giovedì 26 maggio 2011

Il cane soprannominato Dayan

Il 10 agosto 1985, nel giorno della festa di San Lorenzo, morì “ringhiando” il piccolo cane randagio che per anni aveva percorso le vie di Seravezza. Per conoscere le esatte cause della sua morte, visto che era un cane a cui mi ero affezionato per le ragioni che spiegherò più avanti, mi recai a Pietrasanta per parlare con il veterinario che lo aveva visitato. Seppi così che era stato massacrato a colpi di bastone. Ricordo che il veterinario, raccontandomi che aveva inviato la testa dell'animale a Pisa per sapere se l'animale fosse o meno affetto da rabbia, mi fece capire di aver sofferto non poco nel vedere davanti ai suoi occhi un cane ucciso con così tanta violenza.
Aggiungo, per fare chiarezza, che a Seravezza si era sparsa la voce che il cane avesse devastato il piccolo orto che un uomo coltivava sull'argine del fiume Versilia, vicino al ponticello pedonale vicino alla caserma dei carabinieri. Non voglio aggiungere altro, mi fa solo piacere parlare di quel cane, così come l'avevo conosciuto, un animale sensibile e affettuoso.

Sul muso, intorno all'occhio sinistro, aveva una macchia nera a forma di cerchio, e per tale motivo quando apparve la prima volta a Seravezza, malconcio per le botte che gli erano state inferte (fatto raccontatomi da un uomo che lo aveva visto così malridotto), qualcuno gli affibbiò il nome “Dayan” a ricordo, senza alcuna irriverenza, del mitico generale israeliano che aveva una benda nera sull'occhio. Altre persone, invece, lo battezzarono “Boby”, nome sicuramente più scontato ma forse più appropriato per un cane.

Molte persone avevano tentato di tenerlo con sé, dandogli da mangiare e accudendolo. Lui però, anche se capace di esternare sentimenti di amore e gratitudine nei riguardi di tutti coloro che per anni provvedevano a lui, preferì sempre vivere da randagio ma libero. Docile e innocuo apparteneva a tutti. Divenne così il "cane di Seravezza".

Per giorni e giorni attendeva il ritorno a casa dall'ospedale di persone che gli volevano bene. E lui contraccambiava l'amore ricevuto. Arrivò perfino a rendere omaggio a persone defunte, come fece quando morì mia suocera Bruna Guerrini. Ricordo che entrò nella camera ardente della chiesa dell'Annunziata di Seravezza, dove rimase accucciato per lungo tempo ai piedi del marito della cara defunta e degli altri suoi stretti familiari, che stavano intorno al feretro.

Nelle sue lunghe stagioni dell'amore si rivelò più ardimentoso di “Romeo”: si rese protagonista di spettacolari cadute nel fiume, dopo spericolati balzi spiccati dal muro per raggiungere invano la sua “Giulietta”, chiusa sul terrazzino di una casa costruita ai margini dell'alveo. Sospiri di sollievo furono tirati da coloro che lo rividero rialzarzi miracolosamente, illeso, pronto a ripetere altri balzi sfortunati.

Negli ultimi tempi della sua vita il suo pelo aveva perso la lucentezza di un tempo. Gli era rimasto un solo dente incisivo, oltre ai molari, coi quali riusciva ancora a frantumare parzialmente gli ossi che riceveva in abbondanza. E fu proprio sul terreno dove probabilmente aveva nascosto i suoi preziosi ossi che fu ucciso.

Anche se randagio e non di razza è stato un grande cane. La sua morte procurò a molte persone un enorme dispiacere. Mio suocero Giuseppe Pucci, che spesso amava accarezzarlo e portalo in giro con sé, soffrì non poco quando gli dissero il cane era stato ammazzato. Ricordo che per la forte commozione gli si riempirono gli occhi di lacrime.

lunedì 23 maggio 2011

Erminio Cidonio – Portò ai valori più alti della sua storia la società Henraux

Già nel 1985 parlai su Versilia Oggi del grande dirigente di impresa che fu Erminio Cidonio, uomo lungimirante e con una visione moderna del mondo del lavoro, peraltro anche attaccato ai valori dell'arte in particolare del marmo.
Egli arrivò in Versilia il 2 maggio 1957 per assumere direttamente la guida della Henraux, come gli avevano chiesto i suoi fratelli, molto interessati alla succitata società.
Come il fondatore che fu nel 1821 Jean Baptiste Alexander Henraux, già luogotenente di Napoleone, inviato dalla Francia in Italia per acquistare i marmi occorrenti per abbellire i palazzi dell'imperatore, anche Erminio Cidonio mai si era occupato di marmo prima di assumere l'amministrazione della società versiliese. Nella sua nuova attività profuse tesori di energie,tanto da calarsi nella medesima veste di J.A.B. Henraux.per la realizzazione del sogno risalente al 1821, che fu anche il suo , cioè di portare questa società a divenire nel mondo la più importante società marmifera. Di ciò ne fece ragione della sua vita.
Questo uomo che rese ancora più famosa la nostra Versilia dal 1957 al 1966 era nato a Rocca di Mezzo (Aquila) nel 1905. Ai piedi del monte Sirente, dov'è sepolto dal 1972 aveva trascorso gli anni della sua infanzia ed adoloscenza, fino a divenirne sindaco nell'immediato dopoguerra,
Assunta la guida della società versiliese provvide a ristrutturare tutti gli impianti dovunque installati, motivo per cui essa che fino allora aveva operato con criteri prettamente artigianali, passò ad una produzione industrializzata di più alto livello.
E' a lui che si deve l'audace via che scavata sulla ripida parete sud del Monte Altissimo, che conduce alle cave della Vincarella e della Tacca Bianca, sulle quali aleggia da secoli lo spirito di Michelangelo. Avvertita la necessità di disporre, nel prosieguo dell'attività dell'azienda, di personale preparato e in grado di svolgere il proprio lavoro nel migliore dei modi, creò corsi di addestramento per marmisti assicurando a tutti i frequentatori un posto di lavoro nella società.Ci sarebbe ancora bisogno di uomini come lui per assicurare in questo momento di grave crisi, tanto lavoro ai nostri giovani.
Attraverso la rivista internazionale “Marmo” da lui stesso voluta, come strumento di comunicazione mondiale, la società Henraux, con scritti e illustrazioni fotografiche di illustri autori, portò ulteriormente all'attenzione di architetti, ingegneri, scultori, costruttori e designers, il valore del marmo e l'importanza dello stesso in ogni comparto delle costruzioni edilizie e nell'arte, secondo le tecniche di lavorazione dell'epoca.
Sempre al fine di valorizzare il marmo nel settore della scultura, Erminio Cidonio organizzò, sotto la sapiente direzione di Giuseppe Marchiori,seminari sperimentali frequentati da giovani e selezionati scultori. Oltre alle spese di soggiorno e la messa a loro disposizione di attrezzature e materiali di cui avevano bisogno, a totale carico della società, i giovani artisti potettero avvalersi anche della collaborazione dei “maestri” della società.

A conclusione della fase iniziale della sua azione dirigenziale, Cidonio ebbe l'idea di realizzare a Querceta sull'ampio piazzale della società , il museo all'aperto della scultura contemporanea, ottenendo l'immediata adesione dei più famosi artisti di tutto il mondo. E fu così che su quel fantastico palcoscenico , a partire dal 1957 sfilarono i più celebri scultori da Henry Moore a Giacomo Manzù, da Marino Marini a Giò Pomodoro, oltre ad altri artisti italiani e stranieri, architetti e critici d'arte, scrittori e designers, tutti di fama internazionale.
In considerazione dell'attività eccezionale svolta in Versilia da questo uomo, tesa nella sostanza a propagandare e diffondere in tutto il mondo il nostro splendido marmo, oltre che a fare risaltare agli occhi di tutti la bravura delle nostre maestranze, ritengo che per onorare la sua memoria che proprio la via da lui aperta sull'Altissimo fosse intitolata a Erminio Cidonio, perchè lassù , su quella cima, sulla quale in giorni lontani volteggiarono le aquile, sono certo che oltre allo spirito di Michelangelo vi aleggi anche quello di J.B.A. Henraux e dello stesso Erminio Cidonio, poiché durante la loro esistenza terrena essi legarono indissolubilmente i loro nomi alla nostra meravigliosa Versilia. Questa mia proposta, la lanciai anche attraverso le colonne di Versilia Oggi ventisei anni fa, senza ottenere il risultato sperato.

sabato 21 maggio 2011

Piccolo nostro mondo sparito

Erino belle le vecchie case del Ponticello di Seravezza duve abitavo, quand'ero cicchino, anco se aveino i muri scrostati e più cucine annerite dal fumo dei grossi camini. Sorgevano sulle rocce in fondo al monte Canala, Erino incastonate in mezzo a piante di ceragio, piccoli orti e giardini con tante rose, ortensie e camelie. L'acqua e la luce in casa ce l'aveino in poghi. Si usava la lampada a petrolio e l'acetilene; c'era chi accendeva ancora il lumino a olio.
Prima che la guerra le spazzasse via, ogni anno stormi di rondini ci ritornavano per farci il nido. Fango e acqua ne aveino in abbondanza i quell'oasi di verde. C'erino molti pesci nel fiume e l'acqua che vi scorreva era così limpida che si podea anco beve, specie dopo che era passata la piena.. Ricordo gli anni 30, già raccontati nei libri scritti da Giorgio Giannelli, quando nelle strade si sentia cantà “faccetta nera” e “siam versiliesi dalla pupilla nera...”.Allora mi pà andaa a laborà sulle cave del Trambiserra anco quando il tempo era piovoso e tirava un forte vento, perchè avea bisogno di guadagnà con noi bimbi da tirà su. Sotto la tecchia insieme ai su compagni, che come lù erino scovati, aspettò, più volte che spuntasse l'arcobaleno. Aveo poghi anni e spesso mi svegliavo quando la matina, doppo avè levo il paletto di ferro che bloccava la porta di accesso, mi pà metteva fora la testa dall'uscio per scrutà il cèlo. Così na volta lo sentii dì: “E' tutto nero e pioviccola. Un so che fa. Se mi riscisse laborà almeno du ore. Già c'è pogo laboro e ci si mette contro anco il brutto tempo...”. E mi ma: “ O te, speriamo per lo meno che la piena porti giù dei sassi. Non ce n'è più nel fiume. Eno stati raccattati tutti. Il barrocciao mì ha ditto che vanno a ruba. Certo che a portalli sulla strada è un fatica da morì. C'è da sfiattaccisi”. Anco mi mà s'era alzata presto per preparà per mi pà, al lume della lampada a petrolio, il fagotto col mangià a mezzogiormo: pane o polenta. Solo il companatico cambiava, a seconda dei giorni. Erino comunque le stesse cose e cioè: carne allistata, o cagio pecorino, o mortadella, o biroldo,quando ci avea i pomodori gli dovevimo trità il sale, un compito che toccava a me o a mio fratello Sergio. Misso una brancata su un pezzo di carta gialla, ci giravamo sopre, come un rullo, una bottiglia, mezzo giro avanti e indietro con le mani. Nelle parole dei mi genitori avvertivo tutta la loro preoccupazione. Laborà du ore volea dì che mi pà si accontentava di avè almeno un quarto della paga che gli avrebbero datto se avesse lavorato l'intera giornata. Un era un granchè un quarto, erino poghe lire che però servivino a compracci qualcò a la bottega, considerato che a quei tempi circolavano i centesimi e ventini. Missi gli scarponi chiodati, tirati a lucido con la sciugna, cosa che si facevamo io e mio fratello, si allontanava da casa sotto il grosso ombrello di celandra, più di un volta tra il fragore dei tuoni ed il rumore dell'acqua tumultuosa del canale che passava sotto la finé de la cucina de la mi casa, e quello cupo dei sassi che spinti dalla corrente della piena, rotolavano giù per il fiume. Un c'era da sta allegri quando l' acqua limacciosa arrivava a sfiorà le arcate dei ponti e la passerella ballerina fatta di fili di ferro e paletti di legno, che gli omeni per attrabaccà il fiume arrivi sopre Malbacco percorrevino con difficoltà per portarsi dall'altra parte della valle, duve iniziava il sentiero che li portava sulle cave del Trambiserra. Negli anni 30 vivevano ancora tante pèrsone che ricordavano i danni che aveva causato la piena del 26 settembre 1885. Era arriva l'acqua alta come si podea vedè dalla linea scolpita su na piastrella di marmo murata su alcuni edifici di Seravezza per ricordà tale evento. E durava sempre ai mì tempi l'usanza che dopo le tempeste noi ragà si saliva sul monte Canala per raccoglie i rami dei castagni che il vento avea scosciato dai grossi alberi.
Allora un c'era altro combustibile, oltre il carbone e la legna, per còce il cibo, e così si facea a le corse a chi arrivava prima per trascinà interi rami giù lungo la mulattiera fino a casa. Incredibilmente, anco il vento che coi suoi sibili ci facea sta in ansia, era utile per procurarci la legna. Quando nel célo tinto di azzurro ritornava a splende il sole, nelle strade si rivedevano i barrocci, le membrucche, carri o carrette trainati da bovi e cavalli con sopre blocchi o lastre di marmo. Anco il tramme riappariva con la sua lunga fila di vagoni. Al pontile di Forte dei Marmi i velieri attraccati attendevano l'arrivo dei pezzi di marmo per esse imbarcati e trasportati in ogni parte del mondo, come sentivo dire. Quando un era freddo, noi batocchi, si ritornava a mette i piedi nel fiume, duve si giocava accanto ai botelli. Poi arrivò la guerra e nell'agosto del 1944, questo mio piccolo mondo sparì, spazzato via dai tedeschi che lo minarono e lo fecero saltare in aria per tenere sotto controllo il terreno sottostante le loro trincee dove per sette mesi fermarono l'avanzata delle truppe alleate.

venerdì 20 maggio 2011

Amo ancora parlare del grande professore Danilo Orlandi.


Nel suo studio sul vernacolo versiliese, il professore Danilo Orlandi nell'opuscolo che mi donò quando ebbi l'onore di conoscerlo nella Sala Fontana della Misericordia di Seravezza,di cui ho parlato recentemente, ha scritto , tra l'altro, quanto segue: “"" IL Santini nelle vicende storiche di Seravezza e di Stazzema” riferisce che: nella guerra di Portogallo (1579) si posero sotto gli stendardi del Re di Spagna, Matteo di Giovanni Giannotti e suo fratello Vincenzo, Gio Ventura Marchesini, Matteo di Antonio da Giustagnana, Giovanni di Pieruccio da Fabiano e Meo di Bartolomeo Barsottini, i quali tutti si ritrovarono in Medina Sidonia.Questa armigera gente (prosegue il Santini), venne tutta raccolta da Prospero Colonna, il quale avuta a sua richiesta, l'autorizzazione dal Granduca di raccogliere uomini nel Capitanato a favore della Corona Spagnola, e ne ebbe ben donde, perché vi troviamo ancora Messere Tullio Bonamini di Seravezza come medico chirurgo speciale dell'Ill.mo ed Ecc.mo don Prospero. E prosegue: “cosi è noto come nel 1614 il Comandante Annibale Canci faceva conoscere al Capitanato di Giustizia di Pietrasanta che trovasi a bordo della galea di Sua Altezza avendo per soldati nella sua compagnia Bernardino di Giovanni di Nicola, Nicola di Giovanni Vezzoni, Vincenzo di Antonio Barsottini da Seravezza, Piero di Leonardo Doria da Corvaia. Luca di Batta Vincenti da Fabiano, Ginesio di Luca Carducci da Giustagnana, Filippo di Pellegrino Bartolucci, Antonio di Pietro Pancetti, Gio di Filippo di Gio da Farnocchia, Matteo di Piero del Pellegrino, Federico di Mario Fagetti da Pietrasanta, Pelegrino di Gio da Terrinca.”””

Ricordo sempre il professore Danilo Orlandi, uomo dagli occhi profondi, buoni e intelligenti che, con le sue opere letterarie, onorò altamente la nostra Versilia.

martedì 17 maggio 2011

Estate 1944 - I tedeschi intimano lo sfollamento alla popolazione di Seravezza

Ho ancora vivi nel mio cuore i ricordi di quel tragico giorno di sessantasette anni fa in cui i tedeschi imposero ai seravezzini l'ordine di sfollare a Sala Baganza, in provincia di Parma. C'era una grandissima confusione nelle vie di Seravezza e in particolare in piazza Carducci, dove sul muro a fianco della macelleria di Adolfo Lombardi, dirimpetto al monumento ai Caduti era stato affisso il manifesto che conteneva l'ordine. Seravezza in quell'estate del 1944 era piena di sfollati. Ricordo che quasi tutti i fondi anche senza servizi igienici e privi di una normale pavimentazione, erano quasi tutti occupati.
Andai anch'io a leggere quel manifesto. Ricordo che c'era una lunga fila di gente davanti a me. quindi dovetti aspettare un po' di tempo prima di posare gli occhi sullo scritto. Rimasi senza parole, non riuscivo a comprendere come la mia famiglia potesse raggiungere Sala Baganza, località da molti sconosciuta, in quanto avevo la nonna materna anziana e con una caviglia gonfia, da sempre trascurata, che la faceva zoppicare quando camminava. Poi avevo una sorella che non aveva ancora due anni. Sì, insomma, la mia famiglia si trovò ad affrontare una tremenda situazione.
La prima cosa a cui pensai furono i patimenti che avrebbe sofferto la mia cara nonna. Questo pensiero mi fece ritenere che soltanto la morte che avvenne, nell'ultimo rifugio di Giustagnana, dove rimase sola, avrebbe posto termine alle sue sofferenze. La disperazione si leggeva sul volto di tutti i miei paesani e anche di coloro che vivevano sui monti sovrastanti il capoluogo seravezzino, dove si erano rifugiati dei fortemarmini, ai quali i tedeschi avevano imposto lo sfollamento il 30.6.1944. Anche la gente dei monti, compresi gli sfollati, scese a Seravezza per leggere appunto il manifesto. La maggiore parte della popolazione non sapeva cosa fare. Ci fu qualcuno che disse: “ Andiamo a sentire Gino Polidori”. Rimasto cieco dalla guerra 1915/1918, presidente della sezione di Seravezza degli invalidi e mutilati fin dalla sua costituzione (1919), sindaco di Seravezza dal 1923 al 1926 e nominato nuovo podestà di Seravezza il 6 settembre 1934. Ricordo che questo uomo molto famoso, insignito dell'onorificenza di cavaliere ufficiale, con accanto la sua giovane figlia, ascoltava tutti con molta attenzione. Comprese i forti disagi che la popolazione di Seravezza doveva affrontare, ma purtroppo non seppe suggerire alcun comportamento per evitare lo sfollamento; non ci restava che obbedire a tale ordine. Intanto la fame ed altre sofferenze rendevano sempre più faticosi i giorni che la gente di Seravezza e dintorni stava vivendo. Soltanto, chi l'ha sofferta può capirmi. Ti senti morire, ma continui a vivere..., ti senti sfinito, ma il tuo cuore continua a battere. Ecco i sintomi della fame.
La Carità. Una delle virtù teologali: l'amore a Dio come bene supremo e al prossimo per amore di Dio” negli anni della guerra non vi vedeva più in giro, sì era scomparsa. Ognuno aveva i suoi gravi problemi da risolvere quotidianamente e non poteva pensare a quelli delle altre persone.

La mia famiglia si rifugiò in un metato tra il Pelliccino e il colle, di proprietà dei miei zii C'era vicina anche una grossa buca scavata in una roccia del monte dove nel passato veniva estratto il quarzo. A poca distanza avevamo la sorgente di acqua che tuttora alimenta la fontana di Riomagno. L'acqua era era l'unico bene primario cui si disponeva in abbondanza. Si dormiva su un mucchio di rusco, idoneo per preparare la stalla delle pecore, sul quale si stendeva la grande materassa, che avevamo portato fin lassù dalla nostra casa del Ponticello. Non passò molto tempo quando fummo costretti a lasciare questo rifugio. Avvenne quando una mattina un ufficiale tedesco, seguito da alcuni suoi soldati, parlando la nostra lingua in modo abbastanza comprensibile, ci disse che dovevano andare via subito da quella zona in quanto entro pochi giorni ci sarebbero stati i primi combattimenti con gli americani che si stavano avvicinando e le forze tedesche trinceratesi sui nostri monti fino allla foce del Cinquale. Finimmo a Giustagnana, dove trascorsi i giorni più tristi e dolorosi della mia adoloscenza.
Alfieri Tessa, ex partigiano caposquadra, nel suoi libro ”Il fucile legato con una corda” ha parlato di sua sorella, che il 21 aprile 1945, a bordo di un'autoambulanza americana fu trasportata, accompagnata dai suoi genitori, da Ruosina dov'era sfollata all'ospedale di Lucca per essere curata essendo affetta da un forte deperimento causato dalla mancanza di cibo. Quando i genitori, a piedi, attraversando i monti raggiunsero Lucca per visitare la loro figlia, non fecero in tempo a rivederla ancora viva, in quanto era morta due giorni prima del loro arrivo.Non videro neppure il loro corpo in quanto era stato già seppellito nel cimitero di S.Anna di Lucca. Il decesso di questa sfortunata ragazza avvenne quando iniziò l'offensiva finale alleata che si concluse con lo sfondamento della linea Gotica.

domenica 1 maggio 2011

Tante altre cose voglio dire sulle conferenze che negli anni del 1990 si svolsero presso la Misericordia di Seravezza

Amo ancora parlare della antica Misericordia di Seravezza che, negli ultimi anni del secolo scorso, oltre ai compiti istituzionali svolse anche una importantissima attività culturale che fu fortemente voluta dall' appassionato governatore pro-tempore dr. Luigi Santini, validamente coadiuvato dallo scrittore Fabrizio Federigi, purtroppo scomparso anni fa.
Nella bella sala intitolata a Francesco Fontana, molte furono le conferenze che vi furono tenute da personaggi di grande cultura in più campi dello scibile umano. Tra questi uomini ricordo, il grande seravezzino Leonetto Amadei, uomo politico che fece parte dell'Assemblea costituente che scrisse la nostra famosa carta Costituzionale, fino ad arrivare ad essere anche il Presidente di questa importante istituzione del nostro Stato. Molti sono gli uomini importanti che ascoltai durante le loro conferenze, dei quali non ho parlato nel mio primo elaborato. Essi furono, il capo dei partigiani apuani di Massa Carrara, Pietro del Giudice (che fu il primo prefetto di quella zona dopo la liberazione) e Briglia Gino,anche lui comandante partigiano; Il professore Renato Bonuccelli,autore del libro “Cinquanta anni fa in Versilia”, nel quale racconta la orribile strage di S.Anna di Sazzema avvenuta il 12 agosto 1944 durante la quale fu barbaramente uccisa sua madre,il nonno materno, entrambe le nonne materne e un suo zio paterno. Il piccolo Renato che aveva sei anni miracolosamente scampò alla morte; il professore Giovanni Cipollini che vi presentò anche alcuni suoi libri; il professore Danilo Orlandi, laureato in materie letterarie e autore di diversi libri. Orlandi da giovane studente uniersitario ebbe la fortuna di avere potuto ottenere lezioni private addirituura da Dino Bigongiari, quando questi, arando l'oceano, ritornava per le vacanze nella sua casa natale di Seravezza. Il professore Orlandi con il quale scambiai alcune parole, appena gli dissi che avevo difficoltà a scrivere in dialetto,subito mi donò un suo opuscolo, recante significative parole della nostra parlata. Inoltre, sempre il quel suo librettino, aveva menzionato alcuni versiliesi che, secoli addietro, si imbarcarono su un bastimento per arrivare in Spagna per combattere a favore del re di quella nazione; il professor Marchetti che ci parlò del micoscrosmo versiliese; don Renzo Mencaraglia laureato in arte sacra, che raccontò la storia di grandi artisti dello stazzemese tra i quali Roberto Cipriani, musicita, poeta satirico-umoristico, scultore e intagliatore in legno , cesellatore in oro e argento. In quella conferenza mostrò anche al pubblico alcun pezzi pregiati delle opere di cui aveva parlato;l'architetto Andrea Tenerini; il maestro Lorenzo Marcuccetti e Enrico Lorenzetti che anche lui presentò nel salone della Misericordia alcuni suoi libri. Una conferenza sull'arte pittorica fu tenuta anche dal famoso pittore Gian Paolo Giovannetti. Un bel libro di poesie dialettali fu presentato da Aldo Bertozzi. Al termine di questa cerimonia fu offerto s tutti i presenti un ricco rinfresco. Ci fu anche chi parlò delle miniere d'argento del Bottino e di quelle del mercurio del monte di Ripa, purtroppo con ricordo il nome del professore che tenne le conferenze succitate, motivo per cui nel caso in cui leggesse questo mio scritto gli chiedo anticipatamente di voler perdonare questa mia dimenticanza.Un giorno tenne una conferenza il maestro Giuseppe Bertelli, funzionario dello stato civile del comune di Stazzema che compilò l'elenco delle creature uccise a S.Anna. Fu presentato al pubblico da Fabrizio Federigi il quale parlò di un bellissimo libro che il Bertelli aveva scritto che purtroppo non riuscii a trovare nelle librerie della Versilia dove mi recai per acquistarlo. Le conferenze che si svolsero presso la Misericordia di Seravezza non le ho mai dimenticate. Esse sono ancora vive nel mio cuore.