Conservo un ricordo sempre vivo nel cuore del sacerdote pisano don
Giorgio
Servi, che conobbi verso la fine dell’anno 1984, da quando, con la
famiglia mi trasferii da Pisa a Casciavola, nel Comune di Cascina.
Tutte le mattine attendevo l'autobus per arrivare in città, dove si
trovava il reparto della Guardia di finanza cui ero in forza. Lui
usciva dal cancello delle suore dell’ordine di S. Antonio, che
gestivano un asilo infantile, dopo aver celebrato la Messa
nella chiesina annessa al loro fabbricato, che don Giorgio
raggiungeva ogni giorno, al mattino presto, salendo su uno dei primi
bus che partivano da Pisa diretti a Pontedera.
Quando l’automezzo non era affollato mi sedevo sempre accanto a lui. Mi
raccontava molte cose interessanti.
Don Giorgio era nato nell’inverno del 1926
dopo che il “carro di Tespi” e alcuni carrozzoni giunsero a
Fusignano (Ferrara) con a bordo i teatranti della Celebre Compagnia
Drammatica, che doveva recitare il lavoro teatrale intitolato
“Stefano Pelloni il Passatore”, dramma storico in 6 atti e 9
quadri, incentrato sulla vita del famoso bandito della Romagna che fu
appunto il Pelloni. La compagnia era diretta dal capo della famiglia,
Ubaldo Servi (padre del futuro sacerdote don Giorgio), che era anche
l’attore più importante del gruppo insieme alla moglie, prima
attrice.
Qualche volta, durante i nostri brevi viaggi per Pisa, capitava che non
riuscendo a concludere gli argomenti trattati appena arrivavamo in
città don Giorgio mi accompagnasse, a piedi, fino al ponte
Solferino, in modo tale da poter terminare i suoi racconti.
La mamma di don Giorgio quando giunse a Fusignano era agli ultimi giorni
di gravidanza. Infatti, subito dopo l'arrivo nella località
romagnola, partorì il figlioletto, che dopo la nascita venne
lasciato a succhiare il latte dal seno di un'ottima balia, che lo
allevò fino al 18° mese. Don Giorgio mi fece anche un drammatico racconto, relativo al devastante
bombardamento aereo effettuato su Pisa dalle fortezze volanti
americane il 31 agosto 1943, che procurò moltissimi morti, feriti e
ingenti danni (
leggi qui il racconto del bombardamento).
Alle ore 7 del 2 luglio 1950 nella primaziale di Pisa l'Arcivescovo
Ugo
Camozzo chiamò Giorgio Servi sacerdote per il popolo cristiano,
consacrandolo ed immettendolo come “cadetto pastore”, prima di
affidargli ulteriori incarichi. La commozione unita alla sua fresca
purezza gli fecero sognare opere e conversioni grandiose. Ma il suo
impatto con Dio fu indovinato e giusto, tanto da rallegrare per
sempre la sua scelta di vita.
Dalle sue dotte omelie, che sgorgavano dal cuore e si basavano sulla
lettura approfondita dei Vangeli e sugli esempi di vita terrena del
nostro Redentore, mi resi conto di quanto fosse grande la fede che
don Giorgio nutriva verso il Creatore. Egli rivolgeva sempre il suo
pensiero affettuoso nei confronti dei più bisognosi, dei poveri e
degli ammalati, e invocava l’aiuto di Dio affinché tutti potessero
trovare ristoro dalla sofferenze, non solo fisiche.
Che
bello fu per me poterlo ascoltare quando mi raccontò che da giovane,
oltre ad essere tifoso della Juventus ebbe una grande passione per
il calcio fino ad arrivare a giocare ad ottimi livelli. Fu per questo
che i suoi colleghi seminaristi lo nominarono loro capitano. Un
giorno il futuro sacerdote don Giorgio disputò una partita contro
una squadra che schierava, tra le proprie file,
Carlo Annovazzi, un
forte giocatore del Milan. Quest'ultimo rimase sorpreso nel vedere
giocare così bene il giovane seminarista. Quando durante una fase
di gioco si trovarono vicini, sul campo, Annovazzi gli chiese se per
caso giocasse in serie B.
Nei giorni festosi del Santo Natale e della Santa Pasqua, in cui i mezzi
pubblici non circolavano, lo andavo a prendere a Pisa per portarlo
con la mia vecchia auto a Casciavola, dove rimaneva per celebrare la
Santa Messa dalle suore Antoniane. Al termine della celebrazione lo
riportavo nella città della torre pendente.
Nelle sue preghiere don Giorgio pronunciava sempre parole di amore volte a
glorificare la nostra fede cristiana, dichiarandosi un umile e povero
pastore del gregge di Dio.
Quando divenne prete fu nominato parroco della più povera parrocchia
dell’alta Versilia,
Basati, il paese dove era nata la mia cara
nonna materna, Marianna Marrai. Nella
comunità di Basati, dove fu parroco per nove anni, don Giorgio fu un
abile camminatore di Dio, con scarponi ai piedi e zaino sulle spalle
per il pane quotidiano, molto faticoso per un sacerdote che operava
tra le rocce e i castagni. Basati, però, gli è sempre rimasta nel
cuore. Quando le circolari mandate dalla Curia lo ammonivano per la
scarsa partecipazione della sua parrocchia rispetto a quanto
facevano altre, che presumibilmente avevano più congrue rendite, per
attenuare il suo dispiacere don Giorgio metteva fuori dalla
finestra, al freddo della notte e al sibilo del vento della
tramontana (chiamata “cavallaccia”), le lettere che aveva
ricevuto, e al mattino le riponeva malconce in casa, tirando un
sospiro di sollievo.
In occasione della
processione del Corpus Domini un anno disse alle
ragazze di portare loro il baldacchino e quando uscirono dalla Chiesa
tra gli uomini esterrefatti udì la voce del capo sezione del
Pci
bofonchiare... dopodiché, con alcune occhiate d’intesa, furono i giovanotti a
sostenere lo sforzo portando le aste dorate.
Il suono amichevole delle campane era reso più convincente quando i
fiaschi di vino ungevano le funi ai sonatori, tanto da non sentire lo
sfregamento delle corde sulla pelle delle loro mani. Le feste paesane
erano attese sempre con trepidazione, come se si trattasse
dell’arrivo di re o principi: mentre si riunivano i comitati, che
promuovevano adunanze, raccolte e sonetti per i minori del paese e
per le famiglie, le mense si rallegravano per la gente accorsa numerosa da fuori per
gustare i buonissimi e nutrienti
tordelli preparati dalle
casalinghe, e i preti delle vicine parrocchie si ritrovavano per la
Messa e per i Vespri. L’organo diffondeva note musicali che
facevano vibrare sempre di più il cuore dei fedeli.
Talvolta capitava che le campane suonassero “al fuoco”, nottetempo, per
chiamare i parrocchiani a spegnere gli incendi seguendo l'ordine del
parroco, unico tutore della legge e della sicurezza.Basati
era abitata da famiglie povere e buone, ospitali ed umili, che
trasmettevano a don Giorgio una sensazione di responsabilità e
fiducia nei suoi interventi a vantaggio dell’intera Comunità.
Verde vallata era, ed è tuttora, quella di Basati percorsa da piccoli
ruscelli “chiacchieroni” e puliti che cambiano volto solo quando
arrivano al piano, giungendoci contenti perché aiutano l’operosa
volontà dell’uomo di cava, di segheria e di laboratorio della
Versilia”: ecco un altro dei tanti bei pensieri scritti da don
Giorgio nel suo bellissimo libretto intitolato “
Serse da Pisa”
che lui mi volle donare un giorno.
Per diversi anni don Giorgio prestò servizio quotidiano nelle colonie
estive. Furono anni per lui molto belli, in quanto udiva il
linguaggio del mare al quale rispondeva con le preghiere rivolte a
Dio. Conobbe poi il servizio quotidiano svolto nel Pian di Pisa. Un periodo che
visse con stanchezza, per l'età avanzata, ma anche con grande
freschezza spirituale, per avere lì trovato e portato gioia, con le
sue celebrazioni, alle Suore Antoniane.
Alla luce del bene che nutrivo nei suoi confronti più di una volta lo
invitai a cena a casa mia, dove veniva sempre accolto con grande
festa dai miei familiari. Quando arrivava il momento del caffè e gli
veniva messa la tazzina nel posto che lui occupava, a tavola, lo
beveva solo dopo averlo versato nel piattino, precisando, mentre
tutti noi sorridevamo, che così lo sorseggiava il cardinale Svampa.
Mi sembra doveroso e opportuno elencare, qui di seguito, l’attività
sacerdotale svolta da don Giorgio durante la sua vita.
Inizio da
Basati, che fu per lui una grande palestra di zelo e semplicità, e
dove fu amatissimo dalla popolazione; il breve mostrarsi a Palazzi
gli valse come giro di volta per correggere il precedente
comportamento di timidezza che ebbe verso gli altri di ogni grado; la
dolce pausa a Forte dei Marmi gli ridiede la fiducia in sé e nei
confronti della gente che conobbe; il cappellanato agli Istituti
Riuniti lo rese amichevole educatore dei giovani che valse anche per
il servizio comandato; l’insegnamento religioso nella scuola media
lo rese amico di tanti ragazzi e famiglie; la collaborazione in S.
Pierino con don Burgalassi gli aprì la mente verso gli interessi
culturali; il servizio volontario ai Cavalieri lo vide generoso
servitore; la libera collaborazione all’Associazione diocesana del
clero lo vide festosamente impegnato; il servizio triennale ripetuto
come confessore delle suore lo tenne spiritualmente fertile; ritenne
magnifiche le esperienze di Assistente Scout che ebbe per circa venti
anni; i servizi prestati in occasione delle feste di S. Matteo e S. Antonio, e presso l'Arcivescovado, lo misero a stretto contatto con il mondo giovanile cristiano;
le varie supplenze interinali nelle parrocchie di San Pierino e San
Prospero, affidategli dal Superiore e la guida spirituale del
movimento Vedovile di spiritualità lo tenne mensilmente impegnato
nella chiesa dei Galletti per oltre 10 anni. Svolse altre attività prettamente clericali, come la predicazione di esercizi alle suore o in grandi parrocchie che fecero sentire a don
Giorgio di essere stato un prete sereno e felice.
Un anno chiesi al signor Comandante del Gruppo di Pisa della
Guardia di
finanza di invitare don Giorgio a partecipare alla bella festa per
la ricorrenza della fondazione del nostro Corpo, risalente al 1774.
La mia richiesta fu accolta. Fui felice quando vidi il nostro
arcivescovo, il compianto monsignor
Alessandro Plotti, celebrare
nel cortile della nostra caserma la Santa Messa, con al fianco, come
concelebrante, don Giorgio Servi, che in quella occasione indossò un
nuovo abito talare.
Il padre di don Giorgio, l'attore Ubaldo Servi, era stato un letterato
cattolico molto apprezzato, come dimostrò con una sua opera teatrale
sulla Passione di Gesù che fu molto gradita dal Vescovo e da tutti
gli spettatori. Egli terminò l’attività di attore e regista nel
1931, per esercitare successivamente l’attività di bancario.
Quando suo figlio era parroco di Basati andò a trovarlo per stare un
po' insieme a lui. Purtroppo però il tempo fu troppo breve: fu
colpito, infatti, da un infarto che lasciò nel più profondo dolore
il figlio don Giorgio.

