giovedì 29 luglio 2010

Amo ancora parlare di Lorenzo Tarabella.

A quarantaquattro anni appena compiuti, morì Lorenzo Tarabella. Era nato a Malbacco il 23 dicembre 1927.
Si tolse la vita nel pieno della vigoria fisica e intellettuale, lasciando nel pianto e nello sgomento. la sposa, i suoi familiari e parenti e tanti amici seravezzini che lo stimavano e gli volevano un mondo di bene. Come il padre e i fratelli andò a lavorare sulla cava, perchè come scrisse nella sua poesia del 1957 “Canta cuore”: . “Io non studiai abbastanza/ i figli degli operai non possono studiare abbastanza...”. Passò gli anni della sua giovane vita sulla cava intorno a blocchi di marmo da squadrare. Aveva i muscoli e le mani di acciaio e la subbia, sotto i tremilacinquecento colpi inferti da lui ogni giorno col mazzolo, sprigionava scintille in continuazione, tant'è vero che la sera il carrello era pieno di scaglie da buttare giù nel ravaneto. A casa nelle ore del riposo,inzuppava il pennino nell'inchiostro, per esprimere, in modo magistrale, i suoi pensieri, le sue gioie e i suoi dolori. Dalle forti emozioni , vissute fin da bambino nella sua povera casa di Malbacco, poi durante gli eventi bellici che insanguinarono anche la Versilia, in cui perse la vita anche un suo fratello, infine dalla fatiche sopportate “Nell'inferno della cava”, per guadagnare, con un dispendio di energie sovrumane, il magro salario necessario per sopravvivere, nascono le sue opere che inducono tutti gli uomini, buoni e giusti, a riflettere non solo sulle bellezze della natura, ma anche sulle ingiustizie di una società crudele che sin dall'antichità ha sempre reso ancor più difficile l'esistenza della gente più povera. Il suo primo paio di scarpe l'ebbe quando aveva 10 anni. Nella poesia intitolata “Scarpe” ha scritto.” La Befana gli portò le scarpe :/brutte chiodate e grossolane./ Sul volto triste dei genitori/ passò il sorriso di un bimbo / che scalava montagne inaccessibili. / Le rigirò tutta la sera, / le tolse, / le mise, / gli contò i chiodi. /Volle portalle persino sul canterano, / per rivederle / prima di addormentarsi. / Si svegliò a mezzanotte. / E quando venne il sole,/ e le povere donne trepidarono nascoste dietro ai vetri/ guardando il proprio figlio, / lui corse fuori e si trovò sull'erba bagnata di rugiada. Allora se le tolse, / le mise a cavalcioni sulle spalle / e camminò cosi, / per non sciuparle.”  C'era miseria nelle famiglie dei cavatori negli anni in cui Lorenzo era bambino, mentre le loro spose erano in preda alla disperazione non sapendo cosa mettere a cuocere nella pentola: Queste drammatiche situazioni l'ho vissute anch'io, perchè anche mio padre, in quegli anni, lavorava su una cava del Trambiserra, forse nella stessa dov'era occupato anche il babbo di Lorenzo.Meno male che allora i bottegai davano a credito i cibi alimentari che i lavoratori pagavano quando prendevano la quindicina. Usciva di casa “mi pà” che era ancora buio, e così anche lui vedeva “ Rubini, nella notte gelida le stelle...”, come ha scritto, Lorenzo nella sua bellissima poesia intitolata “ I cavatori”- Calzava, mio padre, come tutti i cavatori, gli scarponi chiodati “e pòe data 'n'occhiata al célo per guardà com'era 'l tempo” chiudeva l'uscio per raggiungere Malbacco. Poco sopra questa località attraversava pericolose passerelle ballerine fatte con fili di ferro e pioli. Giunti aldilà del fiume percorreva irti sentieri tra boschi e ravaneti, all'alba era già sulla cava. Ricordo quando sia io che mio fratello Sergio gli lucidavamo i suoi scarponi chiodati con la sciugna,si gareggiava a chi riusciva a farle più brillare. Durante il periodo dello sfollamento, anche lui come me, era tutti i giorni in giro per i campi per cercare pannocchie di granturco e quant'altro da mangiare. Il 12 agosto 1944, nella piana di Pietrasanta, fu fermato da un tedesco che lo fece passare dopo avergli detto ch'era alla ricerca di cibo. Posando lo sguardo sui monti sopra Valdicastello, notò il fumo che si sprigionava dalle case bruciate dai tedeschi a S.Anna di Stazzema, dove quella mattina fu commessa la più spaventosa strage di innocenti in Italia.
Ho già parlato del successo che ebbe la pellicola cinematografica “ Il cavatore, diretta da Sirio Giannini, suo grande amico, tratta da un racconto di Lorenzo Tarabella, ed anche del suo libro intitolato “ E' troppo presto”, pubblicato postumo per volere dei suoi amici della Pro – Loco di Seravezza. Prima di morire stava lavorando intorno alla riduzione cinematografica di un altro suo racconto, intitolato “ La Capra”. Mi sembra bello riportare alcuni pensieri espressi dal maestro Narciso Lega nella sua straordinaria prefazione al libro di Lorenzo.Ecco le sue parole: “ La sua vena poetica è pura e vergine, forte e possente come l'ambiente naturale in cui lavora, decisa come la gente che vive la sua stessa grama vita, temprata come l'acciaio di cui si serve per cavare e squadrare il marmo”...”.
Questo libro mi è molto piaciuto, in quanto i versi poetici e i racconti di Lorenzo Tarabella, affiorano dalla profondita del suo “Io”. Dalla lettura della sua poesia , scritta nel 1957,intravedo i segni premoritori del suo tragico destino. Lassù sulla cava, col sudore che gli colava copioso dalla fronte e col freddo pungente pensò alla morte. Ecco cosa scrisse in questa poesia intitolata “ I  LORO SOGNI “ Sognano verdi alberi/ e fontane che cantano nella gola riarsa./ / Nei loro volti è il martirio. / E il sole arde./Un sole di mille soli che arde/ riflessi spietati contro bianchi marmi,/ contro i poveri occhi tormentati; / contro spalle lucide sconsolatamente ricurve: E le fontane cantano. E la cava è un inferno./ E le leve scottano, / i martelli diventano grevi,/ e il duro marmo più restìo. / E la volontà si spezza nell'intimo, / lacrime e sudore si confondono/ in un tragico odio che trabocca,/ che uccide la ragione.A che valsero i figli! Oh! Odiano!/ Odiano il giorno che li vide nascere, / odiano i baci della prima notte di matrimonio, / odiano, padri, madri, / il mondo che li circonda. / Se stessi. / Il sole arde./ Morte! / Oh morire! Ecco il sogno più bello; / la nera , dolce, gelida, silenziosa morte,/ l'eterno agognato riposo, / la fresca terra di sempreverdi cipressi./ 1l sole arde. Un sole di mille soli che arde./ E la cava è un inferno. / A sera, / quando un sorriso aspetta la parola/ e un bambino che dorme è commozione, / la volontà ritorna: / domani lotterà, / domani è un altro giorno, / e un altro, e un altro”.
No! Lorenzo no!, non dovevi lasciarci così.

martedì 27 luglio 2010

Ricordo del seravezzino Tampì.

Ricordo del seravezzino Tampì.

La bella storia raccontata da Leda Quintavalle Falasca inititolata “Tampì: l'uomo e Il gattino”, pubblicata tempo addietro su Versilia Oggi mi fece ritornare alla mente l’unica volta che parlai con “Tampì” caratteristico uomo di Seravezza. Ciò avvenne in occasione di una licenza che trascorsi a Seravezza nei primi Anni 50.
Durante una tarda serata autunnale con le vie bagnate dall’umidità e con una cappa di nebbia che si abbassava sui tetti delle case, incontrai a Seravezza l’ amico Rolando Verona, che fu mio vicino di casa quando la mia famiglia abitava all’Uccelliera. Ricordo che mi invitò a seguirlo giù nel fiume nei pressi del ponte della Passerella nelle vicinanze della caserma dei carabinieri, perché doveva parlare con Tampì che stava pescando a mazzacchera.
Lo accompagnai. Scendemmo nell’alveo dove vedemmo subito un uomo seduto sulla riva piena di sassi e con la lenza in mano intento a pescare le anguille, accanto a sé teneva un ombrello. Era Tampì, un uomo anziano e canuto. Ci accolse con un sorriso e con molta festosità. Non ricordo le parole che si scambiarono Tampi e il mio amico Rolando.  Rimase impresso nella mia mente soltanto cosa Tampì disse a me. Mi parlò, incredibile a dirsi, dell’amore fra un uomo e una donna. Con mia grande sorpresa, ebbe parole incoraggianti nei miei riguardi facendo riferimento al tipo di ragazza che avrei dovuto conoscere e con la quale poi convolare a giuste nozze. In quel tempo non ero neppure fidanzato. In sostanza, vista la mia figura fisica, sicuramente offuscata dall’oscurità della sera che certamente ingannò il suo giudizio nei miei confronti, mi disse che potevo aspirare ad un matrimonio con una ragazza ricca e bella.
Non avrei mai pensato che mi dicesse queste cose tra il gorgoglio delle acque che scorrevano lungo il letto del fiume, considerato che conoscevo questo uomo soltanto di vista e che era la prima volta che parlavo con lui, del quale neppure conoscevo il suo nome e cognome. Di cercare poi una ragazza ricca con la quale convolare a nozze non mi era mai passato per la mente. Nel segreto del mio cuore, il pensiero che avevo in quegli anni della mia giovinezza, era quello di conoscere una ragazza ardente, bella, brava e onesta cose davvero non poche e di alto valore. Un ragazzo sopravvisuto ai patimenti dell'ultima era una fortuna se avesse trovato una ragazza, come innanzi descritta. Per la somma di queste qualità doveva essere una ragazza eccezionale. Ecco il mio tipo di donna che ho poi ho trovato e sposato a Seravezza nel febbraio del 1959, più di 50 anni fa. Durante una conferenza che si svolse nel salone della Misericordia di Seravezza negli anni 90, l’indimenticato Mauro Barghetti, ricordò con piacere alcuni aneddoti riguardanti la divertente persona che fu il seravezzino Tampì che da giovane andò a lavorare in Francia. Dopo quell’incontro che ebbi con Tampi sul fiume non lo rividi più.

