martedì 9 novembre 2010

ECCO COME FU UCCISO AMOS PAOLI

Ho affidato questo mio scritto, sull'uccisione dell'eroe seravezzino Amos Paoli da parte delle S.S., a Paolo Capovani per il "Circolo Culturale Sirio Giannini", che lo pubblicherà sul suo libro, ricco di altre testimonianze di persone che videro, coi propri occhi, fatti violenti e sanguinari che si verificarono in Versilia e in Apuania durante la tragica estate del 1944 ed anche nei sette mesi successivi in cui, nella nostra terra, furono combattute aspre battaglie.

-------

Da ragazzo vedevo spesso transitare lungo la via del Ponticello di Seravezza un giovane con le grucce sotto le ascelle, abitante in una delle prime case di Riomagno, a poca distanza dall’inizio della mulattiera che conduce sulla cima del Monte Canala. Era Amos Paoli rimasto paralizzato alle gambe a causa della poliomielite contratta in tenera età, quando non esisteva alcun vaccino per combattere questa tremenda malattia infantile. Sul suo volto non vidi mai alcun segno di disperazione; andava avanti sopportando serenamente il suo grave handicap.

Guido Menchetti, che frequentò insieme ad Amos le scuole elementari di Seravezza, lo ha ricordato con la commovente poesia intitolata “Il mi' compagno di banco”, già pubblicata nel libro di storia versiliese di Giorgio Giannelli “Versilia. La trappola del 44”, che ricorda anche la cronaca della cattura di giovani di Riomagno da parte delle S.S., ritenuti aderenti al movimento partigiano: “Le gruccette tenea sotto l’ascelle / e stragicava le gambette secche; / su da Rimagmo fino ’n cima al Chiasso; / sembra guasi un assurdo: passo, passo. / A tracolla la misera cartella, /quando un era una borsa di pezzame, / gli sballottava sempre sulla schiena / e cotanta sventura era ’na pena. / E dopo tre rampate di scalini / con le stampelle misse sott’un braccio, / arrivava nell’aula già stanco / il Paoli, compagno mio di banco. / Fu martire da vivo ed or che morto / leggo ’l suo nome su ’na lastra bianca, /una palma, mi sovvien, / forse era nata / perché al mi amico fusse un dì donata. / Come fece ’l Ferrucci a Gavinana, / puntando ’l dito contro l’aguzzino, / gli avrà certo parlato a fiato corto: / Oh vigliacco! Tu uccidi un òmo morto. / Che eroi! Che bravi! / E che fadigata / avranno fatto per distrugge un mito! / Che ‘n Versilia era esempio d’onestà / d’amore, d’abnegazione e libertà. / Povero Amos! Te un ridei mai; / ma’n t’ho mai visto piange o lamentatti: / con que’ riccioli biondi e ’l viso bianco, / fusti per me,’l compagno mio di banco”.

Ricordo Amos anche quando i suoi amici lo portavano in giro sulla canna delle proprie biciclette. Stridevano i freni allorché scorrazzavano lungo la via sterrata e piena di sassi del Ponticello, dove Amos ed il suo amico si fermavano sempre nella piazzetta del centro del rione per chiacchierare con le ragazze, che Amos accoglievano sempre con simpatia. Allora lui rideva, oh come rideva in quei momenti! Nella notte fra il 25 e 26 giugno 1944, un gruppo di S.S. guidate da un repubblichino che faceva da interprete, circondarono la casa del Paoli per catturare suo padre che invece non vi fu trovato. La soldataglia stava per andarsene quando il repubblichino gridò: “Qui ci devono essere delle armi per forza!” Saltarono così fuori uno Sten e due pistole Smith che prima che i tedeschi entrassero nell’abitazione, il fratello più piccolo di Amos aveva nascosto sotto un materasso. Alla fine Amos, fatto salire sulla propria carrozzina, fu trasportato in una villa vicina a Corvaia insieme a Luigi Novani che si era fermato a dormire nella casa dell’amico ed a Lorenzo Tarabella, arrestato in una abitazione adiacente a quella del Paoli, dove pensavano che vi fosse il partigiano Giuseppe Marchi, che fortunatamente aveva trascorso la notte altrove. Il giorno 26 giugno le S.S. portarono in giro Amos e i due suoi amici per le vie di Seravezza e di Riomagno, a bordo di una camionetta, che tra l’altro, nel momento in cui aerei alleati sorvolarono la zona, si riparò sotto la piccola volta di Riomagno, all’inizio della mulattiera che sale alle cave della Cappella. Al Paoli fecero rivedere la sua casa; volevano intenerirlo.

Gli promisero che lo avrebbero rilasciato se lui avesse fatto il nome dei partigiani che conosceva, ma lui non fiatò. Disse soltanto: “Finimola con questa storia!” Riportati a Corvaia li misero al muro con le spalle rivolte verso di loro, sparando colpi di pistola fra l’uno e l’altro. Dopo qualche ora i tre furono fatti salire su un camion e trasportati nella villa di Compignano, sopra il monte Quiesa, dove operava il comando delle S.S.. Durante il trasporto dovevano stare in ginocchio e non più seduti. Amos non ci riusciva e furono i suoi due amici a sorreggerlo durante tutto il viaggio. Appena arrivati, i tre giovani furono picchiati a sangue e mentre picchiavano, al Paoli gridavano: ”Tu capo partigiano!”. All’alba del 27 giugno 1944 una S.S. trascinò per una gamba il povero Amos fuori dalla villa per un centinaio di metri, mentre il poveretto urlava: “Oddio, Oddio!”. Quando egli vide che il tedesco stava caricando la pistola cominciò a invocare la sua mamma. Fu in quel momento che la S.S. gli scaricò al centro della fronte l’intero caricatore, gettandone poi il corpo giù da un poggio.

Aveva solo ventisette anni. I due amici di Amos, il Novani e il Tarabella, che raccontarono poi gli avvenimenti e le loro peripezie, riuscirono a salvarsi dopo aver subito botte e concrete minacce di venir uccisi. Concludo ricordando che fu mio padre a murare a Compignano, dove la mia famiglia si era trasferita qualche mese dopo la fine della guerra, la piccola lapide nel punto in cui Amos Paoli - che per il suo comportamento fu insignito, alla memoria, di Medaglia d’oro al Valor Militare - fu barbaramente trucidato; fui io a tenerla alzata e aderente al muro mentre la murava. Glielo aveva chiesto il babbo dell’eroe che aveva occasionalmente incontrato a Pietrasanta. Il Paoli sapeva che abitavamo in quella località e dopo aver saputo da mio padre stesso che il fattore della tenuta, in cui fu ucciso suo figlio, non aveva provveduto all’incarico che gli aveva dato, gli disse “Orlando, pensaci tu”.

1 commento:

Orlando ha detto...

Grandissimo Amos Paoli!