Una bella fotografia di don Giorgio (
vedi a lato) ritratto insieme a Piero, Dario Giannini,
Luciano Leonardi, l’ho trovata stampata sul bel libro intitolato
“
Sui sentieri delle Apuane” scritto dal compianto don Florio
Giannini, fondatore della rivista cattolica “II Dialogo” e
parroco di Ruosina e successivamente del Tonfano, a Marina di
Pietrasanta. Detta foto, con l’immagine del corpo di Gesù
crocifisso, reca anche le annotazioni “Traversata” e l’anno
1958. Mi è rimasta sempre nel cuore la rivista fondata da don
Florio, di cui ero abbonato e appassionato collaboratore.
Quale pastore delle anime dei fedeli, don Giorgio fu sempre più vicino ai
fedeli della chiesa del Signore. Oltre che nelle chiese celebrò funzioni religiose in più di 500 altari: caserme, campeggi,
cimiteri, rettorie, fabbriche, Circo Medrano, Palazzo della
Provincia, istituti religiosi oltre ad alcuni altari improvvisati su
dighe, cave di marmo, alberghi, pinete, spiagge. Da livello 0, a
bordo di navi nel mar Tirreno e nell’Adriatico, salì fino ai 2757
metri della Cima Coppi, al passo dello Stelvio.
Con i suoi confratelli sacerdoti ebbe rapporti consolanti che lo
arricchirono. Nel suo libretto ha ricordato don Borla, don Virgili,
don Burgalassi ed altri che gli sono stati fratelli nell’aiuto e
nel consiglio, come ad esempio don Innocente e il suo seminarista in
Versilia, don Leonardi. Ma anche don Luigi Morra, cappellano
militare della
46^ Brigata Aerea di Pisa, che lo introdusse in un
ambiente che quando era giovane aveva chiesto di poter frequentare al
suo superiore, sempre ottenendo una risposta negativa.
Don Giorgio fu legato da vincoli di fraterna amicizia anche con l'allora
parroco della Cappella,
don Hermes Lupi (ora monsignore e parroco a
Seravezza). Don Hermes è un grande sacerdote amato da tutta la
popolazione seravezzina. Molti anni fa vidi arrivare don Giorgio con
molta sorpresa a Seravezza, dove mi trovavo a trascorrere un periodo
di riposo estivo nella casa di mio suocero, Giuseppe Pucci. Don
Giorgio viaggiava a bordo di una Vespa. Mi disse che doveva salire
alla Cappella, dove era parroco il suo confratello e amico don Hermes
Lupi.
In occasione della Messa d’argento l'arcivescovo di Pisa,
Benvenuto Matteucci,
dimostrò molta generosità nei confronti di don Giorgio, offrendogli
un bellissimo pellegrinaggio in Francia mentre altri due confratelli,
don Sabucco, parroco di Forte dei Marmi, e Borlas, gli offrirono un
pellegrinaggio in Israele, di cui lui fece un bel resoconto pubblicato nella diocesi di Pisa e a Gerusalemme, che successivamente donò anche a me.
Ricordo il dispiacere che mi manifestò quando subì un furto, nella sua
modesta abitazione, da alcuni malviventi che avevano gettato a terra
tutta la biancheria e gli abiti che teneva riposti con ordine nei
cassetti del canterale e nell’armadio. Sotto agli abiti rinvenne
anche il calice che usava quando celebrava la Santa Messa. Gli
rubarono delle monetine che aveva raccolto quando era andato in
pellegrinaggio a Gerusalemme, a Roma ed in altre località dove
esistevano basiliche e famosi santuari cristiani.