domenica 25 luglio 2010

Nella Seravezza della mia fanciullezza non mi ci riconosco più

Mesi addietro ho letto la e-mail che ha inviato il segretario della Lega Nord di Stazzema,signor Mauro Battistini, a Giuseppe Vezzoni che cura l'appassionata Libera cronaca del giornale che non c'è, nella quale parlò della recinzione del monumento ai Caduti di Seravezza,fatta in ferro battuto che da qualche anno è stata tolta e nessuno sa o dice che fine ha fatto. La ricordo anch’io quella recinzione intorno alla quale, durante il regime fascista, i balilla montavano la guardia in occasione delle grandiose ricorrenze, tra le quali ricordo quella della vittoria dell’Italia nella grande guerra del 1915/1918.
Debbo dire che ho sempre pensato che questa recinzione fosse stata tolta per allargare la piazza Carducci per avere più spazio per il parcheggio delle autovetture. Confesso quindi di non aver mai pensato ad altri motivi per i quali questa recinzione era stata eliminata. Era un pezzo da museo quindi doveva essere comunque conservata. Dov’è finita?
Nella Seravezza della mia infanzia non mi ci riconosco più. Tante cose sono cambiate, a cominciare dell’abbattimento parziale di una parte delle case del nostro capoluogo da parte degli uomini della Todt, tra le quali c’era, al rione Ponticello, anche la casa dei miei nonni materni dove io nacqui. Nell’immediato dopoguerra sparì il campo sportivo sulla cui area furono costruite le piccole abitazioni dall’UNRA – CASA. Dopo qualche anno non vidi più i due leoni scolpiti in marmo colorato che c’erano accanto al cancello d’ingresso della Casa del Fascio, spariti insieme all’edificio che fu demolito per costruire su quell’area un edificio scolastico. Intorno a questa due statue di leoni, tanti ragazzi come me ci hanno giocato, mettendosi su essi a cavalcioni. Negli anni 50 o 60 è sparita anche la bella fontana di marmo che c’era nei pressi del Pontenuovo davanti al bar della Teonia, allora ivi esistente. Tempo addietro ho visto demolire la pavimentazione del marciapiedi lungo la centrale via Roma che quand’ero ragazzo fu costruita con il cocciame che ora è stato sostituito con gettate di altro materiale. Quando dopo cinquant’anni ebbi modo di rimettere i piedi nella scuola elementare di Seravezza, notai che sulle pareti interne dell’edificio e lungo le scale, non c’erano più i rivestimenti di lastre di bardiglio lucidate, murati quando era direttore didattico Giuseppe Masini. Ma perché mi domandai e ancora me lo domando, sono state tolte queste lastre di marmo pregiato, in sostituzione delle quali, hanno usato tinteggiature, senz’altro costose, con vernici a smalto, delle quali non c'era alcun bisogno se tutto fosse rimasto al suo posto. I rivestimenti in marmo sulle pareti interne della scuola fu un’opera che fece portare il fiore all’ occhiello del Masini.
Questa continua azione demolitrice di opere del passato è un fatto incredibile, per pudore non uso altre aggettivazioni. Le lastre di bardiglio della scuola lì dovevano rimanere, come pure la bella fontana tutta di marmo del Pontenuovo non doveva essere demolita.
Peccato che uomini che dovevano tutelare il patrimonio anche delle belle arti, appartenente all’intera Comunità abbiamo disatteso questo loro dovere primario.

sabato 24 luglio 2010

Ricordo di Raffaello Castellacci

Tempo addietro è deceduto a Empoli, dove da poco tempo si era trasferito nella casa di suo figlio, per ricevere l'assistenza di cui aveva bisogno a causa delle sue gravi condizioni di salute, il fortemarmino doc Raffaello Castellacci. Nato nel 1925, frequentò le scuole professionali tecniche a Pisa. Nel dopoguerra e fino ai primi anni 70 collaborò a diversi quotidiani. Fu corrispondente locale de “il Tirreno” di Livorno e del “Giornale del Mattino” di Firenze. Per molti anni é stato un attento e bravissimo funzionario del Comune di Forte dei Marmi. In età matura rivelò di essere un sensibile poeta, sia in dialetto versiliese che in lingua italiana. Fu premiato a Fucecchio, a Empoli ed al concorso di poesia dedicato alla memoria del grande poeta versiliese Silvano Alessandrini, fu più volte finalista alla “Tavolozza di Carnevale di Viareggio”. Ero presente alla cerimonia quando nel mese ottobre del 1987 presentò a Pietrasanta , Centro culturale della Versilia, il suo libro di poesie “Gocce di Sabbia”, edito dalla Ibiskos Editrice di A. Risolo – Empoli. Erano presenti tanti noti personaggi della cultura versiliese, tutti suoi amici tra i quali anche l'allora presidente pro tempore della Accademia della Rocca Vittoriano Orlandi e il primo presidente fondatore di tale Accademia Alfredo Graziani. C'era anche l'amico Giorgio Giannelli direttore per moltissimi anni di Versilia Oggi. Insomma fu una gran bella cerimonia caratterizzata dall'originale intervento del Giannelli che diede una impronta molta gioiosa alla bella festa.

La poesia del Castellacci è bella. Tocca il cuore degli uomini ardenti che amano la vita. Sono struggenti i suoi ricordi della giovinezza vissuta sul “Mare di Versilia”, come si rileva dai seguenti suoi versi: Se tu mi accogli un attimo soltanto, / o mare di questa /mia terra di Versilia /
fermerò la tua immagine/ colorita di sublimi/sapori. /E la vela,/gonfia di maestrale,/ che conduce in silenzio/la barca bianca/ seminando cristalli/sarà la tua/veste fiorita,/mentre il granchio / timoroso,
trascinato/dalla spumosa risacca,/ insabbierà la paura/ chiudendosi alla luce/ del tramonto. / Poi, sul tuo ondulato,/ azzuro tessuto,/ galleggeranno gli echi/ dorati di amori/vissuti nel livido/ biancore/ di lune d'agosto.
Aveva fame di libertà e per per questa sua fame scrisse: “Accovacciato/ sui freddi lastroni,/irrigiditi/ come letti di morte; /mendico giustizia;/gridando la mia/insaziabile/ fame di libertà./ Chiedo un pane d'amore, / ma il lamento, inudito;/si tramuta, ora, /in un grido di rabbia!”
.
Concludo coi versi della poesia “Gocce di sabbia”: Costruivo castelli, /fantastici spettri di gioia,/grondando gocce/ di sabbia /dalle mani congiunte. Ma nulla è rimasto.../gocce di lacrime/ cadono /nei palmi scolmati/d'adoloscenti ricordi!/.

Nel suo libro ci sono altre sue 29 poesie; a mio parere tutte bellissime.

Chi scrive conobbe Raffaello tanti anni fa a Vittoria Apuana nella casa di Biagi Mansueto, il babbo di mio cognato Giuliano, autore di un libretto incredibilmente bello, scritto a più di novant'anni di età, intitolato i “ I ricordi di un versiliese nato povero”. I due uomini erano molto amici, spesso andavano a pescare insieme fin sul fiume Magra.

Il mondo di Otaner - quinta puntata

– Missione compiuta –

Le navicelle spaziali incaricate delle missione antidroga sul pianeta Terra hanno comunicato alla centrale operativa in collegamento costante con Otaner, di essere pronte a iniziare l’intervento a loro affidato. Così Otaner ha comunicato agli Aurixini la data e l’ora della partenza delle formazioni che dovranno raggiungere la terra per compiere l’importante missione a loro affidata. La notizia ha davvero destato molta soddisfazione in tutta la popolazione degli extraterrestri che in massa si è ritrovata davanti agli schermi televisivi per assistere a questa storica partenza che avverrà dalle basi satellitari delle navicelle spaziali, stazionanti nell’orbita lunare, già raggiunte dopo un fantastico volo che ha richiesto opportuni scali sulle basi intermedie interplanetarie,in mezzo a stelle lucenti, mondi ancora sconosciuti e asteroidi, avvistati ed evitati con speciali strumenti astronomici. Sugli schermi televisivi si sono visti gli equipaggi con indosso tute speciali, mentre salivano sulle navicelle spaziali. All’ora prevista è apparso, in fondo alla pista, un raggio laser verde e subito sono stati accesi i motori, già riscaldati da pochi minuti In un baleno i dischi volanti sono decollati scomparendo immediatamente nello spazio infinito. Subito sono stati accesi i dispositivi di comunicazione tra il personale della base ed i comandanti di ciascuna navicella spaziale. Si è sentito uno scambio di voci segnalanti la regolarità del volo intrapreso.In poco tempo, e precisamente allo scattare dell’ora notturna programmata, gli obiettivi, bene evidenziati sulle carte di volo, sono stati raggiunti e subito irrorati con micidiali sostanze che renderanno il terreno non più idoneo alla coltivazione delle piante dalle quali l’uomo estrae la droga. Laddove l’avvistatore ultraelettronico ha segnalato la presenza di terrestri che vigilavano, addirittura anche armati, sia all’interno che all’esterno delle piantagioni, è stata lanciata una polvere nebulosa e narcotizzante che li ha posti immediatamente in uno stato di letargo. In poco tempo l’operazione è stata portata a termine sulla parte della Terra non illuminata dal giorno. A questo punto, simultaneamente i dischi volanti si sono alzati nel cielo per ritornare alla base stazionante intorno alla Luna, per la preparazione del secondo attacco conclusivo, avvenuto regolarmente qualche nottata dopo, sull’altra parte della Terra, non invasa durante il primo attacco, approfittando sempre del buio notturno. Nessun terrestre ha visto alcunché, e quando gli addetti ai lavori, si sono ridestati dal letargo non riuscivano a capire cosa era successo nel momento in cui hanno visto tutti i campi con le piantine secche e la droga già confezionata e in parte caricata su autocarri per essere immessa sul mercato clandestino, o ancora depositata nei capannoni a margine delle coltivazioni, tutta carbonizzata.. “Dall’alto è arrivata la mano di Dio per porre termine all’uso criminale delle droga che uccide” Ecco la voce che si è propagata sulla Terra di fronte a questo fenomeno inspiegabile , avvenuto su tutti i terreni adibiti alle illecite coltivazioni. Intanto grandi festeggiamenti sono stati riservati agli equipaggi dei dischi volanti rientrati tutti felicemente sul loro pianeta, dopo la trionfale missione compiuta sulla Terra senza alcun spargimento di sangue.
Otaner immediatamente intervistato dagli organi dell'informazione, t.v. e carta stampata, ha espresso il suo compiacimento per la perfetta riuscita di questa operazione, a proposito della quale ha sottolineato che ora bisogna vedere cosa penseranno di fare gli uomini interessati a questi traffici illeciti. Continueranno oppure decideranno di operare nel pieno rispetto delle leggi vigenti in ogni stato del mondo per porre finalmente termine allo spaccio di sostanze stupefacenti che uccidono l'uomo?
A chi lo intervistava ha fatto capire che i terrestri, dediti a questi traffici, ben difficilmente smetteranno. A costoro interessa soltanto il denaro.
L'invio di navicelle spaziali nello spazio infinito del cielo per raggiungere la Terra avvenuto nel primo anno dell'era interstellare, rimarrà un data data storica che sempre sarà ricordata sui libri delle scuole di Aurix.

martedì 20 luglio 2010

L'ANGELO BIONDO (Numero due)

“L'Angelo Biondo” è anche il titolo del mio primo racconto che fu pubblicato, ventotto anni fa, su Versilia Oggi del mese di novembre 1982.
Narravo le sofferenze patite dagli abitanti di Seravezza, dei paesi vicini e della moltitudine di gente che aveva trovato rifugio nel nostro territorio durante il periodo dello sfollamento ordinato dai tedeschi nella tragica estate del 1944.

Parlavo anche di una ragazza sfollata da la Spezia sui monti di Seravezza: si era opposta alla violenza dei suoi carnefici e fu martirizzata. Nel periodo precedente l'avevo vista nelle vie del centro urbano, dove la sua famiglia era sfollata prima di rifugiarsi a Giustagnana. Era una ragazza alta e bellissima, aveva i capelli biondi ed un viso tondo e sorridente. Non dissi che colore avevano i suoi occhi non avendola mai vista da vicino. Non conoscevo neppure il suo nome che me lo rivelò Timante Iacopi, un uomo buono e mite di Seravezza che conoscevo da tanti anni che aveva letto il mio racconto. Oltre al nome mi disse anche che la ragazza uccisa era una sua cugina che si chiamava Luciana.

Questa giovanissima la incontrai una mattina nei pressi di Ripa in compagnia di altre donne, ragazzi e ragazze: con delle borse in mano piene di fiaschi mentre camminavano in direzione della marina di Forte dei Marmi. Andavano a prendere l'acqua del mare che in quel periodo veniva utilizzata in sostituzione del sale che non si riusciva più a trovare. Io camminavo in direzione opposta per fare ritorno a Giustagnana, dove anche la mia famiglia aveva trovato rifugio. Ero contento per avere trovato diverse pannocchie di granturco in un campo dove era appena stato effettuato il raccolto.

Non la rividi più quella ragazza. A Giustagnana seppi che i tedeschi che l'avevano catturata tentarono di usarle violenza. Lei si oppose, ma alla fine era fu barbaramente uccisa. Non seppi mai dove i suoi carnefici l'avevano condotta e come si svolsero i fatti.

Nel 2009 ho messo sul mio blog questo racconto, Grazie ad internet, mi sono giunti da Long Island, New York, alcuni commenti. A scriverli erano persone che, nel mio scritto; avevano riconosciuto una loro parente mai conosciuta in quanto uccisa prima della loro nascita.Un commento mi giunse anche da un uomo residente in Italia che mi comunicò che la ragazza uccisa era sua zia che si chiamava Luciana Morelli. Mi disse anche che aveva gli occhi azzurri. Ho risposto a questi messaggi e grazie ad Alexandra Belanich ho ricostruito gli ultimi tragici momenti della vita dell' Angelo biondo.

Alexandra, figlia di Valeria, sorella di Lidia, moglie di Trento, quest'ultimo fratello più piccolo di Luciana, la ragazza uccisa da soldati tedeschi scellerati, in accoglimento della mia richiesta, mi ha fornito, via e mail, le notizie che mi stavano a cuore, così come gliele aveva riferite sua mamma Valeria.

E' così che ho saputo che Luciana, era nata il 18 aprile 1927. Prima di sfollare in Versilia aveva vissuto con la sua famiglia, a Migliarina (La Spezia). Sua mamma di nome Carolina; era rimasta vedova sui trent'anni con quattro piccoli figli Nino, Trento, Giorgio e Luciana. Il 18 settembre 1944, Lidia, la moglie di Trento con la suocera e la figlia Luciana, erano scese giù a Seravezza, dove erano state fermate dai tedeschi perché non avevano con sé il lasciapassare. Lidia con la fede al dito fu subito liberata insieme alla suocera, mentre la ragazza fu trattenuta con la promessa che l'avrebbero rilasciata l'indomani quando i suoi congiunti sarebbero andati a riprenderla con la carta di passaggio.

Debbo dire che di questa “carta di passaggio” mai ne sentii parlare e si che ero sempre in giro nelle campagne della Versilia in cerca di qualcosa da mangiare.

Nella notte i tedeschi ubriachi l'assalirono. Lei tentò di scappare, ma quei criminali la ripresero e l'uccisero. Il giorno dopo le due donne ritornate a Seravezza fecero l'orribile scoperta del corpo di Luciana senza vita. Dovevano ritornare al rifugio prima di sera. La cara Luciana venne seppellita in una piccola fossa scavata con le mani nude. Poi, per nasconderla, la coprirono con dei sassi. Ma chi parlò del tentativo di fuga di Luciana? Fu il comando tedesco a fornire questa versione dei fatti? Ho chiesto con una e mail ad Alexandra e lei, dopo aver consultato la sua mamma, mi ha risposto. Non furono i tedeschi: fu un'altra ragazza, catturata lo stesso giorno insieme a Luciana, a riferire com' era stata uccisa la loro cara congiunta. Questa giovane donna fu trovata vagante nei boschi quasi impazzita e completamente nuda.

Poiché non è stato accennato al luogo dove queste donne furono fermate, credo che questo fatto sia avvenuto quando passarono, di ritorno da Forte dei Marmi, davanti alla villa Henraux, allora chiamata villa Pilli, cognome dell'avvocato seravezzino che l'aveva acquistata qualche anno prima. In questa villa aveva sede un comando tedesco forse delle S.S.. Si sapeva che li erano stati uccisi degli uomini, e quindi proprio in questo fabbricato, penso proprio che sia stata rinchiusa la sfortunata fanciulla. Il bosco dove fu trovata stravolta e quasi impazzita la ragazza che era stata fermata insieme a Luciana, era ed è tuttora proprio davanti alla villa, dove inizia il sentiero che porta all'Uccelliera.

Alexandra lavora come assistente, insegnando ai docenti l'uso del computer e i diversi tipi di software. L'arte e la fotografia sono la sua vera passione. Mi ha inviato una splendida fotografia di Luciana, dicendomi che per lei e la sua famiglia la pubblicazione sarebbe un grande omaggio alla memoria della loro cara.

Nel rivedere davanti ai miei occhi l'immagine di questo “Angelo biondo indifeso” che vidi l'ultima volta nel settembre del 1944 poco prima che fosse catturato dai tedeschi, mi ha molto commosso.

Mi conforta sapere che l'anima di Luciana da tanti anni è lassù in Paradiso dove vive eternamente nella Casa del nostro Padre Celeste, accanto a Santa Maria Goretti, martire della purezza, ed alla schiera infinita di Angeli ed Arcangeli.

sabato 17 luglio 2010

La Versilia rimasta nel mio cuore

Il pomeriggio del 1° aprile del 2001, a Pietrasanta, nel salone Annunziata del Centro Culturale Luigi Russo, ubicato nel Chiostro di S. Agostino, venne consegnato, gratuitamente, agli iscritti alla Sezione “Versilia Storica” dell’Istituto Storico Lucchese ed alle persone intenzionate a far parte della suddetta associazione, l’undicesimo numero del periodico “Studi Versiliesi”, un libro importante per i suoi contenuti, stampato dopo alcuni anni di silenzio, grazie alle energie intellettuali profuse da appassionati studiosi, impegnati, direi da sempre, nella ricerca storica della nostra terra di Versilia.
La manifestazione pietrasantina mi dette l’opportunità di salutare il dottor. Luigi Santini, direttore della Sezione “Versilia Storica”, che non rivedevo dal 1997, ed altri uomini di cultura che avevano tenuto brillanti conferenze presso il palazzo della Misericordia di Seravezza, negli anni in cui il Santini era l’appassionato governatore.
Ricordo sempre il professor Marchetti quando parlava nel salone della Misericordia di Seravezza dei monti versiliesi, con rocce uniche non solo in Italia, ma in tutto il mondo, delle acque purissime e della varietà della nostra preziosa flora. Nella mia mente sono rimaste impresse anche le conferenze tenute dalla signora Sandra Burroni, fantasiosa oratrice che riusciva sempre a trasformarle in autentici spettacoli in dialetto versiliese, per la sua capacità interpretativa di “bizzarre” parole in vernacolo, che strappavano continui applausi a scena aperta.
Sì, le ricordo tutte le conferenze a cui ho assistito perché quanto udivo mi faceva pensare sia alle bellezze della Versilia antica, ricca di boschi, castagni, olivi e di tante altre varietà di piante, con marmi bianchi e policromi, sia ai suoi abitanti che occupavano grotte e capanne ed erano dediti alla caccia, alla pesca ed alla pastorizia, prima di dedicarsi anche all’agricoltura, su terreni strappati alla boscaglia, mediante tecniche primordiali arrivate fino ai nostri giorni.
La Versilia di quei millenni doveva avere un paesaggio eccezionale con i suoi ghiacciai e le aquile che volteggiavano sui picchi più alti.
La sua bellezza, modificata nel corso dei millenni trascorsi, é ancora visibile, nonostante le devastazioni subite, sia dalle ricorrenti alluvioni avvenute nel tempo, sia dalla mano degli uomini costretti, per vivere, a scavare il marmo dai nostri monti stupendi; un lavoro duro e pericoloso, nel corso del quale sono morti tanti operai. Sudore e sangue, ecco, in sintesi, la vita dei nostri avi.
Devo dire che penso spesso alle conferenze a cui ho partecipato a Seravezza, in quanto sono state occasioni importanti che hanno arricchito le mie conoscenze. Ma com’è possibile che cose molto interessanti, siano potute finire così miseramente? Questa è una domanda a cui non sono riuscito a trovare ancora una risposta.
A Pietrasanta parlarono, dopo il saluto porto ai convenuti dal dottor Santini, che, nella circostanza, illustrò gli scopi istituzionale della nostra Sezione “ Versilia storica”. Poi prese la parola la dottoressa Bianca Maria Cecchini, la quale si soffermò sulla storia, il paesaggio, l’architettura della Versilia e sui fondi da reperire, perché la Sezione “Versilia Storica” possa continuare a svolgere la sua attività editoriale.
L’importanza dell’associazione versiliese fu sottolineata anche dal sindaco pro tempore di Stazzema, architetto Lorenzoni, che, nella circostanza, ricordò ai presenti la perdita di tutto l’archivio storico del suo Comune conservato in un edificio del Cardoso, portato via dalla furia delle acque durante l’ alluvione del 1996, ad eccezione di 6 libri del ‘500 che erano conservati presso la sede del Comune, ubicata al Ponte Stazzemese.
Gli storici, presenti alla manifestazione, professori Mario Lenci e Franco Angiolini, posero la loro attenzione sui saggi pubblicati su "Studi Versiliesi”, a cura di Fabrizio Federigi, di Carlo Vivaldi Forti e di Enrico Baldini, nonché le ricerche e le comunicazioni di Sara Sportelli e Lorenzo Marcuccetti, tutti appassionati lavori che esaltano sia la Versilia che la vita dei suoi uomini.
Dalle loro parole emerse che la rivista versiliese riprese il suo cammino per mantenere viva la nostra identità e per impedire che il patrimonio storico della Versilia potesse essere distrutto. É stato posto anche l’accento sulla disciplina della conoscenza del passato, che è possibile acquisire mediante il contributo fondamentale derivante dalla riappropriazione della memoria, riferibile alla vita umana di ogni era.
Il dr. Andrea Tenerini, vice direttore della Sezione, concluse la manifestazione invitando i versiliesi a collaborare alla stesura del prossimo libro “Studi Versiliesi”, sia con propri elaborati che con quelli eventualmente ancora custoditi nei cassetti dei propri avi.
Il 1° aprile di questo nuovo secolo trascorsi un pomeriggio davvero bello e particolare; con gioia mi “ritrovai” ad ascoltare pagine bellissime della storia della nostra Versilia.

