derivasse da qualche a lui ignoto fattore della formazione di Dino, oppure dalle difficoltà di parlare bene di cose vere e utili, tanto da fargli apparire la produzione dei libri come un vaniloquio. Era convinto che tutto fosse già stato scritto dagli antichi e che dal Medio Evo in poi non ci fosse stato nulla di grande importanza, salvo poche eccezioni. Bastava un emistichio, una sola parola o una parte della radice della stessa a far scaturire dalla sua eccezionale memoria collegamenti, allacciamenti e connessioni che arrivavano a colpire per la curiosità e loro giustezza, non soltanto nel settore delle etimologie; ma anche in quelli dei raffronti estetici e soprattutto; fatto più importante, nel campo delle derivazioni di idee. Questo splendido fiore, sbocciato in America. della ormai cultura evanescente greco – latina e cristiana aveva forti radici versiliesi, grazie al seravezzino Dino Bigongiari. Suo padre Anselmo fu un garibaldino agnostico.

Quando stava per ricevere l'olio santo, Dino, sapendo che Prezzolini era fuori dalla sua camera dell'ospedale, lo mandò a chiamare e con quel poco di filo di voce che gli era rimasta di quella che aveva udito tuonare nelle aule universitarie, gli dette la testimonianza della sua fede e della sua amicizia. In punto di morte espresse al suo caro amico quanto egli credeva nel Cristo redentore, pienamente convinto che fosse anche per lui un bene supremo. Tutto ciò non cambiò le idee del grande Prezzolini che ricordò sempre con forte affetto Dino, il quale, nel 1931, lo aveva chiamato ad insegnare alla Columbia Università di New York.

Nessun commento: