venerdì 27 agosto 2010

Seravezza 1943 - gli alunni dell'Avviamento dissero no al fascismo

Dopo la ricostituzione del Partito Nazionale Fascista voluta da Benito Mussolini che, dopo la fondazione della Repubblica Sociale Italiana, il 15 settembre 1943, riassunse in Italia, il governo del Paese, relativamente alla parte del territorio nazionale non ancora occupato dalle truppe alleate, noi ragazzi di Seravezza che frequentavano l’Avviamento Professionale al Lavoro fummo invitati dal direttore Giuseppe Masini, a iscriverci al ricostituito partito fascista della Repubblica di Salò. Ricordo che nella mia classe, la seconda, B che allora frequentavo, un giorno ci venne a parlare anche una signora molto nota a Seravezza per sollecitare la nostra adesione al fascismo la cui fede, c i disse, era rimasta ancora nel cuore di tanti italiani. Parlò a lungo, ma tutti noi alunni, appartenenti ad una delle generazioni che Mussolini voleva fascistizzare sin dalla nascita, senza ascoltare il parere dei nostri genitori, rifiutammo questa iscrizione che ci veniva caldamente ed anche pressantemente richiesta. Fu la fame che soffrimmo per lunghi anni e la nostra partecipazione al dolore che colpì le mamme e le spose di Seravezza i cui figli e mariti richiamati alle armi e avviati sui vari fronti, non fecero più ritorno alle loro case, a farci capire che il fascismo aveva portato la nostra Patria alla rovina. E il peggio per la gente della Versilia avvenne quando fu compiuta il 12 agosto 1944, dai nazisti l'orrenda strage a S.Anna di Stazzema, e poi anche dopo l'arrivo in Versilia, avvenuto nel mese di settembre 1944, delle armate alleate che li furono fermate dalle truppe tedesche per sette mesi, tanto da trasformare la nostra terra in un sanguinoso campo di battaglia.

domenica 22 agosto 2010

Parlo ancora di Spike Lee...

Tempo addietro ho trovato un'interessante intervista a Spike Lee, il regista che ha girato un film su Sant’Anna, pubblicato. Lo riporto sul mio blog, ritenendo che ai lettori faccia piacere leggerlo: "Spike Lee: la mia Stazzema. Il regista parla del suo film".

NEW YORK - Con "Il miracolo a Sant'Anna" il regista americano Spike Lee ha realizzato in Italia uno dei suoi film più forti e potenti, raccontando con orrore e sgomento l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, e con una commozione venata di rabbia la sorte tragica di un battaglione di “Buffalo Soldier” sul fronte toscano. Si tratta di soldati afroamericani che diedero un contributo determinante per la liberazione del nostro Paese e dunque per arrivare alla vittoria finale sull’antifascismo.
Non si tratta degli unici elementi di valore di una pellicola dalla fattura impeccabile (ottima la partecipazione degli attori italiani, tra i quali spiccano Pierfrancesco Favino, Omero Antonutti, Valentiva Cervi, Luigi Lo Cascio e Sergio Albelli) che ha tra i tanti meriti quello di offrire molti piani di lettura: Miracolo a Sant’Anna, basato sull’omonimo romanzo di James Mc Bride, è un film sulla mostruosa assurdità della guerra, sull’ambiguità delle natura umana e sulla fragilità delle passioni e degli ideali.

Il film inizia con un colpo di scena da thriller, ma nel raccontare con toni da realismo magico la storia di un’amicizia tra un bambino toscano e un soldato afroamericano, Spike Lee sembra aver assimilato la “Lezione della notte di San Lorenzo “ dei fratelli Taviani” (oltre alla presenza di Antonutti e Massimo Sarchielli, c’è il racconto di una realtà partigiana e contadina, e del caos brutale dei combattimenti), riuscendo a evitare ogni stereotipo e immagine da cartolina. Miracolo a Sant’Anna, che uscirà in Italia il 3 ottobre distribuito da 01 dopo il debutto al Festival di Toronto, è la prima vera coproduzione tra USA e Italia da molti anni a questa parte: è stato prodotto da Roberto Cicutto e Luigi Musini per la On my Own in collaborazione con Rai Cinema e lo stesso Spike Lee, con il sostegno della Regione Toscana. Il registra è in partenza con tutta la famiglia per la Convention democratica. E’ convinto che a Denverr si farà la storia” anche se è consapevole che sarà dura, ed i repubblicani utilizzeranno qualunque mezzo per fermare l’Obama Express”: Come ho raccontato nel film” spiega mostrando un libro che raccoglie tutte le foto di scena, “il razzismo è una realtà tuttora presente. La situazione è cambiata enormemente rispetto a quel periodo, ma oggi assistiamo alla perenne resistenza nei confronto della novità.

Cos’è che l’ha attratta nel libro di Mac Bride?
“C’è una disputa in famiglia, mia moglie sostiene di avermi fatto leggere il romanzo. Mentre sono certo di averlo dato io a lei. Comunque sia , sono rimasto folgorato dalla forza di quello che raccontava, sia per quanto riguarda un momento tragico della storia italiana, che per i “Buffalo Soldiers”.

Le prime immagini sono quelle di John Wayne nel giorno più lungo. E’ abbastanza sorprendente per un suo film.
“Si tratta di una delle poche novità rispetto al romanzo. Non ho voluto mancare di rispetto a un’icona americana come John Wayne, ma ci tenevo a mostrare il modo in cui Hollywood ha raccontato la guerra, ignorando il sacrificio determinante degli afroamericani. Molti anni dopo gli eventi raccontati, il mio protagonista vede quel film in tv e commenta amaramente “ anch’io ho combattuto per questo paese”.

Durante la prima battaglia sul fiume Serchio , i soldati sentono da un amplificatore la voce di una donna che ricorda agli afroamericani che il paese per cui stanno combattendo li tratta da schiavi.
E’ un personaggio realmente esistito. Si chiamava Mildred Gillars, ed era una donna originaria del Maine che si era schierata coi nazisti. Il suo compito era quello di diffondere una propaganda disfattista alternata a musica popolare. Il tragico paradosso è che per quanto riguarda il modo in cui erano trattati gli afroamericani non diceva menzogne. Non è un caso che i soldati di colore attribuissero una duplice valenza alla V del V Daj: vittoria sul nazismo e a casa.

Esistevano forme di segregazione nell’esercito?
“Assolutamente si. Fu Eleanor Roosevelt a convincere il marito a valorizzare l’apporto dei soldati di colore: sino ad allora erano solo cuochi, uomini delle pulizie e autisti. Uno degli elementi centrali del film è proprio la persistenza della discriminazione, e la percezione degli afroamericani come selvaggi, sia a casa che sul fronte. Una delle scene a cui tengo maggiormente è quella in cui i “Buffalo Soldiers” trovano sui muri del paese toscano i manifesti razzisti”.

Un altro elemento sorprendente e l’ambiguità dei personaggi: c’e un partigiano che tradisce i compagni e un ufficiale nazista estremamente sensibile che legge Pascoli.
Non potrò mai perdonare i nazisti per quello che hanno commesso e tutti dobbiamo inchinarci di fronte al sacrificio dei partigiani. Tuttavia il mondo non è mai in bianco e nero, e la natura umana è segnata dalla fragilità e corruzione. Questo non significa che gli uomini non siano capaci di atti nobili e eroici. Anche per questo ho voluto raccontare l’eccidio di Sant’Anna, girandolo nel luogo dove è avvenuto. 560 civili innocenti vengono massacrati di fronte alla chiesa, e insieme a loro il sacerdote che prega con le parole di Cristo. “ perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Il film è caratterizzato da un forte elemento spirituale.
E’ un altro elemento del libro, evidente sin dal titolo: Personalmente credo nell’esistenza di un creatore, senza il quale non sarei quello che sono. Non frequento le chiese, ma nel film ho voluto essere rispettoso. C’è una scena in cui gli abitanti del villaggio danzano all’interno di una chiesa, e ho voluto coprire il crocefisso per evitare ogni possibile blasfemia”.


Lei si confronta con un momento della storia italiana raccontato dal cinema neorealista.
“Siamo tutti debitori delle grandissime opere di De Sica e Rossellini. Uno degli elementi che mi interessa particolarmente nel romanzo è il tragico effetto della guerra sui bambini. E ovviamente ho pensato a “Germania Anno Zero”. (22 agosto 2008).

giovedì 19 agosto 2010

E' un film che non si doveva girare così.

Dopo aver parlato,a suo tempo, su Versilia Oggi del film Miracolo a S.Anna del regista afroamericano Spike Lee pensavo di non doverne più parlare. Dissi le mie ragioni, sinceramente convinto, con tutto il rispetto per il regista, che aveva sbagliato a stravolgere la verità storica anche accertata in sede penale, riguardante le motivazioni in ordine alle quali i comandanti delle S.S., operanti nella zona, davvero belve feroci con sembianze umane, avevano impartito gli ordini perché questa strage fosse così orribilmente compiuta.
Dopo aver letto, grazie alla Cronaca libera curata dal versiliese doc. Giuseppe Vezzoni, gli scritti delle associazione dei partigiani di Massa e di Pietrasanta, quest'ultima intitolata alla memoria dell'eroe medaglia d'oro al valor militare, Gino Lombardi, al quale i repubblichini diedero la caccia quando andavo a scuola, e letto l'articolo “ i partigiani senza aureola”di Cervi pubblicato su ilGiornale.it, e, presa visione della sentenza di condanna inflitta ad alcuni uomini delle SS che parteciparono alla orrenda carneficina, nonché della indignazione manifestata da Giorgio Giannelli, che voleva chiedere il sequestro di questo film, sono ritornato sulla decisione presa per ribadire che non cambio una parola di quanto avevo scritto in precedenza. Una ulteriore spinta a non modificare il mio parere contrario a questo film lo devo alla trasmissione televisiva “La storia siamo noi” di Minoli, andata in onda nella tarda serata dell' 8.10.2008.
In primis mi domando come abbia potuto lo scrittore Mac Bride intitolare il suo libro Miracolo a S.Anna , dopo l'orrenda strage compiuta in quella località dai tedeschi? Questo titolo davvero non mi piace.
Ho letto tutti i libri scritti su questa straziante vicenda, mi riferisco a quelli di Giorgio Giannelli, ed a quello di Renato Bonuccelli ( A S.Anna dove il piccolo sfollò con la famiglia vide uccidere la sua mamma ed altri suoi cari e stretti familiari) e di Lodovico Gierut ( ricco di tante testimonianze),ed ai due libri di Giuseppe Vezzoni, uno intitolato "Croci uncinate nel canale”, dove il 12.8.1944 iniziò la strage degli innocenti, (la località: Mulina di Stazzema), e l'altro “ Giuseppe Evangelisti – il prete indifeso in una storia a metà”. Questi due libri meriterebbero di essere trovati dai visitatori a S.Anna, invece non ci sono. Ho letto racconti scritti dagli abbonati a Versilia Oggi che furono testimoni oculari dei tragici fatti accaduti nella nostra terra. Quindi conosco la storia a menadito per avere appreso anche quanto raccontò Graziani Alfredo che fu presidente dell'Accademia della Rocca, il quale riuscì miracolosamente a salvarsi dalla strage di S.Anna dove era sfollato, e Elio Toaff l'unico rabbino che fu partigiano in Versilia. Toaff il giorno dopo la strage , salì a S,Anna dove vide , all'interno di una casa bruciata, una donna uccisa su una sedia col ventre squartato e con il feto estratto dal suo corpo, recante ferite da armi da sparo all'altezza degli occhi. Quindi conosco purtroppo molto bene come fu compiuta questa strage e mi dispiace che un mio recente racconto presentato ad un concordo nazionale di narrativa abbia avuto la menzione d'onore che, a mio parerej contrasta con l'ottavo premio assegnatomi per questo mio scritto, per motivazioni a me sconosciute. Non mi aspettavo premi di sorta, sono il primo insoddisfatto del mio racconto, quindi credo che la giuria non abbia sbagliato, però una cosa voglio dirla, non ho scritto episodi frutto della fantasia, ma fatti veri. Sono stato attento a parlare esclusivamente di cose realmente accadute. Devo dire che il mio primo racconto sulla strage di S.Anna fu pubblicato, anni addietro su una pagina del giornale l'Avanti.
Recentemente Alfieri Tessa, noto e valoroso partigiano seravezzino, testimone vivente dei fatti accaduti in Versilia nel 1944, mi ha donato alcuni fogli contenenti preziosi appunti, concernenti le vicende vissute in Versilia che portarono i tedeschi a compiere la strage di S. Anna. Probabilmente scriverò il terzo racconto su questa spaventosa strage.
Nel 1944 dopo l'arrivo degli americani, ho vissuto per mesi e mesi a stretto contatto con i soldati di colore della divisione Buffalo. A Capezzano Pianore, dove la mia famiglia si rifugiò dopo la fuga da Giustagnana, aiutavo un sergente che doveva mettere insieme i calzini, secondo la loro grandezza, quando glieli consegnavano nei sacchi appena li avevano lavati a Viareggio. Si chiamava Guglielmo, Spesso mi diceva “Renalo tu molto buono amico”. Un giorno mi disse che aveva piacere di conoscere la mia famiglia. Siccome ci eravamo rifugiati in una stanzetta, usata per il deposito di attrezzi agricoli, attaccata ad un pollaio, mi vergognai ad accompagnarlo. Gli indicai soltanto il luogo dove poteva trovarli. Ora a Guglielmo che non c'è più, dopo quasi 66 anni trascorsi da quel giorno che rimasi distaccato da lui, gli chiedo perdono. A Capezzano Pianore vidi entrare in una grande tenda due giovani ragazze, arrivate fino a lì tirando un carretto vuoto per vendere i loro corpi affamati per un tozzo di pane. Intorno alla tenda ci fu un via vai di soldati americani.
Ma con chi ha parlato Mac Bride per narrare scene da fiction, mentre la drammaticità dell'azione criminale commessa dai soldati nazisti ci fa ancora inorridire.
Voglio dire a Spike Lee che le sue risposte date a Minoli non mi hanno convinto. Io c'ero nel 44 in mezzo ai partigiani, ai soldati tedeschi, americani, inglesi e brasiliani sì a tutti quanti. Ho visto andare all'assalto gli uomini della Buffalo sulla cima del Monte Canala, dove furono bloccati dal caposaldo difensivo dei tedeschi posto sulla Cima del Castellaccio, alla cui base per sette mesi fu fermata l'avanzata delle truppe alleate. In particolare, ricordo come furono trattati i ragazzi di Seravezza che portarono sulle spalle, con molta sofferenza, fin sulle prima linea del fronte cassette di munizioni e di viveri ai soldati della Buffalo. Chi scrive fece soltanto due viaggi quando arrivarono gli americani a Giustagnana. L' impiego di questi ragazzi rese più forte l'azione operativa delle truppe americane. Signor Spike Lee, noi accoglielmo come liberatori gli americani, gli abbiamo voluto bene. Il loro ricordo è rimasto vivo nei nostri cuori. La prego, mediti sul suo film ch'è è stato riconosciuto valido e meritorio anche dal signor Presidente della Repubblica Italiana. Io non ho voluto vederlo, ma ho sbagliato. Mia moglie e mia figlia che lo hanno visto mi hanno detto che a loro è piaciuto. I partigiani, visto che nella sua intervista a Minoli non aveva idee precise per quanto concerneva la loro lotta contro i tedeschi, sento il dovere di dirle che essa consisteva nell'attacco e fuga, non potendosi comportare diversamente, essendo le loro file a ranghi ridotti e male armati. Si ricordi che secondo un antico il proverbio latino “errare umano est” è tuttora attuale. Forse anch'io ho errato a dire che Lei ha sbagliato. Un artista è libero di creare un'opera sulla base delle proprie emozioni e sensazioni sentite dentro di sé. La prego di non offendersi, accetti le mie scuse anche se condividesse le mie osservazioni soltanto in parte, scritte comunque da un cuore amico.
Concludo col ricordare che il Tribunale militare di La Spezia ha condannato 10 ex militari delle SS che parteciparono alla strage di S.Anna, in attuazione di un piano criminoso pianificato dalle S.S. al massacro della popolazione inerme e assolutamente innocente

martedì 17 agosto 2010

Premio narrativa "G.Viviani"1984 - Marina di Pisa -

IL LUPO di Renato Sacchelli

Un giovane lupo, un esemplare stupendo di quella razza di animali destinati a scomparire dal pianeta Terra, se non verranno emanate ed osservate severe leggi in virtù delle quali sarà possibile salvaguardare la loro esistenza, da un po' di tempo in qua desiderava allontanarsi dal branco per andare a vivere in luoghi più accessibili e belli.
Benché fosse ancora giovane, già era stanco della difficile vita che conduceva nei territori aspri e selvaggi in cui era nato e cresciuto. Immaginava nuovi posti ricchi di selvaggina, tanto da vedersi in sogno protagonista di eccezionali battute di caccia. Inoltre nei nuovi orizzonti, pensava di poter convivere tranquillamente con l'uomo, nei confronti del quale, al contrario di altri lupi, non avvertiva alcun senso di paura, anche se gli era stato detto più volte che doveva considerare proprio l'uomo quale suo peggiore nemico. Da qualche settimana gli appariva anche più dura da sopportare la ferrea disciplina imposta dal capo branco che tutti, tranne lui, forse per gelosia,, ammiravano per le sue qualità fisiche, per l'intelligenza e per la valida azione di comando sempre dimostrata in ogni occasione.
Più i giorni passavano e più il desiderio di andarsene aumentava. Una mattina, dopo una notte piena di stelle trascorsa nei boschi dove, per ore e ore, il silenzio era stato rotto dall'ululato dei lupi a caccia di prede, prima di attraversare un costone roccioso per ricongiungersi al branco che lo aveva distanziato, improvvisamente ritornò sui suoi passi. Raggiunto uno spiazzo, posò lo sguardo sul fondo della valle coperto da una leggera coltre di nebbia, mentre alle sue spalle il sole spuntava dalle cime delle montagne ancora innevate.
In preda all'emozione per la decisione che stava per prendere, alzò con fierezza il muso e, dopo aver poggiato saldamente le zampe per terra, con un balzo degno di un giaguaro, si lanciò di corsa giù lungo il pendio. Finalmente si sentiva felice, era bello da osservare. Ogni tanto ruzzolava volutamente laddove sull'erba alta erano cresciuti delicati fiori di bosco.
Faceva delle capriole, poi si rialzava e proseguiva la sua possente corsa, mentre colombacci ed altri uccelli spaventati si alzavano in volo dai rami degli alberi sui quali si erano posati.
Attraversò zig-zagando, come soltanto un campione di slalom sa fare, un bosco fitto di abeti. Si fermò soltanto quando arrivò a fondovalle, davanti al fiume, in un punto quasi nascosto da una folta vegetazione. Alle orecchie del lupo giungeva solo il cinguettio degli uccelli ed il leggero fruscio dell'acqua limpida, che dolcemente scorreva sul letto ghiaioso. “Che meraviglia... che freschezza...è un incanto...”, pensò il lupo dopo essersi dissetato. Poi ancora tutto sudato, si tuffò nell'acqua, facendo allontanare in un baleno i numerosi pesci che stavano sul fondale, fra i sassi luccicanti.
Dopo una vigorosa nuotata si lasciò spingere dalla corrente fino al tratto in cui le rocce emergenti riducevano l'ampiezza del fiume e dove un forte e continuo gorgoglio accompagnava il passaggio dell'acqua divenuta spumeggiante. Ritornato sulla riva, si sdraiò su un tappeto d'erba e subito si addormentò, sotto un cielo che si colorava sempre più di azzurro.
Dormì per alcune ore e quando si svegliò sentì di avere un forte appetito. Istintivamente aprì la bocca piena di grossi e aguzzi denti, che già assaporavano fresca carne di selvaggina. Finalmente era giunto il momento tanto atteso, Rimessosi a camminare s'inoltrò, a passo lento, nei campi circostanti. Percorsi alcuni chilometri e superata una pioppeta , vide davanti a sé un gregge di pecore. Sotto l'ombra di una pianta il pastore le sorvegliava, avvalendosi di un grosso cane; appoggiato al tronco dell'albero, a portata di mano, l'uomo teneva un fucile da caccia a due canne.

Appena vide il lupo il cane si mise ad abbaiare facendo scappare le pecore in tutte le direzioni. Solo un agnellino, nato da poche ore, e quindi ancora malfermo sulle zampine, rimase indietro e su di lui il lupo si avventò. Ma il pastore che subito aveva imbracciato il fucile quando il cane si era accorto dell'arrivo del lupo, prima che quest'ultimo raggiungesse la piccola preda, prese la mira e sparo due colpi , uno dietro l'altro. La rosa dei pallini di piombo raggiunse il lupo all'altezza della coscia destra fino a spappolargliela, il buco scavato nella carne dalle fucilate era grosso quanto il pugno di un uomo.
Dalla gola del lupo, in preda ad un dolore insopportabile, uscì un ululato spaventoso che si diffuse per tutta la valle fino ad arrivare alle orecchie dei lupi del suo branco, i quali, al riparo da ogni pericolo, stavano riposando in una tana, nascosta sotto alte piante di scopa e di rovi , difficile da localizzare, sugli occhi dei più piccoli spuntarono alcune lacrime.
Per un momento il lupo credette di crollare per terra, ma miracolosamente ritrovò l'energia per girasi e fuggire, nonostante avesse una zampa ciondoloni. Mentre correva disperato, trovò anche il tempo per una immediata riflessione. “ Ma era proprio vero. Qui gli uomini ci uccidono solo perché diamo la caccia ad altri animali di cui abbiamo bisogno per alimentarci e senza i quali noi non potremmo vivere”.
Correndo su tre tre zampe , con la forza che traeva dallo spirito di conservazione, innato in tutti gli esseri viventi, riuscì subito a portarsi fuori dal tiro del fucile del pastore, il quale, tutto felice e contento per essere riuscito a salvare sia le pecore che l'agnellino, desistette dall'inseguirlo. Il lupo così splendido, in pochi secondi era stato ridotto in condizioni pietose, che strazio! Raggiunto faticosamente il fiume, dove poco prima aveva sostato gioiosamente quando era sceso dalla montagna, passò lungamente la lingua sulla ferita, provando con ciò un temporaneo sollievo. Prima di riprendere il cammino s'immerse nell'acqua sperando che la rinfrescata gli facesse bene. Nel frattempo decise di tornare a vivere nel brancio.
Non aveva altra scelta, anche se non era sicuro di farcela con la fame addosso e la ferita che continuava a farlo soffrire. Mentre risaliva la montagna, infreddolito, febbricitante, zoppo e con la coda fra le zampe posteriori, vide, vicino al bosco. Fra delle piane recintate con paletti di legno, sui quali era stato inchiodato del filo spinato, una piccola casa che non aveva notato quando baldanzosamente era sceso a valle. Intorno all'edificio , tutto dipinto di bianco e con tanti vasi di fiori messi sui davanzali delle finestre, c'erano numerose galline, e pulcini, questi ultimi guidati dalle loro chiocce. Non mancavano alcuni grossi galli.
Il lupo alla vista di tutto quel pollame sentì crescere la fame che aveva in corpo. Pensò che per acquisire nuove energie avrebbe dovuto necessariamente sfamarsi, altrimenti sarebbe morto lungo la via. Senza valutare più di tanto i rischi a cui si esponeva, volle approfittare della buona occasione che gli si era presentata. Raggiunto il recinto si distese per terra e, strisciando lentamente sul ventre, riuscì a passare dall'altra parte, senza poter evitare di lasciare attaccati al filo ciuffi del suo pelo lungo e ispido di colore grigio bruniccio.
Al suo apparire le galline svolazzarono in qua e là, mentre le chiocce, sbattendo disperatamente le ali, incitavano i pulcini a correre e a scappare. Si creò cosi un gran baccano, che richiamò fuori l'anziana contadina che si trovava all'interno della casa, intenta a preparare il pranzo. La donna, alla vista del lupo, anche se si accorse che l'animale era ferito, tutto spaventata si mise a chiamare a voce alta il figlio trentenne che viveva con lei e che in quel momento si trovava nel bosco, vicino alla casa, tagliare della legna secca; “ Aiuto...aiuto... vieni Giovannino, il lupo mangia le galline... aiuto...

Udite le grida della madre, il figlio abbandonò il fascio di legna che stava per caricarsi sulle spalle e con l'accetta in mano si diresse precipitosamente verso casa, per prendere il fucile da caccia che teneva attaccato al lato del camino. Si trattava di una vecchia arma a ripetizione che gli aveva lasciato il fratello più grande , quando, tanti anni prima, appena divenuto maggiorenne, si era recato a lavorare in una fabbrica di orologi in Svizzera , dove poi si era sposato e stabilito definitivamente. Quando staccò il fucile dal chiodo, nella mente di Giovannino, seppure in pereda ad una comprensibile agitazione, riaffiorarono i ricordi dei difficili tempi vissuti da ragazzo. Il reddito che derivava dal terreno era scarso e i bisogni in casa erano tanti. Non riuscivano a tirare avanti nemmeno con la pensione di guerra che percepiva la madre per la morte del marito, avvenuta nel 1944, in un campo di concentramento in Germania, dove era stato deportato dai Tedeschi, quando venne fatto prigioniero in Albania, con altri commilitoni, nel settembre del 1943, dopo l'armistizio.
Intanto il lupo, preoccupato per il subbuglio che il suo intervento aveva procurato, dopo aver ingollato un galletto e con ancora in bocca due pulcini, ritornò di corsa nel bosco ferendosi ulteriormente nel passare, questa volta senza nessuna cautela, sotto il filo spinato. La sua azione, con tutto il putiferio che aveva scatenato, gli era valsa a rimediare soltanto un modesto antipasto.
Quando Giovannino uscì di casa col fucile in mano, il lupo era già scomparso.
“Vai, vai Giovannino, inseguilo, , corri, uccidilo, altrimenti ci rovina se ritorna, e mangia i nostri polli.” continuava a ripetere la madre.
E Giovannino incitato dalla mamma , s'inoltrò nel bosco col fucile spianato, procedendo cautamente fra i cespugli alla ricerca delle tracce del lupo. Mentre si accingeva ad attraversare un piccolo canale, da una siepe si alzarono in volo alcuni merli chioccolando, Proseguendo le ricerche entrò in una selva dove , in mezzo ad alte felci, vide una massa pelosa apparentemente immobile: era il lupo.
L'animale ansimava debolmente, aveva la bava alla bocca e stava malissimo. Il suo sguardo era tutt'altro che feroce , appariva docile e implorante.
Quasi sembrava che volesse dire. “Aiutami uomo, ho bisogno di te. Non mi uccidere!
Ma Giovannino non era in condizioni di capire il messaggio lanciatogli con gli occhi dal lupo. Pensava ancora ai polli che l'animale gli avrebbe potuto mangiare. In quello stato d'animo era assurdo ritenere che potesse comprendere le ragioni dell'esistenza dei lupi e degli altri animali selvaggi.
Infatti non si abbandonò ad alcuna considerazione. Puntò l'arma e premette il grilletto. Il colpo sparato raggiunse il muso del lupo. Il corpo dell'animale si contorse, come se fosse stato attraversato da una scarica di corrente elettrica ad alta tensione. Incredibilmente sembrò che stesse per rialzarsi. Il muso del lupo, da sempre espressione di forza e fierezza era ridotto ad una maschera di sangue; solo i denti erano rimasti intatti
Era morto sul colpo, povero lupo negli agognati nuovi orizzonti in cui gioiosamente si era inoltrato, aveva immediatamente conosciuto l'uomo.
“Mamma l'ho ucciso!” gridò.
“ Bravo, bravo” rispose la madre, che nel frattempo l'aveva raggiunto nella selva. Ho sempre saputo di avere un figlio in gamba, anzi due figli..”. aggiunse orgogliosa la donna, mentre Giovannino si dava da fare per trascinare il corpo dell'animale davanti alla sua casa, dove, più tardi molti valligiani si recarono per vederlo, quando si sparse la voce della sua uccisione.
A memoria d'uomo nessuno ricordava un evento del genere., si trattava, in un certo senso. di una novità. Anche il pastore andò a vedere l'animale morto. Tutti parlavano delle pecore, agnelli e vitelli mangiati dai branchi di lupi affamati e del pericolo che lo stesso uomo poteva correre se li avesse incontrati, senza avere con sé il fucile. Un contadino, al quale le volpi avevano mangiato alcune galline, raccontò di essere riuscito, in poche notti, appostandosi nei pressi del pollaio con un gallina, alla cui zampa aveva legato un filo allacciato all'esterno del recinto, ad uccidere a fucilate ben otto esemplari di quella specie di fauna, che viveva numerosa nella zona. Nessuno accennò al nutrimento di cui i lupi e gli altri animali selvaggi hanno bisogno per sopravvivere ed il loro diritto alla vita in un ambiente protetto.
Ma a chi poteva interessare l'uccisione di un lupo, quando a causa dell'uso della droga muoiono tra inenarrabili sofferenze , tanti giovani , alla ricerca disperata di effimeri paradisi artificiali, per non parlare dei loro sfortunati genitori, colpiti anche loro da un dolore senza fine. Ma chi può soffrire per la morte di un lupo, quando in tante parti del mondo ci sono milioni di esseri umani che muoiono di fame, come abbiano visto dalle immagini pubblicate sui giornali o trasmesse dalla televisione, di bambini scarni e denutriti, con il pancino grosso e deforme.
Il discorso sarebbe ancora lungo.. c'è ben altro a cui pensare!
Fortunatamente esistono molti uomini che amano e proteggono la natura e anche gli animali e ci è di conforto sapere che ancora ne nasceranno perché è di loro che il nostro Mondo ha bisogno.

sabato 14 agosto 2010

Puntato – l'alpeggio antico dell'alta Versilia

Puntato – l'alpeggio antico dell'alta Versilia

Ne la matinata di domenica 9 agosto 1998, con célo azzuro e con ‘na temperatura che ne la pianura ci facéa sudà, missi per la prima volta i ppiedi a Puntato, l’alpeggio duve nel 1680 òmeni di Terrinca costruittero ‘na piccola chiése per sentissi più vicini a Dio.

La mi’ presenza in quéla elta località, avvenne in seguito a l’invito che nel precedente mese di giugno il versiliese Pacifico Coppedè rivolgette a un gruppo di òmeni, associati all'ANFI, riunitosi a Azzano, per la consumazione di un pranzo sociale, tra i cquali c’era anco chi scrive.

Su Puntato e ssu la Marfisa Baldini che de la località in questione è la vera anima, scrivetti cose importanti sul n. 291 di Versilia Oggi del febbraio 1991.

Dopo quela visita volli raccontà solo quanto viddi e le emozioni sentute, mentre treppicao il paléo cresciuto elto su que' tereni un tempo interamente coltivati a ppatate, segale, fagióli e cquant’altro dèra necessario a la gente che vivea lassù, in dun mondo tutto loro e ddurissimo, ma vivificato da la libbertà che ogni òmo sentia di respirà a ppieni polmoni.

Pensate un po’, sobbre Puntato, in località Paludi, dove stagna in continuazione l’acqua, ci venia coltivato anco il riso, come m’ha ditto la moglie di Pacifico Coppedè, la gentile signora Odette.

Il paesaggio di Puntato m’è apparso d’una bellezza unica, con quel verde che duve posavi gli occhi dèra sempre diverso da l’altro, a ccomincià da le piante di bùssilo e quele d’alto fusto, misse con ordine lungo i sentieri che conducono a l’antica chiése.

I bboschi di fanie di Puntato, con qua e là, de le grandi piazzole, m’ hano fatto pensà a la fadiga compiute dagli òmeni del passato che faceino ‘l carbone che pòe, misso nei sacchi, lo portavino sule spalle, fino a le loro case e a cquele dei paesi del fondo valle, duve veniva venduto.

Sula cima dei monti che circondano Puntato, si staglia maestoso il pizzo de Le Saette, mentre un pògo più in là, si vede anco la Pania. Davanti, in lontananza, sbucano dagli alberi le poghe case di Capanne di Careggine, duve è nnato Tardelli, giocatore de la Juve e ccampione del mondo 1982.
Il 9 agosto ho poduto vedè solo le cime degli Appennini, col passo de Le Radici, avvolti da una fitta foschia ne la parte più bassa.

Devo dì ch’ ho avuto in Renzo Maggi, presidente della Sezione ANFI di Seravezza,na guida formidabile di que’ posti che conosce a la perfezione. Ricordo le su’ parole mentre si scendea giù lungo il sentiero : “ Questa è la casina riaggiustata di un mi’ cugino. Questi erino i tterreni de’ genitori de la mi’ moglie. D’estate, quiccosì, vivevino 600 persone e migliaia di capi di bestiame, tra pecore e mmucche. A Puntato c’ero nel 1944, quel giorno che da nó arivonno i ssoldati mericani. Sempre secondo il Maggi, davèro ‘na memoria storica, da lassù passaa la via Francigena, che nel tratto da Fociomboli, Puntato e l’Isola Santa, arivaa a Castelnuovo Garfagnana.
Quanta dignitosa compostezza e cquanto dolore ho sentuto ne le su’ parole: “Da quando è mmorto il mi’ cugino che tempo addietro è sstato schiacciato dal su’ articolato precipitato in dun burrone, ho smisso d’andà diperinsù, fin sula Pania che spesso si raggiungea insieme, perché anche lu, come me, amava questi monti”.

Pacifico Coppedé, òmo tanto forte quanto gentile, m’ha raccontato quando da ragà sentia cantà gli òmeni che abitavino in case lontane l’una da l’altra. Dèra ‘na cosa granda sentì quéle voci, quegli stornelli che raccontavino le storia bela de l’amore tra la gente; ‘na poesia davèro cantata, dico io. E che belo, dèra per lu ritrovassi, ogni tanto, a ppassà de le ore tutti insieme a ssentì il sono d’una fisarmonica, e pòe andà a ddormi senza esse svegliati da alcun rumore.

Mi sono commosso nel sentì raccontà questi struggenti ricordi d’una vita dura per le fadighe che gli òmeni di Puntato doveino fà tutti i ggiorni per vive, ma bela sotto l’aspetto de’ loro rapporti quotidiani.
Molta gioia sentitti nel rivedè la Marfisa che aveo conosciuto a Terrinca nel 1991. Quando il gruppetto è arivo a la meta, lé, ch’era ‘n compagnia di alcune su’ amiche, stacéa a mmestá la polenta ne la cucina de la chiése. Tutti sièmo stati accolti con molta festosità, dèra contenta de la nostra presenza. Più volte ci invitò: “ State a mmangiá con nó...”.

Questa donna sempre giovanile ci fé vedè con orgoglio la chiésina con la “ fonte battesimale”, un grosso sasso scavato in modo rudimentale per contenè l’acqua santa.
" Sarei molto Felice se ci venisse battezzato qualche bimbo “. Ecco le su’ parole ditte a nó che l’ascoltavamo con ammirazione.

Cara Marfisa, come vorrei che questo su’ desiderio s’ avverrasse, perché in quela su’ chiesina a la quale, mantenendo quanto aveo promesso anni addietro, ho donato un mi’ quadro, modesto, ma dipinto con amore, risplende siguramente, in tutta la su’ luce, la figura di Dio.

Su que’ monti stupendi, duve mi  dissetai con acqua bibola purissima e respirai aria fresca, ho sentuto molto lo spirito di fratellanza, sìe quélo spirito che una volta univa fortemente la gente de la montagna e cche sempre dovrebbe essici fra nó òmeni a ttutte le latitudini, mentre i ffatti criminali commessi ogni giorno ci lascino piéni di sgomento.

Concludo col ringrazià ancora Pacifico Coppedè per la bela giornata che ci fé trascorre lassù e il versiliese Goffredo Silvestri che con la su’ foristrada consentì a alcuni di nó di arivà fino a la su’ casa, situata ne la zona più alta di Puntato, duve appena giunti, tanto per comincià, venne consumata ‘na sostanziosa colizióne al sacco; un grazie anco a ttutte le persone che a Puntato èno state vicine a nó.
Per ritornà sulla cima della valle di Puntato, io, insieme al mi fratello Sergio e alla signora Coppede Odette, si fè na lunga caminata a piedi.

venerdì 13 agosto 2010

COMUNE UNICO DELLA VERSILIA

Ritenevo che anche la tragica esperienza dell’alluvione del 19.6.1996, in ordine alla quale i sindaci della Versilia del Fiume hanno profuso, in modo encomiabile, tesori di energie fisiche e dell’intelletto, sia per l’assistenza alle popolazioni colpite dalla spaventosa catastrofe che per l’opera di ricostruzione, fosse servita a fare capire quanto sia necessario addivenire alla creazione del Comune Unico della Versilia, per affrontare e risolvere, in modo globale, i tanti problemi che interessano tuttora l’intera collettività versiliese, dal mare ai monti.

La costruzione di opere di difesa dalla furia delle acque lungo tutto l’alveo del fiume Versilia, la costruzione dell’inceneritore dei rifiuti solidi urbani,lo sfruttamento dell'acqua quale bene primario per la vita dell'uomo, le tematiche relative alla viabilità e allo sviluppo delle attività artigianali e industriali in aree delimitate senza così arrecare disturbo al riposo dei cittadini e anche alla costruzione di un forno per la cremazione dei defunti in base alle volontà espresse dagli interessati, non possono essere risolte singolarmente da ciascuno dei quattro comuni, le cui strutture preesistenti, si noti bene, potevano andare bene fino a quando l’uomo si muoveva a piedi, coi muli o coi cavalli.

Se si pensa che da Forte dei Marmi si raggiunge con l’autovettura Stazzema, o viceversa, in pochi minuti, chi scrive è del parere che prima o poi occorrerà procedere alla ridisegnazione delle circoscrizioni comunali, rispondenti al nostro tempo.

Si deve dare vita invece ad una grande Versilia che, anche sul piano politico, abbia la propria circoscrizione elettorale unica, senza aggregazioni con le popolazione di altri comuni appartenenti alle provincia limitrofe. Trovo incredibile che la Versilia storica che lavora e produce ricchezza non abbia un proprio cittadino che la rappresenti in Parlamento.

Sì! dobbiamo dire sì, al Comune Unico della Versilia, l’unico Ente in grado di operare in modo unitario sia a difesa dell’ambiente che di tutti gli interessi della gente che abita nella Versilia storica, quali sono i territori dei comuni di Seravezza, Stazzema, Forte dei Marmi e Pietrasanta.
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mercoledì 11 agosto 2010



LA PISTOLLA NEL BOTTINO

A Seravezza, ne' primi del mese di luglio 1944, un vi vedea più nimo: le sole du' famiglie che nun aveino obbedito a l'ordine di sfollamento de' Tedeschi s'èrino stambugiate in case e staceino attente a nun fassi vedè in giro. I mmalati più gravi e qualche vecchietto dèrino stati trasportati a Valdicastello, dub'era stato trasferito l'ospidale di Pietrasanta.
Le porte e le finestra chiuse de le case, davino l'impressione che gli abitanti nun si fùssero più risvegliati dal sonno. Sì, Seravezza sembraa proprio morta. Nell'aria si sentia solo il fruscio de le foglie dei pratani mosse dal vento e il gorgoglio de le acque limpide e sspumeggianti, che continuavino a score verso il mare.
La mi' famiglia si rifugiò ind'un metato, di proprietà dei mi zii, che dèra tra il Pelliccino e il Colle, sotto il crinale del monte di Ripa. Quel lògo vense guasi sùpito abbandonato, quando i tedeschi ci mandonno via perché presto sarebbino iniziati i combattimenti, contro gli anglo mericani, ormai vicini alla nostra tèra , come ci dicette un ufficiale della Wehrmacht che parlaa abbastanza bene l'itagliano.
Fenimmo ne la chiesa di Giustagnana, che quando s'arrivç no' era già piena di gente, fortunatamente c'era ancora de lo spazio libbero ai piedi d'un altare. Ma lì ci si stette poghi giorni, perché d'era proprio impossibile vivecci. Nimo avea penso a scavà 'na fossa, Così tutti gli sfollati faceino i loro bisogni ne la selva accanto e quando risaltavino fora aveino sempre attaccato ai p'iedi gli escrementi che nun podeino mai evità di calpestà. Fra i ttanti sventurati e affamati c'era anco un omo che dèra malato, La notte , mentre , si dormia sul materasso steso ai piedi d'un altare, no ragà ci svegliaiomo tutti spaventati perchè lù in preda a le convulsioni, si mettea a urlà e gli omeni, tra cui anco mi pà , doveino fadiga per fallo calmà. Appena si calmava chi scrive di colpo si addormentavo. Doppo du settimane s'ando in d'una casupola, vicina al paese, da sempre utilizzata per il ricovero del bestiame e ddegli attrezzi agricoli, mi vensero i brividi quando vviddi che sotto le tavole del piano di sobbre, c'erino càccole di topo elte diversi centimetri.Quando si venne a sapé che i Tedeschi faceino saltà in aria la segheria del Ponticello, corsi giù disperato verso la mi' casa. A ddi' la verità mi parea di volà come un falco in picchiata, sentio i mmii calcagni sfiorà il fondo de' pantaloncini. Quanto dolore patii in que' menuti. Malidètta la guèra! Arivato a Rimagno chiedetti: “Dov'eno i Tedeschi? Perché ci fano tutto questo male? Ma nissuno un mi rispose. Aveo anco fame e 'na gran voglia di piange:, ma ne' mi' occhi un c'erino più lagrime. In d'un ripostiglio de la su case del Ponticello la mi' no tenea 'na pistolla a ttamburo con quattro o cinque cartucce. Dèra 'na Colt ch'avea porto da la Meriga duve facea lo scalpellino, il mi' nò ne' primi anni del 1900 quando smettette di laborà nel novo mondo. Se la vedino i Tedeschi che cifano. In preda a la pagura, senza pensacci tanto, presi l'arma e la buttai nel bottino (fossa della latrina) e subbito tirai un sospiro di sollievo. Pòe mi diedi da fa a trascinà ne le piane del mi' orto, insieme a mi' mà e al mi' fratello che nel frattempo mi aveino raggiunto qualche mobile de la casa nostra. Quando sentitti du donne urlà che ci doveimo allontanà perché gli operai de la Todt in tutto tre o quattro òmeni ) avevino fenito di stende i i ffili e staceino per far brillà i proiettili di artiglieria , che aveino misso a la base dei muri perimetrali de la segheria del Salvatori, la più nova del paese, costruita tutta in cemento armato nel 1925, per un tratto di strada mi trovai a ccaminà ffiano a ffianco col solo soldato tedesco presente ne la zona, che facéa 'l comandore.
Dèra un sergente; un omaccione biondo; con 'na grossa pistolla a la cintura , mi embrò che fusse na' P 38. Avea gli occhi celesti e il passo stanco, forse per le cose brutte che l' aveino misso a ffà. Ci fermommo davanti a la Casa dei Combattenti; duve gli operai stavino in ginocchio; per àllaccià i ffili al detonatore. Seduto su uno scalino li guardao rassegnato e tristo; pogo dòppo l'esplosione, un boato enorme, spaventoso, mi sembrò, per un attimo che qualcheduno m'avvesse strappato ìl còre. Dérimo a l'inizio! Giù la segheria; giù la vicina casa Carducci, rotti i vetri e molti cornicioni, sia del molino del Bonci e de le altre case accanto, mentre 'na grossa colonna di fumo s'alzava nel cèlo e l'acre odore de la polvere da sparo si diffondea ne l'aria. Lo spostamento d'aria avea diviso in dua i mmuri de la mi' cara vecchia casa, che parea fosse stata segata con un filo elicodiale de la cava, la parte superiore sporgea all'infuori più di dieggi centimetri, a vedella così ridotta pensai sùpito che un sarebbe stata più abitabile.

Nato figlio de la lupa, poe dovento balilla, dòppo avè cantato per anni e anni: ''Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza...'' e anco la canzone ''Fistia il sasso, il nome squilla de l'intrepido balilla il ragazzo di Portoria...'' che scagliando un sasso contro un ufficiale autriaco, nel 1746 diede inizio a la rivolta che liberò la sua città dalle truppe austriache, io pavido batocchio che giurò anco fedeltà a la causa de la rivoluzione fascista quando arrivai ad essere nominato balilla moschettiere, un avetti il coraggio d'impugnà la vecchia pistolla del mi nò, per sparà a difesa de la libbertà. Dè questa 'na vergogna che mi porto dietro da un bel po' d'anni. Se a Seravè e nei paesi vicini faceino saltà in aria le case e tanta gente venia uccisa in continuazione, a Sant'Anna di Stazzema, i tedeschi ammazzonno e brucionno in modo orrendo 560 creature umane che nulla di male avevino fatto contro i nazifascisti. Erino donne; anziani e cicchini, la vittima più cicchina avea 20 giorni.
Quei giorni tragici nun l'ho mai dimenticati. Déno rimasti scolpiti ne la mi' memoria e quando penso a la mi' casa del Ponticello; mi pare ancora di sentì che mi scottino i piedi che posai scalzi sobbre le macerie dee le case del Ponticello ancora fumanti.

“”.

lunedì 9 agosto 2010

La scuola elementare di Seravezza

Frequentai la prima classe elementare presso l'asilo infantile Delatre, in cui era insegnante la fantastica suor Giuseppina, tanto brava quanto bella, o per essere più precisi bellissima. Spesso l'aiutavo a mettere i fogli bianchi sui banchi. La sua dolcezza nei confronti dei bambini era infinita. Non l'ho mai dimenticata. Le ho voluto un bene da morire.
Fu all' asilo che ebbi il primo dispiacere della mia vita. Ciò avvenne quando il mio amico Aldo che abitava in una casa vicina alla mia, al Ponticello di Seravezza, partì con la sua mamma per raggiungere il babbo che era emigrato in Perù per motivi di lavoro.


Il mio maestro della seconda classe elementare fu Silvio Federigi che abitava a Marzocchino. Come suor Giuseppina anche il suo comportamento nei confronti degli alunni fu sempre ottimo. Ci trattava come se fossimo suoi bambini. Mai l'ho visto una volta arrabbiato. Ci insegnava con amore e infinita pazienza. Più di una volta così l'ho ricordato a suo figlio Fabrizio quando questi teneva dotte conferenze presso il salone della Misericordia di Seravezza, al tempo in cui era governata dal dottor Luigi Santini.

In terza classe ebbi un maestro che poco dopo il 10 giugno 1940 partì volontario per combattere in Africa contro gli inglesi. Non ricordo il suo nome. Anche lui fu un bravo insegnante. In sua sostituzione arrivò il maestro Corfini. Era un insegnante appassionato che amava essere rispettato, nel senso che non voleva confusione in classe . Era severo con chi non si applicava bene nello studio e usava il righello che sbatteva sul palmo delle mani degli scolari a suo parere più indisciplinati. E urlava. Spesso ho tremato quando alzava la voce. Più di una volta taluni miei coetanei venivano minacciati di espulsione “da tutte le scuole del Regno”. Chi scrive non ha subito mai righellate dal maestro Corfini. Con lui ho frequentato anche la quarta e quinta classe. A parte la tremarella che più di una volta ho sentito sulla pelle posso dire, che in fondo ho conservato di lui un buon ricordo, perché mi resi conto che non era affatto facile mantenere il silenzio in aula quando lui era davanti alla lavagna per insegnarci la lezione del giorno. Parlando qualche anno fa con un mio compagno di scuola mi disse che invece lui aveva conservato un brutto ricordo del maestro, per le punizioni ingiuste che gli aveva inflitto.

Nei mesi invernali non ragazzi soffrivamo molto il freddo. Ci venivano i geloni alle mani. Spesso ricordo di essere andato a scuola portando da casa un mattone riscaldato sui carboni accesi sul fornello della cucina, avvolto con dei cenci. Più di una volta venivamo invitati a portare in classe qualche piccola “stiampa” (pezzo di legno, ndr) per accendere la stufa per poterci così riscaldare.

Concludo parlando del direttore Giuseppe Masini, del quale ricordo i tanti discorsi che faceva a noi alunni nella vicina casa del Fascio. Era un sostenitore, come tantissimi italiani, degli ideali fascisti. Quei suoi discorsi non riuscivo a capirli bene, quindi sinceramente parlando soffrivo un po' quando partecipavo alle cerimonie che si concludevano con i discorsi del direttore Masini.

domenica 8 agosto 2010

NEC RECISA RECEDIT

"Nec recisa recedit" è il motto araldico che si lesse sullo sfondo della gigantesca fotografia dei leader che parteciparono al summit del G8 tenutosi a l'Aquila dall'8 al 10 luglio 2009 presso la Scuola Allievi Marescialli della Guardia di Finanza.

Fu il poeta soldato, Gabriele D'Annunzio, cavaliere, marinaio e aviatore, decoratob al valore militare di due Medaglie d'oro,tre di Argento e una di Bronzo, che volle “dedicare alla Guardia di  Finanza, per iscritto questo motto araldico divenuto patrimonio spirituale e viatico di fede per quanti hanno onorato e onoreranno il Corpo compiendo fino in fondo, oltre ogni ostacolo, il proprio dovere”.

I rapporti tra i militari della Guardia Finanza e il poeta soldato, iniziarono il 10 dicembre 1918, quando dopo tre giorni di marce dure, giungeva a Fiume la XXX compagnia della Guardia di Finanza messa alla diretta dipendenza  del corpo di occupazione interalleato con compiti di vigilanza nel porto e di polizia marittima lungo le coste e dell'istituzione di una dogana interalleata. Il 15 luglio 1919 il
reparto fu rinforzato  con la  IX compagnia  del III  battaglione mobilitato e successivamente con altri finanzieri, costituendosi in battaglione che D'Annunzio volle incontrare il 21 ottobre successivo. In quella occasione il poeta soldato pronunciò un grande discorso; tra l'altro disse: “Le Fiamme Gialle sono rimaste con me a difendere l'italianità di questo sacro lembo di terra nostra. I finanzieri d'Italia possono gloriarsi di aver sparato al Ponte di Brazzano il primo colpo di fucile della nostra guerra di riscossa, che in tutte le guerre che prepararono e compirono il nostro Risorgimento; dalle cinque giornate alla difesa di Roma; dall'assedio di Venezia  fino all'attuale guerra; dove nei più fieri combattimenti  di Pal Piccolo; degli Altopiani; del Trentino del Podgora; del Carso e del Piave
compirono prodezze gloriose,  tingendo di sangue le rocce scabre e le paludi febbricose. Ora  non potevano far mancare il loro contributo alla causa di Fiume, la più bella; la più santa; la più divina delle
cause per le quali gli uomini abbiano combattuto. Questa vostra devozione mi è sommamente cara”. Accennò al fatto che di fronte all'avida finanza internazionale; al cospetto delle insidie senza  scrupoli
tentate dai finanzieri diplomaticamente privilegiati si affermi sempre salda e incorruttibile la schiera dei nostri “finanzieri di ferro”. Il 4 dicembre 1919 D'Annunzio consegnò al battaglione il gagliardetto
offerto dalla donne fiumane che il 25 giugno 1920, nel corso di una solenne cerimonia volle personalmente fregiarlo della “Medaglia di Ronchi”. 

Rivolgendosi ai finanzieri disse: “Fiamme Gialle, è sempre con profonda commozione che io vi vedo, che io vi incontro. In ciascuno di voi ed in voi tutti noto un gesto affettuoso; ed io vi saluto vedendo
sempre in voi l'esemplare del legionario fiumano: la dignità e la semplicità non mai interrotte.  Io vi ho dimostrato più di una volta quale sia la riconoscenza della città, che voi avete salvata con gli
altri legionari, per l'esempio che avete dato e date  ogni giorno in disciplina, in sagacia, in coraggio ed in resistenza; voi lo sapete, e n'è testimonio il gagliardetto giallo che vi affidarono le donne di
Fiume. E' alta  ventura per me offrirvi oggi il segno di Ronchi; segno di legionari in questo mese di giugno che é per voi ricco di ricorrenze gloriose, A Monte Pal Piccolo, nella primezza della guerra, lo
ricordate,un battaglione di Fiamme Gialle fu assalito da più battaglioni austriaci; fu accerchiato; fu respinto; fu decimato; e nondimeno continuò a combattere senza aiuto di artiglierie, senza aiuto di rinforzi; chiesti insistentemente, e tenne la linea. Pal Piccolo; poi Piave Vecchio e il Piave Nuovo; sulla fine della battaglia che ieri si chiuse; detta del solstizio; e fu appunto il 21 giugno che le vostre belle Fiamme Gialle irruppero su posizioni del nemico e lo annientarono. Parlo del VII, VIII  e XX Battaglione, che occuparono il Piave Nuovo e finalmente raggiunsero il Piave Vecchio. Quella era la prima riscossa. Come su  Pal Piccolo; sul Pogdora; sullo Sperone; sul Carso; in Vald' Astico; dove ricordo l'eroismo di ventotto finanzieri modello ed esempio di disciplina e di sacrificio; voi avete
tenuto fermo,  o Fiamme Gialle: voi avete compreso che noi siamo qui; come sul Piave; alla difesa suprema della Patria. Quindi a voi più che ad ogni altro legionario, a voi che ogni giorno respirate col vento la salsedine e la frescura del Carnaro, è dovuto il segno di Ronchi. Fiamme Gialle debbo confermare che aggradisco di cuore il vostro pensiero di promuovermi appuntato della Guardia di Finanza: il vostro capitano mi aveva chiesto in precedenza di scegliermi un grado dei
finanzieri: io mi glorio di essere appuntato".

Al termine di questo discorso il poeta soldato volle dedicare alla Guardia di Finanza il motto araldico “Nec Recisa Recedit”. Gabriele D'Annunzio mostrò sempre di ricordare con particolare sentimento la
sua promozione ad appuntato ad honorem della Guardia di Finanza. Il 9 settembre 1935  in una lettera inviata al Comandante Generale dell'epoca, scrisse: “...le guardie di Finanza, le Fiamme Gialle in
Fiume d' Italia furono soldati esemplari,  io ebbi l'onore di essere iscritto nel Corpo,   motivo per cui oggi scrive a  Lei  un subordinato”. 

Concludeva il suo scritto con queste stupende parole: “Le Fiamme Gialle nella mia memoria splendono e ardono”. Il 3 marzo 1938 a Gardone Riviera, tra le numerose corone che precedevano il feretro del“Comandante” accompagnato da un plotone di 25 finanzieri ce n'era una guarnita con un nastro verde ornato di giallo su cui spiccava in lettere d'oro la dedica “ La Guardia di Finanza  al suo
glorioso Appuntato d'onore”.

lunedì 2 agosto 2010

Settembre 1944: iniziano i combattimenti in Versilia tra i tedeschi e le truppe alleate

Stavano cadendo le castagne dai cardi aperti a mezzaluna e nascevano i primi funghi, quando, nel lontano settembre del 1944, arrivarono finalmente in Versilia le truppe del 4° Corpo d’armata al comando del generale brasiliano Willis Crittemberg, composto dalla 45ª Task force, dalla 1^ divisione corazzata USA e dalla 6ª divisione corazzata sudamericana. A queste forze si aggiunsero quelle del 2° corpo d’ armata schierate con le divisioni 34ª e 91ª rimaste ferme aldilà dell’Arno fino al 2 settembre, giorno in cui occuparono Pisa e nella giornata successiva Lucca. Dal 23 agosto era stato impiegato in linea anche il reggimento Combat team, primo battaglione della 92ª divisione americana “Buffalo”. Il brigadiere generale Zenobio Da Costa fu il comandante di campo dei brasiliani. Tutte le forze alleate fecero parte della 5ª armata, comandata dal generale Mark Wayne Clark, la quale andò ad attestarsi lungo la Linea Gotica tirrenica, il cui estremo limite arrivò alla foce del fiume Versilia, in località Cinquale, cioè al confine dei comuni di Forte dei Marmi e di Montignoso Di fronte a questo potentissimo esercito si erano trincerati, dalla spiaggia e sui vicini monti sopra Strettoia e Seravezza e su quelli della Garfagnana, il 14° corpo di armata corazzato tedesco, la famigerata 16 divisione granatieri S.S. che il 12 agosto 1944 compì l’orribile strage di Sant’Anna di Stazzema in cui furono barbaramente trucidate 560 creature umane tra donne vecchi e bambini, la 65ª fanteria e la 26ª panzer divisione corazzata. Lo sfondamento della Linea Gotica lungo la linea Adriatica fu affidato alla 8ª armata.
La popolazione versiliese alla quale fu imposto l’ordine di sfollare a Sala Baganza (Parma), a cui ottemperarono pochissime persone, preferì rimanere attaccata alla propria terra, dove trovò rifugio nelle località abbastanza vicine ai loro borghi. Fame e patimenti di ogni genere soffrì la gente della Versilia nell’estate del 1944. E così mentre la natura meravigliosa continuava a donare agli uomini i suoi frutti nutrienti e saporosi, la guerra sanguinosa iniziò a combattersi anche nel territorio versiliese. Il giorno che le truppe di colore della divisione Bufalo arrivarono a Giustagnana, piccolo paese montano di Seravezza, dove la mia famiglia sfollò, dopo un breve periodo trascorso in un metato nei dintorni del Pelliccino, mi trovavo nei pressi della sorgente che c’era allora lungo la mulattiera un po’ più sopra la chiesa di Giustagnana, il cui rigagnolo lungo il poggio del monte era sempre pieno di piccoli vermi. Quando sentii dire che erano arrivati i soldati americani, di corsa raggiunsi il luogo dove si erano radunati molti uomini, tra i quali anche mio padre. Il folto gruppo guardava, dal muretto della piazza della chiesa, una pattuglia di soldati mentre scavavano, con delle piccole palette, delle buche nella piana sottostante ricoperta da alti ciuffi di graminacia, chiamata in dialetto versiliese paléo. Ad un tratto, come primo saluto dei tedeschi, una pioggia di colpi di mortaio iniziò a cadere intorno a noi. Immediatamente tutti i presenti entrarono precipitosamente in chiesa, mentre i soldati americani si acquattarono nelle buche che avevano iniziato a scavare. Anch’io vi entrai insieme a mio padre. Le esplosioni violente dei colpi sembrava che mi strappassero il cuore, sì mi pareva che mi si schiantasse. Ebbi una paura da morire. Il bombardamento non fu di lunga durata. Fortunatamente la chiesa non fu colpita altrimenti ci sarebbe stata una strage, considerata ch’era piena di tanti sventurati. Fra le case di Giustagnana morì in soldato americano rimasto fulminato da un colpo di mortaio che gli esplose sotto i piedi. Sul giovane corpo senza vita, un suo commilitone distese una coperta. Durante l’esplosione dei colpi di mortaio rimase ferita da schegge ad una gamba la mia mamma che insieme ai miei fratelli, alla sorellina e mia nonna, si trovava davanti alla casupola, a metà strada fra Giustagnana e Fabiano, dove la mia famiglia si era rifugiata, dopo avere trascorso un breve periodo all’interno della chiesa piena di sfollati che non trovarono una migliore sistemazione. Non poteva più camminare. Furono i soldati statunitensi della Croce Rossa a medicarla. Mio padre provvide a trasportarla sulle spalle in un fondo al centro del paese, adibito a ripostiglio di attrezzi agricoli e subito dopo vi portò anche mia nonna che aveva un caviglia gonfia che non la faceva più camminare. In quelle condizioni in mezzo a due fuochi, da una parte degli alleati e dall’altra dei tedeschi si capì che in quella zona non potevamo più restare, anche perché ci mancava il cibo quotidiano. Così il mio babbo, dopo qualche giorno, mi disse: “ Renato, dovresti andare a Capezzano Pianore dove sono sfollati i nonni per sapere se anche noi possiamo trovarci un rifugio”. “Senz’altro babbo”, risposi. Nella giornata successiva mi unii ad una coppia di sposi con una piccola figlia, che avevano deciso di scappare anche loro da Giustagnana.Ricordo che i due coniugi prima dello sfollamento gestivano a Seravezza un negozio di articoli di profumi situato all'angoo di via Roma, prooprio davanti al munumento ai Caudti sito nella centrale piazza Carducci.  Dopo qualche ora di cammino, percorrendo la mulattieria che c’era allora per arrivare a Gallena e poi il tratto finale del sentiero per valicare il monte Ornato, affrontammo la discesa per arrivare a Valdicastello. Devo dire che prima di arrivare sulla cime del Monte Ornato,  vidi dei muli condotti dai soldati chiamati badogliani, del ricostituito Esercito italiano, che scendevano il sentiero con molte difficoltà. Sul basto avevano cassette di viveri e munizioni destinate al grande magazzino che era stato costituito in un edificio a Valventosa, all’inizio della mulattiera che avevamo appena percorso. Da quel posto poi venivano distribuiti alle truppe alleate operanti a Seravezza e nei dintorni. Quando si arrivò nei pressi di Capriglia, la coppia si fermò per mangiare qualcosa che tenevano in un fagottino. Io non avevo proprio niente per nutrirmi. Fu la bambina che mi portò una boccata di focaccia, mentre stavo seduto su un muretto un po’ distante da loro. Con questa coppia arrivai fino a Valdicastello dove nacque il grande Giosuè Carducci. Li si fermarono i miei compagni di viaggio, mentre io ripresi la mia marcia. Al centro del paese vidi alcune batterie di cannoni americani che sparavano in continuazione proiettili diretti su tutto il crinale del Monte di Ripa, dove i tedeschi si erano fortificati. I serventi erano soldati di colore. La linea difensiva tedesca comprendeva zone a partire, dalla Rocca sopra l’antica Corvaia, fino alla cima del monte Canala, del Castellaccio e del Fogorito, tutte località delle alture intorno al monte di Ripa. Bersaglio delle cannonate furono anche il Pelliccino e il Colle del retrostante monte, sopra Seravezza. Nella zona nei dintorni di Strettoia, chiamata Metati Rossi, vicina alla trincee dei tedeschi, vi erano terreni ubertosi con tante vigne coltivate dalle famiglie su ripidi pendii. Da secoli, tutta la gente che li abitava aveva il cognome Sacchelli. In quella zona veniva prodotto un ottimo vino, che bevve anche Michelangelo quando nel 1518 si trasferì per tre anni a Seravezza per sfruttare le cave di marmo dello statuario del Monte Altissimo, con il quale scolpì, secondo la leggenda, i suoi capolavori. Proprio nella zona dei Metati Rossi, che faceva parte, in quel tempo, della curia di Querceta e della comunità di Pietrasanta, l’8.9.1858 nacque Antonio Sacchelli di Nicola e di Erminia Giannini. Antonio emigrò in Brasile, con la moglie di origine laziale e quattro piccoli figli, il 30 ottobre 1895. Da lui discende l’attuale grande famiglia imprenditoriale dei Sacchelli brasiliani.
Ritornando alle vicende vissute nel settembre del 1944, quando mi staccai dalla coppia con la quale mi ero allontanato da Giustagnana, per raggiungere Capezzano Pianore, con le strade piene di fuggiaschi dalla linea del fronte, mi trovai a camminare, per un tratto, fianco a fianco, con Bandelloni Maggio, un cavatore poeta, autore di belle canzoni cantate a Seravezza durante le feste del Carnevale in cui sfilavano i carri dei vari rioni del paese e di Riomagno, località vicinissima a Seravezza dove lui abitava, prima di trasferirsi al Ponticello in una casa accanto alla mia; quindi lo conoscevo benissimo. Aveva accanto a sé la moglie e le sue due piccole bambine che la mamma teneva per mano. La via era piena di altri fuggitivi. A questa gente che gli camminava a fianco, Maggio,a voce alta, raccontò da dove era scappato. Disse anche di sapere dove si erano trincerati molti soldati tedeschi. Mentre raccontava ciò che aveva visto nella zona dove sorge l’antica pieve di San Martino alla Cappella del comune di Seravezza (costruita tutta in marmo prima dell’anno 1000), si passò davanti ad un edificio ubicato poco sotto Valdicastello, occupato dai soldati brasiliani. “Glielo voglio dire a questi soldati dove stanno i tedeschi”, ecco cosa esclamò, prima di richiamare la loro attenzione perché fosse ascoltato. Ricordo che si avvicinò ad un soldato che insieme ad altri suoi commilitoni era di guardia davanti all’edificio occupato dagli stessi. L’uomo bene in carne, aveva un corpo robusto e un bel viso. Sicuramente doveva conoscere assai bene l’italiano, chissà forse anche lui era figlio di qualche emigrante della nostra terra. Vidi che ascoltò Maggio con molta attenzione e subito dopo lo fece entrare dentro l’edificio per farlo parlare col suo comandante. Io continuai la mia marcia per giungere a Capezzano Pianore. Fu questa l’unica volta che vidi nel 1944, i soldati brasiliani in Versilia. Seppi poi che dalla Versilia le truppe brasiliane furono avviate nel bacino del Serchio per affrontare i tedeschi sul fronte garfagnino della Linea Gotica. Dal libro “Versilia Kaputt”, uscito nel 1995, scritto da Giorgio Giannelli per trenta anni giornalista parlamentare e autore di numerose pubblicazione sulla storia della Versilia, dal 1920 e fino ai nostri giorni, e per quasi quaranta anni direttore del periodico mensile Versilia Oggi, di cui sono un collaboratore dal 1982, appresi che il 26 settembre 1944, dopo cinque giorni di aspri scontri un plotone brasiliano della 2^ compagnia del 6° reggimento al comando del maggiore João Carlos Gross, arrivò sotto la vetta del monte Prana, considerato un obiettivo importante. Nei duri scontri con i tedeschi, i brasiliani combatterono valorosamente. Purtroppo ebbero cinque morti e 17 feriti.
Il 27 settembre 1944 pattuglie brasiliane si spinsero in direzione di Stazzema, del monte Procinto e del monte Piglione, mentre il monte Croce, il passo delle Porchette ed il monte Matanna furono occupati dai partigiani, i quali riuscirono a catturare diversi tedeschi che furono poi consegnati ai soldati brasiliani..
Il 29 settembre 1944, la terza compagnia del 8° reggimento brasiliano, nonostante la durissima resistenza dell’artiglieria tedesca, raggiunse la linea offensiva tra Stazzema e Fornoli.
E cosi sui monti più belli della Versilia e forse anche d’Italia,come a me sono sempre apparsi e tali considerati anche da un corrispondente di guerra statunitense, i soldati brasiliani combatterono valorosamente, insieme alle altre truppe alleate ed ai nostri partigiani, per aiutare il popolo italiano a riconquistare la libertà.

domenica 1 agosto 2010

Acqua di mare per cucinare

Con sorpresa ho letto l'articolo “Tendenze: cucinare con l'acqua di mare” scritto da Simona Marchetti sul Corriere.it. Si parla dell'idea che ha avuto il signor Andi Inglis, (già funzionario delle Nazioni Unite,ed ora impegnato nel lavoro part-time al dipartimento per lo Sviluppo internazionale), di raccogliere, filtrare e imbottigliare acqua del mare dell'isola di Bemeray delle Ebridi in Scozia, utilizzandola per la cottura di pesce e di crostacei. Questa pratica renderebbe i cibi particolarmente saporiti.
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L'ispirazione il signor Inglis l'avrebbe avuta da una ricerca di scienze fatta da sua figlia a scuola. L'acqua di mare raccolta , dopo la sua filtrazione per eliminare ogni traccia di sabbia e sporcizia , viene raccolta nella cisterna di Dumbar. Si tratta di un provvedimento semplice ma ben accurato.Dopo le necessarie analisi per avere la certezza sugli standar previsti per l' acqua potabile, viene poi lasciata decantare in una botte uguale a quella per il vino. Alla luce dei primi risultati effettuati mister Inglis si è detto convinto che una zuppa di pesce o una salsa di crostacei innaffiate con acqua di mare avrebbero davvero un altro sapore.

Ne ha parlato di questa sua scoperta con famosi chef ed altri esperti della cucina i quali lo hanno incoraggiato a imbottigliare e vendere questa acqua da utilizzare per la cottura del pesce o per spruzzarla sull'insalata. L'ha messa quindi in vendita a 4,95 sterline, quasi sei euro per un contenitore di tre litri. Questo sorprendente business è anche un modo per dare un impulso alla economia delle isole Ebridi. Il Noma di Copenaghen, è stato eletto recentemente il migliore ristorante del mondo, fra i piatti più sfiziosi ha gli scampi cotti in acqua di mare. Lo chef Tom Kitichin del ristorante di Edimburgo “Stella Michelin”, si è detto assai attratto dalla utilizzazione dell'acqua di mare che oltre a dare un ottimo sapore ai piatti di pesce ne garantisce anche la freschezza..

L'articolo accenna anche ad altri ingredienti insoliti per rendere più saporose diverse ricette. Questa bizzarra curiosità mi ha fatto venire in mente che durante il tragico sfollamento ordinato dai tedeschi nell'estate del 1944, molti versiliesi andavano a Forte dei Marmi per prendere l'acqua del mare da utilizzare in sostituzione del sale che non si trovava più. Quando mangiavo pomodori, sui pezzi tagliati, ci versavo un po' di acqua di mare che tenevo in un fiasco. Una ragazza da me chiamata l'Angelo biondo, di cui ho parlato recentemente su Versilia Oggi fu catturata dai tedeschi mentre, in compagnia della madre, di una zia e di altri ragazzi e ragazze, proprio mentre era in cammino per andare a prendere la “preziosa” acqua di mare. Fu imprigionata e nella notte tentarono di violentarla, ma lei si oppose, Tentò anche di fuggire, ma quei quei barbari soldati non ebbero alcuna pietà, fu ripresa e spietatamente uccisa..

Mi fa un certo effetto sapere oggi che una pratica che un tempo era di mera sopravvivenza - usare l'acqua di mare per “condire” i
cibi - sia diventata una moda che appassiona alcuni fra i più gettonati e “stellati” chef di fama internazionale.
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