l Mondo di Otaner – 4 puntata

Otaner illustra all'Assemblea dei rappresentanti di Aurix il piano di intervento sul pianeta Terra per porre termine alla coltivazione illecita delle piantine dalle quali i terrestri estraggono droghe impiegate per usi non terapeutici. Sono presenti tutte le varie etnie che popolano le molte regioni di Aurix, per ascoltare Otaner, il quale ha ampiamente illustrato il piano studiato per eliminare la produzione di sostanze stupefacenti destinate, per fini di lucro, al mercato illecito che ha già mietuto milioni di vite umane e fatto soffrire coloro che sono alla disperata ricerca di queste sostanze, quando sentono di essere in preda a spaventose crisi di astinenza. Le leggi dei terrestri non riescono a porre fine a questi traffici illeciti, nonostante il continuo impegno delle forze di polizia di tutto il mondo perchè cessi sulla Terra lo smercio della droga che uccide. Dalle parole di Otaner è emerso, in modo inequivocabile, che questa situazione sul pianeta Terra non può essere più tollerata. Otaner accenna anche al grave degrado in cui si trova a vivere l'uomo sul pianeta Terra. Laggiù i terrestri hanno dimostrato altre imperdonibili inefficienze che riguardano milioni e milioni di persone del loro globo che non trovano un posto di lavoro, tant'è che una moltitudine di gente, quando non muore di fame, come avviene nel continente africano, sopravvive in assoluta povertà. Per noi aurixini, sostiene Otaner, il lavoro è fonte di vita. E le classi dirigenti debbono fare tutto il possibile per dare lavoro a tutte le loro popolazioni. L'anziano Otaner ha ripetuto che l'azione predisposta da Aurix ha il solo scopo di aiutare la Terra a risolvere, in modo pacifico e definitivo, la questione droga. Dall'intervento programmato sono stati esclusi quei campi, coltivati da soggetti che destinano la droga al solo uso terapeutico. L'operazione messa a punto sarà eseguita con l'impiego simultaneo di dieci dischi volanti dell'ultima generazione, comandati dal generale Onz. Essi raggiungeranno tutti i continenti della Terra dalla base satellitare collocata intorno alla Luna, la cui distanza massima dalla Terra è di km. 406.720, mentre quella minima è di 356.430 km. E stato così modificato il piano di volo originario che prevedeva la partenza dei dischi volanti dalle zone adiacenti i buchi neri, grazie alle scoperte della scienza dell'ultima ora che hanno consentito la sistemazione di una base satellitare nell'orbita lunare, più vicina alla Terra. Le coltivazioni oggetto dell'intervento saranno raggiunte in pochissimo tempo. Lungo il percorso Aurix – Orbita Lunare, saranno collocate le stazioni satellitari, vere isole dello spazio sulle quali opereranno gli scienziati e tecnici che si occupano dei sistemi di navigazione nell'infinito stellare, per prestare la necessaria assistenza ai dischi volanti durante le fasi di scalo sulle stesse, così come hanno già fatto per raggiungere la Terra nel passato. Dopo aver ribadito che nessun pericolo correranno gli equipaggi dei dischi volanti, opportunatamente selezionati fra coloro che hanno accumulato il maggiore numero di volo negli spazi siderali, Otaner si è detto sicuro dell'esito positivo dell'intervento studiato nei minimi particolari. Questa azione consisterà nell'irrorare con potenti sostanze liquide sia i terreni adibiti all'illecita coltivazione di queste piante e le droghe già confezionate e pronte per essere immesse sul mercato candestino. L'intervento avverrà in due distinte fasi, spiega Otaner, per approfittare del buio della notte, oppure senza esserci il chiarore della luna. Qualora fossero presenti sui luoghi dell'intervento dei terrestri, essi saranno avvolti da nubi polverose che avranno l'effetto immediato di porli in uno stato di letargo, per almeno due ore. In questo modo la missione eviterà la morte di terrestri, nonché qualsiasi forma di violenza nei confronti degli stessi, la cui vita è considerata sacra anche dagli aurixini. L'ordine per iniziare questa operazione,conclude Otaner, sara' impartito quando i dischi volanti saranno pronti ad accendere i loro motori, per spiccare il volo. Otaner termina la sua relazione fra gli applausi di tutti i rappresenrtanti di Aurix.

mercoledì 14 luglio 2010

Mondo infame

Nella bara sommersa di fiori
e bagnata da fiumi di lacrime
di tutti i loro cari
e affranti genitori,
sono racchiusi i corpi di giovani
trucidati a colpi di lupara,.
Sì, parlo dei ragazzi che amavano la vita
che avevano appena spalancato i
loro occhi pieni dì amore;
sul nostro mondo, purtroppo per essi,
vile e vergognosamente infame.
Infame perché sono stati uccisi
da vendette trasversali, senza aver
mai fatto nulla di male.
Cosa vuol dire vendette trasversali?
Non mi riesce capire questa
brutta definizione.
Per questo grido e mi ribello,
urlo ancora e dico basta!
Ma chi mi ascolterà?
Agli uomini criminali e senza cuore,
voglio ricordare uno dei dieci
Comandamenti del Signore: Non uccidere!

Estate 1944 – Sentimenti di pietà manifestati da un soldato tedesco durante un rastrellamento

Verso la fine del mese di luglio 1944, o nei primi giorni del mese successivo, soldati tedeschi effettuarono un rastrellamento intorno alla cima del Monte Canala, esattamente tra il Pelliccino e il Colle, dove la mia famiglia, dopo essere sfollata da Seravezza, si era rifugiata in un metato di proprietà di un fratello di mio padre.
Ricordo che lasciammo la nostra casa del Ponticello di Seravezza di sera tardi. Arrivammo nella casa dei miei zii del Pelliccino che era già buio. Ci fermammo per un tempo brevissimo e subito si raggiunse il metato, nel quale mio padre, qualche giorno prima aveva messo molto rusco per poterci dormire sopra. Personalamente ebbi dei presentimenti funesti per quanto riguardava lo sviluppo delle operazioni belliche in Versilia quando, qualche pomeriggio prima, vidi passare da Riomagno folte schiere di soldati tedeschi che cantanto, procedevano in direzione di Seravezza. Ricordo che il loro passaggio mi procurò un grande sgomento. I loro canti? Mi sembrarono ululati di guerra, ecco cosa mi parve di udire.Anche sul crinale del Monte di Ripa, dalle rocce sopra Corvaia e fino al Folgorito la presenza delle truppe tedesche si faceva sempre più numerosa. Ricordo che per diverse sere, un giovane soldato tedesco raggiungeva il nostro metato mettendosi a parlare con me e mio fratello Sergio. Si vedeva che provava piacere a parlare con noi anche se avevamo molte difficoltà a comprenderlo. Quel giorno in cui fu effettuato il rastrellamento non mi ero allontanato dal metato, dove la mia famiglia viveva in condizioni disperate. Era una bella giornata come spesso lo sono state in quel periodo tormentato. Il sole filtrava tra le foglie dei castagni sotto i quali aspettavo coi miei fratelli e la sorellina, nata due anni prima, il ritorno dei genitori che di buon ora erano andati in cerca del solito cibo. Potevano essere le dieci, comunque era prima di mezzogiorno, quando vidi, in lontananza, mio padre correre lungo il sentiero che dal Pelliccino conduceva al metato. In breve tempo ci raggiunse, era tutto sudato e visibilmente preoccupato. Faticava a parlare, aveva il fiato grosso. Se ben ricordo disse: “ I tedeschi stanno facendo un rastrellamento, prendono tutti gli uomini che trovano: Presto ragazzi, entrate nel metato e mettetevi a pulire i patatini”. Mi assalì una grande paura: Portare via il babbo? Ero davvero terrorizzato, ma non c'era tempo per chiedere altri particolari. Presi per mano la sorellina e seguito dai mie due fratelli più piccoli, entrai nel metato. Misi al centro del rusco, il paiuolo ed il sacchettino dei patatini, presi un coltello e, dopo essermi seduto, iniziai a sbucciare i patatini. Così fecero i mie fratelli, la sorellina e anche mio padre, il quale nel frattempo, si era avvolto un asciugamano ad una caviglia. In assoluto silenzio attendevamo l'arrivo dei tedeschi, seduti sul rusco, sul quale ogni sera si stendeva il materasso di lana, sul quale si dormiva tutti e che ogni mattina veniva steso al sole perchè si riscaldasse, per non farci sentire l'udimità della notte. Nel metato non c'era alcun oggetto di arredo, il muro a secco, il tetto di piastroni e la porta sgangherata davano un'idea dello squallore estremo che ci cirrcondava. Non passo moltò tempo quando sentimmo un rumore di passi che si stavano avvicinando come purtroppo temevamo.Ad un tratto la stanza si fece più buia. qualcuno di era fermato sulla porta di accesso. Mi feci coraggio, alzai la testa e per un attimo volsi il mio sguardo sul soldato che si era fermato sulla soglia del metato. Era in tuta mimetica, portava la pistola alla cinura e teneva il fucile allacciato su una spalla con la canna in avanti. Si mise a guardarci con entrambi le mani appoggiate sui muri della porta senza pronunciare una parola. Non so quanto rimase in quella posizione, a me smbrava che non se ne andasse mai. Quando apparve il tedesco mio padre si alzò, ma subito si accascò a terra fingendo di non reggersi in piedi, ecco perché si era fasciato la caviglia. Intanto il tedesco continuava a guardarci silenziosamente e noi lì col fiato sospeso a darci da fare con i coltelli in mano s sbucciare i patatini. Perch è il soldato tedesco indugiava a catturare mio padre. Perchè? Ad un certo punto si voltò di scatto, e così com'era arrivato si allontano in silenzio, seguito dagli altri suoi commilitoni che erano rimasti ad attenderlo nelle vicinaze. Il tedesco non aveva ottemperato all'ordine ricevuto nonostante fosse tenuto per giuramento, all'obbedienza cieca ed assoluta, in nome della quale, com'è noto, fuono commessi in quell'epoca crimini spaventosi.L'aver visto, quattro ragazzi con il loro babbo con una gamba fasciata, vivere in quelle miserevoli condizioni, dovette suscitare in lui sentimenti di umana pietà e anche di amore. Del resto il modo in cui ci aveva guardato fu significativo: anche con gli occhi, senza parlare , si possono dire tante cose.

Fu molta la felicità che provammo per lo scampato pericolo. Eravamo ancora con il babbo, tutti insieme, anche se il nostro era davvero un “povero nido di rusco”
Tale gioia fu però di breve durata perchè, qualche tempo, dopo fummo costretti a fuggire da quella località nella quale furono combattute aspre battaglie, tra i soldati americani e i tedeschi, trinceratisi sui nostri monti divenuti gli estremi limiti della Linea Gotica del versante tirrenico.
Altri sette mesi di giornate durissime ci stavano ancora aspettando prima di arrivare alla fine di quel tragico conflitto.

martedì 13 luglio 2010

Sono nero dal dolore

quanto è stato scritto sulla barbara uccisione, avvenuta tempo addietro, dei nostri sei paracadutisti mi ha molto commosso. Se penso a tutto il bene che i nostri militari hanno fatto a beneficio della popolazione Afghanistana e per ricompensa sono stati vilmente uccisi mi fa venire una rabbia da morire. Se fossi più giovanie sicuramente chiederei di essere arruolato per combattere contro questi tagliagole che uccidono spietatamente anche i loro innocenti connazionali. Questo mondo mi fa orrore! Bisogna ristrutturare le Nazioni Unite perché, come vediamo, non riescono a far fronte ai loro compiti istituzionali. Sono nero a sentire che da noi c'è gente che ha inneggiato alla morte dei sei nostri soldati, scrivendo – 6, come un segno della vittoria. Si vergognino questi uomini che vorrei definire con i più brutti aggettivi e i peggiori sostantivi, per avere accolto così questa dolorosissima e straziante notizia. Immagino che saranno le stesse persone che festeggiarono con le seguenti scritte sulle loro bandiere: 10 - 100 Nasserye.
Vedere piccoli orfanelliccanto alle mamme, accarezzare le bare dei lori padri ha martoriato ancora di più il mio cuore

lunedì 12 luglio 2010

Il Mondo di Otaner - terza puntata

Proseguono alacramente i preparativi per l'attuazione del piano S. Valentino che, com'è noto, è stato recentemente approvato dall' Assemblea degli uomini di Aurix. I lavori degli scienziati e dei vari tecnici spaziali per la messa nelle orbite delle navicelle spaziali sono a buon punto. In sostanza saranno utilizzate le preesistenti basi satellitari dalla quali sono stati lanciati nel passato negli spazi infiniti del cielo i dischi volanti. Intanto, la vita scorre felice per tutti i suoi abitanti, le cui condizioni economiche sono quanto mai ottimali. Da 1500 anni lassù c'è davvero la pace eterna.
La parola guerra è un ricordo dei millenni passati.Non ci sono più scontri tra le varie etnie per secoli divise da opposte ideologie, religioni e interessi di ogni genere. Furono gli uomini antichi di Aurix a capire che si doveva interrompere quel ciclo distruttivo causato, in primis, dalle guerre periodiche che lasciavano sul terreno innumerevoli morti e feriti e colossali rovine. Bisognava farla finita con la violenza armata fra i vari stati e dare avvio alla costruzione di un mondo migliore, nel quale tutti gli uomini potessereo sentirsi di essere veramente fratelli. “ Basta! “dissero di aurixini” “Occorre porre termine alla polverizzazione di ingenti risorse finanziarie che con le guerre si perdono miseramente. Il denaro dev'essere impiegato per l'edificazione di opere di pace. Diamo impulso alla ricerca tecnologica ed agli studi scientifici, i cui risultati sicuramente daranno vita ad una nuova era per il nostro mondo. Facciamo in modo che l'esistenza delle creature umane venga vissuta serenamente da tutti gli abitanti e che nessuno sia più angustiato da problemi economici finanziari”. Tutta la popolazione si trovò d'accordo ed ebbe cosi l'inizio di una nuova vita per gli aurixini. Per mantenere la pace fu all'inizio costituito un organismo composto da uomini saggi in grado di garantire il più assoluto rispetto delle nuove regole di vita e dei diritti e dei doveri di ciascun essere umano. (Mai organo fu così efficiente).Iniziò cosi l'eccezionale sviluppo tecnico industriale ed economico che portò il pianeta degli extra terrestri alla conquista degli spazi siderali, con le sue straordinarie macchine volanti, molte delle quali, più di una volta, hanno già toccato la nostra Terra. L'innanzalmento della vita media degli extra terrestri si è avuto gradualmente e di pari passo con lo scoprimento di nuove fonti di energia nucleare senza la produzione di scorie inquinantI e di nuovE sostanze alimentari ricche di varie vitamine. Anche la medicina genetica raggiunse gradi elevati con il pieno giovamento per tutta la popolazione. Ora gli abitanti di Aurix visitano i musei dove si possono vedere anche vecchie macchine da guerra che furono usate nell'antichità e grande è il dolore e lo sgomento che provano nel constatare che anche Aurix in epoche lontane fu abitato da uomini barbari e sanguinari. .

venerdì 9 luglio 2010

IL MONDO DI OTANER Echi dell'operazione S.Valentino

Tutti i mezzi d'informazione del pianeta Aurix hanno dato ampio risalto alla decisione presa dall'Assemblea dei rappresentanti, presieduta dal famoso scienziato Otaner concernente l'invio sulla Terra di formazioni di dischi volanti in attuazione della nota operazione di soccorso denominata S.Valentino. E' una decizione storica che segna l'inizio di una nuova era in ordine ai rapporti interplanetari. La diffusione delle notizie rese pubbliche da Otaner ha destato molto dolore in larghi strati della pacifica e laboriosa popolazione di Aurix. La biblioteche, le sale di lettura ed i centri di studi cosmici dotati di sofisticati computer dell'ultima generazione, sono stati presi d'assalto da moltissimi giovani desiderosi di acquisire notizie più approfondite sui pianeti che costellano l'Universo, ed in particolare sul pianeta Terra, sul quale sono nati uomini insigni in tutti i campi dello scibile umano, la cui popolarità ora è giunta al massimo. I corridoi aerei utilizzati dagli aurixini per raggiungere i suddetti centri coi loro razzi personali, mossi da potenti motori atomici, alimentati da batterie atomiche, hanno raggiunto il picco più alto, mai raggiunto in precedenza. Taluni giuristi che in un primo tempo avevano manifestato la loro perplessità sulla legittimità dell'operazione , intervistati dai gionalisti , hanno riconosciuto che il piano S. Valentino trova la sua giustificaione dal fatto che esso scaturisce dalla volomtà di aiutare i terrestri a porre termine, tanto pr incominciare , all'uso incontrollato della droga che uccide, fatto questo che a lungo termine, potrebbe porre in serio pericolo l'esistenza di tutti gli uomini dello stesso pianeta. Se i governi delle varie nazioni della terra non sono capaci di imporre severe leggi atte a salvaguardare la vita di tutte le lro collettività, qualcuno dovrà pur agire. Ecco questo è il commento che viene fatto su Aurix in merito all'operazione programmata. In sostanza in nome dell'amore universale, ogni essere umano appartenente sia purte a pianeti diveri, può e deve , se è in grado di farlo, uscire dai propri spazi assegnatigli dalle leggi divine del Creatore, quando ritiene doveroso compiere azioni meritevoli sotto ogni profilo, a favore di altre creature destinate a morire dopo lunghe sofferenze, a causa del comportamento nefasto di una criminalità organizzata a livello mondiale che ignora, al solo scopo di ricavarne profitti ingenti, il significato della parola amore.

IL CREDO DEGLI UOMINI LIBERI

Non si può arrivare alla prosperità
scoraggiando l’impresa.

Non si puo rafforzare il debole
indebolendo il più forte.

Non si può aiutare chi è piccolo
abbattendo chi è grande.

Non si può aiutare il povero
distruggendo il ricco.

Non si possono aumentare le paghe
rovinando i datori di lavoro.

Non si può progredire serenamente
spendendo più del guadagno.

Non si può predicare la fratellanza umana
predicando l’odio di classe.

Non si può instaurare la sicurezza sociale
adoperando denaro imprestato.

Non si può formare carattere e coraggio
togliendo iniziativa e sicurezza.

Non si può aiutare continuamente
la gente facendo in sua vece quello
che potrebbe e dovrebbe fare da sola.

Abraham Lincoln

Chi era Abraham Lincoln
Uomo politico americano, nato presso Hodgensville (Kentuchy) (1809-1865). La sua elezione a presidente degli USA (1860) da parte degli abolizionisti (antischiavisti) provocò lo scoppio della guerra di secessione. Nel 1863 abolì la schiavitù. Rieletto nel 1864 venne assassinato da un fanatico sudita , dopo la caduta di Richmond (capitale dei confederati) e la vittoria degli unionisti. Vide nello sviluppo industriale il futuro della nazione americana.

giovedì 8 luglio 2010

Ricordo dei miei ex compagni d'asilo e di scuola deceduti.

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Con la morte avvenuta nel 2009 di Renzo Casini, noto industriale del marmo versiliese, mentre nuotava nelle acque del mare di Forte dei Marmi, l'elenco dei defunti che furono miei compagni sin dagli anni “30, sia dell' Asilo Infantile Delatre di Seravezza che della scuola, continua ad allungarsi. Voglio ricordare questi miei compagni che mi davano tanti attimi di gioia quando,da adulti, ci incontravamo.. Il primo a morire in seguito ad un grave infortunio sul lavoro, accaduto nel 1958, fu Calistri Lido. In questi ultimi anni la morte ha strappato alla vita i seravezzini Alberto Benti, Grotti Luigi, Luciano Fernando Viti (abitante da anni a Forte dei Marmi) e Mario Tarabella. Con i miei compagni di asilo, ho avuto sempre affettuosi rapporti. Con Mario fui chierichetto, quando era Preposto Monsignor Angelo Riccomini. Mario fu la più bella voce del coro della chiesa che si staccava dalle altre, specialmente quando cantavamo il Vespro. Da “grando”, oltre che a suonare il clarinetto ed il sassofano nella banda dei Costanti di Seravezza, della quale fu anche direttore, fece parte di importanti orchestre nazionali che arrivarono ad esibirsi anche all'estero, in particolare nel Libano, paragonato, in quel tempo,come mi raccontò Mario, alla Svizzera dell'Asia occidentale per tutte le cose belle che aveva e che furono distrutte dalla guerra fra fratelli che scoppiò in quella nazione. Mario dimostrò appieno il suo talento musicale e canoro e un infinito amore per la musica. Si esibi anche a Napoli in via Partenope, con una importante orchestra che inaugurò un nuovo locale notturno. Insistette perché trascorressi una serata dove lui cantava e suonava gli strunenti succitati “Renato hai tutto pagato!” Lo ringraziai, ma non accolsi il suo invito perché con due bambine piccole che avevo preferii starmene a casa con loro e con mia moglie. D' altronde in quel locale mi sarei sentito come un pesce fuor d'acqua.
Voglio credere che le anime di tutti questi uomini che furono da bambini miei compagni di giochi e di studi siano ora in Paradiso. Ciao ragazzi,

martedì 6 luglio 2010

Ragazzi di Seravezza eroi senza medaglia

Per sette mesi portarono cassette di munizioni e viveri ai soldati americani schierati in prima linea sui monti versiliesi

Nei primi giorni del mese di dicembre 1944 sulla Versilia insanguinata e sconvolta dalla guerra imperversò anche i maltempo.Una coltre di nebbia avvolse i rilievi montuosi imbiancati qua e là dal nevischio che cadde frammisto alla pioggia. Furono brutte giornate che tuttavia non impedirono al solito gruppo di ragazzi di alzarzi presto la mattina, per essere eventualmente impiegati dagli americani al trasporto di viveri e munizioni destinati alla truppe operanti sui monti di Seravezza. Chi veniva escluso dai turni di “corvé”, predisposti nel capoluogo seraveszzino da Angelo Tarabella, addetto dagli americani a tale incarico, a causa dell'affluenza presso i magazzini di Seravezza di numerosi giovani che chiedevano di effettuarli ogni giorno per poter ricevere così il compenso costituito da cibo in scatola, saliva allora a Giustagnana o a Minazzana sperando di essere chiamati lassù a portare i rifornimenti alle pattuglie schierate in prima linea. Erano ragazzi appartenenti a quelle famiglie che piuttosto di affrontare i notevoli disagi dello sfollamento in zone più o meno lontane dalla Versilia avevano scelto di rimanere a Seravezza o nei paesi limitrofi, dove avevano almeno la possibilità di disporre di una casa. Per sette mesi, cioè per tutto il tempo che durò la guerra in Versilia, questi adoloscenti vissero sotto il costante pericolo di rimanere uccisi dalla mitragliatrici e dai colpi di mortaio e degli obici sparati dai tedeschi. Mi risulta che anche durante lo sfollamento alcune famiglie di Seravezza non ottemperarono all'ordine dei tedeschi di evacuare il paese. Esse rimasero nelle loro case badando di tenere la porta e le finestre chiuse, piuttosto che affrontare i disagi connessi allo sfollamento. All'impellente necessità che avevano questi nuclei di sfamarsi ci pensarono i loro figli adoloscenti che trovarono la forza per andare avanti e per non tirasi mai indietro, neppure quando intorno a loro cadeva la pioggia di fuoco prodotta dalle armi tedesche. Quando i loro viaggi iniziavano partendo dai magazzini ubicati in Torcicoda, dove aveva anche la sede il comando di un reparto della divisione di colore americana “Buffalo”, i giovani ricevevano, se diretti a Giustagnana, sei scatolette, di cui tre di carne, e le altre tre di generi diversi (mais, frutta, piselli ecc.ecc.) , mentre il compenso aumentava fino a otto scatolette ( quattro di carne e le restanti di cibo diverso) per i rifornimenti portati fino a Minazzana.Non era molto il compenso fissato dagli americani per questi trasporti, tenuto conto del piccolo formato dello scatolame da loro dato, ma ciò che gli adoloscenti ricevevano in cambio di prestazioni durissime, al limite della sopportazione, dato il peso delle cassette caricate sulle spalle, veniva accettato con gioia e gratitudine perché indispensabile ad essi e alle proprie famiglie per sopravvivere. Finita la guerra questi ragazzi vennero tutti dimenticati; nessun attestato di benemerenza fu loro concesso dagli americani per l'attività umile ma molto importante svolta silenziosamente e che certamente contribuì a rendere più efficiente l'azione operativa delle truppe alleate, impegnate in prima linea. Fu durante una mattinata di quei giorni iniziali del dicembre 1944 che alcuni giovani che erano saliti fino a Minazzana ebbero l'incarico di trasportare munizioni in località Bovalica, dove si trovavavno gli avamposti degli americani, mentre i tedeschi si erano trincerati sul Monte Cavallo.Questo incarico fu accolto con un sospiro di sollievo. A casa quella sera non sarebbero ritornati a mani vuote, come purtroppo era accaduto altre volte.Un ragazzo quindicenne calzava un paio di scarpe di tela con la suola di gomma, molto malandate. L'alluce del piede sinistro fuoriusciva dal buco che si era formato sulla stoffa consumata. Lo confortava soltanto il fatto di portare calzettoni di lana. Mentre si arrampicava su i sentieri irti e scoscesi,ad un certo punto, avvertì un dolore i piedi, non protetti dal nevischio che calpestava. “Speriamo che non mi prenda la pena che già ho sofferto in altre occasioni”, pensò il ragazzo, quando col fazzoletto si asciugò il copioso sudore dalla fronte china sotto il pesante carico. Dopo una quarantina di minuti di marcia i giovani ragazzi che sin da Minazzana erano stati seguiti da due soldati americani, armati di fucile, reggiunsero la zona, dove nelle buche scavate stavano acquattati i soldati americani. Appena arrivati seppero che durante uno scontro a fuoco coi tedeschi, avvenuto nella notte era rimasto ucciso un giovane soldato americano che i suoi commilitoni avevano già disteso e legato, con una cordicella su una barella. Da sotto la coperta, nella quale il cadavere era stato pietosamente avvolto, spuntavano solo i piedi calzanti stivaletti del tipo anfibio, in ottimo stato d'uso. “Paesà portare fino a Giustagnana?, disse il soldato che aveva il comando della pattuglia, dopo aver mostrato ai ragazzi la salma del militare caduto. “ Sì, Sì, , risposero tutti senza alcuna esitazione pensando subito al supplemento di scatolette che avrebbero ricevuto per questo imprevisto incarico.“ Come on!, come on” ordinò l' americano nel riprendere il fucile che aveva posato sull'orlo di una buca. Iniziò così il trasporto che fu effettuato a turno, da due ragazzi per volta.Quando fu di turno il ragazzo con le scarpe di tela, questi ebbe più volte l'occasione di vedere sotto i suoi occhi gli stivaletti del soldato morto, allorché nei tratti più ripidi del sentiero il corpo del militare ucciso si spostava continuamente in avanti fino a sentirne la sua costante pressione sul proprio corpo, anché perché la cordicella non era stata ben stretta alla barella. Fu proprio in quei momenti che il ragazzo pensò che se avesse potuto avere quegli stivaletti le sue sofferenze sarebbero finite. No! Calzare le scarpe tolte dai piedi di un soldato appena ucciso, gli appariva un fatto davvero inconcepibile.
“ No! Non devo neppure pensarlo”. Ecco cosa passava nella testa del giovane mentre camminava. Attraversata la località Castagnola fu raggiunta la Cappella. Da lì, percorrendo la mulattiera, finalmente il gruppo arrivò a Giustagnana. Posata la barella, il ragazzo stanco e con i piedi doloranti, che aveva sempre in mente gli stivaletti dell'americano ucciso, si tolse le sue cenciose scarpe e i calzettoni intrisi d'acqua. La pelle dei suoi piedi era divenuta bianchissima, come un lenzuolo fresco di bucato, o come se fosse stato scalzo per molto tempo nelle acque del fiume. Passò più volte il fazzoletto ancora bagnato fra le dita dei suoi arti inferiori.
“ Paisà, vedi i miei piedi come sono conciati male?” Nel dirgli queste parole, mostrò all'americano le sue stracciose scarpe. Aiutandosi coi gesti voleva rappresentare al soldato il bisogno che aveva di un paio di scarpe, ma l'americano non comprendeva il problema che affliggeva il ragazzo. Lui, il soldato,i piedi li aveva sicuramente asciutti e ben caldi. Il cuore dell'adoloscente batteva forte nella sua cassa toracica. Fu in quell'attimo che senza neppure rendersene conto, trovò il coraggio e la forza per dire, “ Paesà posso prenderli?!” Nel dire queste parole, posò contemporaneamente il suo squardo sugli stivaletti dell'americano morto. “Non posso farne a meno” avrebbe voluto ancora dirgli, ma non ebbe il tempo per continuare il discorso. Un violentissimo schiaffo del comandante della pattuglia lo colpi al viso. Chiuse gli occhi per il dolore che aveva sentito tanto da fargli vedere anche le stelle. Piangeva il ragazzo, mentre udiva le grida del soldato oramai in preda ad una rabbia incontrollata. Lo cacciò via questo giovanissimo gridandogli “ Let's Go! Let's Go! “ A piedi scalzi e con in mano le sue vecchie scarpe e i calzettoni strizzati si allontanò dal gruppo. Quel giorno i suoi compagni ricevettero il solito cibo in quantità maggiore per il trasporto effettuato della salma. A lui che aveva faticato e rischiato la vita come loro, non fu dato nulla. Eravamo alla vigilia del Santo Natale e questa ricorrenza della natività di Gesù Cristo Redentore, avrebbe dovuto aprire il cuore del soldato all'amore e alla comprensione specialmente nei confronti delle creature umane più indifese, vittime innocenti di una guerra tremenda,Ma il conflitto che lo vedeva schierato in prima linea non lo mosse a compassione. Infatti rimase fermo e spietato nell'atteggiamento violento assunto nei confronti del ragazzo, che a suo modo lottava quotidianamente , senza il fucile in mano, per non morire di fame. Sì lottava ogni giorno una dura battaglia perché i suoi occhi non si chiudessero anzitempo, ma potesero ancora spalancarsi su un mondo migliore senza più guerre generatrici, sin dai tempi più antichi, di rovine e di morte.

Per il costante aiuto che seppe dare ai soldati americani per sette mesi in guerra sulla Linea Gotica, questo ragazzo, che fu un mio grande amico, meritava una ricompensa al suo valore. Purtroppo è scomparso qualche anno fa. Ora la sua anima aleggia negli spazi infiniti del cielo dove riposano gli eroi senza medaglia.

lunedì 5 luglio 2010

Nel mondo c'è bisogno soltanto di amore e pace.

Mi domando quando l'uomo che da millenni sta sulla terra potrà vivere una vita più serena e felice.
La grave crisi mondiale manifestatasi in questi ultimi anni ha ancora di più aggravato la difficile situazione dell'uomo che percorre, da sempre, in affanno i sentieri del mondo.

Le infinite guerre che sono scoppiate sin dai tempi più antichi sono quelle che hanno causato milioni e milioni di morti e feriti, oltre a bruciare ingenti risorse finanziare che se impegnate in opere di pace avrebbero reso sicuramente migliore la vita di tutte le creature umane.

Quindi obbiettivo primario dell'uomo è arrivare a porre fine alle guerre distruttrici di ogni bene.

In Afghanistan, dove continuano a morire sia i soldati, inviati in quella terra per riportare l'ordine e la pace, che un numero sempre crescente di civili innocenti trucidati in conseguenza delle azioni dei kamikaze, costoro convinti, da esseri incoscienti, di morire anch'essi per una sacra lotta, tutto deve essere fatto per arrivare a porre termine a questo conflitto, sorto per combattere il vile terrorismo, dopo l'11 settembre del 2001.

Lo so che non è una cosa facile da fare a causa, . e questo lo dico davvero a malincuore, della inesistente organizzazione mondiale , nella fattispecie dell'Onu, la quale non è mai riuscita a conseguire i suoi compiti istituzionali, primo fra tutti, quello di assicurare la pace universale fra i popoli.

I terroristi dovrebbero essere isolati. Chi sono coloro che li riforniscono di armi e munizioni? Chi li rifornisce di viveri? Dovrebbero andare a lavorare la terra, seminare e zappare per raccogliere grano e tutti gli altri prodotti necessari all'alimentazione dell'uomo, altro che andare in giro armati, pronti a tagliare la gola ai propri simili e a uccidere, senza alcuna pietà, coloro che non la pensano come loro.

Mi risulta che i nostri soldati in Afghanistan hanno assunto nei confronti della popolazione civile comportamenti altamente umanitari. Hanno aiutato tutti arrivando, se non sbaglio a costruire anche opere murarie a favore della popolazione. Per questo gli abitanti pacifici di quella terra gli hanno manifestato amore e riconoscenza. Questo umanitario comportamento dei nostri militari non è bastato a fermare il terrorismo crudele generato da esseri infedeli, la cui crudeltà si è manifestata alla pari di quella della Germania nazista che a S.Anna di Stazzema il 12 agosto 1944 commise una spaventosa strage di innocenti.

Morti sul lavoro

Continuano a morire tanti operai mentre lavorano per guadagnare il panedi cui hanno bisogno le proprie famiglie, molte delle quali hanno ancora piccoli bambini da crescere. E' una tragedia per le spose che rimangono vedove e per quei piccoli rimasti orfani di padre. Rivolgo accorati appelli agli imprenditori e ai dirigenti delle imprese che danno lavoro, perchè facciano osservare tutte le leggi atte a salvaguardare la vita dei propri lavoratori. Certamente l'imponderabile può sempre verificarsi. Non voglio ripetere quanto ho già scritto, questa volta voglio affidare una supplica al nostro Dio Creatore del Cielo e della Terra. Signore , ti prego proteggi gli uomini che ogni giorno lavorano per guadagnare il necessario per far fronte ai bisogni delle rispettive famiglie. Fa che la sera ritornino sani e salvi a casa per riabbracciare le spose e i loro figli.Proteggi anche i nostri soldati che in terre lontane sono chiamati a difendere la pace del mondo sconquassato da guerre e da vili attentati terroristici, a rischio della propria vita. Fa Signore che la pace trionfi in ogni parte del mondo. Su questo punto siamo in ritardo di millenni.
Ascoltami Signore|

Il periodico che parla al cuore di tutti coloro che amano la Versilia.

All’inizio del 1982, ventotto anni fa, iniziai a scrivere su Versilia Oggi. Incominciai con un racconto vero. Parlai di quando in tempo di guerra noi ragazzi di Seravezza si andava in giro per le selve dei nostri monti, per cercare castagne. Si sapeva che si dovevano rubare e questo era un fatto contrario alla nostra coscienza, ben ricordando uno dei dieci comandanti “non rubare”. Era un furto e quindi condannabile penalmente. Allora ero a digiuno del diritto penale in generale, quindi non sapevo nulla sullo “stato di necessità”, motivo per cui per un furto del genere viste le condizioni in cui si viveva allora, verosimilmente non ci avrebbero inflitto alcuna condanna. Fu la fame che si sentiva forte, forte, a non farci pensare più di tanto. Quel fatto che vissi insieme al mio compagno Piero fu davvero drammatico, non solo perché sotto lo “scepalone” trovai il mio sacchetto che vi avevo nascosto quasi svuotato ed anche perché mentre avevano deciso di ritornare a casa, saltò fuori il proprietario della selva, con un pennato in mano, che ci fece una forte romanzina che terminò col riprendersi le castagne. Ricordo che questo uomo minacciò di chiamare i carabinieri, comunque non alzò le mani e ci restituì i sacchettini. Lo ricordo come un uomo che comprese la fame di noi ragazzi, tutto sommato si comportò con molta umanità. Non alzò le mani, non fece come il proprietario di una bosco di Seravezza, che picchiò un mio amico vicino di casa, che aveva tagliato due stecchi e piccoli arbusti, della sua proprietà, per riscaldarsi al fuoco del suo camino, fino a quasi fargli perdere i sensi, mentre i suoi figli che assistevano a quella scena violenta continuavano a incitare il genitore. “Dai babbo, picchialo ancora. Dai!Dai!.”
Mentre si ritornava a casa a mani vuote, continuavo ad avere un grande confusione in testa perché non riuscivo a comprendere chi avesse svuotato il mio sacchettino.Neppure mi sfiorò il pensiero che fosse stato il mio amico a svuotarlo. Voglio dire che noi ragazzi mai si ritornò a casa con le castagne. Sconsolati ritornavamo sempre col sacchetto vuoto.
Poi ho continuato a scrivere tanti altri racconti sulle tragiche vicende vissute durante lo sfollamento.
Trovai questo giornalino molto interessante, il particolare che più mi colpì, oltre alla bravura del direttore Giorgio Giannelli, fu nel rilevare che autori di molti articoli erano i propri lettori abbonati, molti dei quali testimoni oculari dell’ultima guerra, quindi essi narravano episodi che avevano dolorosamente e personalmente vissuto. Ecco da dove un registra cinematografico avrebbe dovuto attingere, sia per girare una pellicola sulla strage di Sant’Anna e, volendo, anche sui tanti terribili episodi verificatisi in Versilia nell’estate del 1944.
Dagli articoli pubblicati su Versilia Oggi, molti di alto spessore, scritti da gente colta e preparata, è sempre emerso un amore immenso per la nostra nobile terra di Versilia, in primis perché si capiva che questi novelli narratori dicevano la verità. Non ho mai dimenticato le cose belle scritte su Versilia Oggi da Alessandra Burroni. Indimenticato il suo pezzo scritto su un poeta di Basati, se non sbaglio, che scrisse brani poetici tanto belli da sembrare canti di un usignolo, purtroppo scomparso prematuramente. Proprio dalla letture dei suoi pezzi stupendi ebbi l’imput, per scrivere anch’io su Versilia Oggi che da più di quarant’anni continua ad uscire regolarmente. All’inizio del 2005 c’è stato il cambio della proprietà e anche della direzione, confesso di avere molto sofferto nell’apprendere che Giorgio Giannelli non sarebbe stato più il mio direttore. Glielo dissi quando lo andai a trovare alla Colombaia che senza lui alla direzione del periodico anch’io avrei cessato la mia collaborazione. A questo punto insistette tanto perché non abbandonassi il periodico. Certamente la linea, a mio parere, è molto cambiata. Una cosa comunque è rimasta immutata. Anche i nuovi condirettori dimostrano con i loro articoli di amare profondamente la Versilia ricca di storia e di tante bellezze. Devo ai pensieri da essi altamente espressi se continuerò a collaborare a Versilia Oggi, almeno fino a che loro me lo consentiranno, perché è questo il periodico che continua ha mantenere nel mio cuore vivo il ricordo delle mie radici.

domenica 4 luglio 2010

Lorenzo Tarabella , il poeta cavatore di Seravezza mai dimenticato

A 38 anni di distanza dalla fine del suo cammino terreno, che avvenne il 4 aprile 1972, mi fa ancora piacere parlare di Lorenzo Tarabella, sul conto del quale, negli anni passati, ho scritto alcuni articoli su Versilia Oggi per ricordare le sua vita che fu anche sofferta a causa delle motivazioni che affliggevano il mondo del lavoro ancora oggi sul tappeto degli uomini del nostro tempo, tanto da saperle evidenziare nelle sue lancinanti e illuminate opere poetiche e struggenti racconti, il tutto degno della massima considerazione. Mentre scrivo lo rivedo apparire davanti ai miei occhi quando ci incontravamo nelle strade di Seravezza, durante gli anni in cui la sua famiglia si trasferì da Malbacco in una casa vicina al Ponticello, dove più in basso c'era la Chiesa della Santissima Annunziata, che fu fatta saltare in aria dai tedeschi, insieme a tutte le case del rione durante la tragica estate del 1944. Era un ragazzo con qualche anno in più di me.
Fra i miei libri ho anche il suo, intitolato “E' troppo presto!, presentato dai suoi amici seravezzini, e con la prefazione del grande maestro Narciso Lega. Questa encomiabile opera fu pubblicata postuma dalla Associazione Pro- Loco di Seravezza il 31 ottobre 1974.
La sua poesia vera, generata dal suo cuore ricco d'amore e da una profonda umanità, colpì il mio cuore per la sua “immediatezza sui “concetti, sensazioni e momenti profondamente vissuti dall’Autore”. Anche i suoi racconti, a mio parere, sono eccezionali.
Dal suo racconto il Cavatore, Sirio Giannini un grande scrittore della Versilia contemporanea, acomparso prematuramente, girò un documentario che ebbe un grande successo al Festival Internazionale del Passo Ridotto di Montecatini.
Trascrivo, qui di seguito soltanto la seguente poesia di Lorenzo Tarabella che scrisse quando perì sul lavoro il nostro grande e fraterno amico Lido Calistri, cresciuto insieme a noi ragazzi del Ponticello, intitolata “Dove andiamo stasera”
Si accesero le luci,/ un bianco fruscio d’infermeria/fluttò nella vetrata/ e svani nel silenzio delle corsie./ Fuori il mondo agonizzava,/fuori il giorno esalava l'ultimo respiro, / soffocato/dilaniato, avvinto,/ ucciso dall’ombra della sera/ carica di autunno immensamente malinconico./Le sette. L’orologio marcava le sette./Che importava un dottore!/ Ormai l’avevamo capito,/anche se i più lontani angoli dell’immaginazione / sfruttavano ogni possibilità,/ per renderla impossibile./Sì l’avevamo capito./ Capito!/Capito!.../Oh!../ Si insinuava debolmente,/ saliva piano piano,/ ingrossava, / si fermava un attimo fra i battiti del cuore:/ e lo ingannava spudoratamente./ E’ venuta!/ L’ho sentita che entrava dalla porta di ingresso, /affascinante e superba/ come un’aman te al suo milionesimo appuntamento,/ sta salendo le scale…/ e’ arrivata nei corridoi , frusciando, / è passata, /libellula nera, brivido,/dagli inavvertibili piedi felpati/ a raggelare le cose./ No!.../ Ha schiantato la sua gioventù./ Qui,ora/ ditemi a cosa servono le parole. /Fu forse un’opera d’arte/ che volle lo sciatto raggiro d’una spiegazione?/ Sopra i muri di gesso, / sopra le porte chiuse, /sopra le immobili maniglie, /sopra l’indefinibile pavimento di mattonelle, /sopra la luce sbiadita delle lampade, /sopra il quadrante dell’orologio; /sopra i vetri;/ sopra il frastuono pauroso del silenzio, / sopra i volti nostri/è fermato l’incubo di una morte bianca,/agghiacciante e terribile,/ grandiosa come la sfinge egiziana:/ Il giorno dopo c’era un sole così splendido/ che sembrava impossibile che fosse morto:/ Si dipingetemi un paesaggio!/ Ma che ci sia il ricordo di un amico perduto./ No, non verrò nella camera ardente. /Io amo il presente. Il futuro; amo la vita:
Mancavano cinque minuti:”Spostate quel carrello, poi ce ne andiamo”.E vennero,/ scolvolti e disperati portarono il tuo corpo,/inerte/ simile a un Cristo, con le mani ancora nere di morchia ,/ e la nobiltà del lavoro/ stampata col sangue sui tuoi calzoni rattoppati./ Un paio di scarpe per Lido; /una camicia per Lido; /è giovane, /forse,forse un vestito per Lido:/ e la minestra sul tavolo/ gridava una giustificazione:/ Era un operaio, / era il figlio,/ era il fratello di cinque fratelli, / era il padre che entrava nella casa del padre disoccupato: / E' morto. Era un amico. Di più era quasi un fratello./ Non lo vedrò mai più. E tu, fermati, tempo! /Torna indietro nel passato! /Eccolo:/ Spilungone e magro come John Carradine, / mi vieme incontro sorridendo, dai denti invidiati:- Ehi! / Ehi!/ Dove andiamo stasera?”

venerdì 2 luglio 2010

Pezzi di cielo caduti in terra

Molti anni fa, una anziana signora che abitava nella zona di Posillipo, mi disse che quel luogo era un pezzetto di cielo che Dio aveva fatto cadere sulla nostra terra, tanto era bello quel paesaggio. Devo dire che il Creatore di pezzetti di terra, di incommensurabile bellezza, ne deve avere fatti cadere moltissimi dal cielo su ogni parte del nostro pianeta, viste le bellezze naturali del mondo sparse un po' dovunque. Ebbene, anche il Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli e financo Boccadarno, appaiono ai miei occhi, pezzi di terra caduti dal cielo viste le loro verdeggianti bellezze. Nonostante il trascorrere di tanti millenni, San Rossore ha conservato inalterato il suo habitat naturale, dove ancora si respira il profumo di questa terra rimasta antica. Chi scrive la vide per la prima volta nel 1945 a guerra finita, quando gli alleati vi costruirono, finiti i combattimenti, grandi accampamenti dove furono concentrati i soldati americani, che attendevano di essere imbarcati per fare ritorno in patria. Parlo di migliaia di militari USA, che dopo avere sfondato la linea Gotica, erano arrivati vittoriosi fino al nord Italia sbaragliando i Tedeschi e le truppe della Repubblica Sociale Italiana, fondata da Mussolini, dopo l’8 settembre 1943. Ci andai con l'amico Enrico, nativo di Corvaia, e sfollato a Pietrasanta come me, per salutare alcuni soldati della 599 Compagnia di colore della divisione Buffalo che avevamo conosciuto nel corso di sette mesi trascorsi da “sfollati” a Capezzano Pianore, dove aveva la sede il loro reparto. Fu una lunga camminata a piedi. Mi colpì la grande pineta con alcuni enormi spiazzi all’interno, nei quali erano state piantate grossissime tende piene di soldati. Vidi alcuni capanni costruiti su altissimi pini, raggiungibili con una serie di scale di legno, dove i reali di Casa Savoia si appostavano per la caccia. Ebbi modo di conoscere, un po’ più a fondo, San Rossore allorquando, nei primi anni anni 80, vi prestai servizio, sia pure per poco tempo. E' un'oasi di verde, ricca di flora e di una fauna incredibile. Nei pressi della foce dell’Arno ho visto una miriade di uccelli nidificare nei campi a ridosso del fiume. Una sera, un cinghialessa, seguita da cinque o sei suoi piccoli, mi attraversò la strada e per pure miracolo evitai, con una brusca frenata, che la mia autovettura investisse il gruppetto di animali. San Rossore é sempre stato un habitat eccezionale per tante specie di uccelli ed animali stupendi, molti dei quali purtroppo estinti, come ebbi modo di apprendere in occasione della mostra dei loro corpi imbalsamati che tanti anni fa vidi nei locali dell’arsenale Mediceo della Cittadella. E' questo un fatto che deve farci riflettere perché ogni specie di uccelli e di animali deve essere sempre difesa e protetta, trattandosi di un patrimonio che il Creatore ci ha dato e che appartiene a tutta l’umanità.

Antonio Spinosa: ecco come giudicò i fatti accaduti l'8.9.1943

Il giorno 8 aprile 1997, il famoso scrittore Antonio Spinosa, scomparso tempo addietro, tenne nell’Aula magna della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa una conferenza sul tema : Vittorio Emanuele III e i giorni dell’8 settembre 1943.
Moderatore il prof. Paolo Nello, docente di storia contemporanea nel suddetto ateneo.
La conferenza fu organizzata dall’Associazione studentesca “ I L - Informazione Liberale - “, che si ispirava ad ideali liberali e libertari senza legami ad alcun partito e/o movimento politico,della quale faceva parte anche il mio ultimo genito.
L’illustre giornalista storico, accogliendo l’invito, giunse da Roma dove viveva e lavorava, accompagnato dalla gentile consorte. Al pubblico che riempì la prestigiosa Aula, fu presentato dallo studente versiliese Alessandro Santini che, sulla Casa Savoia, scrisse alcuni interessanti articoli pubblicati su “ Informazione Liberale “, stampato all’interno dell’Università della Torre pendente.
Antonio Spinosa fu autore di una serie di libri in edizione Oscar Mondadori di grande successo che narravano le vicende, sotto molti aspetti affascinanti, di personaggi che sono passati alla storia, quali: Cesare, il grande giocatore; Tiberio,l’imperatore che non amava Roma, Augusto, il grande baro; Paolina Bonaparte, l’amante imperiale; Murat, da stalliere a Re di Napoli; Le Italiane, il lato segreto del Risorgimento; Starace, l’uomo che inventò lo stile fascista; I figli del duce, il destino di chiamarsi Mussolini; D’Annunzio, il poeta armato; Mussolini, il fascino di un dittatore; Vittorio Emanuele III, l’astuzia di un re; Hitler, figlio della Germania. Pio XII, l’ultimo Papa; Edda, una tragedia italiana; I 600 giorni di Salo e Ulisse ( uscito recentemente ) .
Il 2 giugno 1946, Antonio Spinosa, quale amico personale dell’allora ministro degli interni Giuseppe Romita, fu testimone della nascita della nostra Repubblica.
Nel suo excursus storico relativo all’armistizio dell’8 settembre 1943, Antonio Spinosa ha sostenuto la tesi secondo la quale il Re , che aveva un fortissimo senso della Costituzione, fu costretto a lasciare Roma per trasferire altrove quelle che erano le insegne della monarchia, allo scopo di assicurare la continuità del suo potere legittimo in un territorio libero. Non si trattò di una fuga, ma di un comportamento atto ad evitare di essere arrestato dai tedeschi, un fatto questo ritenuto probabile dallo stesso Re e davvero non infondato, come poi dimostrò il piano di Hitler ( annotato sul diario di Goebbels ) che prevedeva appunto la cattura di Vittorio Emanuele III, della sua famiglia e del governo Badoglio al completo.
L’armistizio, firmato segretamente il giorno 3 settembre 1943 a Cassibile, dal generale americano
Bedell Smith e da quello italiano Castellano, doveva entrare in vigore dopo nove giorni dalla firma, cioè il I2 settembre.
Invece di quella data gli alleati decisero di annunciarlo, tramite “ Radio Algeri”, il giorno 8 settembre, addirittura circa due ore prima che fosse diffuso dalla radio italiana, sicuramente per fare un dispetto puro e semplice all’Italia (per il ritardo con cui questa aveva firmato l’armistizio in questione) e per punire, al tempo stesso, la monarchia per essere stata, per tanti anni, d’accordo col fascismo.
Fu questa la causa che l’8 settembre generò la grande confusione che portò allo sfascio del nostro Esercito, dovuto soprattutto all’ inettitudine dei vertici militari, incapaci financo di eseguire gli ordini che il governo di Badoglio aveva impartito. Le Forze Armate italiane si difesero come poterono dall’esercito tedesco, molto meglio armato. Una infinita schiera di soldati italiani venne massacrata nei combattimenti o addirittura fucilata dopo essere stata costretta ad arrendersi. Nelle isole greche di Cefalonia e Corfù furono scritte col sangue pagine di epico valore.Da queste isole del Dodecanneso ebbe inizio la restistenza contro i nazisti. In seguito all’armistizio seicentomila fra ufficiali e soldati italiani furono deportati nei campi di concentramento in Germania, nei quali più di trentamila perirono di stenti.
La sanguinosa reazione dei tedeschi verificatasi subito dopo l’annuncio dell’armistizio, impedì l’attuazione del piano predisposto per il trasferimento, con i mezzi della Regia Marina, del Re e del governo Badoglio in Sardegna.
Anche eminenti professori ed autorevoli personaggi, intervenuti al dibattito, si trovarono d’accordo con Antonio Spinosa nel non giudicare una fuga la partenza del Re e del governo Badoglio da Roma.
Sull’argomento, memore delle vicende storiche di quei giorni lontani, vissute da ragazzo degli Anni 30 nelle strade della Versilia e di Seravezza in particolare, ho voluto narrare agli studenti universitari le emozioni scaturite da quei fatti, peraltro ben raccontati nei suoi libri da Giorgio Giannelli. Mi colpì allora il comportamento del Re che io avevo imparato ad amare sui banchi di scuola come il Re soldato, per essere stato sempre nelle trincee accanto ai suoi soldati, durante la I Guerra Mondiale.
E proprio sempre vicino ai suoi soldati avrei voluto vedere il Re anche all’indomani dell’8 settembre 1943; invece egli partì da Roma per salvare la Corona, una tesi sostenuta in quei giorni pure da un uomo, un ex combattente della I Guerra Mondiale, un certo Salteri, detto “il Gallo”, mio vicino di casa.
Ricordo con quanto calore quell’uomo difendeva il Re dall’accusa mossagli di avere abbandonato il suo popolo. Ci metteva la stessa forza con la quale da decenni lavorava il marmo, con la subbia ed il “ mazzolo “ stretti nelle sue callose mani, a partire dalle ore 5 di ogni mattino, per farci capire perché il Re aveva abbandonato Roma, una spiegazione che, ancora oggi. purtroppo non riesco ancora a comprendere.
Dopo la conferenza, mentre ci apprestavamo a raggiungere il vicino e storico Caffè dell’Ussero per un rinfresco offerto da quei magnifici studenti dell’associazione I L, alcuni dei quali versiliesi, una distinta signora mi chiese: “Che ne pensa del mancato ritorno in patria dei resti del Re Vittorio Emanuele III, del figlio Umberto II e della Regina Elena. “ La mia risposta fu immediata, senza un attimo di riflessione risposi: “ Non sono comportamenti degni di una nazione civile “.