Quando fu sfrattato dalla casa in cui abitava a Pisa non riuscì a trovarne
un’altra in cui andare ad abitare né trovò una stanza per poter
dormire. Non trovò aiuto da nessuno, e questo indubbiamente lo fece
molto soffrire. Accettò, alla fine, la proposta di andare a stare
presso una anziana signora di profonda fede cristiana che abitava
vicina alla chiesa della Parrocchia di Sant'Ermete, a Forte dei
Marmi. Nel periodo in cui era stato parroco del Forte don Sabucco,
questi si era avvalso della collaborazione di don Giorgio. Fu per
questo fatto che tale chiesa rimase sempre nel cuore di don Giorgio.
In quegli anni don Sabucco inviò una lettera a don Giorgio che
iniziava così: “Al caro puntello spirituale di Forte dei Marmi…”.
Credo che sia stata questa grande e meritata considerazione a
convincere don Giorgio a trasferirsi in Versilia.
Quando
andai a trovarlo nella sua nuova abitazione mi disse che aveva avuto
un infarto che lo aveva scosso e fatto molto soffrire, aggiungendo
anche: “Ora non ci vedo più “.
Appena seppi che era stato ricoverato in gravi condizioni all’ospedale vicino al Lido di Camaiore, andai a visitarlo. Lo trovai disteso su un lettino. Soffriva molto e si lamentava. Accanto stava
seduta su una sedia una giovane donna che lo assisteva. Subito gli
dissi: “Don Giorgio, sono il maresciallo Sacchelli”. A fatica e
con scarsa intellegibilità ripetette “ma-re-sci-al-lo,
Sac-chel-li” , emettendo anche dei rantoli che mi fecero capire che
stava per morire. Infatti il 2 febbraio 2005 si spense.
Trovai conforto dalla certezza che subito dopo il decesso la sua anima era
subito volata nella casa del nostro Padre Celeste, per vivere in
eterno accanto ai suoi genitori, ai suoi cari defunti ed a tutti
coloro che lo conobbero e gli vollero bene. Quando uscii
dall’ospedale non pensai di dare il numero della mia utenza
telefonica alla donna che assisteva don Giorgio, perché lo desse a
qualcuno dei suoi nipoti o alla signora presso la quale era stato
accolto a Forte dei Marmi. Fu a causa di questa mia imperdonabile
dimenticanza che non mi venne comunicata la morte di don Giorgio,
motivo per cui non partecipai al suo funerale.
Voglio ricordare che quando gli lessi, nel 1989, la mia poesia “Due
Angeli nel pozzo”, dedicata alla memoria del piccolo Alfredino
Rampi (morto a Vermicino nel 1981 dopo essere caduto in un pozzo
artesiano), l’ultima parola scritta, “Paradiso”, è sua. Fu lui
che volle che l’aggiungessi subito dopo che gliel'avevo letta. È
sua anche la presentazione di un mio libretto di poesie (C. Cursi
editore 1989) che volle firmare anonimamente, “un amico”.
Ho sempre vivo nel cuore il suo pensiero su ciò che scrivevo in merito
alla fede cristiana da me sempre fortemente sentita, facendomi
intendere che era stato Dio a scegliermi per diffondere le parole di
amore, carità e perdono e quant’altro espresse Gesù Cristo quando
discese fra gli uomini in terra.
Ebbi da lui anche il dono di una bella penna a sfera “Aurora”: gli dissi
che non doveva donarmi nulla ma lui non volle ascoltarmi. Quando si
trasferì a Forte dei Marmi mi volle regalare anche diversi
bellissimi volumi sulla storia del calcio, di cui era grande
appassionato.
Caro don Giorgio, spero che le mie parole possa sentirle lassù nel
Cielo: le confesso che le ho voluto tanto bene. Mi perdoni se non
gliel’ho mai detto, ma voglio pensare che in anni lontani lei abbia
compreso questo mio muto pensiero che ho sempre avuto nei suoi confronti.
Concludo rivolgendo il mio pensiero a nostro Dio Misericordioso
perché, quando morirò, accolga la mia anima in cielo per poter
rivedere tutti i miei cari e l'amico don Giorgio.